Storie originali > Soprannaturale > Vampiri
Ricorda la storia  |      
Autore: Nelith    02/10/2013    8 recensioni
Quel gesto di ribellione gli costò solo altro dolore. Fu marchiato a fuoco sulla lingua, con il simbolo del traditore; il numero XIII. [...] Dopo anni passati a combattere per la Chiesa sarebbe morto portando con sé il marchio dell'infamia.
Genere: Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: Non-con, Tematiche delicate
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

XIII

 

Il sangue scorreva copioso dalle ferite, impregnando il terreno ghiacciato sotto il suo corpo. Ormai non sentiva più nemmeno il gelo pungente di mezz'inverno. Anche il soffio impietoso del vento era ormai solo un suono lontano e ovattato. Attraverso le cime degli alberi il cielo notturno stava lentamente cambiando, schiarendosi: acquistando quelle sfumature turchesi che precedono di poco il sorgere del sole. Quell'ultima alba era stranamente limpida. Si potevano ancora intravedere le stelle, che lentamente soccombevano alla luce del giorno. Tutto quello che rimaneva di quella terribile notte, era un grumo di abiti imbevuti di sangue e il ricordo di ciò che era stato.

Qualcosa cambiò nell'aria, una presenza. Non la sentiva ma la percepiva, remota, come in un sogno.  Ormai non c'è più niente che tu mi possa fare, Gabriel. I contorni di ciò che lo circondava erano sfuocati nonostante la luce stesse lentamente aumentando. Il paesaggio ghiacciato attorno a lui stava svanendo, avvolto in tenebre rosso sangue.  Sorrise divertito come volesse dire: "Hai perso", non poteva fare altro, non aveva più un briciolo di forza. L'ombra non arrestò la sua avanzata; si chinò su di lui, passandogli una mano sotto le spalle e l'altra sotto le ginocchia e lo sollevò di peso, senza il minimo sforzo.

 

 

Durante il trasporto ricordò il brivido degli anni di caccia, il tradimento del Vescovo e i lunghi giorni di prigionia in quella umida e fredda cella infestata dai topi e ricoperta di liquami. Gabriel lo aveva fatto inquisire, accusandolo di stregoneria solo perché lo aveva rifiutato per l’ennesima volta. Era sopravvissuto a numerose notti di caccia, ma sarebbe morto per mano di un umano e non per colpa delle creature delle tenebre. C’era qualcosa di grottescamente comico in tutto ciò. Ricordò i ferri roventi che segnavano le sue carni, aprendo lunghe ferite prima di ricoprirsi di vesciche. La frusta dell'inquisitore e le morse che avevano spezzato molte delle sue ossa. I giorni passati nella camera delle torture dell'abazia sembravano eterni.

Non aveva mai urlato, neanche durante l'umiliazione che Gabriel gli aveva inflitto, mentre era sanguinante e incatenato a una viscida parete. Si sera ribellato, solo quando il suo carnefice si era avvicinato troppo. Sentiva ancora il sapore del suo sangue, la sensazione della cartilagine che si strappava sotto i suoi denti e quell'orecchio caldo che gli era rimasto in bocca. L'urlo di Gabriel era stato musica per le sue orecchie. Gioì per quella piccola soddisfazione, anche se avrebbe voluto strappargli ben altro.

Quel gesto di ribellione gli costò solo altro dolore. Fu marchiato a fuoco sulla lingua, con il simbolo del traditore; il numero XIII. Il carnefice prese una tenaglia e lo costrinse a tirar fuori la lingua dalla bocca mentre il Vescovo, tenendosi una mano premuta sul punto in cui fino a poco tempo prima si trovava l'orecchio, gli premeva il marchio sulla lingua.

Dopo anni passati a combattere per la Chiesa sarebbe morto portando con sé il marchio dell'infamia.

Lo portarono fuori dalla sua cella solo verso il tramonto, il Vescovo voleva che la luce del fuoco si vedesse, che fosse di monito verso chi voleva opporsi alla Santa Madre Chiesa: quella frase, pronunciata da Gabriel, era la peggiore delle bestemmie. Mentre lo trasportavano sul carro verso la pira, si ritrovò a pensare a quel dannato vampiro, la sua rovina era dovuta a lui, anche se solo in minima parte. Lui era un cacciatore, non poteva stringere legami d'amicizia con un essere delle tenebre, anche se lo aveva aiutato in più di un'occasione contro i vampiri impuri, quelli bestiali e senza alcun controllo. S'insultò per aver anche solo accennato al Vescovo della possibilità che non tutti i vampiri fossero demoni assetati di sangue e di morte, o meglio che alcuni fossero più controllati di altri. Che anche tra di loro ci fossero delle gerarchie. Alexander non aveva mai ucciso nessuno per nutrirsi, prendeva solo quel poco che gli bastava da un singolo individuo, magari cercava più persone in una notte ma non uccideva mai nessuno. La morte d’innocenti tramite la perdita cospicua di sangue, avrebbe attirato troppi sguardi indiscreti. I vampiri, quelli veri, facevano di tutto per passare inosservati e non attirare l'attenzione su di essi. Loro abitavano le ombre e non avevano alcun interesse nel farsi scoprire, la loro sopravvivenza dipendeva da quanto fossero abili a rimanere celati. Anche lui lo aveva nutrito in un'occasione. Perché ho fatto una cosa tanto stupida? Potevo lasciarlo morire. Ma non poteva ripagare con la morte una vita salvata, lo sapeva bene.

Vide il patibolo davanti a lui, mancavano ormai pochi metri, Gabriel era vicino alla pira che aspettava con quell'infame sorriso compiaciuto dipinto sulle sue orride labbra: quelle stesse labbra con cui proclamava la parola di Dio e con cui lo aveva profanato. La fasciatura era intrisa di sangue, fu tentato di sorridere, ma era impossibile riuscirci con la bocca tumefatta e ricoperta di vesciche ormai infette, che si aprivano riversando all'esterno sangue e liquidi purulenti.

Aveva la febbre ne era certo, non sarebbe potuto essere altrimenti, ma era l'ultimo dei suoi problemi; la pira avrebbe pensato a scaldarlo e dove era diretto sarebbe stato arso per l'eternità. Lo sapeva bene, quello che aveva fatto, quello che lo avevano costretto a subire gli avrebbe precluso il Paradiso. L'unica consolazione che gli rimaneva era che, un giorno, senza alcun dubbio, avrebbe incontrato Gabriel e sapeva bene che i tormenti del Vescovo sarebbero stati superiori ai suoi.

Nonostante sapesse che Alexander non sarebbe stato lì ad assistere alla sua fine, sperò quasi di rivedere per l'ultima volta quei suoi occhi azzurro ghiaccio, così stranamente amichevoli per una creatura delle tenebre, completamente diversi da quelli di Gabriel. Mentre osservava la folla. Gli sembrò di scorgerlo, ma non poteva essere vero. Un'allucinazione, non può essere qui. Che motivo avrebbe?

La folla era diversa dal solito. Aveva assistito a molti processi, era stato lui stesso un inquisitore e il popolo era solito insultare e colpire con sassi e pietre il condannato, quel giorno, invece, era silenziosa. Intravide un bambino con un sasso, capì che avrebbero aspettato che fosse stato legato al rogo.  Chissà cosa gli avranno raccontato ... Sentì le corde che si avvolgevano attorno ai suoi polsi, poi un sibilo, seguito da un tonfo e un'imprecazione. Si voltò verso il bambino, aveva la mano tesa, ma il sasso non c'era più: lui non aveva sentito dolore ma si accorse che il boia accanto a lui era piegato su se stesso, con le mani premute sulla testa. La folla iniziò a urlare.

«Assassini!» le pietre volarono contro il boia, il Vescovo e le guardie, ma non sfiorarono chi attendeva di essere giustiziato. Fu l'istinto di sopravvivenza a prevalere, iniziò a correre andando verso Gabriel. Lo colpì con una spallata facendolo volare giù da patibolo. Non capì dove trovò quella forza, la disperazione forse, era distrutto ma riuscì ad allontanarsi, anche se sapeva che non sarebbe riuscito a sfuggire al Vescovo. Si era ormai addentrato nel bosco quando fu raggiunto. Non poteva avanzare oltre, era troppo lento e le mani legate non gli permettevano di mantenere un’andatura stabile. Si voltò per affrontarlo. Vide la lama argentea scintillare, la evitò per miracolo, ricevendo solo un piccolo graffio sul torace.

«Dove credi di andare?» Gabriel rideva. Le corde non erano state annodate bene, riuscì a liberarsi nonostante un braccio e una spalla rotti. Se doveva morire, il Vescovo, lo avrebbe preceduto. Dopotutto lui aveva combattuto per anni contro le creature dalla notte, mentre Gabriel era rimasto chiuso al sicuro nella sua abazia.

Il secondo arco scintillante non lo vide in tempo, la sua vista andava e veniva e questa volta la fortuna non fu dalla sua. La lama benedetta affondò nel fianco ma riuscì ad afferrare il polso che impugnava l'arma con l'arto sano, torcendoglielo, fino a spezzarlo. Il rumore secco che provocò la rottura dell'osso sembrò riecheggiare tra gli alberi, aumentandone l'intensità, accompagnato dall'urlo di dolore del proprietario dell'arto, ormai inutilizzabile. L'arma cadde a terra e fu lui a riprenderla mentre il Vescovo si teneva il polso dolente: lo provò a colpire ma aveva usato la maggior parte delle sue energie in quella presa. Il terreno cedeva sotto i suoi piedi e la vista continuava ad andare via a tratti: ogni centimetro del suo corpo urlava di dolore. L'unica cosa che lo faceva rimanere in piedi erano gli anni di addestramento e di caccia, sommati all’odio che provava per quell’uomo e il desiderio di vendetta nei suoi confronti. Decise di tentare la fuga un'altra volta, era l'unica cosa che poteva fare e non ci sarebbe riuscito ancora per molto tempo. Gabriel lo raggiunse facendolo finire a terra, nella lotta che ne seguì, riuscì ad affondare la lama nelle carni del Vescovo. Sentiva il calore del suo sangue scorrergli sulle mani, ma tutto era confuso. Per la terza volta riuscì ad allontanarsi, e questa volta non ci furono inseguitori. L'uomo alle sue spalle urlava maledizioni ma non gli interessava, voleva solo allontanarsi e morire in pace. Alle sue spalle l'abazia bruciava, la luce del fuoco gli illuminava la strada ma lui non ci fece caso.

Era strano ripensarci adesso, doveva aver camminato per molto tempo prima di cadere al suolo, dopotutto stava albeggiando, anche se forse aveva perso i sensi e non lo ricordava.

 

 

Fu appoggiato di nuovo a terra, l'aria era diversa in quel luogo, meno gelida, ma non ci fece caso, non poteva. Ormai non sentiva più nulla. Sentì qualcosa di caldo bagnargli le labbra, dita fresche gliele dischiusero prima di aprirgli la bocca e riversarono al suo interno un liquido caldo e denso, che scese lungo la gola bruciando. S'inarcò sul pavimento, con il corpo attraversato da spasmi e crampi. La pelle iniziò a tirare, le ossa scricchiolarono rumorosamente, come se fossero state sotto una pressa. Il sangue che scorreva nelle sue vene sembrava essere diventato metallo fuso. Provò a urlare ma non aveva più fiato a disposizione e il dolore era troppo intenso per poter essere espresso con un urlo.

Quella tortura sembrò durare in eterno, era abbandonato a se stesso, non c'era più nessuno accanto a lui. Restava solo il dolore a fargli compagnia.

Solo molte ore dopo riuscì a riprendersi: non faceva più fatica a respirare e la bocca sembrava essere guarita quasi completamente. Riusciva a muovere anche le braccia, o meglio, ci sarebbe riuscito se ne avesse avuta la forza. Sentì qualcosa di fresco appoggiarsi sulla sua fronte e quando aprì gli occhi, gli sembrò di intravedere due lievi bagliori azzurri.

«Alexander?» la sua voce era più simile al rantolo animale piuttosto che a un suono articolato. La risposta che la seguì fu più dolorosa di tutto quello che aveva subito fino ad allora.

«Perdonami Will, ma io sono egoista». Lo sentì sfiorargli le labbra prima che zanne acuminate affondassero nel suo collo, completando la trasformazione iniziata alcune ore prima.

 

   
 
Leggi le 8 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale > Vampiri / Vai alla pagina dell'autore: Nelith