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Autore: holls    01/10/2013    13 recensioni
Un investigatore privato, solo e tormentato; il suo ex fidanzato, in coppia professionale con un tipo un po' sboccato per un lavoro lontano dalla luce del sole; il barista del Naughty Blu, custode dei drammi sentimentali dei suoi clienti; una ragazza, pianista quasi per forza, fotografa per passione; e un poliziotto un po' troppo galante, ma con una bella parlantina.
Personaggi che si incontrano, si dividono, si scontrano, si rincorrono, sullo sfondo di una caotica New York.
Ma proprio quando l'equilibrio sembra raggiunto, dopo incomprensioni, rimorsi, gelosie, silenzi colpevoli e segreti inconfessati, una serie di omicidi sopraggiungerà a sconvolgere la città: nulla di anormale, se non fosse che i delitti sembrano essere legati in qualche modo alle storie dei protagonisti.
Chi sta tentando di mettere a soqquadro le loro vite? Ma soprattutto, perché?
[Attenzione: le recensioni contengono spoiler!]
Genere: Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con, Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Nathalan'
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9. Incomprensioni
 
 
8 gennaio 2005.
 
« Madison! »
In mezzo a tutta quella caciara universitaria, udì una voce conosciuta che la chiamava. Si voltò, e vide una ragazza occhialuta venire verso di lei.
« Ciao, Loretta. »
Non aspettò nemmeno che la raggiungesse, e ricominciò a camminare verso l’uscita del plesso universitario. Sentiva, tuttavia, i passi di Loretta dietro i suoi.
« Allora, hai passato un buon capodanno? »
« Magnifico, grazie. »
« Tu non puoi immaginare quanti ragazzi ci hanno provato con me. Non mi davano pace! E tu? Sei stata in compagnia dei tuoi orsacchiotti? »
Madison sbuffò alzando gli occhi al cielo e accelerò il passo. Sentì Loretta seguirla ancora.
« Oh, scusa! Mica ti sarai offesa? Era solo una battuta! »
Madison si fermò. Tentò di sfoderare il suo sorriso migliore e si voltò verso di lei.
« Se non ti dispiace, ho da fare. Ciao. »
« Aspetta, cerchi Jack? L’ho visto appostato vicino all’aula del professor Brucknam. Magari starà fissando qualche bel ragazzo. »
Madison aggrottò la fronte. Loretta continuò.
« Be’, sai, gira voce che sia gay. Quindi, come dire, non credo che ti filerà. Mi raccomando, adesso non correre in camera a piangere! »
Sentì la vena sulla tempia pulsare un po’ troppo.
« Tanto per cominciare è bisessuale, se proprio ti interessa saperlo. E, secondo, non sono interessata a lui. Buona giornata. »
Si allontanò a passi decisi da Loretta. Ebbe l’impressione che le stesse ridendo dietro, ma lasciò correre. Mentre le pulsazioni della sua vena tornavano a un ritmo regolare, decise di provare a vedere se Jack fosse effettivamente davanti all’aula adibita al corso di Statistica. Salì al piano superiore, e si meravigliò: Jack era proprio dove le aveva detto Loretta, seduto su una panca davanti all’aula del professor Brucknam. Aveva effettivamente uno sguardo assorto; sembrava che fosse intento a fissare qualcuno. Madison camminò verso Jack, seguendo la direzione del suo sguardo per capire chi fosse l’oggetto del suo interesse. Si ritrovò a fissare la sagoma spettinata di un ragazzo della loro età, minuto e dal carnato chiaro.
Senza che Jack se ne accorgesse, Madison prese posto accanto a lui; gli batté un dito sulla spalla, e lui quasi sussultò.
« Madison! Che ci fai qui? »
« Che ci fai tu qui. Prepari un attentato al professor Brucknam? »
« No, io… »
Lo sguardo di Jack oscillava tra Madison e il ragazzo. Sbuffò spazientita.
« Stai guardando quel tipo là, vero? E girati! »
« Sssh! Non urlare almeno. »
« Non stavo urlando. Chi è? Uno che ti piace? »
« Non dire scemenze. Lo sai chi è quello? » Jack fece un cenno col mento. « È Nathan. L’ex di Alan. »
Madison rimase a bocca aperta.
« Non ci posso credere! Quel Nathan? Vi siete conosciuti allora? »
Jack scosse il capo.
« Per fortuna no. Un paio di settimane fa ha tentato di riprendersi Alan con una scena patetica, e ho sbirciato tutto dagli specchietti dell’auto. »
« Quindi tu hai visto lui, ma lui non hai visto te. Ecco perché te ne stai qui in bella vista. »
« Certo, sarei scemo sennò. »
« Ma che ci fa qui? »
« Non ne ho idea, ma sospetto che abbia a che fare con le altre materie che insegna Brucknam. Sai, in altre facoltà fa corsi base di matematica. Può darsi che sia per questo. »
Madison mugolò in segno di assenso.
« Ma sei proprio certo che sia lui? Perché non vai a parlargli? Come si dice, per combattere il tuo nemico, devi conoscerlo! »
Jack annuì debolmente, e tornò a fissare Nathan, che era ancora fuori dalla porta, in attesa che Brucknam si liberasse.
« Ah! Non sai chi ho visto prima. Quella smorfiosa di Loretta! Non sai quanto la odio. »
« Ma tu ignorala, no? »
« Sì, certo, ma rimane comunque odiosa. Ha cominciato a parlarmi delle sue conquiste e ha pure pensato che io fossi interessata a te. »
Jack ridacchiò.
« Tu interessata a me? Che cavolata. E poi, mi farebbe strano pensarti con un uomo accanto. Senza contare che ne sarei geloso. A proposito, mica ti ha importunato ancora quel tipo? Aspetta, com’è che si chiama… »
Jack si strofinò una mano sul mento.
« Ashton? »
« Sì, ecco. Mica ti ha chiamato davvero, poi? Sai, Alan mi ha detto che voleva il tuo numero, ma gliel’ho dato solo perché non volevo dirgli di no. »
Madison arrossì. Sentì il cuore cominciare a battere a ritmi irregolari.
«  Figurati, non mi ha chiamato poi. »
« Ah, meno male. Per un momento ho pensato che avresti ceduto. »
Jack si girò nuovamente verso Nathan, mentre Madison tornava a idratare le sue labbra totalmente secche.
« Vabbè, torniamo a te. Allora, vai a parlargli, sì o no? Voglio sapere se è davvero lui. »
« E va bene, ci vado. In fondo non rischio nulla. »
Jack si alzò dalla panca, e si avvicinò a Nathan. Diede una sbirciata dentro l’aula: Brucknam stava finendo di parlare con uno studente.
« Ciao. Anche tu per l’esame di Statistica? »
Nathan si voltò. Per qualche attimo, il sangue nelle vene di Jack si fermò. Aspettò una qualche reazione da parte di Nathan, ma il suo viso non si contrasse in alcuna smorfia, né di rabbia né altro. La circolazione di Jack tornò normale: non lo aveva riconosciuto.
« No, sono qui per un esame di Matematica per la Facoltà di Architettura. »
« Ah, Architettura? Dev’essere bella tosta. »
« Lo è. Stare dietro a tutti gli esami è un casino. »
« Immagino, soprattutto se uno lavora, anche. Io, per esempio, lavoricchio in un bar di Brooklyn, il Naughty Blu. » Come udì quel nome, Nathan assunse un’espressione pensierosa. Jack ne fu incuriosito.
« Lo conosci? »
« Mi dice qualcosa, sì. Anche se al momento non ce l’ho molto presente. »
« Forse ci sei venuto con amici. O per lavoro, sempre se lavori. »
« Sì, lavoro. Faccio il turno serale a un bar di periferia, parecchio lontano da qui. »
« Ah, ma dai. E così, per curiosità, come si chiama questo locale? »
Nathan si voltò improvvisamente verso l’aula: Brucknam aveva finito.
« Scusa, devo parlare col prof. È una vita che aspetto. Allora, a presto… Com’è che ti chiami? »
« Jack. »
« A presto, Jack. Comunque io sono Nathan. Ciao! »
Nathan lo salutò ondeggiando la mano, ed entrò nell’aula. Non passarono nemmeno dieci secondi che sentì Madison aggrapparsi alle sue spalle.
« Allora? È lui? »
« Sì, a quanto pare. Peccato solo che non abbia fatto in tempo a dirmi il presunto locale dove lavora, almeno ci avrei portato Alan. Sai, si rifiuta di dirmelo, vuole dimenticare questa faccenda. »
« Già, è un peccato. Vabbè, Jack, è tardissimo e come al solito devo scappare. Ci vediamo! »
Jack la salutò, e la vide risucchiata dalle scale.
Spinto dalla curiosità, diede una sbirciata dentro l’aula. Non c’era nessuno, tranne Brucknam e Nathan. I due si fissavano in modo strano, parlavano poco e a voce molto bassa; Jack non fu capace di sentire alcunché, ma quell’atteggiamento lo insospettiva. Non gli sembrò affatto un normale colloquio tra professore e studente.
Vide Brucknam chiudere la borsa e metterla a tracolla: stavano uscendo. Senza alcun motivo apparente, Jack corse a nascondersi. Si posizionò dietro a un muro alla destra dell’aula, dove, in un’insenatura, vi erano i bagni. Aspettò che almeno uno dei due passasse, ma fu colto da una grande sorpresa quando li vide andar via insieme. Brucknam si guardava continuamente intorno e parlottava a bassa voce con Nathan, che restava impassibile a qualunque cosa dicesse il professore, probabilmente per non tradire alcuna emozione. Li vide scendere dalle scale, e ne approfittò per uscire dal suo nascondiglio.
Si sentiva sciocco a pensare che ci fosse qualcosa di strano tra quei due, ma allo stesso tempo era curioso di sapere dove se ne stessero andando.
Trasse un respiro profondo, e decise.
Camminò verso il ciglio delle scale e sporse la testa per vedere dove fossero i due: avevano sceso l’ultimo scalino. Senza fare troppo rumore, scese a passi svelti le scale, facendo attenzione a mantenere una certa distanza. I due uscirono e, dopo poco, lo fece anche lui. Continuò a seguirli, finché non si morse il labbro di fronte alla scena che aveva davanti. Nathan e Brucknam si erano fermati davanti alla macchina del professore, una bellissima auto di lusso che qualcuno gli aveva detto essere una Reventón. Batté un piede a terra: se fossero andati via in auto, non avrebbe avuto alcuna possibilità di scoprire dove stavano andando.
Il professore aprì la sua portiera ed entrò dentro, ma Nathan, invece, se ne stava lì, immobile; non sembrava intenzionato a salire. Poco dopo, Brucknam uscì dall’auto, tenendo in mano qualcosa. Premette il pulsante per chiudere l’auto, e fece cenno a Nathan di seguirlo. Continuava a guardarsi intorno, mentre all’altro sembrava non importare che qualcuno potesse vederli.
Jack tirò un sospiro di sollievo: ovunque fossero diretti, era un luogo raggiungibile a piedi.
Li vide fermarsi al semaforo piuttosto affollato, e Jack si confuse tra la folla, cercando di mantenerli entrambi sempre visibili. Il semaforo pedonale diventò verde, e la massa di gente lì con lui prese a spostarsi.
Un motorino sbucò all’improvviso dalla curva; Jack fu costretto a indietreggiare per non finire investito.
Udì qualche pedone mandare il motorino al diavolo senza troppi complimenti, mentre lui tirò un sospiro secco. Guardò avanti a sé, e fu colto dal panico: li aveva persi! Attraversò a corsa la strada, giungendo sull’altro marciapiede, e mosse il capo a destra e a sinistra.
Riconobbe la capigliatura brizzolata di Brucknam in mezzo a tutte quelle teste. Si fece largo tra la folla, e seguì i movimenti dei due; li vide entrare in una caffetteria all’angolo della strada.
La caffetteria era dotata di ampie finestre e di una porta vetrata, che facilitò a Jack il suo compito. Li guardò scegliere un posto per due, in un angolo del locale, dove i divanetti con un alto schienale assicuravano una basilare privacy.
Entrò e prese posto nel divanetto dietro il loro, assicurandosi che non lo vedessero. Cercò di sedersi quanto più poteva all’estremità del divanetto, in modo tale da poter carpire qualche straccio di dialogo. Drizzò le orecchie non appena li sentì parlare, ma non riusciva a distinguere niente in tutto quel brusio.
Provò a spostarsi ancora un po’ verso l’estremità, ma più di tanto non poteva permetterselo: era ormai arrivato in fondo. Se si fosse spostato un altro po’, sarebbe probabilmente caduto.
Ma proprio nel momento in cui stava per darsi per vinto, captò qualcosa. Avvicinò l’orecchio all’estremità del divanetto e si concentrò nel tentativo di ricollegare parole sconnesse. Gli era sembrato di udire chiaramente qualcosa come “accordo”, “pagamento” e “assegno”, ma non aveva la benché minima certezza che fosse giusto; gli sembrò strano che Nathan e il professore potessero stipulare un qualsiasi tipo di contratto economico.
 
Aspettò che i due andassero via, per vedere almeno se avevano qualche comportamento sospetto l’uno con l’altro, ma fu un buco nell’acqua: i due si avviarono verso la cassa, dopodiché si salutarono in modo molto formale, prima di tirare la porta e uscire.
A quanto pareva, non c’era stato nessun comportamento sospetto. E non era nemmeno sicuro che i due avessero parlato di accordi e assegni. Eppure Jack non era convinto. Forse, pensò, era mera suggestione, e ormai qualunque cosa che riguardasse Nathan gli appariva fosca e torbida. Però, quella sensazione non lo abbandonava. Gli sembrava troppo strano che un tipo come Brucknam fosse così ben disposto nei confronti di uno studente, tanto da offrirgli anche da bere – lo aveva notato.
Sentì il cellulare squillare; era Alan. Aveva paura che, dopo la loro notte insieme, le cose sarebbero naufragate, ma il nome di Alan sullo schermo contribuì a rassicurarlo – a meno che non volesse dirgli che era stato tutto un errore e che dovevano chiuderla lì. Dopotutto, era stato piuttosto avventato fare l’amore così, con Nathan ancora nei paraggi, seppur in modo astratto.
 Rispose tappandosi l’orecchio libero, nella speranza di capire cosa gli fosse detto dall’altro lato del telefono.
« Ehi, Jack. Tutto bene? Ma dove sei? C’è un casino… »
« Ciao. Sì, scusa, sono in un bar a prendere un caffè. »
« Ho capito. Senti, volevo dirti che, se ti va, puoi passare stasera. »
Sul volto di Jack si aprì un sorriso emozionato.
« Davvero? Vengo più che volentieri! »
« Perfetto, allora. A dopo. »
Si salutarono, e Jack riattaccò. Si sentì sollevato: non solo Alan non aveva alcuna intenzione di rompere, ma lo aveva addirittura invitato a casa sua, per rivederlo. Sul volto di Jack si stampò un sorriso inebetito: poteva forse dire che stavano insieme?
 
***
 
Stazione di Polizia di Manhattan, Divisione Penale
 
L’odore stantio di carta ammuffita era quanto di più terribile potesse esserci, unita a dita di polvere che gli provocò non pochi starnuti. Fallito il tentativo di raccogliere informazioni tramite Nathan, Alan aveva deciso di cercare in archivio i dossier riguardanti Sánchez.
Dopo aver adeguatamente ripulito gli schedari, cominciò a cercare qualcosa che potesse fare al caso suo.
Rovistò tra i casi risalenti al 2002, e non gli ci volle troppo tempo per trovare il fascicolo incriminato.
 
Il fatto lì riportato risaliva per l’esattezza al 17 luglio 2002. L’aggressore era sempre lui, Victor Sánchez, nato a Città del Messico nel 1961. Venivano citati altri casi in cui era stato fermato per possesso di droga, ma quei dettagli, per il momento, non gli interessavano.
Le informazioni sulla vittima non poterono che stupire Alan.
Il malcapitato ragazzo era infatti, come riportava l’inchiesta, solito a prostituirsi per strada per racimolare qualche soldo. Veniva descritto come Sánchez si fosse finto un cliente, per poi abusare sessualmente di lui una volta intrappolato nella sua auto. Il ragazzino, Henry White, aveva subito altre aggressione da parte di Sánchez, nel corso dei successivi sei mesi, finché non si era deciso a denunciarlo. Ma, a quanto leggeva, Sánchez era stato scagionato per assenza di prove. E così era tornato a piede libero.
Il fascicolo non diceva altro.
Lo ripose, cercandone di nuovi.
Nonostante Ashton gli avesse detto che l’ultima aggressione era di almeno due anni prima, ne trovò un’altra dell’anno precedente.
 
La vittima era sempre un giovane ragazzo, cameriere in un bar del Bronx, aggredito la sera del 27 ottobre 2003. Il ragazzo, così come l’altro, non aveva alcun precedente e nessun rapporto con Sánchez, il che gli fece pensare che scegliesse le sue vittime per puro gusto personale. Sánchez aveva aspettato che Zacharia Wilson, la vittima, finisse il suo turno al bar, per poi trascinarlo in un luogo più appartato. Il ragazzo ebbe però il coraggio di denunciarlo immediatamente, dando la possibilità ai medici di accertare senza indugio che c’era stato un rapporto non consenziente. Stando al fascicolo, Sánchez era stato condannato con una pena irrisoria, sei mesi di carcere. Poco dopo, Wilson aveva abbandonato la città.
 
Terminata la lettura, rimise il fascicolo da dove l’aveva preso.
Due ragazzi, entrambi giovani. Uno con un lavoro discutibile, l’altro un semplice cameriere. Apparentemente, sembravano non avere alcun legame con Sánchez. Si domandò perché il maniaco avesse scelto proprio Nathan, e perché li avesse sorpresi proprio nella loro casa. Anche leggendo i fascicoli, non riusciva a trovare il bandolo di quella matassa intricata.
Aveva bisogno di saperne di più. Molto probabilmente esistevano altri dossier che riguardavano Sánchez; li avrebbe consultati in un secondo momento.
Senza sapere bene il perché, immaginò Nathan protagonista di quei due dossier. Se lo figurò rinchiuso in macchina del maniaco, mentre questi si azzardava anche solo a sfiorarlo, oppure aggredito all’improvviso mentre usciva dal lavoro. Non riuscì nemmeno a terminare l’immagine, che un brivido gli corse lungo tutta la schiena.
 
Una volta riemerso dall’archivio, decise di contattare per telefono le due vittime. Provò prima con Zacharia Wilson, pur immaginando che il numero di telefono che aveva comunicato non fosse più il suo. Al suo posto, infatti, rispose un’anziana signora dalla voce gracchiante, che non aveva la minima idea di chi fosse quel ragazzo. La signora non seppe dargli alcuna informazione sui precedenti proprietari dell’appartamento, né conosceva il numero telefonico della loro nuova abitazione. Alan ringraziò la signora e riattaccò. Su un post-it accanto al telefono, si appuntò di fare delle ricerche su Zacharia Wilson; era sicuro che il suo nuovo numero si nascondesse in qualche altro archivio.
Dopo fu la volta di Henry White. Alan fu sollevato quando riuscì ad accertarsi che colui che aveva risposto al telefono era proprio lui. Gli raccontò in breve il motivo della telefonata, e si accorse che il ragazzo sembrava piuttosto turbato dall’idea di essere stato contattato per quella ragione. Henry gli raccontò di aver smesso di prostituirsi il giorno stesso della denuncia, e che, per fortuna, Sánchez non era riuscito a rintracciarlo in alcun modo, scomparendo di fatto dalla sua vita. Alan capì che il ragazzo non sapeva quasi nulla del maniaco. Così come aveva fatto con Nathan, lo aveva aggredito senza un motivo.
« Probabilmente è attratto da quelli che fanno un certo lavoro », aveva detto White. Alan fu insospettito da quell’affermazione, e chiese spiegazioni. White ammise di essersi interessato molto alla vicenda che riguardava l’altro ragazzo aggredito, soprattutto per il fatto che alcuni giornali scandalistici sospettavano che Wilson conducesse una doppia vita legata alla prostituzione; ma White non aveva mai avuto modo di approfondire la questione, e non sapeva dire se quelle voci fossero veritiere o meno.
Alan ringraziò il ragazzo, e riattaccò. Quindi, provò a cercare nuovi punti in comune tra le due vicende, e la questione della prostituzione lo stuzzicò. Dai dati che aveva raccolto fino a quel momento, sembrava che Sánchez avesse una predilezione per i giovani prostituti.
Poi, però, pensò a Nathan.
E si domandò cosa potesse avere a che fare lui con certe cose.
 
 
***
 
« Ah, eccoti finalmente. »
Jack gli sorrise e lo salutò con un bacio. Alan si irrigidì, ma Jack non diede peso alla cosa. Lo superò, e depositò poi il suo cappotto all’attaccapanni. Si diresse verso la camera e sentì i passi di Alan nella stessa direzione. Si sfilò le scarpe e si sedette sul letto, la testa appoggiata al muro.
« Allora, come stanno andando le indagini? Hai scoperto qualcosa? »
« Sì, sono emersi fatti interessanti, ma purtroppo non posso dirti niente. »
« Ma come? » Jack si sporse verso Alan. « Di me puoi fidarti. Dai, racconta. »
Alan ridacchiò, mordendosi leggermente un labbro.
« Jack, davvero, non posso raccontarti nulla delle indagini. Non è che non mi fido di te, ma devo mantenere una certa riservatezza. »
Jack mise su un broncio scherzoso.
« Come vuoi. »
Alan si sedette sul letto, regalando all’altro una carezza.
« Ah, a proposito. Dovrò aggiornare Ashton. »
« Ashton? Perché con lui ne parli e con me no? Non c’era il segreto professionale? »
Alan rise, divertito soprattutto dall’espressione offesa di Jack.
« Jack, Ash è il mio partner. È mio dovere, quindi, informarlo di ogni nuova scoperta. »
Pronunciò l’ultima frase con un tono canzonatorio, come se stesse raccontando a Jack un’ovvietà.
« Sempre questo Ashton di mezzo, eh. »
« Sarai mica geloso? »
Jack non disse nulla, e assunse un’espressione pensierosa.
« Mi sembrate buoni amici. »
« Sì, siamo molto legati. Ci conosciamo da diversi anni, ormai. »
« E siete sempre stati solo amici? »
Alan sorrise, e spinse due dita sulla fronte dell’altro.
« Jack, Jack. Non solo lui è etero, ma nello stesso periodo in cui l’ho conosciuto, ho conosciuto anche Nathan. » Jack sbuffò e puntò il suo sguardo fuori dalla finestra, e Alan capì di aver detto qualche parola di troppo. « Ehi, scusa. Non volevo. »
Jack non rispose, continuando a guardare verso la finestra, torturando l’attaccatura dell’orecchio nel frattempo. Alan gli prese una mano.
« Dai. Parliamo d’altro. »
Jack tornò a guardarlo.
« No. Sono curioso. Raccontami. »
« Vuoi sapere come ho conosciuto Nathan? »
Jack annuì.
« Almeno, forse, la smetterò di farmi strane idee su di lui. »
« Va bene, se proprio ci tieni. Però poi mi devi dire quali sono le ‘strane idee’ che ti sei fatto. »
Alan si voltò verso Jack, e notò che teneva la testa inclinata verso il basso, ma con gli occhi puntati verso di lui, come qualcuno impaurito da quello che sta per accadere. Alan cominciò il suo racconto.
« Come ti ho detto, ho conosciuto sia Ash che Nathan nello stesso periodo. Ashton era lì con noi da molto poco, e non gli erano ancora state assegnate missioni importanti; questo fino a che non fummo informati di una probabile rapina ai danni di un ufficio postale. Edmond, il nostro capo, ci incaricò di fare da spalla a un altro gruppo di agenti, e così ci ritrovammo in mezzo a un’azione rocambolesca. In mezzo a tutto quel trambusto, riuscimmo a identificare alcuni testimoni, e uno di questi… »
Jack completò la frase al posto suo.
« … era Nathan, giusto? »
« Sì, esatto. Non feci molto caso a lui, per me era soltanto ‘il testimone’. Poi mi diedero il compito di interrogarlo per sapere cosa aveva visto, e fu così che approfondimmo la nostra conoscenza. »
Alan pensò che si sarebbe potuto perdere per ore sui dettagli dell’interrogatorio, delle occhiatine che Nathan gli lanciava – e che lui gli lanciava di rimando - , ma preferì omettere quella parte. Si ricordava ancora di come Ashton lo avesse spinto a chiedere il numero di cellulare al ragazzo, mentre era fuori a fumarsi una sigaretta; e non poteva dimenticare la faccia di Nathan, che doveva aver pensato di essere braccato dalla polizia, per non parlare poi di come aveva risposto agitato quando gli aveva telefonato la prima volta.
Senza volere, un sorriso si formò sul suo volto.
« Dev’essere proprio un ricordo piacevole. »
Alan si coprì la bocca d’istinto.
« Scusa. Parliamo d’altro, davvero. Non voglio che tu stia male, anche se non ce n’è ragione. »
« Sarà. Ma per un motivo o per un altro questo Nathan è sempre tra i piedi. »
« Non posso darti torto. Ma è solo una questione di lavoro, credimi. E poi, chi è che sto per invitare a cena? »
Jack abbassò lo sguardo e sorrise.
« Davvero? »
« Ho intenzione di preparare una bella cenetta, sai? È tanto che non mi metto seriamente ai fornelli. C’è qualcosa che assolutamente non ti piace? »
« Mmh, direi il peperoncino. »
« Va bene, niente peperoncino allora. Vado, che sono quasi le otto. Accendi pure un po’ di TV, se vuoi. Fa’ come se fossi a casa tua. »
 
***
 
La tavola era piccola e semplice. Non c’erano né candele né altre decorazioni particolarmente romantiche, ma la luce soffusa dell’alogena e l’odore di incenso indiano che inebriava tutta la stanza conferivano alla cena un’atmosfera molto intima. Jack e Alan erano seduti l’uno di fronte all’altro, deliziati dal delicato aroma, mentre il riso fumava appannando i bicchieri.
« Allora, cos’hai preparato di buono? »
« È un risotto speciale. Assaggialo, non te ne pentirai. »
« Ah, non vedo l’ora. »
Jack sorrise e afferrò la forchetta. Diede una prima palettata al risotto e lo portò in bocca. Il sorriso dal suo volto svanì presto: cominciò a sventolarsi la bocca aperta, prima di trovare il suo bicchiere d’acqua e trangugiarne il contenuto alla velocità della luce.
« Oddio, Jack, scusa! L’avevo scordato…! »
Jack versò nel bicchiere ulteriore acqua, finché l’incendio nella sua bocca non fu spento.
« Ma dico, sei scemo? Ti ho anche detto che il peperoncino assolutamente no! »
« Jack, scusami. Non l’ho fatto apposta, davvero. »
« Ci credo. Chissà quante volte avrai preparato questo risotto speciale, magari a qualcuno a cui piaceva il piccante. »
« Per favore, non ricominciare con queste stupidaggini. »
« Non sono stupidaggini! Per un motivo o per un altro, c’è sempre Nathan nei nostri discorsi! »
« Jack, smettila… »
« Che poi, dico, fosse interessato a te! »
« Che cosa c’entra questo, adesso? »
« Vedo che ti interessa. »
« Non è che mi interessa, Jack. Sono solo curioso di sentire perché vuoi tirarlo in ballo dopo che hai accusato me di farlo. »
In un primo momento Jack non disse nulla, limitandosi a spostare il suo sguardo da un oggetto all’altro della casa; poi, dopo qualche secondo di titubanza, si bagnò le labbra e fece un respiro più profondo del solito.
« Sai, oggi era in facoltà da me. Se ne stava col suo nuovo fidanzatino a limonare. Poi sono spariti in bagno e chissà cos’è successo… »
Sul volto di Jack comparve un sorriso di sfida.
Alan lasciò cadere la forchetta sul bordo del piatto. La raccolse, portandosi in bocca un altro po’ di riso. Una volta deglutito, alzò gli occhi in direzione di Jack, che lo osservava come se stesse aspettando ancora una risposta, che arrivò dopo che Alan si fu pulito la bocca col tovagliolo.
« E anche se fosse? È libero di fare quello che vuole. »
« Sì, certo. Si vede da un chilometro che questa cosa ti innervosisce. »
Alan alzò gli occhi al cielo e sospirò.
« Jack, per favore. Non mi importa nulla di questa faccenda e non voglio sentir parlare di lui. »
Jack incrociò le mani sul petto e sorrise amaro.
« Vedo che ti ho punto sul vivo. Allora non mi sbagliavo. »
« Non mi hai punto sul vivo, e ti chiedo gentilmente di smetterla. »
« Ah no? E allora dimmi perché reagisci così, se davvero non ti interessa! »
« Perché questo atteggiamento mi irrita, ecco perché! Vedi Nathan dappertutto, sembri ossessionato da lui! Smettila di comportarti in modo puerile! Adesso sei tu quello che mi interessa, e gradirei che fossimo in due a pensarlo, non soltanto io! »
Alan non gli diede tempo di ribattere. Si alzò da tavola, senza nemmeno lanciare un’occhiata al ragazzo, e si avviò a grandi passi verso la cucina, lasciando Jack completamente imbambolato.
Il ragazzo rimase impietrito, e gli sembrò quasi che lo scorrere del tempo dipendesse dal battito del suo cuore, come se ogni pulsazione non facesse altro che dilatare i secondi. Jack prese a fissarsi i piedi, prima l’uno e poi l’altro, passando per il risvolto del pantaloni e continuando così in un ciclo che gli parve infinito.
Sentiva dalla cucina l’acqua che ogni tanto si apriva e si chiudeva, e Jack si augurò solo che non avesse buttato via le altre portate.
Indietreggiò silenzioso con la sedia, quel poco necessario ad uscire. Si avviò a piccoli passi verso la cucina, e si sporse appena.
Alan era lì, a lavare altre stoviglie dandogli la schiena.
Era certo che lo avesse sentito arrivare, eppure non si era nemmeno voltato. Avrebbe potuto e voluto dire un sacco di cose, ma ebbe come la sensazione che il suono delle sue parole sarebbe stato troppo, in quel silenzio rotto solo dallo scrosciare dell’acqua sulle stoviglie.
« Scusa. Non avevo il diritto di dire quelle cose. »
Alan si girò verso di lui e cominciò a fissarlo; teneva lo sguardo fermo su Jack, senza muovere un muscolo, sbattendo a malapena le palpebre. Non disse nulla e continuò a guardarlo, finché la pressione non costrinse Jack ad abbassare gli occhi.
Se avesse avuto una pala, si sarebbe scavato la sua tomba e vi avrebbe giaciuto per l’eternità, ma trovò le ultime forze per provare a scusarsi ancora.
« Alan, ti prego, perdonami. Ho esagerato. »
Uno dei piatti appena lavati fu sbattuto con tanta veemenza sullo sgocciolatoio che, per un attimo, Jack ebbe paura che si rompesse.
E, anche stavolta, Alan non disse niente. A parte il piatto malcapitato, continuava a sciacquare le stoviglie in modo meticoloso, asciugandone ogni centimetro.
Jack si sentì sprofondare: Alan non aveva aperto bocca, eppure aveva detto così tanto.
Tornò nell’ingresso con passo silenzioso, afferrò il cappotto e se lo infilò, dopodiché si affacciò nuovamente in cucina.
« Scusami, davvero! »
Non aspettò nemmeno una risposta di Alan, né volle assicurarsi che l’avesse sentito.
Si diresse a passo svelto verso la porta di casa e, agguantata la borsa, se ne andò.
 
***
 
Ore 22.30
 
« Ashton, finalmente hai risposto. »
Alan se ne stava seduto sguaiatamente sul divano del suo soggiorno, i piedi sul tavolo.
« C’è qualche problema? »
« Direi di sì. Riguarda Jack. »
« Sono tutto orecchie. »
« Credo che si sia infatuato di me. È iper-geloso, quasi soffocante. Non so se sto facendo la cosa giusta, frequentandolo. Mi sembra un ragazzino. »
Udì dall’altra parte un gemito pensieroso.
« La vera domanda è: tu sei innamorato di lui? »
« Non lo so, Ash. Non mi dispiaceva, ma questo suo lato non mi piace. Sarà per il fatto che ho qualche anno di più, che comunque ormai ho una certa indipendenza… Non so, non mi piace il modo in cui si rapporta con me. Tra un po’ si mette a sbirciare i messaggi sul telefonino. »
« Hai provato a parlargli di questo? »
« Per il momento non lo ritengo necessario. Prima voglio vedere ancora per un po’ dove si va a parare. »
« Stai attento, però, che quei tipi lì sono i più difficili da scrollarsi di dosso, poi. »
« Lo so. Certo che, rispetto a Nathan... C’era libertà, c’era fiducia. »
« Ah, ecco di cosa volevi parlarmi realmente. Quando si comincia a rimpiangere l’ex, non è mai un buon segno. E, per la questione di Nathan, sai già cosa ne penso. Ah, a proposito. Devo aggiornarti sulle indagini. »
Alan si rimise comodo sul divano.
« Sono tutto orecchie. »
« Oggi sono stato a casa di Sánchez. »
« Lui era in casa? »
« Oh, per fortuna no. Sai, dico ‘per fortuna’ perché così non avevamo nessuno tra i piedi, sai com’è. Comunque, c’erano cose interessanti là dentro. »
Alan trattenne il respiro, aspettando il seguito del racconto.
« Siamo arrivati nella sua camera e, ovviamente, ci siamo messi a perquisire tutti i cassetti. In uno abbiamo trovato un raccoglitore piuttosto interessante. Credo che Sánchez volesse tenerlo nascosto, ma era così pieno di roba che era impossibile non notarlo. »
Alan cominciò a far ballare un piede. Quanto avrebbe dovuto aspettare per sapere se aveva trovato qualcosa su Nathan?
« … Comunque, alla fine abbiamo aperto il raccoglitore. Era pieno – e dico pieno – di foto di ragazzini. Verificando in centrale, poi, ho scoperto che quei ragazzini altri non erano che i ragazzi vittime di Sánchez, più altri di cui non abbiamo informazioni. Ma, mentre ero lì, un particolare mi è balzato subito all’occhio: questi ragazzi erano stati ritratti tutti nella stessa posa. Di sera, in piedi su un marciapiede, lo sguardo verso la strada trafficata. »
Alan si sentì tremare. Non riusciva a vederlo da fuori, ma dentro sentiva come un terremoto che non aveva intenzione di smettere.
« Quindi sai, Alan, ho pensato che quella era la posa tipica di chi si prostituisce. Uno dei ragazzi faceva proprio questo lavoro, no? Vorrei fare più accertamenti su questa pista, anche se non tutti i fascicoli riportavano  questa informazione, quindi per ora è solo un’ipotesi. »
Alan fece un respiro profondo. Sentì un brivido percorrergli la schiena, ma non voleva tirarsi indietro.
« Senti, Ash, non voglio più girarci intorno. Tra quelle foto, per caso… »
Deglutì. Chiuse gli occhi aspettando la risposta. Sentì Ashton sospirare.
« Sì, c’erano anche foto di Nathan. Però le sue erano un po’ diverse. Normali, intendo, scattate in momenti della sua vita quotidiana. Solo una sembrava simile alle altre, ma lo ritrae in compagnia di un altro ragazzo mentre scherzano, o almeno così sembra. »
Alan finalmente rilasciò il fiato. E si accorse solo in quel momento che, pur essendo in pieno inverno, aveva le ascelle completamente bagnate e il corpo scosso da una vampata di calore.
« Anche io ho novità da comunicarti. »
« Oh, sentiamo, sentiamo. »
« Oggi ho contattato telefonicamente una delle vittime di Sánchez, Henry White. La cosa più interessante che mi ha comunicato è che, secondo voci non confermate,  uno dei ragazzi aggrediti, Zacharia Wilson, era in realtà un prostituto, anche se ufficialmente lavorava come cameriere. »
Ashton mugolò.
« Davvero interessante. Quindi questo significa che i dossier non contengono informazioni complete, o almeno c’è una buona probabilità che sia così. Perciò potrebbe essere che… »
Alan si accorse che Ashton aveva troncato la frase di proposito.
« Che cosa? »
« Niente, Alan, lascia fare. »
Normalmente avrebbe insisto per sapere il seguito di una frase lasciata in sospeso. Ma quella sera, con quell’argomento, sentiva di non averne voglia.
Seguì un momento di silenzio.
« Ash, posso farti una domanda? »
« Spara. »
« Ci sono stati dei momenti, per te, in cui la realtà era così raccapricciante che hai preferito tapparti gli occhi? »
« Sì, talvolta è successo anche a me. »
« Io l’ho provato solo due volte in tutta la mia vita. La seconda di questa è stata con Nathan. Ma quel buio che vedo chiudendo gli occhi mi rassicura, capisci? Nessun orrore può consumarsi là dentro. È buio, e basta. È statico. »
Seguì un attimo di silenzio. Alan si domandò se non avesse aggrovigliato i pensieri in modo troppo complicato.
« E la prima volta, quando è stato? »
Alan sospirò.
« Di questo preferirei non parlarne. Ma credo che il secondo buio dipenda dal primo. Ad ogni modo, quello che ho davanti adesso è il presente, ed è questo che devo vivere. Non posso rifugiarmi nel passato. »
« Scusa, non volevo essere indiscreto. »
Alan non disse niente e nemmeno Ashton, forse per paura di avere oltrepassato il confine della riservatezza. Fu Alan che, dopo una manciata di secondi, parlò.
« Questa indagine mi fa paura, Ash. Forse scoprirò cose che ho sempre finto di non vedere, o forse cose che non ho visto proprio. »
Sentì chiaramente qualche abbozzo di parola dall’altro capo del telefono, ma nessuna frase di senso compiuto. Alan provò a sdrammatizzare.
« Non ti saresti mai aspettato una simile affermazione da me, vero? »
« Se devo essere sincero, è proprio così. »
« Ho sempre saputo che Nathan mi nascondeva qualcosa, ma ho sempre pensato che fossero sciocchezze di poco conto. Ho paura che questa indagine possa, come dire… »
« Sganciare una bomba atomica? »
Alan sorrise.
« Non potevi trovare un’immagine più adatta. Sai, ho sempre l’impressione di fare qualche piccolo passo verso la risoluzione di questo mistero, ma poi scopro che non mi sono mosso di un millimetro. Sono arrivato alla conclusione che forse non voglio muovermi. »
Seguì un altro momento di silenzio e Alan capì che forse aveva spiazzato Ashton rivelandogli quel lato di se stesso.
« Comunque, da quello che mi hanno riferito, frequenta un altro. »
« E chi te l’avrebbe riferito? »
« Jack. »
« Ah, Jack. Decisamente super-partes, in questa faccenda. »
« Che intendi dire? Non credo sia quel tipo di persona. O meglio, non lo so, ma non me la sento di giudicare così presto. Lo sai, mi sbilancio poco. »
« Sì, scusa. È per Madison… »
« Già, come vanno le cose tra voi? »
« Come non vanno, vorrai dire. Comunque, scaricato. »
« Ma come, dici sul serio? Mi sembrava ci fosse intesa tra voi, al Naughty Blu. »
« Che ti devo dire, Alan? Ci ho provato, e mi ha rifiutato. Almeno ha evitato di scaricarmi con quelle solite frasi che si inventano le donne, sai: ‘Non sei tu quello sbagliato ma sono io’, ‘Tu sei troppo per me e non ti merito’ eccetera eccetera. Ma credo comunque che sia interessata a Jack. Tra un po’, il suo album di foto ha solo sue foto. »
« Ci sei rimasto male? »
« Non lo so, un po’ mi piaceva. Fosse per me avrei mollato tutto, ma le ho promesso una mostra fotografica. Sono un galantuomo, lo sai, e non me la sono sentita di mollarla lì. »
« Una mostra? Interessante. Fammi sapere i dettagli, poi. »
« Senz’altro. »
« Comunque, non buttarti giù, è pieno di donne là fuori. Anzi, perché non le chiedi di presentarti qualche sua amica? »
Ashton rise.
« Potrebbe essere un’idea, in effetti. Vabbè, Alan, si è fatto tardi e penso proprio che andrò a dormire. »
Alan alzò lo sguardo verso l’orologio, e vide che era già passata mezz’ora dall’inizio della telefonata.
« Sì, si è fatto tardi. Comunque, grazie di tutto, Ash. »
« E per cosa? »
« Perché sei un amico. »

 

Salve a tutti *__* Scusate se anche questo sembra un po' un capitolo di passaggio, ma in realtà pone le basi per ciò che verrà dopo. Alan continua a non voler vedere la realtà, ma non potrà continuare all'infinito :)
Ringrazio davvero, ma davvero di cuore tutte le persone che hanno recensito questa storia, mi avete resa felicissima, anche perché qualcuno di voi ha riservato per me e per la storia delle parole davvero belle. Grazie!
Ci vediamo martedì prossimo allora, dove, finalmente, Madison e Ashton terranno fede agli accordi presi prima di Natale... Chissà se scopriranno qualcosa!
A presto :)
   
 
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