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Autore: Desmond    01/10/2013    1 recensioni
Un uccisore di draghi viene sconfitto per la prima volta, la sua vita cambierà, e vivrà una nuova avventura - anzi, due. Una, però, la vivrà solo con la mente, mentre l'altra sarà reale. Al lettore decidere quale delle due è vera.
Genere: Avventura, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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Io sono Tyaasil, l'uccisore di draghi, lo spietato guerriero assetato di sangue. Io sono il terrore degli eserciti. Non provo alcun sentimento, l'unico desiderio che possiedo è la distruzione dei nemici. Qui narro di una storia, un intrigo, un vortice di sogno e realtà, di verità e fantasia. A voi, lettori, il compito di distinguere la sottile linea che divide il vero dal desiderio.
 
La luna era già calante, i primi chiarori dell'alba si profilavano all'orizzonte. Un sottile manto di nebbia mi avvolgeva, il gelido vento d'alta quota pungeva la mia pelle. Eppure stavo seduto, immobile, avvolto dal mio nero mantello. La mia preda era vicina, ne sentivo l'odore.
Quando i primi timidi raggi del sole mi raggiunsero in volto, decisi che era l'ora di riprendere la mia ricerca. Osservai attentamente intorno a me, ma l'erba coperta dalla rugiada mattutina non lasciava trasparire alcuna traccia. Chiusi gli occhi, per dedicarmi alla localizzazione. Uno scricchiolio leggero turbò la mia concentrazione, i miei sensi si fecero subito vigili. In un attimo gli fui sopra. No, non era la mia preda e lo sapevo. Un indifeso cerbiatto. Gli spezzai l'osso del collo, dilaniai la sua carne per farne un dignitoso pasto. La giovane età rendeva tenere le sue carni, sebbene fossero crude.  
Mi guardai intorno, alla ricerca di un indizio, ma non ne trovavo. Camminai per ore senza scorgere quel che cercavo. Il paesaggio scorreva noioso intorno a me: un albero, poi un altro e un altro ancora. Il sole splendeva alto nel cielo, quando sentii lo scrosciare delle acque di un ruscello. Ne seguii per un po' il corso, notando che il suo letto si allargava pian piano. In lontananza si vedeva un piccolo laghetto ovale, circondato per gran parte da alti monti, e pensai di andare a sciacquarmi la faccia in quelle acque. Procedetti noncurante verso quel luogo, calpestando gli odiosi fiori per terra, e giunsi là in pochi minuti. Sedetti sulla riva a gambe incrociate e, dopo aver sciolto il laccio che legava i miei capelli in una lunga coda, immersi la testa nell'acqua gelida.
Quando rialzai la testa, notai qualcosa su cui il mio occhio non era caduto prima. In una delle montagne che circondavano quel lago c'era un piccolo anfratto. Mi ci avvicinai e l'odore che ne uscì mi disegnò un sorriso malizioso sul volto. Ero alla mia meta, avevo raggiunto la tana della mia preda. Entrai in quell'antro e senza particolare stupore notai che il mio ingresso di fortuna era solo uno sfiatatoio. Un'immensa caverna mi si aprì davanti agli occhi. Ce l'avevo fatta. E lui era lì, come dormiente. La sua pelle coriacea risplendeva di un verde cupo, tendente al marrone, nei punti in cui era illuminata dal sole. La sua coda era lunga più di cinque braccia, le ali ricoprivano il suo enorme corpo. Era tutta la vita che sognavo di scontrarmi con un drago di quelle dimensioni. Mi lasciai scappare una risata dai toni superbi, ma lui parve non sentirla.
Improvvisamente, aprì gli occhi. Due iridi d'un rosso fiammante mi fissarono, senza che io mi turbassi. Mi guardò intensamente, poi ruggì, e il rombo risuonò cupo nell'antro. Si mise in posizione d'attacco, io avevo già sguainato la spada. Si avventò verso di me, ma lo scansai agilmente. E passai al contrattacco. Con un balzo gli fui in groppa e lo colpii sul collo. Lui mi scrollò via irritato, il colpo non era stato così efficace come mi aspettavo. Saltando da una parete all'altra, riuscii a ferirlo più volte, ma la sua pellaccia era la più resistente che la mia lama avesse mai incontrato. Non mi persi d'animo e, vedendolo affaticato, continuai a rimbalzare da una parte all'altra mandandolo in confusione. Mi lanciai sotto di lui, la mia spada lo trafisse sotto al mento. L'urlo di dolore giunse come musica alle mie orecchie. Vedere quell'orrido sangue giallastro sulla lama mi diede una sensazione di gioia mai provata. Il senso di superiorità donatomi da quel fendente m'inebriò. E così decisi che era il momento opportuno per spostare lo scontro in campo aperto. Per guadagnare qualche secondo su quella bestia, uscii dallo stretto cunicolo da cui ero entrato. Quando fui fuori, il sole splendeva ancora alto nel cielo, la sua luce mi accecò. Sentii un grosso tonfo: il drago aveva sfondato lo sfiatatoio. Un suo ruggito feroce mi fece capire che era pronto alla battaglia. Tesi le orecchie per provare ad avvertire i suoi movimenti, dato che i miei occhi ancora non s'erano abituati alla forte luce. Silenzio. Tutto era fermo, credevo. Invece quel bastardo era lì, col fiato sul mio collo.
La preda è diventata predatrice.
Sentii il fetore delle sue esalazioni e tentai di scansarmi, invano. Mi colpì col suo grugno e mi scaraventò in aria. Per mia fortuna, caddi nel laghetto. Tirata fuori la testa, ricominciai a vedere in modo molto vago quel che mi stava intorno.
Avevo sbagliato tutto, ma dovevo provarci.
Mi stropicciai gli occhi e davanti a me si delineò quell'orribile bestia. Era ancora più grande di quanto sembrasse nella sua tana. Il buio della claustrofobica spelonca in cui riposava non rendeva giustizia all'enormità di quella ripugnante fiera.
Uscii dall’acqua e mi avventai, accecato dalla rabbia, sul mio nemico, brandendo saldamente la mia lama con entrambe le mani. I miei fendenti erano inefficaci, troppo spesso il filo della mia spada tagliava l’aria. Il drago sembrava quasi divertito nel vedere i miei esasperati tentativi di ferirlo. Si limitava a schivare la mia lama con inaspettata agilità. Era come se l’aria fresca lo rendesse invincibile. Provai nuovamente a saltargli in groppa, ma mi sbatté violentemente a terra, frustandomi con la possente coda. Tra l’erbetta, un ciottolo nero catturò la mia attenzione: avevo un piano. Rimasi steso inerte, aspettandolo. E la bestia non tardò ad arrivare. Quando vidi la sua lunga ombra pendere su di me, passai all’azione. Scagliai il sasso dritto in un suo occhio. Scattai agilmente in piedi e, impugnata la spada, lo colpii più volte sul collo e sul petto. Lo feci arretrare di qualche metro, poi si ristabilì, e lo scontro riprese più feroce di prima. Il diversivo del ciottolo parve darmi un vantaggio, ora ero io ad avere la meglio, se pur di poco. In un attimo, mi disarmò con una violenta zampata, fece un balzo all’indietro e scattò velocemente verso di me. Mi colpì in pieno petto, sentii l’aria mancarmi. Volai dritto verso una parete rocciosa. La urtai violentemente e avvertii una forte botta alla nuca. Poi solo buio.
 
Qui finisce quel che mi ricordo per certo. Purtroppo a molti è noto questo smacco. Mi sento tuttora ferito nell’orgoglio. Or racconto del disìo e la vergogna che mai non seppi narrar prima. 
  
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