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Autore: mael_    30/09/2013    1 recensioni
In un buio provocato dall'ansia che le attanaglia il cuore, Sebastian è un raggio di luce che le tira su il morale inaspettatamente.
Smytheberry!friendship
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Rachel Berry, Sebastian Smythe
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A ray of light in the darkness.

 

Rachel si spostava leggera nel suo vestitino blu scuro a tema floreale, con la gonna a strati che si muoveva ad ogni passo che produceva, e si ampliava quando girava per tornare indietro in quella che poteva definirsi una camminata spazientita, e anche un po' ansiosa. Era in un corridoio dell'ospedale di Lima, ed era circondata da sedie; non voleva saperne di sedersi. Piuttosto si mordeva le labbra, e stringeva il tessuto dell'abitino nelle piccole mani, facendo ticchettare le scarpette lucide sul pavimento bianco. Tutto quel bianco le incuteva ancora più ansia, e il cuore le batteva forte, delle lacrime scivolavano via dagli occhi cioccolato, rigandole le guance.

Non sarebbe rimasta lì ancora, no, doveva andarsene. Spostarsi almeno in un altro corridoio, così da non vedere ancora quel numero -centotrentasette-, che ormai osservava da più di due ore. Suo padre Hiram era in quella stanza, aveva subito un grave incidente per le insicure strade di Lima, e ancora non si sapeva nulla. Qualche metro vicino a lei c'erano suo padre Leroy ed un dottore, che parlavano.

Fece per andarsene, quando si sentì chiamare. «Raerae?»

In fretta si asciugò gli occhi con il dorso della mano, poi si girò verso suo padre e lo guardò con un leggero sorriso. Nonostante ciò i suoi occhi gridavano preoccupazione, e nessuno poteva capirlo meglio di suo padre.

Lui le spiegò cosa fosse esattamente successo a suo padre Hiram, il trauma che aveva subito e lo stato di convalescenza in cui sarebbe rimasto per un paio di settimane, essendosi operato. S'era svegliato, e sembrava andare tutto okay, ma aveva bisogno di riposo e lo stavano ancora controllando, per cui non potevano vederlo. Suo padre si ritirò presto in bagno, per riprendersi, e Rachel rimase nuovamente sola, fissando quel centotrentasette.

La sua gonna frusciò quando accelerò il passo verso un altro posto e si ritrovò nella hall dell'ospedale, a fissare un puntino nero in quella distesa di bianco, e osservando le infermiere che giravano e giravano senza sosta. Si chiese se fossero mai distrutte emotivamente come lo era lei in quel momento. Non sapeva se volesse vedere o meno suo padre. Vederlo sveglio l'avrebbe rallegrata, ma vedere le ferite l'avrebbe fatta stare male.

«Berry?»

Rachel strinse i pugni quando vide davanti a sé niente di meno che Sebastian Smythe in jeans, felpa e maglietta da lacrosse, e in quel momento non gli servivano proprio la sua falsa ironia e le sue prese in giro.

«Cos'è successo?» le chiese.

Rachel non rispose, abbassò lo sguardo stanca, alleggerendo a forza la postura rigida che aveva assunto alla vista del Warbler. Non aveva le forze di parlare con lui, dopo ore trascorse in quell'ospedale l'ultima cosa che voleva era litigare o dover alzare la voce. Lo ignorò semplicemente, perché sapeva che se ne sarebbe andato.

Sebastian invece si piegò in avanti per poterla guardare negli occhi, aveva un'espressione di sincera curiosità, ed era buffo con quegli occhioni verdi e le labbra piegate all'ingiù. Così Rachel cacciò un sorriso, e Sebastian sorrise a sua volta, soddisfatto. La mano di quest'ultimo si posò confortevole e gentile sulla sua schiena, donandole qualche carezza per calmarla, e lei tirò su il capo, osservandolo.

«Sono in ritardo, però. Su, andiamo» le disse, senza neanche chiederle se volesse o meno andare con lui, senza dirle dove sarebbero andati.

Lei, d'altro canto, aveva bisogno di distrarsi da suo padre in quella stanza. Si sentì egoista ad allontanarsi, ma guardava incuriosita Sebastian e si mordeva le labbra, stringendosi nelle sue stesse spalle, seguendolo poco dietro, con gli occhi spalancati e persi, ancora bagnati e rossi.

Arrivarono in un reparto totalmente diverso, era colorato e pieno di adesivi sui muri bianchi, o anche impronte di mani fatte con diversi colori accesi e sgargianti, che attirarono l'attenzione di Rachel. Sebastian si girò per vedere se l'avesse effettivamente seguito, poi tornò sui suoi passi.

«Sebastian!» gridò un'infermiera entrando dopo di loro. «Quando cominciano a chiedermi dove sei diventa straziante» lo informò spazientita.

Sebastian sorrise. «Beh, ora sono qui, no?» fece togliendosi la felpa, appendendola su un uomo morto* accanto la porta.

Rachel sbatteva le palpebre spaesata da quel luogo nuovo dove non era mai stata, o forse sì? Quand'era piccola. Quando Sebastian sparì dietro un'altra porta non seppe se dovesse seguirlo o meno. Ma lo fece comunque all'udire un coro di voci levarsi dalla stanza, grida allegre e risa spensierate che l'attirarono come musica. Si soffermò a guardare la scena di diversi bambini che abbracciavano Sebastian, altri che gli giravano in tondo improvvisando una ola.

«I bambini lo adorano» disse l'infermiera di poco prima.

Rachel teneva ancora l'espressione confusa. «Sebastian lavora qui?»

«Servizi sociali. Non ricordo cosa sia successo, mi pare abbia accecato un ragazzo un paio d'anni fa» Rachel a quelle parole storse il naso pensando a Blaine bendato. «Veniva qui e puliva, e nel mentre cantava. I bambini uscivano sempre ad ascoltarlo e piano piano si è affezionato a loro».

Rachel continuava a guardarlo mentre parlava con una bellissima bambina dai boccoli rossi e le lentiggini, mentre le poneva bene il cerchietto azzurro sulla testolina e le sorrideva. Il braccio della bambina era fasciato, e la guancia coperta da un enorme cerotto bianco.

«Quando finirà i servizi?»

«Li ha finiti l'anno scorso» le disse l'infermiera «viene sempre qua, quando può, non riusciamo a mandarlo via» scherzò, lasciandola poi sola quando venne chiamata da un dottore, salutandola.

Rachel si portò una mano ai capelli, scostandoli dagli occhi, e quando focalizzò di nuovo lo sguardo sulla bambina dai capelli rossi notò il suo ditino puntato su di sé e si sentì avvampare, improvvisamente a disagio. Sentì anche lo sguardo di Sebastian bruciarle sulla pelle, e indietreggiò di un passo incerta.

La bambina la raggiunse presto con un paio di salti e cominciò a girarle intorno goffamente, meravigliata dal vestito che indossava, toccandole la gonna.

«Ma è bellissimo! Lo voglio anch'io, lo voglio anch'io 'Bastian!» diceva, e Rachel si chinò per poterla guardare in quelle gemme azzurre come il cerchietto. «Io sono Willow, e tu?»

Rachel non ebbe il tempo di risponderle: vennero raggiunte dalle altre quattro bambine che commentavano il vestito entusiaste, facendola ridacchiare, e i tre piccoli maschietti che la osservavano curiosi.

«Ragazzi lei è Rachel» la presentò Sebastian, chinandosi a sua volta, sedendosi a terra accanto a lei.

I bambini cominciarono a presentarsi e Rachel ne era sempre più affascinata, vedendoli ridacchiare: volevano giocare con lei, e presto si ritrovò alcune macchinette in mano, a gareggiare con alcuni di loro, lanciandole dall'altra parte della stanza, vedendo chi arrivasse prima. Esultava ogni volta che vincevano, e rideva, divertita.


«Achel tu sai cantae?» le chiese Alex, la più piccola, in braccio a Sebastian.

Rachel emise un versetto sorpreso, chinando il capo di lato. La verità era che non aveva voglia di cantare, aveva ancora la voce roca e spezzata e non se la sentiva.

Fece per scuotere il capo, ma qualcuno la precedette nella risposta. «Se sa cantare?» ironizzò Sebastian, e Rachel per un momento credette di star per essere derisa dal capitano degli Warblers. «Lei è la più brava, Alex» le disse, e la bambina si agitò eccitata tra le sue braccia, battendo le mani per incitarla a cantare.

«Oh, i-io...» farfugliò a disagio, sorpresa dalle sue parole, ma presto scoppiò a ridere: un coro di “canta!” s'era levato da tutti i bambini e lei non sapeva cosa fare, se non renderli felici e cantare per loro. «Va bene, va bene!» li zittì battendo anche lei le mani, con un enorme sorriso «canto... solo se Sebastian canta con me».

La proposta sorprese il Warbler, che però l'accetto subito, divertito.

Si ritrovarono presto ad intonare “Il mondo è mio”, scelta, dopo una profonda riunione, dai bambini.

Così cantavano insieme, improvvisando un balletto, intrecciando spesso le mani per attraversare la stanza a passo delle note della canzone di Aladdin, facendo ridere i bambini per le strane smorfie che producevano, e facendo sospirare le bambine pensando a principi e principesse.

Quando terminarono la canzone i bambini applaudirono entusiasti, e Rachel e Sebastian si guardavano ridendo.

«'Bas è davvero bravissima!» fece Ivan tirandole la gonna.

«Ve l'avevo detto» sorrise Sebastian, e si ritrovarono presto a cantare Hakuna Matata tutti insieme.


Per quanto Rachel volesse rimanere lì, tutta quella felicità e quell'allegria sprigionata dai bambini le avevano messo voglia di andare da suo padre e passare del tempo con lui. Così salutò tutti i bambini, baciandoli sulle guance, e se ne andò, dimenticandosi di salutare Sebastian. Aveva la testa fra le nuvole, e non ci pensò a ringraziarlo per averla fatta stare meglio.

Sospirò camminando verso la stanza, e vi trovò davanti suo padre.

«Papà, posso entrare a vedere-».

«Sta dormendo, Rae... mi dispiace, ma entra pure, se vuoi» le lasciò un bacio tra i capelli e la informò di star andando a casa per cambiarsi e portare qualche vestito a suo padre. Lei sarebbe rimasta lì.

Entrò con cautela e chiuse la porta dietro di sé, guardando suo padre sul letto, con diversi fili che passavano da una parte all'altra e terminavano chissà dove, la testa fasciata come la mano. Rachel prese quest'ultima tra le sue, piccole in confronto, e si morse il labbro sbattendo le palpebre. Chiuse gli occhi per scacciare le lacrime, poi li riaprì. Gli carezzò il volto e parlò con lui, del più e del meno, dei bambini e di Sebastian. Sapeva che il giorno dopo l'avrebbe trovato sveglio, alla mattina, e magari pronto ad ascoltarla, ma non poteva farne a meno.


Era seduta fuori dal corridoio, a terra, con le gambe strette al petto e il volto poggiato su queste. Inspirava ed espirava lentamente, perché sentiva che l'ansia la stava assalendo. Avendo sempre visto il padre come un'eroe, come una persona che non si stancava mai e lavorava sempre duramente per la sua famiglia, le aveva spezzato il cuore vederlo disteso sul quel lettino. Così cercava semplicemente di togliersi quell'immagine dalla mente, o cercava di non tremare dal freddo pungente che le faceva venire i brividi sulle braccia nude, o le gambe.

Singhiozzò silenziosa, un paio di volte, stringendo forte le mani alle ginocchia, con le unghie quasi a conficcarlesi nella pelle. Poi sentì un calore pervaderla completamente alle spalle, e la schiena. Quando alzò lo sguardo confusa vide Sebastian in piedi davanti a lei, le aveva appena poggiato sulle spalle la felpa da lacrosse.

«S-Sebastian» mormorò. Pensava se ne fosse andato ormai.

«Ehi» fece lui, prendendo posto accanto a lei, circondandole le spalle con un braccio, sfregando la mano per provocarle un po' di calore. «Ti ho vista tremante e ho pensato ti avrebbe fatto piacere anche solo una felpa» le sorrise. Inaspettatamente anche quel sorriso la riscaldò. «E poi non mi hai salutato».

Rachel avvampò all'istante, stringendosi nella felpa, appoggiandosi un po' a lui. Non sapeva cosa gli prendeva, perché lo faceva, ma ne aveva bisogno e Sebastian era lì per lei. C'era lui, e pensò di non voler nessun altro.

«Scusami... dev'essermi passato di mente» farfugliò boccheggiando, un po' incerta se si fosse offeso o meno.

«No, tranquilla. Hai i tuoi problemi».

Rachel annuì, dandogli ragione. Appoggiò poi la testa sulla sua spalla, chiudendo un momento gli occhi. Perché Sebastian era caldo e lei sentiva freddo. Sebastian era un raggio di luce in quel buio che provava. Un calmante per l'ansia che le attanagliava il cuore. Si rese conto solo dopo di non avergli raccontato nulla, che lui non sapeva di suo padre, non sapeva che stava male -l'aveva potuto solo immaginare-. Eppure era lì lo stesso, a farle compagnia e a confortarla, senza che ne sapesse il motivo. E Rachel si sentì ancora meglio. Si scostò di poco, così da infilarsi la felpa e affondare di nuovo su di lui, che l'accolse stringendola.

«Grazie, 'Bas» sussurrò sulla sua spalla, con le palpebre pesanti e la mente svuotata da ogni pensiero.

«Non c'è di che, Rae» le disse lui, prima di sprofondare con lei in un sonno profondo, che fece scivolare via la stanchezza della giornata.

 

mael

*l'uomo morto, da me, sta anche ad indicare l'appendiabiti... per me l'appendiabiti non esiste, esiste l'uomo morto! Mi scuso se vi pare brutto, ma appendiabiti suonava troppo male per me! çç

Ora starete pensando: una smytheberry? Anche se è una friendship ve lo state chiedendo, e non immaginate quanto mi piacerebbe scrivere proprio una smytheberry -con tanto di baci(?)-, ma oggi è uscita così. L'idea di Sebastian con i bambini, che porta Rachel con sé, è in parte presa da una fanfiction, sempre smytheberry, su fanfiction.net , intitolata "Glad you came". In teoria volevo tradurla e postarla qua, ma purtroppo non è finita e parlando con l'autrice mi ha detto che non sapeva se l'avrebbe terminata o meno. Così ho preferito tirar fuori questa os, invece che tradurla incompleta. E' solo ispirata a quella fic, comunque, il resto è scritto da me! Hope you enjoyed, l'ho scritta in due giorni e a mio parere mi piace troppo. g.g

Grazie a Mary per averla betata, ciao cucciola di panda, tbb.

 Grazie a voi per aver letto, alla prossima.

cccià. ♥  

 

  
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