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Autore: ninabites    03/10/2013    6 recensioni
"C’erano cose che avrebbe voluto dirle, se ne fosse stato capace.
Cato non era bravo con le parole, non era una sua prerogativa.
Era nato per distruggere, annientare, uccidere.
Era tutto ciò che potesse, dovesse, volesse fare.
Prima di lei.
Lei.
La sua Clove."

Gli ultimi pensieri di Cato, mentre gli ibridi dilaniavano il suo corpo e lasciavano liberi la sua mente, la sua anima e il suo cuore di volare verso di lei. Pensieri raccolti in una lettera che non verrà mai consegnata né mai aperta né mai letta.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Cato, Clove
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Le parole che non ti ho detto
 
Nota: accompagnate la lettura con "Skinny love" come sottofondo musicale.

Ci sono cose che vorrei dirti, Clove.
Mi conosci, non sono mai stato bravo con le parole.
Ricordi quando ci siamo incontrati per la prima volta, alla centro di allenamento del distretto?
Eravamo ragazzini, dei marmocchi spaventati eppure già consapevoli del nostro destino. Avremmo lottato, ucciso, vinto. Non si parlava d’altro: dell’essere dei valorosi volontari, eroici tributi, i favoriti, i vincitori. Quanto tempo abbiamo impiegato solo per rivolgerci la parola? Mesi, probabilmente. A me sembrava molto di più. Non ci erano permesse chiacchiere, figuriamoci il resto. Non eravamo nulla, l’uno per l’altro. Solo probabili nemici. Non ho mai capito quando hai smesso di essere nulla per me, so solo che un giorno ho realizzato che eri tutto. Il mio tutto. Ricordo che ogni tanto mi osservavi, mentre mi allenavo; mi scrutavi con i tuoi immensi occhi scuri come se fossi un bersaglio a cui mirare, addosso al quale scaricare i tuoi coltelli. Precisi e affilati. L’avevo visto in te da subito, il fuoco, quello vero, che ti bruciava dentro: avevi una sete di sangue degna di essere paragonata alla mia. Il rispetto ci era concesso e noi siamo partiti da lì: ci rispettavamo come avversarsi e dopo un po’ come alleati.
Ero un volontario, lo avevo sempre saputo: i miei familiari erano preparati a questo, io ero preparato. E tu invece? Ho visto il desiderio di offrirti volontaria morire ogni giorno di più. Spegnersi definitivamente quando ti ho rubato un bacio dietro l’edificio degli spogliatoi. Mi hai odiato per un tempo che mi è sembrato infinito; ma io ero troppo abituato alla rabbia, all’astio, all’odio per protestare. Perché mi hai odiato Clove? Credevi forse che fosse difficile solo per te? Credevi forse che io fossi pronto ad una cosa del genere? Credevi forse che io fossi preparato ad amare? Ci sono cose che ho imparato solo grazie a te. Con te.
Quando hanno fatto il tuo nome il giorno della Mietitura è stato tutto più chiaro: avevo un motivo per combattere, per sopravvivere, per uccidere, che non fosse per il semplice gusto di farlo. C’eri tu, minuta e apparentemente esile in quel tuo corpo ancora un po’ acerbo, che racchiudevi la forza di un uragano, la sete di sangue di assassino, il coraggio di una donna. C’eri tu, la ragazza con i coltelli. Non ho esitato un attimo: mi sono fatto avanti, mi sono offerto volontario come si aspettavano tutti. Anche tu, te lo aspettavi. Ma c’era qualcuno che conoscesse il reale motivo? Non lo facevo per la gloria, per l’onore, per la ricchezza o il potere. Lo facevo per te e, in fondo, anche per me. Tu eri mia e se non potevo tenerti con me allora avrei impedito a chiunque anche solo di sfiorarti.
Ti ho maledetta e non sai quanto, perché mi hai fatto aprire gli occhi su quell’esistenza che non mi apparteneva. Perché mi hai parlato di decisioni e destino, di futuro e promesse, di sogni e di speranza, senza neanche spiccicare parola. Ero io a leggere tutto nei tuoi occhi scuri, quando mi concedevo di perdermici. E tu? Ci hai mai pensato?
Mi hai reso debole, stupido. Ti ho odiata e maledetta per questo. Ti sei intrufolata nella mia vita e hai fatto di me un bersaglio.
Ero invincibile, credevo. Poi sei arrivata tu, la mia unica debolezza.
Non avrei potuto vincere, in ogni caso, sapendo che non saresti stata al mio fianco.
C’erano molte cose che avrei voluto dirti.
Quante volte ti ho ripagato con silenzi interminabili? Quante volte mi ci sono nascosto dietro?
Lo sapevi che avevo paura?
Tu ne avevi e non  me ne parlavi.
Anche tu ti nascondevi.
Ricordi quando ci rintanavamo ore ed ore al centro d’addestramento? Tirando pugni alle cose, colpendo qualunque cosa a tiro, conficcando coltelli e lame in oggetti irraggiungibili.
Seppellivamo tutto sotto massi di rabbia e rancore. Sprecavamo ore ad essere in collera l’uno con l’altro.
A volte urlavi, ricordi? Mi urlavi contro, affibbiandomi epiteti poco carini. Era tutta colpa mia, dicevi. Ricordi quando iniziasti un litigio perché avevo toccato i tuoi coltelli? Odiavi il fatto che ti prendessi in giro e ridessi quando ti alteravi per cose stupide. Litigavamo per cose prive di importanza per non affrontare il fatto che saremmo morti, entrambi. E soprattutto per non ammettere che non accettassimo l’idea di perderci.
Avrei voluto dirti che ogni volta che chiudevo gli occhi, nell’Arena, ripensavo alla nostra ultima notte insieme. Era la sera prima dell’inizio dei giochi e ci eravamo ritirati entrambi nelle nostre stanze senza neanche salutarci.
Tu non lo sai ma quando hai bussato alla mia porta io ero già là davanti. In piedi, con la mano sulla maniglia. Stavo venendo a cercarti. Ti sei intrufolata senza tante cerimonie, te ne stavi immobile, tra me e la porta chiusa, mi scrutavi con i tuoi occhi grandi e la testa alzata verso di me. Quante volte ti avevo preso in giro per la tua altezza? Ogni volta mi ripagavi con un calcio ben assestato alle parti basse. Quanto tempo abbiamo trascorso immobili, in piedi, inermi, davanti a quella maledetta porta prima che ti alzassi in punta di piedi e mi baciassi?
Non avevi paura, quella notte. Non avevi paura di me, di te, di noi. Di qualcosa che si avvicinasse alle emozioni, ai sentimenti. Non avevi paura dei nostri corpi vicini.
L’abbiamo trascorsa così, l’ultima notte: stretti in una morsa che avrebbe dovuto essere un abbraccio. Ricordi che non riuscivi a dormire? Non avrei dovuto farti entrare, lo sai. Alzarci il mattino seguente fu certamente più doloroso. Ma cosa importava? Nulla aveva più la stessa consistenza: la gioia, il dolore, la soddisfazione, la disillusione.
Ti ho tenuta con me finché ho potuto.
Ma tu eri testarda, eri intrepida, eri selvaggia.
Era quello che più mi attirava di te, lo ricordi?
Ma non ti bastava, non volevi startene con le mani in mano mentre io ti proteggevo le spalle.
Anche tu volevi proteggere le mie?
Abbiamo litigato, per l’ennesima volta. Ricordi? Io volevo proibirti di andare al festino alla Cornucopia ma tu non volevi ascoltarmi. Potevi farcela da sola, dicevi. E allora ti ho detto che avresti potuto arrangiarti da sola. Ti ho lasciato andare.
Non ho mai chiesto scusa né tantomeno credo di esserne capace.
Ma per quello che vale, perdonami.
Ho sbagliato in tante cose nella mia vita, la più grande è stata fallire nella missione più importante. Proteggere te. La tua voce che urla il mio nome mi risuona nelle orecchie e penso che sia una punizione giusta. Rivedo il tuo corpo immobile, i tuoi occhi spenti, il tuo cranio fracassato.
Sono arrivato troppo tardi.
Ho sbagliato tutto.
Avrei voluto dirti molte cose , Clove.
Non ho avuto tempo, non ho avuto coraggio.
Forse, lontano da qui sarebbe stato diverso. Avresti avuto modo di ascoltare tutte le parole che non ti ho detto. Ma quanto saremmo stati diversi noi?
Io ero solo un ragazzo nato per uccidere e tu una ragazza con i coltelli.
Eppure eravamo molto di più, almeno l’uno per l’altra.
Dovrei ringraziarti per avermi fatto capire che potevo essere qualcosa di più che una semplice pedina. Dovrei ringraziarti perché mi hai dimostrato che anche uno come me meritava di essere amato. Dovrei maledirti perché mi hai fatto provare qualcosa che non fosse odio, rancore, disprezzo, rabbia. Dovrei maledirti perché mi hai insegnato ad amare, seppur in un modo tutto mio.
Ora che è tutto finito, che sento la vita che mi abbandona lentamente, vorrei averti detto qualcosa che per altri sarebbe risultato più semplice, ma non per noi.
Io ti ho amato, Clove. Forse nel modo sbagliato, nel momento sbagliato, nel posto sbagliato. Forse non abbastanza.
Grazie per avermi fatto sentire vivo.
Grazie per essere stata l'unico spiraglio di pace in un mondo di guerra.

Angolo autrice: spero che questa one-shot vi sia piaciuta, personalmente non posso non shippare Clove e Cato. Dopo aver fantasticato un po' su una possibile e irrealizzabile storia tra i due, ecco cosa ne è derivato lol Ho cercato di dar voce al punto di vista di un Cato che abbia vissuto questa storia e poi la perdita di Clove, ho tentato di dar spazio al suo piccolo cuoricino sepolto sotto la corazza da assassino provetto <3 Spero di esserci riuscita e che vogliate farmi sapere cosa ne pensate, ergo recensite! 
-Nina

 

  
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