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Autore: mich key    01/10/2013    1 recensioni
Questa è la storia di come sono finita a letto col mio migliore amico e poi... beh, c'è anche stata quella cosa con la sua ragazza... diciamo che faccio prima a raccontarvi tutto dall'inizio.
Genere: Commedia, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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Io, Lui, La Sua Ragazza



Conoscevo Oscar da tre anni, e Nadia, la sua ragazza, da due. Io e lui facevamo teatro assieme, e ci eravamo stati subito simpatici. Niente di eccezionale, nessun "colpo di fulmine", non frequentavamo neanche lo stesso giro il sabato sera. Solo, eravamo in sintonia.

A ripensarci, forse la relazione di complicità che avevamo stretto non si sarebbe mai sviluppata se avessimo avuto dei compagni più simpatici o un gruppo di teatro meglio assortito. Più che altro, ciò che ci accomunava era una sorta di intolleranza verso ciò che ci circondava. Per motivi diversi, stavamo meglio tra di noi che col resto del gruppo. Io non sopportavo la loro arroganza, il loro modo di fare strafottente, il loro snobbismo. Lui la mancanza di fantasia e il conformismo, oltre a ritenere che non dessero al teatro l'importanza che meritava.

Così, pian piano, era nata un'amicizia che si era rafforzata durante il nostro secondo anno di superiori, quando le nostre classi erano finite l'una davanti all'altra, e avevamo preso a chiacchierare durante i cambi d'ora. Circa un anno dopo conobbi anche la sua ragazza: spesso veniva a trovarlo durante la ricreazione. Non è che fossimo mai state particolarmente legate, ma lei non era male, anche se un po' scorbutica, e finivamo, in un modo o nell'altro, a ritrovarci assieme in svariate occasioni sociali. Compleanni, gite, cose così. Eravamo qualcosa di più di conoscenti, qualcosa di meno di amiche.

Arrivati in quarta potevo considerare Oscar il mio migliore amico, almeno per quanto riguardava i maschi. Andavamo a vedere spettacoli teatrali assieme, e li commentavamo. Lui aveva una vera e propria passione per quest'arte, e gli sarebbe piaciuto diventare un attore. Penso che fosse anche per questo che faceva delle critiche così spietate. Davvero, non avevo mai sentito una persona così perfida, ma neanche con uno spirito di osservazione così acuto. A me piaceva andare con lui a vedere gli spettacoli come ho sempre amato andare al cinema, o leggere libri: mi interessava di più perdermi nella storia che analizzarne ogni dettaglio. A teatro ci andava con me perché a Nadia non piaceva, diceva che si annoiava. Così, più che ascoltare le sue lamentele, aveva cambiato accompagnatrice.

Oscar era piuttosto attraente: aveva un fisico asciutto, che muoveva con una consapevolezza in gran parte dovuta agli anni passati a recitare, e un bel viso, ma era solo un amico che casualmente era anche un bel ragazzo, non provavo per lui particolari sentimenti amorosi, né mi ero mai presa una cotta per lui.

Quel giorno dovevamo andare a vedere "Antigone" di Sofocle.

Uscii da scuola, e vidi Oscar e Nadia, tra un gruppetto di amiche di lei. Gli feci un cenno, e lui mi salutò con la mano. Si dissero qualcosa, ma c'era troppa confusione e io non capii di cosa stessero parlando. Mi appoggiai alla colonna e aspettai che Oscar le desse il solito bacio di saluto. Invece si voltò con un'espressione accigliata e mi raggiunse, mormorando: "Quando è così girata non la sopporto. E' sempre di cattivo umore." Mi strinsi nelle spalle. Non era la prima volta che faceva questo tipo di commenti. Poi si riprese: "Allora, Giovanna, come va?"

"Ma si, dai, non male. Ho preso con me un sacco di fazzoletti. Forse, e dico forse, stavolta riuscirò a non usarne più di un pacchetto." Sono una persona che piange, durante le tragedie."E tu, invece?"

"Si tira avanti. Andiamo, che voglio arrivare prima delle scolaresche."

Sul momento non feci caso a questa scena; del resto, quando loro due erano ancora una coppietta alle prime armi, mi ero dovuta sorbire tutti i suoi discorsi da innamorato perso. Nella mia testa, quei due si sarebbero sposati di sicuro, presto o tardi, e per molto tempo era stato così anche nella sua.

Due settimane dopo, all'uscita dallo spettacolo teatrale, mi aveva chiesto di andare con lui a prendere un gelato. Eravamo a inizio marzo, e faceva ancora parecchio freddo. Di solito, dopo essere andati a teatro, telefonavo ai miei e mi facevo venire a prendere a casa sua, che era molto vicina. Che mi facesse questa proposta era strano, ma non avevo niente da fare e forse anche lui, come me, aveva voglia di primavera. Mi presi un cono piccolo alla stracciatella, e lui insistette per offrirmelo. Ci sedemmo sulle panchine fredde davanti alla gelateria. Mi strinsi nel cappotto, e cominciai a succhiare una grossa pepita di cioccolato che era semi-nascosta tra il bianco della stracciatella, guardando distrattamente il muro.

Lui sembrò risvegliarsi all'improvviso. "Ma dimmi, ti sembra che io sia soffocante?"

Ingoiai. "Eh?"

Scosse la testa. "Lascia perdere."

"Uhm, no. Cioè, mi hai presa un po' alla sprovvista. Non mi sembra che tu sia soffocante, ma, bé, tu a cosa ti riferisci?"

"Guarda, non lo so bene neanch'io. Ieri Nadia mi ha fatto una sfuriata, e per cosa, poi? Ultimamente è davvero insopportabile. Domenica dovevamo uscire, e sabato mi chiama e mi dice che non può. Le dico che è ok, cosa le dovevo dire? E le ho chiesto dove doveva andare. Cioè, io c'avrei avuto anche altri programmi, ma avevo scelto di passare la domenica con lei, che ultimamente ci vediamo poco durante la settimana. E lei non m'aveva neanche dato molto preavviso per dirmi che non poteva. Era una domanda legittima, no?"

Annuii. "Si, non è una domanda strana."

"Lei mi risponde: 'mah, una cosa..'. Lì per lì lascio perdere, poi ieri gliel'ho chiesto di nuovo, ma ero tranquillo, cioé, mica la stavo accusando di niente, era solo per parlare. E lei mi ha fatto una sfuriata. Ha cominciato a dire che la stavo soffocando, che mica potevo seguirla 24 ore su 24, che lei doveva essere libera di decidere per se stessa. Soffocando? Io? Ma se era una settimana che a malapena ci messaggiavamo!"

Annuii di nuovo. Il gelato stava cominciando a colare ai bordi del cono. Mi affrettai a leccarlo. Brrr.

"Non si può più dirle niente. 'Sta cosa mi ha messo proprio di cattivo umore."

Vacca boia che freddo che c'era. "No, ma infatti, hai ragione. Ti ha dato buca, sarebbe carino che almeno ti desse una spiegazione. Anche una scusa qualunque." Freddo, freddo, freddo. Il gelato era stata una pessima idea.

Se ne accorse anche lui. "Va bé, dai, andiamo. Che io sono qui che mi lamento e tu stai qui che tremi." Grazie, universo.

Ci alzammo, lui mi mise un braccio attorno alle spalle, e ce ne andammo fino a casa sua così.

 

La settimana successiva non c'era neanche uno spettacolo che ci interessasse, solo un balletto, ma né io né lui amavamo troppo quel genere. Martedì mi arrivò un suo messaggio: "Ti va se passiamo il pomeriggio assieme, anche se non andiamo a teatro?" Mi andava bene, anche perché non avevo voglia di starmene a casa a far niente.

Ci incontrammo davanti al teatro, perché le abitudini sono dure a morire, e prendemmo a camminare. Lui indossava una di quelle stupide magliette sportive che fasciano la figura, e un paio di jeans che gli avevo visto addosso almeno un migliaio di volte. Alla fine del giro, mi invitò da lui a prendere un caffé. Entrammo, e lui mise su la moka. I suoi non c'erano, come quasi sempre, del resto, visto che lavoravano fino a tardi, e a me piaceva il modo in cui lui faceva il caffé. Era carico, forte, e contrastava col fatto che lui nella sua tazzina mettesse tanto zucchero.

Il caffé prese a salire. Lui tolse la moka dal fornello, prese due tazzine e lo versò. Io mi sedetti sul bordo del tavolo, mentre lui mi raccontava una gita di tanto tempo prima. C'era una strana tensione nell'aria che mi faceva sentire un po' a disagio, ma probabilmente me la stavo solo immaginando. Appoggiai la tazzina vuota sul tavolo.

Lui avvicinò alle labbra il suo caffé per berne l'ultimo sorso, mentre con la sinistra gesticolava. Poggiò la sua tazzina accanto alla mia; vicino a me. Fui improvvisamente cosciente dell'esistenza del suo braccio vicino alla mia gamba, del suo viso davanti al mio. Fu come una discesa in bici, come quello scivolare inevitabile, inarrestabile, sempre più rapido; avevo lo stesso cuore in gola, lo stesso battito accellerato. Un soffio di vento, e ci stavamo baciando.

 

La luce proveniente dalla finestra della sua stanza macchiava di giallo le coperte e scaldava il mio braccio nudo. Avevo perso così la mia verginità, per un ragazzo che amavo, in un certo senso, ma di cui non ero mai stata innamorata. L'avevo fatto seguendo il desiderio che provava il mio corpo, una pulsione che era parte di me, parte del mio essere umana.

Avevo perso la mia verginità in una sorta di relazione extraconiugale. Ero l'amante.

E quindi? Cosa dovevo fare? Cosa volevo fare?

Eravamo troppo uniti perché quella fosse solo una botta e via. Desiderai che lui fosse qualcun'altro, qualcuno che potevo non rivedere mai più, e che potessi ritrovare la nostra amicizia come era prima, senza perdere niente. Desiderai che i nostri corpi fossero staccati dalle nostre menti, che i nostri sentimenti potessero ignorare ciò che era appena successo, e che lo sapesse solo la nostra parte fredda e razionale.

Io non volevo mettermi con lui, né essere la sua amante, né nient'altro. Come avrei potuto, quindi, spingerlo a lasciare la ragazza con cui stava da un'eternità per me, se io per prima non volevo scommettere su noi due? Forse sarebbe stato quello ciò che ci si sarebbe aspettato da me, ma io non me la sentivo.

Mi rivestii in fretta sotto i suoi occhi. Lui mi chiamò: "Giò".

"Devo andare".

"Aspetta un attimo..."

"I miei mi aspettano fuori, devo proprio andare. Ciao!"

Insomma, scappai. Spensi il telefono e camminai verso casa.

 

Venerdì lo stavo ancora evitando. Non avevo risposto alle sue chiamate, né ai suoi sms. Quel giorno c'era laboratorio di teatro, e io non ero pronta ad affrontarlo. Ero una stupida codarda, ma scappare mi dava qualcosa su cui concentrarmi e poi, forse, un paio di giorni per pensare avrebbero aiutato anche lui. Sospirai. Ero ridotta proprio male.

Mi ero rintanata dietro le quinte, dove in teoria stavo colorando la scenografia. Mi ci ero rannicchiata dietro, seduta sulla scaletta che portava ai camerini, e cercavo di sembrare molto concentrata.

Sentii Oscar arrivare, e salutare gli altri, poi chiedere: "Giò non è ancora arrivata?" No, rispondetegli di no, vi prego! "Ciao Oscar! Mah, era qui fino ad un momento fa." "Ah, ok, la vado a cercare." Traditori!

Ecco, era arrivato il momento della verità. Sentivo i suoi passi avvicinarsi. Rimasi immobile. Forza, non poteva essere peggio di quello che mi ero immaginata in tre giorni di viaggi mentali. O forse no? E proprio mentre mi vedevo perduta, arrivò a salvarmi l'ultima persona che mi sarei aspettata di vedere lì. "Nadia?" Lei mi fece cenno di star zitta e di seguirla dentro ai camerini. Cosa ci faceva lì? Non faceva neanche parte del laboratorio! Chiuse la porta a chiave. Oh cazzo. Mi voleva pestare? Mi guardai intorno, in cerca di qualcosa da usare per difendermi. Lei non sembrava particolarmente pericolosa, ma aveva un fisico atletico ed era probabilmente piuttosto forte. Valutai la robustezza di una spada di legno lì vicino. Ma cosa stavo pensando? Non potevo certo picchiare la ragazza di Oscar con un accessorio del teatro!

Lei mi si avvicinò: "Scusa se ti ho fatto entrare qui, ma non volevo che Oscar ci vedesse."

Dimmi che questo discorso non sta andando a parare dove io temo che stia andando a parare.

Continuò:" E' che, sai, abbiamo avuto qualche discussione ultimamente, e in questi due giorni mi è sembrato anche più strano del solito; e, visto che tu sei un po' la sua migliore amica..."

...sei per caso, così, per ipotesi, andata a letto con lui?

"... forse tu sai cosa gli è preso."

Ah. Oh. Tu, ragazza, non hai idea di quanto io lo sappia. Sentii l'urgenza di mettermi a ridere, ma riuscii a trattenermi per un pelo. Per dissimulare il sorriso, cominciai a parlare: "Non saprei. A cosa ti riferisci esattamente?"

"Boh, forse ti ha parlato di me. "

"Si, un poco." Diciamo che la sua bocca è stata altrimenti occupata per buona parte del tempo.

Si sentì il rumore della maniglia che veniva scossa, e la voce di Oscar, un po' soffocata: "Ehi, raga, com'è che il camerino è chiuso?"

Nadia mi prese per un braccio: "Ti mando un messaggio su facebook, ok? Ci mettiamo daccordo per un pomeriggio, così mi parli di questa storia." Poi mi fece l'occhiolino. "Che resti tra ragazze." Non feci in tempo a trovare qualcosa di coerente da risponderle che lei aveva già scostato i tendoni, aperto una finestra ed era uscita da lì. Pazza psicopatica.

In ogni caso, mi decisi ad aprire la porta. Mi ritrovai faccia a faccia con Oscar. Dannazione, sarei dovuta uscire anch'io dalla finestra.

"Giò!"

"Uhm... ciao, Oscar."

"Ti ho mandato un sacco di messaggi!" "Ah, si?" Supponevo che l'avesse fatto, per questo non avevo ancora riacceso il cellulare.

"Si!"

"Senti, devo, la scena, sai..."

"Io e te dobbiamo parlare."

"Possiamo, tipo, farlo dopo, sai, c'ho una scena con Riccardo..."

"No, aspetta, sarò breve. Io e te abbiamo chiuso."

Ma quando mai avevamo aperto qualcosa?

Lui continuò: "Quello... che abbiamo fatto è stato un errore, da parte tua. Se avessi saputo cosa provavi per me... Io ho la ragazza, Giovanna! Non possiamo farci vedere assieme, la gente comincerebbe a parlare, e io sto con lei da un sacco, non voglio che lo scopra e che litighiamo."

Eh? Aprii la bocca per replicare, ma lui mi appoggiò l'indice sulle labbra e concluse: "Shhh, solo rapporti professionali, ok?" Mi fece l'occhiolino e se ne andò.

Coglione.

 

Passai il week-end perlopiù tra i libri di scuola, a studiare per la verifica di lunedì; perciò, fu solo domenica sera che aprii il pc, vogliosa di rilassarmi un po'. Ovviamente, ciò non accadde. Aperto Facebook, la prima cosa che mi capitò davanti fu la notifica dell'arrivo di un messaggio privato di Nadia. Ero ancora arrabbiata con quel coglione presuntuoso ed egocentrico del suo ragazzo, e un incontro per parlare di lui non era esattamente sulla mia letterina per babbo natale. In ogni caso, le risposi. Poverina, non era colpa sua se Oscar gli faceva le corna. Io, ad esempio, vi ero già più coinvolta. Ma, insomma, era lui quello che aveva promesso fedeltà a qualcuno, io non avevo fatto nulla del genere.

Per ingannare il tempo mentre aspettavo a mia volta una risposta, andai a sfogliare la galleria fotografica del profilo di Nadia. Si era da poco fatta una di quelle pettinature rasate su un lato della testa e, sorprendentemente, a lei donava. Mi soffermai su una foto particolarmente riuscita. Indossava il kimono da judo, e sorrideva alla fotocamera assieme a due tizie che non conoscevo, vestite allo stesso modo. Dovevo ammettere che era piuttosto carina. Mi stavo chiedendo se avrei dovuto cominciare anch'io a praticare un qualche sport, quando mi arrivò la risposta al messaggio privato. Lo aprii. Mi proponeva di incontrarci in biblioteca, così mi avrebbe potuto accompagnare a casa sua, dove avremmo potuto parlare più liberamente. Non capivo la sua ossessione con la segretezza, ma va bè, la proposta era ragionevole.

Arrivai sul luogo con qualche minuto di anticipo. Mentre aspettavo, mi cadde l'occhio su uno dei volantini della bacheca. Si trattava di uno stage estivo di un mese presso una delle scuole di teatro più prestigiose d'Italia e mi ricordavo che Oscar voleva inviare l'audizione per cercare di parteciparvi. Era un'ottima occasione. Ammiravo questo lato di lui così intraprendente. Io non avrei avuto il coraggio di andare un mese dall'altra parte del paese da sola in un ambiente così competitivo.

E poi, in ogni caso, non sarei passata.

Arrivò Nadia, e mi infilai il volantino in borsa. "Ciao Giò! Come stai?"

"Un po' stressata ma bene, e tu?"

"Tutto a posto. Andiamo, che ho preparato dei biscotti al cioccolato. Caldi sono buonissimi."

Nadia aveva una gran bella casa. Si trattava di una villettina bianca a schiera, con la facciata ricoperta di edera. La cucina era molto ordinata, e in quel momento un buon odore di dolci pervadeva l'aria. "Ti va un caffé?" Mi chiese, quando entrammo. "Si, grazie." Mi appoggiai al tavolo e lei, che era stata silenziosa fino a quando non eravamo entrate nella casa deserta, cominciò a parlare: "So che sei molto in confidenza con Oscar."

"Beh, si, abbiamo alcuni interessi in comune." Se si può dire così.

"Ti ha parlato di me? Ti ha per caso detto qualcosa in particolare?"

"Niente di strano, no, non... perlopiù discutiamo di teatro, e cose del genere, insomma. Perché?"

"Sai, abbiamo avuto una discussione due week-end fa, e... non credo di vederci chiaro. Cioé, mi sembrava una cosa chiusa, ma poi ha cominciato a ignorarmi, non so, è sempre distratto quando è con me. E non vorrei che ci fosse qualcosa della nostra litigata che non mi ha detto e, insomma... ti ha parlato di quel sabato sera?"

"No, nulla di che."

"Neanche di Anna?

E chi la conosceva 'sta Anna? "No, non me l'ha mai nominata."

Nadia prese a fissarmi dritta negli occhi. Sembrava che volesse leggerci ciò che non le dicevo. Sostenni lo sguardo, senza sapere cos'altro avrei dovuto fare per convincerla della mia estraneità alla loro litigata.

La moka fischiò, e mi sentii sollevata, come se fosse stata la campanella di scuola a suonare a metà di un'interrogazione e non un po' di acqua bollente durante una conversazione imbarazzante. Nadia versò il caffé nelle due tazzine. Le prese entrambe e le appoggiò accanto a me. Era impossibile non vedere il parallelo con quel pomeriggio. Scivolai giù dal tavolo con un sentimento di disagio crescente e quasi mi inciampai nella sedia cercando di sedermici, ma alla fine misi un tavolo tra me e quella tensione che era solo nella mia testa. Presi la tazzina e la avvicinai a me. "Grazie" mi ricordai di dire, infine, in ritardo e fuori tempo. Lei annuì. "Zucchero?" Mi chiese. "No, lo bevo amaro." Lei mise il vassoio di biscotti sul tavolo e una zolletta di zucchero nel suo caffé.

Ruppi il silenzio. "Ma... quindi, adesso come va tra voi?" La domanda celava un vago senso di colpa.

Lei fece un mezzo sorriso. "Beh, immagino che non vada poi peggio di come era prima. La nostra, da un po' di tempo a questa parte, non è esattamente una relazione tutta rose e fiori. Ma in un modo o nell'altro va avanti."

Mi sentii un po' sollevata. "Beh, in fondo, se davvero non funzionasse, vi sareste già lasciati."

Lei fece un sorriso un po' triste. "Beh, immagino di sì." Poi cambiò argomento. "Sai, vi ero venuta a vedere allo spettacolo di fine anno. Mi era piaciuto molto. Sei brava a recitare."

Mi strinsi nelle spalle. "Beh, grazie."

"Dico davvero, sai, secondo me sei anche più brava di Oscar. Lui ci crede tantissimo, ma alla fine risulta un po' forzato. Tu sei più naturale. Ma forse è solo un'impressione mia." Fece un mezzo sorriso. "Sai, non me ne intendo molto."

Appoggiai la tazzina alle labbra e la inclinai, anche se il caffé era ancora talmente bollente che feci solo finta di berlo. Vi nascosi un sorriso. Non ero abituata a commenti del genere.

Lei proseguì: "Cosa fate quest'anno? Avete già il copione?"

Ridacchiai. "Diciamo che siamo un po' indietro con i lavori. Metà del copione ce la devono ancora dare, l'altra metà parla di..." Feci un gesto con la mano. "...api aliene, o qualcosa del genere."

Anche Nadia si mise a ridere. "Api aliene?"

"Oh, sì, api aliene con pannelli solari al posto delle ali, ma non dirlo a nessuno, non è ancora ufficiale." Mi appoggiai un dito sulle labbra e sfoderai la mia migliore interpretazione di River Song. "Spoiler!"

Nadia scoppiò di nuovo a ridere e mi chiese: "Ma non lo scriveva la vostra prof? Non dovrebbe... non so, essere un po' più serio, o qualcosa del genere?"

"Tu non conosci la prof. Quella tipa è tutta matta." Al solo pensiero, alzai gli occhi al cielo.

Lei ribatté: "Forse non conoscerla mi conviene."

Annuii. "Quando ti ci abitui è anche simpatica, ma va capita, ecco."

Prendemmo entrambe un biscotto, e Nadia prese a mangiucchiarlo con aria pensierosa, poi mi chiese: "Senti, ma, prima, quando hai detto la parola spoiler, per caso, ecco, sembrava una citazione da un telefilm..."

Annuii, deglutii e dissi: "Si, Doctor Who. Lo conosci?"

Lei fece una strana espressione che non riuscii ad interpretare: "Non lo conosco da tanto, però mi piace. Anche a te?"

Scrollai le spalle. "Beh, si, parecchio a dire il vero, anche se sono rimasta un po' indietro con le ultime puntate."

Mi guardò, un po' titubante, un po' speranzosa. "Pensavo, visto che abbiamo tempo, potremmo guardarne una puntata. Assieme. Sai, solo se vuoi però. Non sentirti obbligata." Di nuovo, non capii il suo imbarazzo. Parlava come se mi stesse facendo una proposta indecente. Forse le sembrava una cosa troppo da nerd? In ogni caso, accettai. Non vedevo cosa ci fosse di male, anzi, mi sembrava un'idea carina. Decisa quindi la puntata ci trasferimmo in camera sua, dove ci sedemmo di traverso sul letto e lei mise su il dvd. Mi passò anche dei cuscini, così che potessi appoggiare la schiena al muro. Mi misi comoda, e lei spense la luce.

Ho sempre trovato buffa la reazione dell'uomo al buio, quella strana sensazione di sospensione, di trepidante attesa, che di giorno è impossibile anche da immaginare, e di notte è impossibile da ignorare. Nadia si era seduta di fianco a me. Le nostre spalle si toccavano. Era bastato far scattare un interruttore e in un istante mi sentivo più vicina a lei di quanto non avessi mai fatto. O forse erano solo ormoni. Durante l'adolescenza non si sa mai.

Passammo la puntata a commentare a bassa voce le azioni dei personaggi e la generale assurdità delle scene che si susseguivano sullo schermo. Ridemmo e ci commovemmo, e, alla fine della puntata, eravamo accoccolate l'una attaccato all'altra come due bambine, la mia testa appoggiata sulla sua, la sua gamba sulla mia. Era una sensazione piacevole, anche se, sotto sotto, questa improvvisa vicinanza mi lasciava un po' perplessa. Ma, mi dissi, stavo semplicemente consolando un'amica in difficoltà che aveva appena litigato col suo ragazzo. Per colpa mia. Nonostante ciò che mi aveva detto lei, non riuscivo a non pensare alla situazione se non da questo punto di vista. Anche se lei sospettava di una certa Anna, o comunque era preoccupata per cose successe ben prima che io mi facessi il suo ragazzo, non riuscivo a non pensare di essere io la causa della sua tristezza. Mi dispiaceva da matti. Al pensiero, le appoggiai la mano sul fianco, con fare protettivo, e la strinsi a me. Lei alzò il viso per guardarmi. Era illuminata solo dalla luce colorata dello schermo e i suoi occhi lucidi brillavano nella penombra. Dannazione quant'era carina. Lei si voltò verso di me con tutto il corpo, arrivando a sovrastarmi. Non avevo staccato il mio braccio da lei, timorosa di rompere l'atmosfera, e in pratica la cingevo in uno strano abbraccio non programmato. Era così morbida. Si avvicinò. Mi guardava. Lei ebbe la delicatezza di avvicinarsi pian piano, di lasciarmi la scelta di scostarmi, di rifiutarla, di far finta di niente, di farle notare che la puntata era finita e che stavano scorrendo i titoli di coda, di scappare come avevo fatto già troppo negli ultimi giorni. Ma non lo feci.

La carne è debole. Mai scusa fu meglio formulata.

Ci baciammo a lungo, assaporando ciò che stavamo facendo. Fu qualcosa di dolce e lento, fummo noi che traevamo conforto dal calore dell'altra, sfiorandoci, soppesandoci, senza osare andare troppo in là. Quando ci staccammo, la stanza era completamente al buio. Lei si sedette sulle mie gambe, e io la strinsi, stavolta sul serio. Così abbracciate, sussurrai ciò che avrei dovuto dire anche in un altro contesto, ad un'altra persona. "Ma, Nadia... tu hai il ragazzo." In tutta risposta, la sentii trasalire, in quello che mi sembrò un singhiozzo soffocato. Le concessi il beneficio del dubbio e non le chiesi niente. Rimanemmo semplicemente così per un po', e lei era il mio dolore ed era il mio conforto, e alla fine non era niente, perché nessuna storia ci legava, solo il nostro rispettivo bisogno di consolazione. Dopo minuti che eravamo così, lei sussurrò: "Perdonami, se non sono pronta a lasciarlo." Non disse nient'altro, ma io capii che anche quelle parole, come le mie, non erano davvero rivolte alla persona a cui stavamo parlando.

Quando se ne andò da me, sentii freddo, e ne sentii ancora di più quando la luce del lampadario mi accecò, e raccolsi le mie cose in silenzio. Ci salutammo sulla porta con un "ciao" innaturale.

 

Ero tornata a casa ancora più scombussolata di prima, ma ero stufa di non fare niente. Presi la mia borsa e ne rovesciai il contenuto sul letto. Riaccesi il cellulare, decisa a smettere di scappare da Oscar. Buttai quello stupido aggeggio in un angolo e lasciai che suonasse e rumoreggiasse quanto voleva, fino a quando non avesse caricato, scaricato e notificato tutto ciò che avevo ignorato in quei giorni di apatia. Quando ebbe finito, lo ripresi. Avevo cinque chiamate perse. Una di mia madre, una di una mia amica, che comunque dopo mi aveva telefonato sul numero di casa, e tre di Oscar. Solo tre? Valevo solo tre tentativi? Seriamente?

Gli sms erano di più, ma neanche loro mi diedero qualcosa di sostanzioso su cui sfogare la mia smania. Da quello che scriveva lui, sembrava che io lo avessi subdolamente sedotto per portarlo a rovinare il bellissimo e meraviglioso rapporto che aveva con la sua ragazza, donzella purissima ed incolpevole, che di sicuro non si meritava di venire a conoscenza di una scappatella intensa ma isolata che l'avrebbe fatta soffrire tanto tanto. Tra le righe si leggeva che l'avrebbe rifatto anche subito, appena fosse stato sicuro che non si sarebbe saputo in giro. Era tutto così ipocrita e da così tanti punti di vista che non sapevo neanche da dove cominciare a rispondergli. E di sicuro discuterne via sms non mi avrebbe dato soddisfazione.

Sbuffai, mi rigirai sul letto e rotolai sopra qualcosa di fastidioso. Lo presi. Si trattava del volantino del concorso di teatro. Tra una cosa e l'altra, mi ero addirittura scordata di averlo preso. Sbuffai di nuovo e mi misi a scorrere distrattamente il bando. Poi lo rilessi. In realtà, non c'era nessuna ragione buona per la quale non avrei dovuto provare ad iscrivermi. Spinta da un sincero interesse che non provavo da tempo, mi alzai e trascorsi il resto della serata a lavorare sulla mia audizione.

 

Il giorno dopo, a ricreazione, mi diressi decisa verso la classe di Oscar, solo per trovarla chiusa. Probabilmente stavano concludendo una verifica. Ad aspettare, accanto alla porta, c'era Nadia. La salutai con un cenno, lei ricambiò, poi distolse lo sguardo. Mi appoggiai al muro di fianco a lei. "Ho pensato molto a ieri."

La sentii prendere un respiro profondo. Continuai: "Quella Anna di cui mi chiedevi... era la tua amante?"

Lei annuì. "Quella sera avevamo litigato. Siamo uscite, per chiarirci. Oscar era venuto a cercarmi e... temevo che ci avesse viste, non sapevo da quanto era lì. Sai, vorrebbe che io lo lasciassi. Io... non so. Non ha senso continuare a stare con lui, ma allo stesso tempo... sai, nessuno crederebbe che una con il ragazzo abbia questo tipo di gusti. E non so se sono pronta ad uscire allo scoperto."

Mi scappò un mezzo sorriso. Ormai la cosa mi sembrava tanto ovvia che non capivo come la gente fosse stata così cieca da non sospettare niente.

Restai per qualche attimo ad osservare la folla di ragazzi andare e venire.

Lei mi sfiorò il braccio e disse: "Senti, scusa se ti ho coinvolta. Non avrei dovuto..."

La interruppi. "Prima di scusarti, devi sapere che Oscar ti ha tradita. Con me. Quel ragazzo non vale un minuto del tempo di nessuna di noi due."

Lei sgranò gli occhi. Continuai: "Sono qui ad aspettare che esca per dirgli di andare a farsi fottere. Ti va di assistere alla scena?"

Come se fosse stato evocato, Oscar uscì dalla classe e richiuse la porta dietro di sé. Si voltò verso di noi. "Ehi... ciao."

Lo fissai dritto negli occhi, senza distogliere lo sguardo, senza retrocedere. "Ciao, Oscar. Sono venuta a dirti che non sono, non sono mai stata e non sarò mai la tua puttanella di ricambio." Ebbi la soddisfazione di vederlo sbiancare, mentre le sue pupille passavano freneticamente da me a lei.

Boccheggiò, per poi balbettare: "Non so di cosa..."

Feci un passo in avanti. Indietreggiò. "Lo sai benissimo, e ora lo sa anche lei. Immagino che avrete molto di cui discutere. Ci si vede allo stage."

Me ne andai senza voltarmi indietro, un sorriso di trionfo sulle labbra.




L'autrica commenta
Se siete arrivati fino a qui, significa che avete letto la mia storia, e per questo vi ringrazio.
Anche se ho lasciato un finale molto aperto, quasi "squarciato" (cit.), non credo che scriverò altre storie con questi personaggi. Non dal punto di vista di Giovanna, per lo meno. Di lei mi interessava raccontare la crescita interiore, che l'ha portata a credere un po' di più in se stessa e a uscire dalla sua passività. O, almeno, questo era il piano iniziale, da lì ho un po' allargato.

Detto questo, mi auguro che vi siate divertiti.

  
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