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Autore: Sheylen    02/10/2013    6 recensioni
Un barlume di speranza che si trasforma in orrore. Missing moment di una delle vite più tristi che zia Row ci ha raccontato.
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"Anche lei era un piccolo seme incantato che non sarebbe mai germogliato."
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Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ariana Silente, Kendra Silente
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
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Era notte fonda.
Ariana teneva gli occhi chiusi, sdraiata sul suo letto.
Faceva caldo, era estate, ma lei si teneva stretto il lenzuolo al petto. Era il suo scudo contro il buio, contro gli incubi. Anche se le tenebre calavano e i brutti sogni tornavano ogni notte, Ariana aveva bisogno di sentirsi protetta.
Un tempo non era così.
Se il buio diventava troppo cupo, le bastava chiedere ad uno dei suoi fratelli di fare luce con le loro bacchette fino a quando lei non si fosse addormentata, se invece un incubo le avesse bussato alla porta dei sogni, suo padre sarebbe subito venuto da lei, si sarebbe seduto sul suo lettino e le avrebbe accarezzato la fronte mormorandole parole dolci.
Ma i suoi fratelli erano a scuola. E suo padre era troppo lontano per venire vicino al suo letto.
Quindi la notte calò su di lei, e gli incubi si insinuarono nella sua mente.
Non vedeva nulla, sentiva solo voci. Le voci di quei ragazzi, quello che le avevano detto un pomeriggio di tanti anni prima, quello che le ripetevano ogni notte…
 
“Strega! Sei una strega!­”
 
Aveva ormai tredici anni. Se la sua strada non avesse mai incrociato quella dei Babbani, sarebbe entrata a Hogwarts, come Albus e Aberforth, e lì avrebbe conosciuto centinaia di ragazzi della sua età, studiato sui vecchi volumi dei suoi fratelli ed imparato a diventare una grande strega. Se la sua strada non avesse mai incrociato quella dei Babbani.
 
“Falle ancora le tue magie! Facci vedere i tuoi poteri!”
 
Ma i Babbani erano entrati nella sua vita, l’avevano stretta in pugno, sgretolata lentamente e poi gettata via. Avevano spento con una manciata di sabbia quella scintilla che era dentro di lei, quella scintilla che le permetteva di far sbocciare i fiori anzitempo, di far danzare i petali, di far brillare la rugiada del mattino, di compiere quelle piccole magie che possono far sorridere una bambina sola in una vecchia casa.
 
“Ti rinchiuderanno in una gabbia, come una bestia!”
 
Invece ora quella vecchia casa incombeva incontrastata su di lei, dal basso soffitto giungeva continuamente la minaccia di schiacciarla, di soffocarla e sbriciolarla. Le pareti ogni istante si stringevano intorno a lei, come intorno ad una bestia feroce si chiudono mura indistruttibili.
 
“Nessuno avrà pietà di te!”
 
Le mura non sono fatte solo per rinchiudere. Quelle mura erano fatte anche per nascondere. La sua vita era quella di una lebbrosa, celata agli occhi di chi non può che provare ribrezzo e una recondita paura, di chi non sa sprecare nemmeno uno sguardo di pietà verso chi precipita in un incubo.
 
“Sei malata! Sei un mostro!”
 
Ogni incubo, ogni notte, ogni istante, quelle voci le si aggrappavano addosso coi loro artigli. E pian piano si portavano via un pezzo di lei.
I piedini di Ariana scivolarono via dal lenzuolo, infilandosi delicatamente nelle babbucce bianche ai piedi del letto.
Aveva bisogno di una boccata d’aria fresca.
Attraversò la stanza e si sedette davanti alla finestra, spalancando le imposte. Il vento freddo entrò prepotente, scompigliandole i lunghi capelli sciolti sulle spalle: si agitavano disordinatamente, come i tentacoli di un mostro marino.
Ariana posò le mani sul davanzale, fissando intensamente un oggetto scuro.
Tanto tempo prima, suo padre aveva posato quel piccolo vaso esattamente lì. E sotto quella soffice coperta di terra aveva riposto un seme incantato, trovato in uno dei suoi viaggi. Gliel’aveva portato perché lei potesse usare i suoi poteri e scoprire quale fiore sarebbe sbocciato. Ma poi erano arrivati i Babbani. E il seme non era mai germogliato.
Ariana passò un dito sopra quella terra così fredda, così spoglia.
Anche lei era un piccolo seme incantato che non sarebbe mai germogliato.
Un fiore a cui avevano tagliato le radici ancor prima che sbocciasse.
Chinò la testa sulle braccia incrociate, stringendo il vaso in un triste abbraccio. Non voleva che il seme sentisse freddo, non voleva che si sentisse solo in mezzo a quel vento impetuoso.
Le sue labbra si mossero timide, ricordando le parole della sua ninna nanna preferita. Era quella che suo papà ogni tanto le cantava di nascosto, perché lui era un uomo e gli uomini non cantano le ninna nanne ai bambini. Nemmeno i bambini cantano le ninna nanne ai semi e, infatti, il suo era un canto sussurrato che solo il suo seme poteva sentire.
Qualcosa le sfiorò la bocca.
Ariana si ritirò spaventata, proteggendosi con le mani.
Aspettò che qualcosa le saltasse addosso, o la ferisse o peggio ancora la uccidesse. Passarono due, tre, quattro secondi.
La ragazzina aprì gli occhi, accorgendosi solo allora che involontariamente li aveva chiusi.
Non c’era nessun mostro, nessun demone.
Solo un piccolo stelo verde che spuntava timido dalla terra scura.
 
♦ ♦ ♦ ♦
 
Kendra Silente era seduta, i gomiti appoggiati alla tavola e la testa fra le mani.
Anche quella notte non era riuscita ad addormentarsi.
Si era girata migliaia di volte in quel letto freddo e troppo grande per lei, fino a quando non si era rassegnata ad alzarsi e prepararsi una tisana.
Le notti come quella erano le peggiori. Ogni oggetto, ogni rumore riportava la sua mente a Percival. Le domande affioravano, i sensi di colpa si facevano più acuti, i mille “se” tornavano a galla.
E non c’era nessuno ad offrirle un po’ di calore, se non la sua tisana.
Kendra sospirò. Doveva stringere i denti e tirare avanti. Non doveva pensare agli interrogativi, ma alle certezze.
Certezze come quella che Albus fosse il miglior studente di Hogwarts, come quella che Aberforth avesse una passione incondizionata per le capre, come quella che Ariana in quel momento fosse nella sua camera che dormiva.
Il cigolare di una porta la riportò alla realtà.
‹‹Mamma, devo andare da papà.››
 
♦ ♦ ♦ ♦
 
‹‹Ariana, torna a dormire. È notte fonda, ne riparliamo domattina.››
Sua madre probabilmente non era andata a letto. Aveva le palpebre appesantite dalla stanchezza, la voce impastata di chi è rimasto in silenzio a pensare per molto tempo.
‹‹Non voglio aspettare fino a domani. Devo andare da papà. Adesso.››
Le piccole dita di Ariana continuavano ad accarezzare il germoglio, sfiorandolo appena. In poche ore il fiore sarebbe sbocciato, gliel’aveva detto suo padre. Dovevano assistere a quel momento insieme.
‹‹Non si può andare da papà. Nessuno di noi può andare da papà.›› rispose Kendra, alzandosi in piedi. Si mosse verso la figlia con un braccio allungato, facendo come per accompagnarla nella sua camera, ma Ariana si scostò bruscamente.
‹‹Albus conoscerà di sicuro un incantesimo che mi possa portare da lui! Vado a Hogwarts a cercarlo!››
‹‹Tu non vai da nessuna parte!›› sentenziò la donna, corrugando la fronte. Indicò imperiosa la porta della camera alla figlia, guardandola bieca coi suoi occhi allungati.
La ragazzina rimase qualche secondo immobile. Non sarebbe tornata nel suo letto, non avrebbe posato di nuovo il vaso sul davanzale della finestra. Il fiore sarebbe sbocciato e suo padre doveva vederlo insieme a lei.
‹‹Mi spiace mamma, ma devo vedere papà.›› sussurrò, avanzando verso la porta d’uscita sicura di sè. Albus l’avrebbe aiutata e lei avrebbe raggiunto suo padre.
Avvertì un forte strattone all’altezza del braccio. Perse l’equilibrio, inciampò nella camicia da notte. Sentì i piedini che perdevano aderenza e atterrò sulle ginocchia.
Alle sue orecchie giunse il rumore di cocci frantumati.
Posò lo sguardo sul piccolo cumulo di terra.
Il ritmo del suo respiro aumentò.
Una vena le pulsava sulla fronte.
Il cuore batteva battagliero.
La furia le scorreva nelle vene.
Sua madre ancora osava tenerla stretta per il braccio.
La ragazzina si liberò, potente di una forza non infantile.
Fissò sua madre negli occhi, lesse l’improvvisa paura che cresceva.
Una forte energia la circondava, sbriciolando tutto quello che incontrava sul suo cammino.
‹‹Ariana, cerca di ragionare…››
Kendra Silente estrasse la bacchetta, puntandola in un gesto estremo contro la figlia. Mai sua figlia aveva perso il controllo così in fretta, mai aveva sprigionato tutta quella forza.
La ragazzina continuò ad avanzare, mentre le labbra della donna tremavano.
‹‹Bambina mia, ti prego torna in te!››
Tutto ciò che Ariana vedeva erano la bacchetta puntata contro di lei e le pupille dilatate di sua madre.
L’immagine del vaso frantumato balenò invasiva nella sua mente.
Sua madre ebbe il tempo di pronunciare un’ultima volta il suo nome.
Poi tutto divenne polvere.
 
 
‹‹Mamma?››
Non vedeva nulla, le girava la testa.
‹‹Mamma, hai ragione devo tornare a letto: ne parliamo domani di come andare da papà.››
Ricordava che il vaso si era rotto per colpa di sua madre, ma sapeva anche che questo non voleva dire che il fiore fosse morto. Gattonò fino al punto dove si ricordava di essere caduta e qualcosa di tagliente la ferì. Ariana si portò alla bocca il dito, succhiando le goccioline di sangue che si erano formate.
Scostò i cocci con attenzione, poi scavò un po’ in mezzo alla terra e tirò fuori il germoglio con le sue piccole radici. Lo avvicinò agli occhi per controllarne le condizioni: era un po’ ammaccato, ma ancora bello verde.
‹‹Mamma, non sono arrabbiata con te, il fiore può ancora sbocciare!››
Avanzò a gattoni in mezzo alle macerie del salotto, cercando di capire dove si era nascosta sua madre. In mezzo alla polvere, intravide una sagoma sdraiata.
‹‹Eccoti! Guarda che se eri offesa perché volevi vedere anche tu il fiore puoi venire con me da papà!››
Ariana le si avvicinò sorridendo.
‹‹Mamma, perché non ti alzi?››
Fu mentre parlava che vide che sua madre non era nascosta, ma schiacciata dalle macerie. Una grande voragine la guardava dal soffitto sovrastante.
Kendra Silente ricambiava quello sguardo freddo. I lunghi capelli neri la circondavano come una corona.
Ariana sentì gli occhi che diventavano umidi, mentre quel piccolo germoglio appassiva per sempre nelle sue mani.
‹‹Mamma…?››
 
♦ ♦ ♦ ♦
 
 
 

 
9° posto all' "Edite e inedite: non i soliti personaggi" di REAwhereverIgo
2° posto al contest "Arriva la sera" di Micol.EFP
  
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