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Autore: Roxanne Potter    03/10/2013    1 recensioni
Un uomo, un prato abbandonato, un ricordo risalente a molti anni prima.
Tutto passa, pensò amaramente l'uomo mentre l'acqua gli scorreva addosso, sempre più pesante. La pioggia sembrava un eterno velo d'acqua sempre uguale, senza fine, ma non era mai la stessa; una goccia ti arrivava addosso e un attimo dopo non c'era più, era già scivolata via come gli era scivolato via dalle mani quell'amore che aveva creduto tanto intenso, eterno, perfetto; ma tutte le cose passano.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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La pioggia di quella notte autunnale cadeva leggera sulle strade della città addormentata, sui tetti delle case buie e con le tende tirate. L'uomo che camminava piano su un marciapiede, l'unica presenza umana di quello scenario desolato, ebbe un brivido di freddo e si strinse di più nel lungo cappotto scuro che indossava, maledicendosi ancora una volta per non aver portato con sé un ombrello.
Ma alla fine forse non era tanto male sentire la pioggia che, leggera, bagnava i suoi capelli e gli scorreva lungo i vestiti. Era quasi rilassante, camminare per le strade con il fragore ritmico dell'acqua nelle orecchie. Rilassante, dolce e soprattutto nostalgico, come si sentiva lui dentro.
L'uomo imboccò una nuova stradina e, dopo aver camminato per qualche minuto, si fermò davanti ad un cancelletto in ferro battuto, che circondava un vasto prato di erba incolta illuminato dalla pallida luce della luna. Si appoggiò lentamente al cancelletto e lasciò spaziare lo sguardo sul prato: fino a qualche decennio prima, era stato un elegante giardino ben curato, dove un po' tutti i bambini e i ragazzini del quartiere si ritrovavano per giocare. Chissà perché poi era stato abbandonato a se stesso, con le panchine di legno scheggiato e impolverato e l'erba fitta che cresceva quasi fino ai livelli del piccolo cancello.
L'uomo chiuse gli occhi e tirò un sospiro stanco, pregno di malinconia. Nella sua mente si stava già figurando una scena diversa da quella che si era presentava davanti al suo sguardo: un ricordo risalente a molti anni prima.

Adesso il cielo sopra di lui era azzurro, splendente del sole dell'estate, nuvole candide al posto delle stelle. L'erba era altrettanto selvaggia e incolta, ma il prato non era vuoto: c'erano due ragazzi, di non più di diciassette anni, uno biondo e l'altro dai lunghi riccioli castani, seduti all'ombra di un albero. Il biondo aveva tra le braccia una chitarra acustica, che suonava pizzicando distrattamente le corde con la punta delle dita; i suoi occhi erano tutti per il ragazzo seduto davanti a lui, che lo fissava a sua volta con l'ombra di un sorriso sulle labbra.
-Si sta benissimo qui.- disse a un certo punto il ragazzo bruno, sporgendosi per avvicinarsi di più a lui. -Vorrei poter rimanere qui per sempre.
Il biondo sorrise apertamente prima di posare un veloce, lieve bacio sulle labbra dell'altro.
-Intendi così come startene seduto sotto un albero ad ascoltarmi suonare la chitarra oppure come stare semplicemente insieme a me?
-Entrambe, anche se preferisco la seconda opzione.- rise il ragazzo bruno, poggiandogli delicatamente una mano sulla spalla, ma nei suoi occhi era passata un'ombra di serietà, quasi di preoccupazione.
-Tu pensi che ci riusciremo?- mormorò. -A stare insieme, intendo. Spesso ho una dannata paura che col tempo potrebbe succedere qualcosa tra noi, che potrei perderti del tutto.
-Non succederà.- lo rassicurò l'altro, mettendo da parte la chitarra per potergli afferrare liberamente le mani. -È da un'eternità che ci conosciamo e siamo ancora qui, non è mai cambiato niente. Tra al massimo un paio di anni ce ne andremo di qui – e con un gesto della mano indicò le file di case della città in lontananza – e ci faremo una vita. Siamo fatti per stare insieme. Non riesco a immaginare nessun altra persona a parte te, nessuna. Sei troppo importante.
I due ragazzi si erano scambiati un altro sorriso, il sorriso brillante e sicuro di chi è ancora giovane, pieno di sogni, certezze e speranze.

L'uomo riaprì di scatto gli occhi. Lo accolsero il prato abbandonato, il cielo scuro, la pioggia che si era fatta più fitta e gelida. Nessun sole d'estate, nessuna risata di adolescente, nessun suono di chitarra.
Le sue dita sfiorarono piano la fede d'argento che portava ormai da un paio d'anni alla mano destra. Un'ondata di nostalgia gli invase la mente, gli fece ricordare le sue giornate da adolescente passate con una chitarra tra le mani e le labbra del suo ragazzo sulle sue. Giornate in cui la vita gli era sembrava bellissima, perché era convinto che loro sarebbero rimasti insieme per sempre, che fossero troppo complementari, troppo giusti, per potersi lasciare.
Poi erano passati gli anni. Erano arrivati i litigi, le incomprensioni, l'indifferenza. Era arrivata una donna, e con lei la fede nuziale che ora portava al dito.
Tutte le cose passano, si erano detti il giorno in cui si erano lasciati, pur con le lacrime agli occhi e l'amaro nel cuore. Si erano detti che tutto passa, che il sole non può splendere per sempre, come possono credere due ragazzini inesperti della vita.
Tutto passa, pensò amaramente l'uomo mentre l'acqua gli scorreva addosso, sempre più pesante. La pioggia sembrava un eterno velo d'acqua sempre uguale, senza fine, ma non era mai la stessa; una goccia ti arrivava addosso e un attimo dopo non c'era più, era già scivolata via come gli era scivolato via dalle mani quell'amore che aveva creduto tanto intenso, eterno, perfetto; ma tutte le cose passano.
“Il sole non può splendere per sempre.” pensò l'uomo, voltandosi per tornare indietro, e improvvisamente un sorriso comparve sulle sue labbra quando ricordò l'indirizzo e il numero di telefono che il giorno prima aveva appuntato nella sua agenda. “Ma forse non può neanche piovere per sempre.”
Tutte le cose passano. Ma tutte le cose, in un modo o nell'altro, si possono sempre recuperare.

Note.

Questo racconto è nato come un compito di italiano (Poi la professoressa non me l'ha neanche chiesto.xD) che consisteva nel scrivere qualcosa che contenesse un significato allegorico.
Sinceramente non saprei dire se l'ho fatto bene o no, lol. L'allegoria dovrebbe essere: non possiamo dirci sicuri di nulla perché nella vita potrebbe succedere di tutto, (quasi) tutte le cose che da giovani ci sembrano così belle e perfette, le cose che noi crediamo che possano durare per sempre, alla fine passano.
Comunque visto che alla fine la prof non mi ha neanche chiesto il compito ho pensato di postare qui la storia, giusto per non farla languire sul quaderno. Spero vi sia piaciuta, a presto.;) (Naturalmente il titolo è preso dall'omonima canzone di George Harrison.)
   
 
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