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Autore: Depp is perfect    02/10/2013    1 recensioni
Chi non ha almeno un bel ricordo della propria infanzia? C'è chi associa ad essa un determinato profumo, posto, sapore, persona.
Elle nel suo passato ha già incontrato Johnny e gli ha voluto bene. Cosa succederebbe se si incontrassero di nuovo, dopo tanto tempo? E se il destino giocasse brutti scherzi?
Trasferitevi con noi, per qualche istante, nella piccola Owensboro di vent'anni fa e fateci sapere se vi piace! :)
Storia a 4 mani di Aishia e Princess of Dark
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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«A un mese dalla nascita va bene, no?». Alzai lo sguardo giusto in tempo per catturare l’occhiata fugace che la mamma aveva lanciato a Matt che se ne stava seduto sul divano accanto a me tutto preso dalla lettura dei giorni sul calendario mentre sul tavolino davanti a noi erano sparsi decine di cataloghi con i modelli degli inviti matrimoniali.
Lei non me la raccontava giusta: conoscevo bene mia madre e quelle occhiatacce significavano “è una cazzata ma è la tua vita e lascio che tu faccia le tue scelte, giuste o sbagliate che siano, per poi imparare a tue spese”. Non si poteva di certo dire che aveva fatto i salti di gioia alla notizia del nostro matrimonio e nemmeno aveva finto la più grande della felicità, anche se aveva emesso un’esclamazione di finta contentezza prima di abbracciarci e accogliere Matt come un membro definitivo della famiglia. Eravamo usciti dall’ospedale da qualche giorno con l’ordine assoluto di stare al riposo il più possibile e non subire danni da fattori esterni. Dovevo cercare di mantenere la calma più assoluta se non volevo che la bambina nascesse con mesi interi di anticipo.
«Matt, non puoi programmare tutto già da ora! Potrei partorire anche con una settimana di anticipo o di ritardo. Quando la bambina sarà nata, fisseremo la data», tagliai corto io e mi chiesi perché lui fosse così ansioso di buttarsi a capofitto nel giro di ordinazioni, prenotazioni e altre cose altamente stressanti e inutili come la scelta degli inviti.
«Altrimenti non ce la faremo a prenotare tutto in un solo mese…»
«…e allora ce ne prenderemo due! Questa tua fretta è insensata», dissi irritata, sistemando con fatica un cuscino dietro la schiena per stare più comoda. Tanto era inutile continuare a discutere con lui: era più cocciuto di un mulo e domani avrebbe ripreso il discorso lasciato in sospeso.
Non mi sembrava neanche di vedere più tutta questa necessità di un matrimonio: dopo il parto, Matt ed io avremmo in ogni caso vissuto sotto lo stesso tetto con o senza una fede nuziale.
«Okay, ho capito, tutti questi preparativi ti stressano. Non voglio metterti in ansia, ne riparleremo domani», sospirò alzandosi dal divano. Si chinò su di me per baciarmi la fronte e accarezzarmi il pancione che ormai era diventato una mongolfiera. Ecco, anche questo suo fare il saputello e fingere di conoscere bene ogni mio umore e sensazione era parecchio irritante.
«Ci sentiamo dopo», gli sorrisi, seguendo con lo sguardo mia madre che lo accompagnava alla porta. Li sentii salutarsi, poi calò un silenzio tombale in casa. Mia mamma spuntò come un fantasma, osservandomi a pochi passi di distanza con una strana espressione in volto e gli occhi da cerbiatto impaurito mentre mi fingevo indifferente facendo zapping tra un canale e l’altro.
«Cosa c’è, mamma?», le chiesi con tono indifferente e quasi lamentoso, senza staccare lo sguardo dallo schermo del televisore piatto.
«Mi preoccupi, Elle. A dir la verità quello che mi preoccupa di più è Matt. Si sta divertendo a fare il paparino della casa: non lo sa che mettere su famiglia non vuol dire scegliere gli inviti e far costruire dal falegname una culla nuova?». Le sue labbra si serrarono fino a diventare una fessura mentre si avvicinava a me e si sedeva sul divano alla mia destra.
Da quando avevamo scoperto della mia malattia e della bimba in arrivo, la mia vita era diventata un continuo  “tu non puoi fare questo e nemmeno quello”. Tutti credevano di sapere quale fosse la cosa migliore, senza contare il fatto che ormai da tempo non potevo pensare solo a ciò che era meglio per me ma dovevo pensare maggiormente alla piccola. Dovevo darle un futuro, delle certezze e a un domani senza paura. Se non avessi visto in Matt una persona responsabile e affidabile, pronto a donarle tutto l’amore possibile, non avrei impiegato due volte a lasciarlo.
«Matt è euforico perché è felice», tentai di difenderlo, alzando le spalle con nonchalance e sistemandomi i capelli dietro l’orecchio, in modo che non mi ricadessero dinanzi agli occhi.
«A me non interessa la felicità di Matt.  È te che voglio felice e, scusami, ma sembra che non t’importi un tubo del matrimonio»
«Ho solo voluto far felice Matt, okay? Sembrava che ci tenesse tanto a sposarmi e visto che avremo un figlio… beh, ho voluto accontentarlo». Quel tono d’indifferenza che usavo dava fastidio perfino a me e non osavo immaginarmi quindi la reazione in mia madre: ultimamente diceva che ero cambiata, che non ero più la stessa, che il mio carattere faceva sempre più schifo. Certo, prima ero più riflessiva e sempre meno indifferente, non prendevo sottogamba situazioni importanti come il matrimonio, non mi limitavo a vedermi scorrere la vita davanti agli occhi restando impassibile mentre ora sembravo totalmente diversa, se non l’opposto.
Ma, come si dice, l’esperienza cambia le persone.
Le delusioni ti fanno chiudere il cuore e aprire un muro davanti agli altri come per difenderti dal resto del mondo. Diventi fredda, cinica e distaccata come per non far vedere all’esterno tutta la tua sofferenza, come per non far trasparire al mondo che sei arrivata al punto di non ritorno.
«E che ne dici della solita frase “non si vive per accontentare gli altri”?», mormorò con tono deluso e nello stesso tempo colmo di rammarico. Sapevo cosa voleva dire. Io che avevo creduto sempre nell’amore e in un domani che adesso mi impauriva più che mai. Sapevo a cosa andavo in contro ma davanti a me vedevo solo un vicolo cieco, e la mia vita si indirizzava sempre più in una strada senza uscita. Sbuffai, innervosita e irritata, come se quella situazione non fosse già abbastanza, come se non ne fossi consapevole, come se fossi ancora una bambina che non aveva ancora imparato niente dalla vita.
«Smettila di fare la filosofa mamma!», borbottai infastidita. «Non lo faccio solo per accontentare Matt. Vi volete rendere conto che non sono più una bambina? E poi cosa cambia se lo sposo o no?! Saremo lo stesso felici e contenti… come in una fiaba»
«Cambia che il matrimonio devi celebrarlo con la persona che ami!», esclamò esterrefatta e prima che potessi aprir bocca mi fermò. «E, no, non raccontarmi la solita balla che ami Matt! Sei un’adulta, lo so! Ma lo sei diventata dal momento in cui tutto il male ti è piombato addosso e sei dovuta crescere così in fretta perché altrimenti saresti rimasta schiacciata. Elle, la bambina non sarà serena se non vedrà te felice per prima, non avrà mai delle basi sul vero significato della vita perché tu in prima persona non lo sai», aggiunse infine, boccheggiando, cercando di trattenere le lacrime. Le tremava la voce, anche se cercava distintamente di nasconderlo.
Non voleva guardare in faccia la realtà, quindi restai in silenzio per paura di peggiorare la situazione. Mi sentivo una stupida, soprattutto sui miei sentimenti, sapere di dover sposare Matt e non provare assolutamente nulla doveva pur dire qualcosa. Probabilmente a mia figlia non sarebbe mai mancato un padre ma non avrebbe mai capito il vero significato della vita. Non avrebbe capito cosa significa amare così tanto da non sentire più i piedi conficcati nel terreno, avere il cuore che batte così forte e baciare lentamente e con il cuore. Non avrebbe capito tutto ciò perché non avrebbe riconosciuto l’amore tra i suoi genitori.
«Non esiste l’amore», farfugliai infine, con le lacrime agli occhi. Tutte le visioni di principi azzurri, cavalli bianchi, principesse rinchiuse in castelli, presero fuoco, bruciando i miei sogni ingenui da bambina. Io, la ragazzina stupida che fino all’anno scorso credeva nel vero amore.
Mi portai le ginocchia al petto quel tanto che il pancione mi permetteva e nascosi il mio viso verso l’interno, ringraziando i capelli che mi scivolarono davanti al viso che non consentivano a mia madre la visuale dei miei occhi arrossati. Le sue mani si poggiarono sulla spalla e il braccio destro, accarezzandomi.
«Non ti sto incolpando di nulla, tesoro, e darti addosso è l’ultima cosa che voglio fare. Mi piacerebbe soltanto che… cazzo, vorrei vedere di nuovo i tuoi occhi brillare dalla felicità. Come quando stavi con Johnny, ecco, l’ho detto».
Ed io che mi ero illusa che le sue parole potessero essermi di conforto…
Scoppiai in lacrime, incapace di reggere quell’enorme fardello che avevo all’altezza del petto. Solo sentire il suo nome mi faceva morire, era troppo da sopportare.
«Doveva esserci lui con me in questa situazione di merda», singhiozzai, coprendomi con i palmi gli occhi e cercando di frenare le lacrime. Quanto volevo che Johnny fosse qui ora. Perché cazzo non era entrato nella mia stanza quel giorno in ospedale? Perché aveva lasciato che Matt facesse la sua proposta e che io acconsentissi?
Se avesse avuto le palle di entrare a quest’ora saremmo tutti in una condizione diversa. Ed io sarei stata felice di poter condividere la mia vita con lui, che per il momento mi era sembrata l’unica incarnazione del famigerato “vero amore”.
«Elle, magari puoi ancora salvare la situazione. Prendi tempo, la bambina starà bene indipendentemente dalle decisioni che tu prenderai». Cercai di mantenere la calma e rimanere più fredda e distaccata: l’unica cosa che volevo era distaccarmi anche solo per poco da tutti quei pensieri che mi stavano giorno dopo giorno logorando l’anima. Mi sentivo una bomba a orologeria pronta a scoppiare in ogni momento, non riuscivo più a mantenere quell’enorme peso che avevo nel cuore.
«Devo prendere una boccata d’aria». Mi alzai di scatto, dirigendomi di scatto verso la porta d’ingresso, sotto gli occhi allarmati di mia madre che era rimasta spiazzata da quel mio gesto improvviso. Avevo solo bisogno di un’ora, una sola ora, senza pensieri. Un’ora soltanto per distaccarmi dal resto del mondo, per rimanere da sola con me stessa e fare breccia nelle mie idee. Ora come ora avevo bisogno di riflettere e decidere sul da farsi.
Avanzai verso la strada, decidendo di non prendere la macchina: camminare mi avrebbe aiutato a schiarire i pensieri. Era tanto che non mi soffermavo a guardare quel che avevo in torno: le lunghe strade che sembravano non avere fine, il verde che ospitava fiori bellissimi e dal colore vivace ed esuberante e il loro profumo che sembrasse rinvigorire l’ambiente. Era tanto che non mettevo il naso fuori casa e mi concedevo al mondo. Molti erano gli sguardi di coloro che mi avevano vista crescere, soffermarsi sul mio enorme pancione. Mi sembrava quasi di non essere più io, di essere il mio ventre gonfio. Ormai io ero quella stessa vita che mi portavo dentro. Fra poco avrei stretto tra le braccia quella piccola bambina e ancora non avevo pensato nemmeno al suo nome.
Non seppi dire per quanto tempo camminai ma mi accorsi solo dopo aver visto la prima caffetteria di essere arrivata in pieno centro, senza nemmeno essermene resa conto.
Mi fermai dinanzi a una vetrina e vidi riflesso il mio sorriso imbambolato e gli occhi sognanti, mentre fissavo tutti quegli adorabili completini da neonato. Gonnelline, pantaloncini, golfini, body con orsacchiotti e pupazzetti vari, tutti così adorabili, così piccoli da farmi venire la voglia di comprarli tutti. Mi facevano così tanta tenerezza e quasi decisi a entrare, almeno per dare un’occhiata a qualche completo che le avrei fatto indossare per i suoi primi giorni di vita. Guardai più attentamente un piccolo pigiamino rosa con qualche fiocchetto sparso e mi avvicinai, appoggiando i palmi delle mani sul vetro, per guardare più distintamente. Una figura mi distrasse e, sempre attraverso il vetro, vidi un altro riflesso.
Il cuore mi salì in gola quando mi resi conto della figura al mio fianco. Come l’apparizione di un angelo, Johnny si piazzò accanto a me e si mise a scrutare la mia stessa vetrina, facendo finta di ignorarmi.
La mia prima reazione fu quella di voltarmi di scatto verso di lui, manco avessi avuto un miraggio, con il cuore che minacciava di balzare fuori dal petto. Sentii anche la bambina scalciare violentemente, come se si sentisse minacciata avendo percepito la mia agitazione.
«Ciao», fece Johnny, accennando un sorriso forzato, mantenendo lo sguardo piantato nella vetrina, anche se vedevo perfettamente che guardava la mia immagine proiettata sul vetro del negozio.
«Ciao», farfugliai confusa, con la bocca già secca per l’emozione, non sapendo che dire.
Rivederlo mi faceva sempre lo stesso effetto. Così bello da morire e il suo fare affascinante. Quel suo profumo che mi entrava sempre dentro l’anima, sempre pieno zeppo di collanine e tatuaggi, bracciali e il suo inseparabile cappello che lo rendevano unico.
Sospirò, facendomi sentire in imbarazzo quando si voltò verso di me, iniziando a scrutarmi a lungo, e si soffermò sul mio ventre rotondo. Guardai il suo viso tirato e le sue mascelle contratte, mentre i suoi grandi occhiali non mi permisero di vedere quello sguardo così carico di tensione. Poggiai una mano sulla mia pancia dura e gonfia, sorridendo imbambolata.
«Come state… come sta lui?», borbottò, facendo un cenno con capo alla mia pancia. Abbassai lo sguardo imbarazzata accennando un sorriso.
«È una lei», precisai, accennando un sorriso sognante.
«Oh», fece lui, alzando lo sguardo sul mio viso, fino a incrociare i miei occhi. Quando mi mancava quei suoi modi di fare, quel modo in cui si preoccupava senza farlo trasparire. Dopotutto faceva anche parte del suo lavoro.
«Matt ne sarà felice», ipotizzò, mettendosi le mani in tasca, chiaramente a disagio. Annuii ancora più imbarazzata, storcendo la bocca al solo pensiero.
«Tutti lo sarebbero al suo posto», la buttai sullo scherzo,cercando di sdrammatizzare e scaricare la tensione accumulata.
«E tu sei felice?», mormorò, scrutandomi ora nell’anima. Trattenni il respiro e restai a fissarlo perplessa, indecisa su cosa rispondergli. La cosa più facile da dire era sì, perché in realtà mi sentivo bene con me stessa sapendo che c’era la mia piccola a tenermi compagnia e che ormai non ero sola perché avevo una vita dentro di me che mi avrebbe amato intensamente.
«Certo!», esclamai con troppa enfasi che sembrò quasi una bugia. «Cioè… sono emozionata», balbettai e la voce mi tremò dall’emozione. Lui sorrise, dolcemente
«Sarai un’ottima madre»
«Tu dici?»
«Dico», annuì, togliendosi il cappello dalla testa e iniziando a rigirarselo tra le mani. «Mi sarebbe piaciuto… », accennò ma la sua frase morì sulle sue labbra e, sgonfiando i suoi polmoni pieni d’aria, cacciò via l’aria con sconforto. Cosa? Cosa gli sarebbe piaciuto? Era così difficile completare la frase? Per me non lo era: mi sarebbe piaciuto stringerti ancora perché non ti ho avuto abbastanza a lungo, mi sarebbe piaciuto presentare TE come mio ragazzo a mia madre, mi sarebbe piaciuto che tu avessi potuto condividere con me la gioia di un figlio… già, perché questa bambina doveva portare il tuo cognome, non quello di Matt.
«…mi sarebbe piaciuto che tra di noi le cose fossero andate diversamente e…». Si fermò di botto, accorgendosi probabilmente di stare mettendo troppa aria ai polmoni. «Non importa ormai, scusa, devo andare… ti faccio i miei auguri per la piccola», si affrettò a dire, sistemandosi nuovamente il cappello sul capo e facendomi un gesto con la mano, prima di voltarsi per andare via.
«Johnny?», lo chiamai, quando si fu allontanato di pochi metri da me. Si voltò e mi guardò interrogativo. «Sarebbe piaciuto anche a me», confessai. Increspò le labbra e mi sembrò quasi vederlo sorridere tra quella barba incolta. Chinò lo sguardo sulla strada e lentamente si voltò di nuovo indietro, andando via.
Non c’era bisogno di continuare quella frase per dire che lui ed io volevamo la stessa identica cosa, che ci sarebbero piaciute le stesse cose. Il suo sguardo era troppo malinconico, troppo devoto ai ricordi dei bei momenti che avevamo passato insieme. Quegli stessi momenti che avrei sigillato per sempre dentro il cuore, dentro la mia anima.
Era questo tipo di amore che avrei dovuto insegnare alla mia bambina. Quell’amore che ti ravviva l’anima e il cuore. Un amore che a noi faceva anche tanto male.




Ciao a tutte!!
Siamo tornate e ci scusiamo per avervi fatto attendere molto xD E' che siamo entrambe molto impegnate e diventa sempre più difficile "ritrovarsi" e discutere sulla storia ^^
Il capitolo, come voi stesse avrete notato, non presenta chissà quante novità e in realtà era più un capitolo di passaggio, giusto per "riempire" lo spazio di tempo che separa Elle dal suo parto.
L'incontro con Johnny ha sconvolto un po' entrambi e vi assicuriamo che il prossimo capitolo sarà ricchissimo di sorprese e colpi di scena: quindi vogliamo vedervi cariche e in tante!!
La fine si sta quasi avvicinando :(
Scusate se non abbiamo risposto alle recensioni, ci tenevamo ugualmente a ringraziarvi qui per il vostro umile sostegno <3
Baci, A&P <3
  
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