1899
Feliciano guardò davanti a sé: una pietra
tombale.
Poi guardò una sola delle due date su di
essa –e fu quella a fare male.
La lapide era per un uomo senza nome,
perché la Guerra si era portata via pure quello.
1899.
Si corresse: non un uomo, ma un ragazzino.
Colpa delle bombe, pensò. Non ci abitueremo
mai.
Non
bisogna abituarsi,
pensò.
La lapide tacque.
Di nuovo: -Perché sei morto?-
La lapide tacque ancora. Feliciano sapeva
che non fu perché essa non possedeva labbra.
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La scena si svolge nel 1919, ho immaginato,
nel periodo delle trattative a Parigi e dintorni, quando è stato il momento di
“tirare
le somme”.
Sperando di non aver scritto castronerie, s’intende.
Non ne posso più.
Voglio le ferie. La pensione.
Voglio un po’ morire.