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Autore: Koyuki chan    02/10/2013    2 recensioni
Nel mondo, purtroppo, esistono inferni reali, posti talmente riprovevoli e perversi da far rabbrividire il diavolo stesso. Posti dimenticati da tutti, persino da Dio. Posti in cui le persone hanno smesso di vivere da tempo immemore.
Questi luoghi sono disseminati quasi per tutte le terre, sono nascosti, bui, freddi e sporchi.
L’oscurità è talmente opprimente che puoi sentire il tuo stesso cuore esalare gli ultimi battiti. Ti spegni, muori. Infine rinasci a una nuova vita, che non ha nulla a che vedere con quello che eri prima.
Posti del genere ti trasformano per sempre, diventi solo uno di tanti.
Dimenticato. Un essere solo in mezzo a tanti altri esseri soli.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Yamato
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Naruto Shippuuden
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Questa è la mia prima fan fiction! Spero che sia di vostro gradimento. Un ringraziamento particolare va a Samurai Riku! La mia migliore amica, nonché maestra! La quale mi ha fatto tornare la voglia di scrivere e mi ha aiutata a destreggiarmi sul sito!
Buona lettura!
 
 
Nel mondo, purtroppo, esistono inferni reali, posti talmente riprovevoli e perversi da far rabbrividire il diavolo stesso. Posti dimenticati da tutti, persino da Dio. Posti in cui le persone hanno smesso di vivere da tempo immemore.
Questi luoghi sono disseminati quasi per tutte le terre, sono nascosti, bui, freddi e sporchi.
L’oscurità è talmente opprimente che puoi sentire il tuo stesso cuore esalare gli ultimi battiti. Ti spegni, muori. Infine rinasci a una nuova vita, che non ha nulla a che vedere con quello che eri prima.
Posti del genere ti trasformano per sempre, diventi solo uno di tanti.
Dimenticato. Un essere solo in mezzo a tanti altri esseri soli.
In un primo momento hai paura, un terrore cieco che ti mozza il fiato, come artigli gelidi che ti stringono i polmoni fino a spremerti tutta l’aria vitale.
In seguito arrivano la disperazione, le lacrime amare. Piangi talmente tanto e talmente forte che gli occhi diventano rossi e gonfi, le labbra secche e la gola ruvida come piena di spine. Le urla si potrebbero sentire a distanza di chilometri, se solo la gente volesse sentirle. Ti dimeni, fino a farti del male. Avverti l’avanzata inesorabile delle ombre intorno a te, ti senti avvolto dall’oscurità senza fine. Solo.
La speranza è quella che si accende dopo. La speranza che prende sembianze di preghiere, parole perse nell’aria velenosa. In quell’inferno abbandonato da Dio, chi vuoi che senta le tue inutili preghiere?
Poi? Poi arriva la rabbia. La consapevolezza che non uscirai da quel pozzo freddo e sudicio. La consapevolezza di essere solo tra i tanti, solo e dimenticato. La consapevolezza che nessuno ti verrà a cercare lì, perché non importi a nessuno. Devi badare a te stesso, devi accettare quello che ti sta succedendo.
E si arriva all’ultimo passo.
Il vuoto.
Perdi tutto. Ogni speranza, ogni desiderio, ogni immaginazione. Non senti più nulla, né rabbia né dolore. Non vuoi nulla, non pretendi più altro. Ti lasci scivolare in quel mondo di tenebre, accettando felicemente tutto quello che potrebbe capitarti.
Non ti rimane che attendere il giorno in cui finalmente morirai.
In questi luoghi d’inferno, ovviamente, ci sono anche persone che non sembrano perdere mai la voglia di lottare per la propria vita. Persone che mantengono il proprio carattere forte, esseri che nemmeno dovrebbero esistere, lottano per la propria sopravvivenza, sperando di uscire.
Se malauguratamente tu sei qualcuno di essi, a te toccano i dolori più crudi. Perché devi essere spezzato, piegato. Devi mantenere la testa bassa, la bocca chiusa, le mani a posto.
E per piegarti verrà utilizzato ogni mezzo possibile.
Non esiste pietà, non esiste perdono.
Esistono solo dolore e sangue.
 
Quegli occhi mi perseguitano.
Mi perseguitano nei miei incubi o quando chiudo gli occhi anche solo per un attimo.
Quei terribili occhi accompagnati a quell’inquietante ghigno.
Li sento, li avverto nel buio della mia stanza.
Mi guardano.
Mi osservano.
Mi analizzano.
So che sono lì, so che appartengono a lui.
E come ogni notte, tento di muovermi, ma non ci riesco. Qualcosa mi trattiene, qualcosa me lo impedisce. I miei polsi e le mie caviglie sono legate da cinghie.
Cinghie così strette da bloccarmi la circolazione e lasciarmi i segni.
Ferite che mai guariscono, rinnovate da sangue sempre fresco.
Ma non mi importa delle escoriazioni, non mi importa del dolore. Tiro, tiro con forza.. lascio che la disperazione mi doni la forza necessaria per strappare.
Non sono più in quel posto. Non sono più legato a quel lettino.
Sono libero, sono salvo, sono vivo.
Perché non riesco ad accettarlo?
Perché continuo a sentirmi in colpa per essere stato l’unico a salvarsi? Chiudo gli occhi e sento le loro urla, i loro lamenti, le loro preghiere.
Gridano, piangono, si disperano.. chiamano la loro mamma e il loro papà.
Sono tutti morti.
Tranne me.
Perché?
Perché a me questa maledizione? Perché io dovevo sopravvivere? Dilaniato dai ricordi e dal senso di colpa. Perché.. perché non sono riuscito a fare nulla per gli altri.
Durante la notte confondo realtà coi ricordi. Sono ancora convinto di essere, in quel posto. In mezzo a tutti loro.
Rivivo il loro dolore moltiplicato per cento.
Rivivo il mio dolore per un tempo infinito.
Non so come sono finito lì, ma avverto un pizzico sul braccio e poi il dolore comparabile a una puntura di zanzara.
E’ tutto buio. Sento solo qualcosa che mi entra nel braccio. Un liquido.
Si, perché mi hanno fatto una iniezione.
Brucia.
Apro gli occhi e li vedo.
I suoi.. sottili ed impenetrabili. Freddi, distanti.. ma divertiti. Hanno dentro di sé un desiderio morboso ed immorale.
Infine passa oltre, va dagli altri.
No, non devo lasciarmi ingannare. Sono solo ricordi, solo scherzi della mia mente.
Mi devo svegliare, devo aprire gli occhi.. ma ho paura.
Ho paura di vedere il suo viso perfido e crudele.
Pallido, come la morte.
Cattivo e velenoso, come un serpente.
Chiudo gli occhi, e cado nuovamente nei miei incubi.
 
Ricordo una stanza, mi sembra di essere tornato di nuovo lì.. mi basta alzare un poco la testa, per quanto le cinghie ai polsi e alle caviglie me lo permettono, e vedo la fila di lettini che si staglia alla mia destra e alla mia sinistra.
Quanti fossero non lo sapevo. Ma su ognuno di essi vi era legato un bambino o una bambina di età diverse.
Ai piedi del letto, un muro con tante lunghe finestre, oltre le quali si poteva notare una seconda stanza piena di macchinari e sostanze strane.
Non l’avevo notato subito, eppure era sempre stato lì. Lo vidi per la prima volta, vicino alle finestre, mentre mi fissava da oltre il vetro.
L’uomo era pallido, dai lunghi capelli neri. Un ghigno mellifluo stampato in viso, e gli occhi maligni.
Quegli occhi, gialli, tagliati da una pupilla stretta e verticale. Mi ricordarono subito gli occhi di un serpente, o di un gatto. Ma i gatti sono animali carini, quindi decisi che sarebbe assomigliato a un serpente.
Cattivo e velenoso.
L’uomo si allontanò dal vetro, così potei tornare con la testa sul cuscino.
E’ un incubo, solo un ricordo.
In alto, sul soffitto, c’era uno specchio che rifletteva tutti i lettini. Comodo, almeno non avrei dovuto sforzare il collo per vederci tutti.
Ho paura.
La sento avanzare con i suoi freddi artigli dentro di me. Risale dalle budella, fino allo stomaco facendomi stare male, infine riesce ad arrivare al cuore. Me lo stringe nella sua morsa, facendomi perdere qualche battito. Trova i polmoni e raggela anche quelli.. infine la testa, il cervello.
Vado in tilt, poi ricado nell’oblio, perché la paura è troppa.
E’ un completo delirio. Un viaggio delirante a ritroso nei miei ricordi.
Temo di impazzire.
Non riesco ad uscire da questa oscurità.
Cado sempre più giù. Nel vuoto buio e freddo.
Ma non riesco ad essere impassibile a quello che mi succede attorno.
Cinico e disfattista.
So che morirò.
Stanno morendo tutti, uno ad uno.
Toccherà a me, infine.
Lo so, me lo sento.
Così come sento il suo sguardo.
Svegliati!
 
Apro gli occhi e riconosco il soffitto di casa mia. Un’altra notte, un altro incubo.
I ricordi si risvegliano quando spero di rilassarmi dalle fatiche della giornata.. eppure è ancora buio, significa che la notte non è finita.
Osservo la mia stanza, e mi pare di vedere quegli occhi gialli.
Chiudo i miei.
Sono madido di sudore. Sento il cuore battere furiosamente nel petto.
Solo un ricordo, mi ripeto, solo un ricordo.
Lui non c’è. Lui se n’è andato. Lui non sa che sono vivo.
La luna è ancora alta nel cielo.
Ricado nel mio sonno agitato.
 
Sono rimasto solo in quella stanza.
Non sento più le urla degli altri bambini. Non sento più le lacrime, non sento più il dolore altrui.
Non sento le preghiere, non sento movimenti disperati.
Sono rimasto solo.
L’unico vivo.
Quegli occhi.. quelli sono lì a fissarmi con speranza da oltre il vetro.
Dio, non voglio. Non voglio restare vivo.
Lo prego di portarmi via con sé, prego che si prenda la mia anima, prego che mi faccia smettere di soffrire.
Ti prego, Dio.. se non vuoi mandare nessuno a salvarmi, allora portami via con te. Non lasciarmi qui. Non lasciarmi con lui.
Finalmente lo sento.
Quel dolore che ha fatto urlare gli altri prima di me, fino alla morte.
Quel bruciore, all’inizio solo un formicolio.. come tanti piccoli aghi che mi tartassano il cuore. Un dolore quasi piacevole.
Infine si intensifica.
Diventa bruciore, diventa fuoco.
Sento il cuore bruciare e gonfiarsi. Urlo.
Le mie grida di dolore e felicità risuonano nella mia testa. No, non starò qui. No, non ti darò questa soddisfazione, serpe!
I muscoli si irrigidiscono. Poi si piegano in modo innaturale.
Li sento come se si tendessero all’inverosimile per poi squarciarsi come carta.
Il dolore è intenso, mi pervade i muscoli, le ossa, gli organi, i polmoni.
Mi blocca il respiro.
Mi tendo e mi spezzo.
Quel crack risuona nella mia testa.
Il buio, finalmente.
La morte, finalmente.
La pace. Il silenzio.
Sono felice..
 
Ma il mio incubo non finisce.. o non sarei qui ora a riviverlo ogni notte.
Come una sorta di punizione.
Mi sveglio nuovamente. Non è ancora giorno.
So cosa è successo.
 
Il laboratorio segreto di Orochimaru fu scoperto dai ninja di Konoha troppo tardi. Tutti e 60 i bambini persero la vita dopo un lungo ed estenuante calvario.
Ma a morire, furono solo in 59. Uno si salvò.
 
Il mio cuore ricominciò a battere veloce nel mio petto, secondi dopo che i mostri avevano lasciato il posto.
Tornai alla vita con prepotenza. Non lo avevo chiesto, non l’avevo mai voluto.
Non aprì gli occhi.
Qualcosa dentro di me era cambiato.
Me lo sentivo dentro, nelle ossa.. nelle cellule.
Sentì delle voci lontane. Ovattate.
- Tutti morti anche qui!
- Perché fare una cosa simile a dei bambini?!
Mi sentì sollevare, ma ero troppo debole e dolorante per aprire gli occhi, mi sentiva leggero.
Volevo solo dormire. Volevo solo morire di nuovo.
Dio, perché ti prendi gioco di me?
- E’ vivo! Qui c’è un bambino vivo!
Mi sentì chiamare, e con forza aprì gli occhi.
Lo vidi.
Un angelo biondo e sorridente.
- Tranquillo è tutto finito! Mi chiamo Minato, sono un ninja di Konoha, adesso ti portiamo a casa. Come ti chiami?
- … T-tenzo..
Il giovane biondo mi sorrise, probabilmente per rassicurarmi, quindi mi tenne in braccio, aumentando la presa, come per evitare che sfuggissi ancora nel mondo dei morti.
Stranamente era quello che volevo.
Lui si guardò attorno. Osservò quei poveri bambini che non avevano potuto avere scelta.
Loro che avevano avuto la fortuna di morire.
Quel ninja probabilmente si sentì impotente di fronte a tutta quella cattiveria. Ma alla tristezza, si aggiunse la rabbia. Rabbia per quel mostro che aveva osato fare quello scempio.
- Sono tutti morti. Un solo sopravvissuto?
Una seconda voce si aggiunse, più giovane, anche se non troppo infantile. Era una voce quasi atona, senza sentimenti. Era una voce di qualcuno che voleva rimanere distaccato dal mondo.
Cercai di mettere a fuoco il possessore di quella seconda voce, incontrando gli occhi scuri ed inespressivi di un altro bambino. Più grande di me, ma pur sempre un bambino.
Lo osservai, in effetti non sembrava nemmeno un ragazzino..un uomo nel corpo di un infante.
Non lo conoscevo, ma lo avrei conosciuto.
Si chiamava Kakashi.
Lui riusciva a farsi scivolare tutto addosso.
Lui riusciva.
O era solo apparenza? In quel momento decisi che sarei dovuto essere come lui.
Perché per quanto quegli occhi neri volessero essere lontani, come i miei, io riuscivo a percepirne la sofferenza.
Aveva imparato a conviverci? Come?
E ogni notte, mi sveglio allo stesso punto.
Ogni mattina apro gli occhi, e l’ultima cosa che ricordo è il viso di Kakashi.
Quegli occhi.
Per questo ogni mattina mi sono alzato. Per questo mi sono fatto forza e ho continuato a vivere. Malgrado mi senta tutt’ora indegno di essere sopravvissuto, sono andato avanti.
Ho voluto fare il percorso di Kakashi.
Sono voluto diventare un Anbu, dapprima nella sua squadra.
Lui fu il mio Capitano. Lui mi allenò.
Così io compresi.
Compresi che per quanto lui si sforzasse di farsi scivolare tutto addosso, in fondo lui assorbiva ogni cosa attorno a sé.
Non intendevo aggravare il suo peso con i miei incubi, i miei ricordi.
Questi rimangono un mio segreto.
Così ogni mattina indosso la maschera. Una maschera che ho forgiato simile a quella di Kakashi, ma non uguale.
Una mia maschera, che ho costruito traendo ispirazione dalla sua.
Imparo a convivere col mio orrore.
Ho raggiunto Kakashi e sono diventano un suo pari.
E’ stata lunga e faticosa la strada, ma non devo abbandonarmi proprio ora.
Ho un nuovo nome. Non voglio che nemmeno Kakashi mi chiami ancora Tenzo.
Tenzo non esiste più.
Tenzo è morto quel giorno.
Tenzo e i suoi ricordi sono ormai lontani.
Ora sono un uomo nuovo, e farò di tutto per esserlo.
 
60 bambini divennero delle cavie.
Cavie che urlavano.
Cavie che piangevano.
Bambini privati della loro infanzia.
59 morirono.
Hanno sofferto. Hanno pregato.
Piccole anime volate in cielo.
Uno solo ne sopravvisse.
Era forte.
Era fortunato.
Condannato e dato in pasto agli incubi.
 
- Ora sono e sarò Yamato.
  
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