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Autore: Naky94    03/10/2013    4 recensioni
Ci sono un lattante, un vulcaniano e un medico... no, non è l'inizio di una barzelletta extra-terrestre o quello che dovrebbe essere... è solo la trama, un po' strana di questa storia.
Ah, dimenticavo di dire che: il bambino è disperso su una delle navi stellari più potenti della flotta, il vulcaniano accusa strani malori e il povero dottore non sa cosa fare per salvare capre e cavoli.
Idealmente, sarebbe uno spin-off della shot "Sono un Dottore, non una bambinaia" di Nakahime, nella realtà non so cosa sia.
Genere: Commedia, Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: James T. Kirk, Leonard H. Bones McCoy, Spock | Coppie: Kirk/Spock
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Le Avventure di JJ & Co - Spin Off'
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Salve! Questa è la prima volta che metto piede nel fandom come scrittrice, e ho anche un po’ paura, ma ci tenevo a spiegare da dove è nata l’idea per questo Spin-off.
Sappiate che è tutta una vendetta contro Spock!!!
Tempo fa, si discuteva con Nakahime di quanto fosse “stupido” il suo Spock a fare quello che sta facendo; eravamo tutte e due arrabbiate con lui, e io volevo vendetta, così mi son detta, scriviamo qualche cosa per fargliela pagare. E così è uscita questa storiella che è il seguito ideale di “Sono un dottore, non una bambinaia” di Naka appunto.
E niente... tutto qua. Buona lettura!

 
Disclaimers: Quanto narrato non è mai avvenuto. Non scrivo a scopo di lucro e i personaggi citati appartengono a Gene, e in questo caso specifica a Naka per lo spin-off

 

 

 

A Spasso per l’Enterprise

 

 

 

 

 
Il turno del Signor Spock non sarebbe cominciato prima di un paio d'ore.
D'altra parte lui era già vestito e pronto a dare inizio all'ennesima giornata sull'Enterprise.
Prima di andare in plancia, però, voleva passare in infermeria e sincerarsi delle condizioni del capitano, trasformatosi in un bambino, da una settimana.
Arrivato nell'area medica, e trovatola vuota, si spostò nella stanzetta che le infermiere avevano preparato per il piccolo JJ; già sapendo che lì avrebbe trovato il dottor McCoy.
La porta della 'nursery' si aprì con un lieve fruscio ed una volta entrato Spock poté avere conferma delle sue previsioni.
McCoy era accanto alla culla di JJ, intento a sottoporre il piccolo a degli esami, mentre questo dormiva tranquillamente.
"Buongiorno dottore" sussurrò Spock, avvicinandosi lentamente.
Il dottore si girò appena verso di lui e, dopo avergli scoccato un sorriso beffardo, disse:
"Salve Spock! Solita visita di controllo?".
Il vulcaniano non rispose, non sollevò nemmeno il suo classico sopracciglio, mostrando così tutta la sua indifferenza alla domanda dell'amico.
La verità, però, era che da quando il capitano era stato magicamente trasformato in un lattante, lui era passato ogni giorno a trovarlo.
Certo, capitava pure che passasse l'intera notte seduto accanto alla culla, con il piccolo che gli dormiva fra le braccia; ma ora, con l'approssimarsi della nave alla Terra, non gli era stato più possibile dedicare tali attenzioni al capitano.
"Sono qui per sapere se ci sono progressi nelle sue condizioni, dottore" disse Spock, accennando lievemente con la testa alla culla.
"Già.... beh, controllo praticamente ogni ora e non cambia mai niente. Quindi direi di no." spiegò McCoy e avvicinò il tricorder all'infante, per controllare ancora una volta.

 
Vedendo che il suo compito lì era ormai finito, il primo ufficiale si diresse alla porta per andare in plancia.
Era quasi arrivato all'uscita quando le parole di McCoy lo fermarono.
"Sa, ieri ha chiesto di lei" disse teneramente il dottore.
Spock si fermò sulla porta, colpito da quelle parole, si girò impercettibilmente verso l'amico e questi continuò:
"L'infermiera Chapel ieri gli ha fatto il bagnetto. Sembrava si fosse divertito e che fosse felice, ma quando lei ha provato a farlo addormentare per la notte, lui ha cominciato a piangere, dimenarsi e gridare il suo nome." spiegò, accarezzando lievemente i ricci biondi del bel diavoletto.
Quando si girò a guardare Spock, il dottore rimase sorpreso. Certo non si aspettava di vedere il vulcaniano mostrare emozioni per una cosa come quella, ma ugualmente trovare il 'sangue verde' pietrificato sul posto, con lo sguardo fisso chissà dove, e le labbra leggermente aperte per lo stupore, lo lasciò turbato.
"Insieme alla Chapel ho dovuto faticare non poco per farlo addormentare. E nonostante questo sembra che il suo sonno si sia calmato solo qualche ora fa." continuò a spiegare il medico, nella speranza che Spock reagisse alle sue parole.
Ma quando questo non accadde, tentò un'ultima carta.
"Io non le chiedo di passare tutto il suo tempo con lui; solo, venga a trovarlo mentre è ancora sveglio, magari così si calmerà." e così dicendo sperò che l'amico accogliesse la sua supplica.
Il cuore del buon dottore aveva sofferto non poco nel non poter accontentare il piccolo Jim. lo aveva visto piangere disperatamente per più ore, senza smettere di gridare "Pok!".
Gli si era stretto il cuore a vedere il suo amico e capitano ridotto in quello stato, e aveva già deciso di parlarne con Spock. Poi, però, gli allarmi della nave avevano cominciato a suonare, comunicando all'equipaggio l'incombente minaccia -poi rivelatasi un campo d'asteroidi che la nave stava attraversando- e il dottore aveva capito che sarebbe stato meglio lasciare il primo ufficiale e facente funzione di capitano, lì dove era indispensabile che fosse.
Ma come far capire una cosa del genere ad un bambino di appena un anno?
Era impossibile. Letteralmente.
Così era dovuto tornare a tentare di consolare e calmare Jim, sperando che si addormentasse il prima possibile.
"Dottore sa perfettamente che, ora più che mai, il mio posto non è qui in infermeria, ma in plancia." furono queste le parole di Spock ad un McCoy ancora perso nei ricordi della sera precedente.
"So benissimo qual è il suo posto signor Spock, ma deve capire che qui si sta parlando di un bambino di un anno che non riesce a controllare le sue emozioni. E che non ci fa chiudere occhio la notte con le sue urla!!! Se lei è l'unico in grado di calmarlo, beh è suo dovere stare qui affinché tutto vada per il meglio e l'equipaggio riposi degnamente. Anche questo è un compito del capitano!".
McCoy si sentiva frustrato per quella situazione: in perenne lotta contro i mulini a vento, che in quell'occasione avevano preso le sembianze di un vulcaniano testardo e di un bambino capriccioso.
"Il capitano dovrà farci l'abitudine. Soprattutto dopo che avremo raggiunto la Terra." disse il primo ufficiale, ora girato a fronteggiare il dottore e con le mani allacciate dietro la schiena.
"Cosa intende dire?" ringhiò l'altro in rimando.
"Intendo dire che una volta sbarcati sulla Terra, sottoporremo il Capitano a tutti gli esami necessari per cercare di invertire il processo da lui subito. Ma se questo dovesse avvenire troppo lentamente o non avvenisse mai, l'Enterprise sarebbe costretta a ripartire senza il capitano Kirk e noi saremmo costretti a dirgli addio." spiegò diligentemente Spock.
McCoy boccheggiò, esterrefatto da quanto il vulcaniano aveva appena prospettato.
"Lei... lei vuole abbandonare quel bambino sulla Terra? Ma non ha un minimo di cuore!" urlò il dottore, correndo il serio rischio di svegliare JJ.
"Dottore sa perfettamente che noi vulcaniani non utilizziamo il nostro sistema cardio-circolatorio per...."
"Oh mi risparmi la lezione di biologia Spock!" McCoy interruppe l'amico "Non so come faccia, dopo che lo ha cullato tutte quelle notti, ad essere ancora così rigido e glaciale... e" le parole gli morirono in bocca quando, con la coda dell'occhio, vide Jim Junior muoversi agitato nella culla.
"Credo che per me sia arrivato il momento di andare. Il mio turno sta per iniziare e questa conversazione si è già protratta più del dovuto.
Con permesso, dottore..." e così dicendo, Spock uscì dall'infermeria senza voltarsi indietro.
Leonard lo seguì con lo sguardo fino a che la sua figura non si perse nel corridoio, sinceramente rammaricato di vederlo fuggire ancora una volta.
Come sempre aveva fatto, ogni qualvolta che i suoi sentimenti per Jim si risvegliavano.

 

 

* * *

La giornata sull'Enterprise era trascorsa con calma.
Niente attacchi Klingon, nessuna avaria al motore, andava tutto bene. McCoy, però, non riusciva ad essere del tutto felice di questa situazione.
Abituato alle avventure più assurde e complicate sapeva che, per trasformare una giornata perfetta come quella, in una praticamente disastrosa, serviva ben poco.
Nonostante ciò si era limitato a svolgere i suoi compiti da medico: aveva visitato i pazienti, si era aggiornato con gli ultimi trattati medici arrivatigli e, preciso come un orologio svizzero, ogni ora aveva controllato i parametri medici di JJ. Aveva sperato di vedere dei miglioramenti.
Durante l'ultimo controllo, quello delle 10:00, aveva trovato il piccolo sveglio nella culla che si guardava intorno alla ricerca di chissà cosa o chi, con un sorriso furbetto sul volto paffuto.
McCoy non riuscì a frenare un moto di tenerezza davanti a quell'immagine.
Vedendolo arrivare, il bimbo cominciò a battere le manine e a sbrodolare la sua solare risata.
Leonard si avvicinò e sottopose il capitano al consueto screening.
"Non è cambiato niente. Jim ma quando hai intenzione di crescere?" chiese al bambino, fintamente esasperato.
JJ ricominciò a ridere ed urlare "Boo!" sbracciandosi per essere preso tra le sue braccia.
Con Jim al petto, Leonard si diresse all'altro capo della stanzetta, dove era stato creato un piccolo recinto pieno di giochi. Vi depose il bambino e dopo qualche minuto lo vide gattonare verso un modellino in gomma dell'Enterprise.
Sicuro che da lì il piccolo non sarebbe mai potuto uscire, McCoy lasciò la stanza per andare a controllare i suoi malati.

 
Lo screening al piccolo delle 11:00 era saltato per colpa del guardia marina Fletcher che si era inavvertitamente chiuso una mano tra le porte del turbo-ascensore. Il dottore dovette quasi ricostruirgli tutte le ossa prima di poterlo mandare a riposo a tempo indeterminato, almeno finché non avessero raggiunto la Terra.
Con il problema di Fletcher risolto e lo screening delle 12:00 ormai prossimo, McCoy decise di anticiparsi coi tempi e di andare subito da Jim.
Entrato nella nursery, si diresse al recinto dei giochi, ma questo era vuoto e del capitano non c'era nemmeno l'ombra.
Preoccupato, si avvicinò alla culla. Probabilmente, pensò il dottore, un'infermiera aveva preso il bambino e lo aveva deposto lì per fargli fare un riposino.
Ma anche la culla era vuota. McCoy controllò dappertutto. Alzò le coperte, si piegò sotto la culla, rivoltò tutta la stanza, ma del piccolo JJ non c'era traccia.
Decise di chiedere all'infermiera Chapel. Premette il comunicatore interno all'infermeria e la chiamò.
"Signora Chapel! Qui McCoy, risponda!" ordinò molto agitato.
"Dottore mi dica. C'è un'emergenza medica col capitano? Ha bisogno d'aiuto?" rispose l'infermiera prontamente.
"No Christine, niente emergenza. Il capitano non si trova, saprebbe dirmi quand'è stata l'ultima volta che l'ha visto?" chiese, cercando di celare la paura crescente.
"Oh mio dio dottore! L'ultima volta che l'ho visto stava giocando tranquillamente nel suo recinto. Sarà stata un'ora e mezzo fa, credo." rispose Christine, sinceramente preoccupata.
"Ho capito, grazie per l'informazione. McCoy chiude!" senza neanche aspettare la reazione della sottoposta, Leonard tolse il dito dal comunicatore.
Dove si sarebbe potuto cacciare un bambino di quell'età? Si chiese il dottore, sempre più preoccupato.
Certamente una nave stellare non era il posto più sicuro per un bambino; con tutte quelle guardia marine maldestre che non avevano ancora imparato a maneggiare i phaser, o la gente che correva velocemente per i ponti spostandosi da una parte all'altra.
Ma non poteva cercare da solo il piccolo, gli serviva aiuto. E, purtroppo per lui, l'unico che avrebbe potuto aiutarlo era anche la persona a cui si era giurato di non chiedere mai soccorso.
Riluttante all'idea premette nuovamente il pulsante del comunicatore e vi parlò dentro.
"Sono il Dottor Leonard McCoy; plancia rispondete!".
La risposta si fece attendere e più il dottore aspettava, più la sua agitazione cresceva; ma quando, infine, ci fu risposta, McCoy gioì nel sentire la voce della persona che stava cercando.
"Qui Spock. Dottore cosa succede?". Leonard non se lo fece ripetere due volte e rispose impaziente.
"Spock, abbiamo un problema. Il capitano è scomparso!".

 

 

* * *

 

Il comandante Spock sedeva sulla poltrona del capitano.
La sua attenzione era in minima parte dedicata all'osservare le stelle che sfrecciavano davanti l'Enterprise a velocità di curvatura.
In verità stava ragionando su quanto potessero essere ripetitivi i compiti di un capitano, se non si presentava alcuna complicazione.
Aveva passato la mattinata a firmare rapporti, comandare ai vari timonieri di aumentare o diminuire la velocità della nave, o guardare le stelle senza poterle analizzare.
Non riusciva a capire come facesse Kirk a sopportare tutto questo, per di più con costante meraviglia, sebbene sapesse che lì fuori c'era un universo pieno di stranezze da analizzare e catalogare.
Più volte il primo ufficiale si era segretamente compiaciuto di poter avere a disposizione tutti quegli strumenti per le sue ricerche.
Nonostante questo, la logica impediva al vulcaniano di alzarsi dal suo posto per andare a lavorare al lettore.  Il turno alpha, però, stava quasi per finire. Mancavano solo dieci minuti.
Questo avrebbe permesso a Spock di lasciare la plancia e dedicarsi a ciò che più amava del suo lavoro come scienziato; gli esperimenti.

 
Spock non riuscì neanche a finire di pensare il concetto che nel lasso di pochi secondi accaddero tre cose:
la plancia rimase momentaneamente senza energia, per poi riprendersi come se niente fosse successo.
Il Vulcaniano sentì uno strano brivido freddo corrergli lungo la schiena. Brivido che non si permise nemmeno di attenzionare.
E, per finire, il suono di una comunicazione interna alla nave, fece sobbalzare tutti i presenti in plancia.
Mentre gli ufficiali si prodigavano per capire la causa del momentaneo black-out, Spock si mise in contatto con la sala motori.
"Qui Spock. Ingegnere Scott, risponda" intimò l'ufficiale, senza alcuna traccia d'emozione nella voce.
"Comandante, è tutto ok lì sopra?" chiese Scott col suo forte accento scozzese.
Spock inarcò un sopracciglio, registrando l'eccessiva informalità con cui il capo ingegnere gli aveva parlato.
"Scott mi faccia rapporto sul momentaneo black-out della nave" chiese il comandante.
"Oh quello! E' stato un semplice sbalzo di tensione. La mia bambina non ne ha risentito, non si preoccupi." a quelle parole, il vulcaniano dovette soffermarsi a riflettere.
Lui non era preoccupato. Come facente funzione di capitano era suo dovere accettarsi che la nave non corresse pericoli.
Allora, secondo quale logica o sensazione umana Scott aveva potuto trarre quella conclusione su di lui?
Ma non c'era tempo per simili quesiti; Spock doveva ancora prendere la comunicazione interna.
"Bene ingegnere. Se dovessero esserci problemi mi contatti subito. Spock chiude." premette il pulsante del comunicatore e si rivolse al tenente Uhura.
Nyota aprì subito la comunicazione e dagli altoparlanti in plancia si diffuse la voce di un preoccupato McCoy che chiedeva di parlare.
Spock non perse tempo prezioso e a sua volta rispose.
"Qui Spock. Dottore cosa succede?" e appena finì di pronunciare l'ultima parola un nuovo brivido freddo lo colpì. Ma anche questa volta il primo ufficiale lo ignorò.
"Spock abbiamo un problema. Il Capitano è scomparso!" urlò il dottore, e nel sentire quella frase, l'intera plancia si immobilizzò.
"Dottore, credo di non aver ben compreso le sue parole. Cosa intende per scomparso?" chiese il vulcaniano, palesando i dubbi generali.
"Intendo dire che non è più nella sua stanzetta. L'ho cercato dappertutto ma non riesco a trovarlo" spiegò McCoy ormai sull'orlo di una crisi di nervi.
Nel frattempo Spock poté sentire molti dei suoi sottoposti tirare un respiro di sollievo. Sebbene lui non riuscisse a condividere la loro stessa gioia.
"Ascolti dottore" disse, cercando di mantenere una voce quanto più posata possibile "lo cerchi al di fuori dell'infermeria, vedrà che non si sarà allontanato molto. E se fra due ore non dovesse ancora averlo trovato, mi ricontatti e organizzeremo una ricerca capillare in tutta la nave."
Ci fu qualche attimo di silenzio, poi la voce del dottore tornò tonante.
"No! Non se ne parla neanche." Spock, confuso da quelle parole, inarcò un sopracciglio ma non ebbe il tempo di chiedere spiegazioni, perché il dottore lo precedette.
"Spock lei non ha capito. Io non le sto semplicemente comunicando di quanto accaduto al capitano. Io le sto chiedendo di aiutarmi; quindi si alzi e venga qui!" urlò un furibondo McCoy.
"Dottore il mio posto è qui in plancia. Sa perfettamente che non mi è possibile allontanarmi." disse, cerando di mantenere una calma che stava minacciando sempre di più di abbandonarlo.
"Ma con che coraggio lei lascerebbe un bambino di un anno a vagare per una nave come l'Enterprise?" chiese il dottore ormai completamente fuori di sé.
Spock non seppe come rispondere. Le parole del dottore erano veritiere, e nel suo profondo sapeva di essere in ansia per il capitano. Ma c'era anche quella piccola parte nella sua testa che gli diceva che se fosse successo qualcosa alla nave mentre lui aveva lasciato la sua postazione, la colpa sarebbe stata interamente sua.
Mentre rifletteva sul da farsi, non si accorse che il tenente Sulu gli si era avvicinato, e quando questi gli parlò, Spock rimase sorpreso nel trovarselo così vicino.
"Comandante, il turno alpha finisce tra un minuto e io sono già pronto a sostituirla. Vada pure a cercare il capitano, noi ce la caveremo." e così dicendo il timoniere sperò che per una volta il comandante lo ascoltasse.
Spock ringraziò mentalmente la solerzia che Sulu mostrava nel suo lavoro e che lo portava a presentarsi in plancia svariati minuti prima dell'inizio del suo turno.
"Molto bene tenente. Ma riducete la velocità di curvatura a due. E chiamatemi subito se dovesse esserci qualche problema." così dicendo si alzò dalla sedia, lasciandola al sottoposto.

"Dottore mi dia un paio di minuti e sarò in infermeria." disse al comunicatore portatile e, dopo aver chiuso la chiamata, uscì dalla plancia.

 

* * *

 
In quello stesso momento, mentre Spock correva da McCoy, Jim si aggirava indisturbato per i corridoi della nave.
Il piccolo monello era evaso dal recinto dei giochi, arrampicandosi abilmente sulle pareti in legno, ed aveva poi gattonato fino alla porta.
Le porte della nave spaziale erano dotate di sensori di movimento, capaci di captare qualsiasi essere si avvicinasse loro.
Una volta fuori dalla stanzetta, Jim aveva impiegato qualche attimo per decidere dove andare.
Per la verità "decidere", nel suo caso, era una parola grossa. Aveva seguito, come sempre, il suo istinto e la sua curiosità.
Ricominciò quindi a gattonare con solerzia andando alla scoperta della nave.
Incredibilmente non trovò nessuno sul suo cammino, il che lo divertì non poco, facendolo scoppiare in grosse risate accompagnate da versetti gutturali d'apprezzamento.
Il primo vero problema, JJ dovette affrontarlo circa un'ora dopo la sua fuga quando, arrivato alla fine del corridoio, si trovò davanti le porte chiuse di un turbo ascensore.
Jim non sapeva ancora che per aprirle bisognava premere l'apposito pulsante; e se anche lo avesse saputo non ci sarebbe mai arrivato, non riuscendo neanche a stare ritto su due piedi.
Il piccolo rimase lì davanti, dubbioso sul da farsi con un'espressione tutt'altro che divertita.
Stava quasi per arrendersi quando, magicamente, le porte si aprirono. Probabilmente qualcuno aveva mandato il trasporto al suo piano senza accorgersene.
Felice di aver finalmente via libera, JJ entrò nella cabina e le porte gli si chiusero alle spalle.
Ora doveva solo mettere in funzione il trasporto. Ma come? In che modo avrebbe potuto superare l'ostacolo, se non riusciva neanche a ricordare i nomi delle persone che incontrava?
Era tropo piccolo! Un bambino come lui doveva solo pensare a rimpinzarsi di latte e biscotti e a passare il suo tempo a giocare coi i suoi modellini di gomma, o a farsi coccolare dalle tenenti.
Non doveva di certo scorrazzare per la nave.
Ma ora si trovava rinchiuso nel turbo ascensore e tutta la voglia di ridere e giocare gli era passata.
Aveva paura e faceva freddo. In più era tutto solo.
Voleva solo ritornare nella sua stanzetta e accoccolarsi nella sua culla.
"Baaaaaaa" urlò provando a farsi sentire da fuori, ma non funzionò.
"Baaaaaaaaa" riprovò ma ancora niente.
Stanco e sempre più affamato, si appoggiò alla parete ed iniziò a succhiarsi il pollice.
La fame, la paura e il freddo non fecero altro che incupire il morale già basso del piccolo, e alla fine scoppiò a piangere esausto.

 

 

* * *

 
Spock correva verso la sala ricreativa 6. Aveva già controllato la zona macchine ma di JJ nessuna notizia. Ora sperava che McCoy avesse avuto più fortuna di lui.
Erano ore che cercavano, senza un minimo di sosta.
Arrivato dall'amico chiese subito se avesse trovato qualcosa, ma quando questi scosse la testa, un nuovo brivido lo colpì.
Ormai ci aveva fatto l'abitudine ai brividi, ma ogni volta non poteva fare a meno di chiedersi il perché.
Perché sentiva quegli strani formicolii?
Avevano forse a che fare col capitano? E se sì, in che modo?
"Abbiamo cercato dappertutto, perché non lo troviamo?" le parole di McCoy interruppero i ragionamenti del vulcaniano.
"Non lo so dottore. Mi creda" rispose Spock con voce atona.
"Ha provato a comunicare con la plancia? Magari lo hanno trovato coi sensori".
Dopo la prima ora di ricerche cadute nel vuoto, Spock e McCoy avevano deciso di chiedere aiuto alla sala comando.
"Li ho contattati circa mezz'ora fa. Possiamo ritentare" disse il primo ufficiale.
"Benissimo. Provi, allora!" lo sollecitò il dottore.
Ma Spock non arrivò neanche a toccare il comunicatore, perché una fitta improvvisa al fianco lo lasciò senza fiato e lo costrinse a piegarsi su se stesso per alleviare il dolore.
"Spock cosa le succede?" urlò il dottore, spaventato dall'improvviso malore dell'amico.
Il vulcaniano boccheggiò qualche volta per poi ritornare alla sua usuale compostezza.
Si posò una mano sul fianco, lì dove si trovava il suo cuore, e lo sentì galoppare più veloce di quanto fosse normale per lui.
Dopo essersi ripreso, si concesse qualche attimo per analizzare quanto appena accaduto.
Non stava male fisicamente. Non era stanco, affamato o disidratato. L'unica ipotesi plausibile era che fosse stato colpito da una potente emozione.
Un'emozione talmente forte da fargli provare la voglia di scappare e nascondersi nella sua cabina; da fargli sembrare che le paratie intorno a lui gli si stringessero addosso. Da fargli sentire un nodo alla gola che non gli permetteva di parlare o respirare. L'unica cosa che avrebbe voluto fare, in quell'attimo di assoluta pazzia, era piangere. Piangere e disperarsi per essere solo, senza via d'uscita.
Il primo ufficiale si stupì non poco quando si rese conto di aver appena sperimentato un attacco di panico.
"Spock è sicuro di stare bene?" chiese il dottore preoccupato. Ma dal vulcaniano non venne alcuna risposta.
"Spock!" ritentò Bones, ma quando anche il secondo tentativo fallì il dottore decise di avvicinarsi all'amico.
"Oh mio Dio, Spock! Lei è completamente ghiacciato." esalò il dottore, dopo aver appoggiato una mano sulla spalla del vulcaniano.
"Cosa?" chiese l'ufficiale, ancora scosso e confuso.
"Venga, si segga e si appoggi alla paratia mentre io la controllo." e così dicendo prese il suo tricorder.
"Dottore non mi sembra questo il momento. Dobbiamo ancora trovare il capitano; soltanto allora potremo dedicarci alla mia condizione fisica" disse stoicamente il vulcaniano.
"E lei pensa veramente che io le permetterò di girare per la nave in queste condizioni? Si segga e si faccia controllare. Ordini del medico!".
'Ordini del medico' erano quelle le uniche parole a cui nessuno poteva opporsi, nemmeno il capitano, e Spock lo sapeva.
Arresosi all'evidenza dei fatti, si appoggiò alla paratia per poi farsi scivolare per terra.
Mentre McCoy lo analizzava, lui si permise di ripensare a quella strana giornata. Era iniziata senza intoppi, poi erano arrivati i brividi di freddo.
Spock non aveva mai provato una cosa simile, di questo ne era certo. Però un angolino della sua testa gli suggeriva che non era la prima volta che li vedeva.
Il primo Ufficiale decise di concentrarsi, chiudere gli occhi, escludere ciò che lo circondava e calarsi nel suo io più profondo, alla ricerca di quella informazione che ancora gli sfuggiva.
E così fece.
Si ritrovò a vagare in un mare di ricordi alla ricerca di una labile sensazione. Non c'era logica che potesse essere usata, questa volta. Spock non aveva il tempo di guardare tutti gli innumerevoli ricordi che la sua testa conteneva.
Dovette, quindi, affidarsi all'istinto.
Un piccolo trillo lo colpì quando si avvicinò ad un ricordo ed incuriosito vi entrò.
Vide una squadra esplorativa montare un campo base, su un pianeta in cui l'Enterprise doveva compiere delle esplorazioni.
Nel suo ricordo, lo sguardo del primo ufficiale si posò sul capitano, il quale a sua volta stava osservando la lussureggiante flora del pianeta di classe M.
Il suo doppio si soffermò a guardare la figura del capitano e si stupì quando notò l'impercettibile tremore scuotere l'oggetto della sua attenzione.
Incuriosito si avvicinò lentamente.
"Capitano mi permetta di chiederle il motivo per cui sta tremando" disse la sua copia pacatamente.
Il capitano dapprima si girò verso di lui abbagliandolo col suo sorriso e poi rispose:
"E' adrenalina Spock. Quell'euforia che ti prende quando hai la possibilità di esplorare e scoprire qualcosa di nuovo." spiegò pazientemente Jim, già sapendo che il suo vice non avrebbe capito appieno.
E Spock non aveva realmente capito, non fino a quella mattina, almeno. Il problema, però, era che quando i brividi erano arrivati lui non stava 'scoprendo' proprio niente.
"E' strano. Molto strano." disse Leonard, interrompendo i ragionamenti del primo Ufficiale.
"Cosa, è strano dottore?" chiese Spock con una malcelata nota d'irritazione nella voce. Stavano già perdendo troppo tempo.
"La sua temperatura. Il tricorder segna che essa è tale da rispettare i criteri della biologia vulcaniana; eppure se io la tocco lei è completamente ghiacciato, quando invece dovrebbe essere l'esatto contrario." spiegò brevemente McCoy.
"Questo perché, dottore, io sto bene. Esattamente come le avevo precedentemente detto." e così dicendo si alzò e ricominciò a camminare.
"Ora se vuole cortesemente smettere di sprecare tempo, la ringrazierei se mi aiutasse a cercare il capitano." aggiunse Spock, già alla fine del corridoio.
"Diavolo di un vulcaniano testardo! Può negare quanto vuole ma io non ci vedo chiaro." borbottò Leonard prima di incamminarsi dietro l'amico.

 

* * *

 
JJ si svegliò solo e sudato, ancora rinchiuso nel turbo-ascensore.
Doveva essersi addormentato mentre ancora piangeva, perché non ricordava di averlo fatto.
Si sedette meglio e si guardò intorno, per ritrovarsi ancora da solo.
Un nuovo fiotto di lacrime minacciò di uscire quando si rese conto che probabilmente non sarebbe mai riuscito a compiere la sua missione.
Voleva solo giocare un po' con Spock. Magari anche guardare le stelle insieme.
Era chiedere troppo?
Ma così rinchiuso, dubitava che ne avrebbe avuto l'occasione.
Il suo amico dalle orecchie buffe gli mancava. Era da un po' che non lo incontrava.
Quando chiedeva di Spock al dottore, lui gli rispondeva che il vulcaniano passava alla fine o prima che iniziasse il suo turno in plancia.
Ma Jim non poteva vederlo, perché a quegli orari dormiva.
Una sera aveva fatto i capricci e aveva sperato che il vulcaniano sarebbe arrivato a salvarlo dal brutto Boo urlante, che non faceva altro che sgridarlo, ma non era successo.
Pok si era sempre dimostrato gentile con lui, a differenza dell'altro puffo azzurro che lo tormentava con uno strano strumento pieno di lucine e suoni strani.
Ora gli mancava il suo amico, con le sue orecchie a punta che avrebbe tanto voluto mordicchiare.
Voleva stare appeso al suo collo, libero di potersi beare del suo profumo così simile ai biscotti che la Chapel metteva nel suo biberon.
Voleva dormire accoccolato a lui, con una mano poggiata al suo torace per sentirne il calore. Si sentiva protetto in quei momenti.
Voleva solo rivedere il suo amico! Ma come fare a liberarsi da lì?
Tutti i tentativi fin'ora fatti erano andati nel vuoto.
JJ si guardò ancora una volta intorno. Questa volta il suo sguardo si fissò su un grosso pulsante rosso.
Era grande e colorato. E a Jim piacevano le cose grandi e colorate. Proprio come Spock, un grande puffo azzurro.
Si avvicinò sotto il pulsante e provò ad afferrarlo con le manine grassocce.
Ma era troppo in altro; seduto non ci arrivava.
Si appoggiò alla parete e piano piano sostenendosi ad essa provò a mettersi in posizione eretta. Il pulsante rosso sempre ben visibile davanti a lui.
Provò a stendersi un po' di più ma le gambine gli cedettero e ricadde seduto, sbattendo il sederino. Fortunatamente il pannolino attutì la caduta.
Guardò di nuovo il pulsantone rosso e decise che sì, poteva riprovare.
Puntellandosi con le mani sulla parete, riprovò ad alzarsi. Era arrivato a metà strada quando le gambine ricominciarono a tremargli per la stanchezza, non aveva ancora imparato a camminare in posizione eretta. Quelle erano le prime prove.
Con caparbietà, Jim riuscì a mettersi in piedi e con un ultimo sforzo riuscì a premere il pulsantone rosso, che si accese e cominciò a lampeggiare.
Stanco ma felice, il piccolo si lasciò ricadere in basso e batté le mani, sbrodolando allegre risate.
"Destinazione selezionata: Ponte di comando" fu la voce robotica che fece fermare le risate.
Inconsciamente, Jim aveva premuto il tasto di emergenza che riportava automaticamente il trasporto al livello del ponte di comando, per permettere agli ufficiali una fuga più celere.
JJ poteva già sentire una leggera vibrazione nel pavimento sotto di lui, segno che si stava muovendo.
Per lo stupore non si accorse che l'elevatore aveva già finito la sua corsa e quando le porte si aprirono, indicandogli la libertà, si affrettò a gattonare fuori, prima che queste si chiudessero.
Era già praticamente uscito quando le porte si chiusero portando con loro un lembo della tutina gialla di Jim, bloccandolo ancora una volta.
Il piccolo sbuffò infastidito; mai che gliene andasse bene una!
Arrabbiato con la sua tutina, iniziò a tirare per liberarsi.
Gattonò lentamente in avanti e quando la tutina cominciò a tirare nel senso opposto, lui mise quanta più forza gli fosse possibile per continuare a procedere.
Impiegò un paio di minuti per tutta l'operazione; ma quando la tuta si strappò, il contraccolpo lo spedì su una grata per il passaggio dell'aria che gli provocò delle escoriazioni al visino, alle mani e alla coscia, ora scoperta a causa dello strappo.
Dolorante, JJ gattonò per il corridoio senza permettersi di versare una nemmeno una lacrima. Non era il momento, doveva continuare l'esplorazione della nave!
Arrivato alla fine della strada trovò un'altra porta che questa volta si aprì automaticamente, con un fruscio talmente basso che gli ufficiali dall'altra parte nemmeno lo sentirono.
Ciò permise al capitano di entrare indisturbato e di gironzolare per la plancia.
La sua delusione fu non poca quando capì che dal basso del pavimento non sarebbe riuscito a vedere niente.
Girò un po' per la plancia fino a trovare la poltrona del comando, vuota.
L'imbottitura in pelle aveva veramente un'aria morbida. E a lui il morbido piaceva, era come la sua culla dove gli piaceva tanto sonnecchiare.
Provò quindi ad arrampicarsi sulla poltrona, ma era davvero troppo alta.
Per la rabbia si lasciò andare ad un versetto talmente stridulo che fece girare, verso di lui, la maggior parte dei presenti.
"Capitano!" fu l'urlo del tenente Uhura che spezzò il silenzio.
Sentitosi chiamato in causa, il capitano si girò e sorrise amabilmente.
Quello che successe dopo, JJ non lo capì del tutto, dato che fu tutto troppo veloce.
In un batter d'occhio Uhura, Sulu e Checov furono su di lui. Lo presero, lo misero a sedere sulla poltrona e lo bloccarono con le cinture di sicurezza, perché non cadesse. Poi iniziarono a tempestarlo di domande.
Domande a cui Jim non poteva, non sapeva e soprattutto non voleva rispondere. Non aveva fatto tutta quella strada per farsi rimproverare da tutta quella gente. C'era già Boo per quello.
Cominciò a sporgersi, per quanto gli fosse consentito, alla ricerca del suo amico puffo.
Ma quando non lo trovò, non ci mise molto per zittire tutti quanti e chiedere angelicamente:
"Pok?"
Nessuno rispose, ma Sulu diede ordine al tenente delle comunicazioni di contattare il comandante.
E lei obbedì prontamente.

 

* * *

 
Spock e McCoy stavano attraversando un ponte della nave. Improvvisamente il primo ufficiale si bloccò.
Bones, che lo seguiva, per poco non gli sbatté contro.
"Ma le pare questo il modo di fermarsi?" chiese alterato il dottore.
Spock non rispose. In effetti la domanda di McCoy non era neanche giunta alle sue orecchie.
Un altro rumore aveva messo in allarme il suo sistema uditivo.
Aveva percepito un labile suono, come di pianto. Ma era troppo lontano per poter capire chi fosse.
Il vulcaniano ne era certo. Qualcuno, nella nave, stava piangendo.
Sapendo che gli umani erano un popolo dedito a questo tipo di sfogo, soprattutto se in situazioni di disagio, non si preoccupò molto di ciò che aveva sentito.
Sebbene, nel momento stesso in cui le sue orecchie avevano captato il pianto, Spock avesse sentito una stretta ingabbiargli il cuore.
"Ho creduto di sentire qualcosa, dottore" spiegò ad un incredulo McCoy.
"Ma non era niente. Su, continuiamo a cercare il capitano." disse, per poi ritornare ad addentrarsi nella nave.
Dovevano ancora controllare gli alloggi.

 
Il dottore e il primo ufficiale stavano controllando la cabina di quest'ultimo, quando Spock ebbe l'ennesimo malore.
Accusò un forte dolore al braccio destro.
Talmente forte da impedirgli di muoversi e costringere il dottore ad aiutare l'amico a sedersi su una sedia lì vicino.
Subito, senza neanche proferire parola, Leonard cacciò fuori il suo fedele tricorder per analizzare l'amico.
"Anche questa volta niente. I suoi valori sono tutti nella norma. Non c'è una lesione, non c'è un malfunzionamento organico o neurologico. Non c'è assolutamente niente!" spiegò Bones esasperato.
Spock lo guardò dubbioso. Era strano che il tricorder del dottore fallisse, o che McCoy non riuscisse a fare una diagnosi; ma così era.
"Non si preoccupi per me. Continuiamo la ricerca." disse, cercando di alzarsi. Ma Bones lo trattenne con una mano sulla sua spalla.
"Apprezzo che lei voglia trovare il capitano anche a discapito della sua vita, ma quando tutto questo sarà finito, sappia che la rinchiuderò in infermeria e non uscirà finché non avremo capito cosa le provoca questi disturbi." asserì il medico, con convinzione.
Spock avrebbe voluto protestare, ma per una volta accettò le premure dell'amico e lo ringraziò con un semplice gesto del capo.

 
Fu una mezz'ora dopo che ricevettero la comunicazione.
"Comandante Spock, qui tenente Uhura. Risponda signore." gracchiò il comunicatore.
"Tenente cos'è successo? C'è un'emergenza?" chiese il primo ufficiale con la sua solita freddezza.
"No comandante, è tutto nella norma. In verità si tratta del capitano. E' qui, in plancia." spiegò la tenente, con una nota di incredulità nella voce.
McCoy e Spock rimasero senza parole. Come aveva fatto un bambino di quell'età ad arrivare in plancia? I due ufficiali non seppero darsi risposta.
"Comandante vi stiamo aspettando. E se con lei c'è anche il dottore, gli dica di portare il kit del primo soccorso." aggiunse Uhura, prima di chiudere la comunicazione.
"Quel gran figlio di..." sospirò Bones, ancora incredulo "mentre noi perlustravamo la nave alla sua ricerca, lui se ne andava in plancia. Non cambierà mai! Sempre a pensare alle stelle." aggiunse, per poi abbandonarsi ad una risata isterica, in cui riversò tutta la preoccupazione fino a quel momento accumulata.
Spock intanto era ancora bloccato. Il suo cervello era rimasto ancorato alle parole 'Il Capitano è in plancia’ . Saperlo in salvo gli aveva tolto un gran peso di dosso.
Ma ora non sapeva cosa fare. Se correre in plancia per accertarsi che il tenente avesse detto il vero o restare con McCoy e passare prima in infermeria.
Fortunatamente per lui, ci pensò il dottore a decidere.
"Spock lei vada pure. Ci penserò io a prendere il kit." disse sorridendo.
Il vulcaniano accettò di buon grado la scelta dell'amico; salutò con un cenno il dottore e si avviò verso la plancia.
Il dottore aspettò qualche attimo in più. Per poterlo vedere andar via.
Non gli era sfuggito il sospiro di sollievo di Spock quando Uhura aveva detto che Jim era salvo.
Come non gli era sfuggita l'impazienza del primo ufficiale dopo che la tenente aveva chiuso la conversazione.
Per questo aveva preferito mandare avanti Spock. Per poter dare qualche attimo di pace a quei due gran testoni.

 

* * *

 
Spock si avvicinò trafelato al ponte di comando. La logica gli aveva impedito di correre, ciò nonostante il suo passo era stato più veloce del solito.
Non se lo sapeva spiegare ma era pervaso da un grande senso d'aspettativa; come se dietro quella porta ci fosse il più grande tesoro del mondo.
Il che, pensò, era altamente illogico dacché lui aveva già tutto quello che potesse desiderare: il suo lavoro di scienziato, la possibilità di viaggiare ed esplorare fra le stelle...
Arrivato alla porta, percepì nitidamente il suo cuore accelerare i battiti e questo era strano; non gli era mai capitato prima. Neanche durante il peggiore attacco alla nave.
La porta si aprì sibilando e il primo ufficiale poté finalmente entrare.
"Comandante sul ponte" fu il benvenuto del tenente Sulu.
Saluto che venne ignorato dal vulcaniano che, istintivamente, si diresse alla poltrona di comando. Se c'era un posto sulla plancia, in cui trovare il capitano, era sicuramente quello.
E così fu.
Spock trovò il piccolo intento a guardare le stelle con stupore.
Aveva la boccuccia rosea leggermente aperta in un 'Oh' muto di meraviglia. I suoi occhi color del miele erano sgranati e limpidi, perfetto specchio di quanto il piccolo stava osservando.
Inconsciamente JJ si era sporto verso le stelle, ma le cinghie di sicurezza gl'impedivano di cadere.
Davanti a quell'immagine Spock non seppe come reagire. La logica gli diceva che era normale: il capitano che guardava le stelle. Il suo cuore gli diceva che quello era ciò per cui viveva e lottava ogni giorno. La logica ritornava a ricordargli che forse, aveva ragione il dottore e doveva solo concedersi un po' di riposo.
Spock non diede ascolto a nessuna delle due parti, si limitò semplicemente a guardare senza neanche muovere un muscolo.
La magia del momento si spezzò quando JJ si girò alla sua destra e lo vide.
Dapprima il bambino si limitò a guardare il primo ufficiale, poi si aprì in un sorriso meraviglioso e alzando le braccine fece segno a Spock di prenderlo.
Fu quello il segnale che fece risvegliare il comandante. Sciolse le cinghie e prese il piccolo con sé. Quando arrivò tra le braccia del vulcaniano, JJ gli buttò le braccine al collo e cominciò a piangere.
In quello stesso istante Spock venne travolto da un'orda di emozioni. Sentì la gioia per avercela fatta; l'enorme paura di rimanere solo e di non riuscire nel suo compito. Poi l'amarezza e il rimpianto per non poter più comandare l'Enterprise.
Quest'ultima emozione fu un campanello d'allarme per Spock, ma ci badò poco perché un'altra cosa lo incuriosì maggiormente.
Si sentì chiamare. 'Pok!', il nome risuonò chiaramente nella sua testa. Ma il capitano stava ancora singhiozzando e non riusciva a parlare.
Fu quello che fece capire al vulcaniano da dove provenissero quelle strane sensazioni. Era Jim. Era sempre stato lui.
Generalmente Spock aveva bisogno di un contatto per percepire i sentimenti di una persona, ma questa volta non ce n'era stato bisogno. Il vulcaniano si riscoprì affascinato dalla cosa.
Cercando di far calmare il piccolo, Spock cominciò ad accarezzarlo lievemente sulla testolina piena di ricci color dell'oro.
Il bambino si calmò dopo un poco.
"Va tutto bene, ora. Ma mi prometta che non scapperà mai più" disse Spock con voce rassicurante.
Il bimbo uscì dal suo nascondiglio sul collo dell'amico, e con ancora il visino bagnato di lacrime, annuì brevemente.
In quel frangente il dottor McCoy entrò in plancia col medi-kit sotto braccio.
"Oh ma guarda!!! Giusto te cercavo, Jim." disse, avvicinandosi velocemente al bambino.
"Se provi ancora una volta a scappare e a farci prendere un altro spavento simile, ti giuro che..."
"Dottore!" lo fermò il vulcaniano.
Durante il suo sfogo accalorato il dottore non si era accorto che il bimbo si era nuovamente rifugiato fra la spalla e il collo del primo ufficiale, per la paura. Si potevano già vedere delle lacrime che minacciavano di debordare dai suoi occhietti mortificati.
"Il capitano ha capito il suo errore. Si fidi di me." 
 "Ah, se ci ha parlato lei... non dubito che abbia capito." e così dicendo, Bones mise il kit medico ai piedi della sedia, pronto per essere usato "Allora, vediamo cosa possiamo fare per questi graffi. Spock mi passi il capitano."
Il vulcaniano stava già per spostare il bambino, quando questi gli si aggrappò addosso rifiutando di muoversi.
"No!" urlò spaventato, e nella plancia si alzò un coro di risate.
"Oh andiamo, Jim!" disse il medico, esasperato.
"No!" ripeté il piccolo e poi fece una linguaccia al dottore.
"Vuoi la guerra piccola birba? Ebbene! Spock si segga sulla sedia e metta il capitano davanti a sé." disse McCoy, ben sapendo che JJ stava facendo i capricci non per le medicazioni, ma perché non voleva allontanarsi dal suo Spock.
Guariti i graffi al piccolo, il dottore si rivolse al primo ufficiale.
"E lei? Tutto normale?" chiese, ancora leggermente preoccupato.
"Sì, tutto bene." rispose Spock mentre osservava il capitano giocare con i suoi capelli neri.
"Mi lasci dare una controllata." insistette l'altro, per poi appoggiare una mano sul braccio del vulcaniano e controllarne la temperatura.
"Boo!" lo riprese JJ con un'espressione contrariata che riaccese le risate in plancia.
"Ok, ok, non te lo tocco!" sorrise Bones "Tu guarda! Così piccolo e già geloso. Ma cresci un poco e poi vedrai come inizierà a scappare il tuo bel vulcaniano." borbottò il dottore, fornendo alla plancia altro materiale di cui ridere.
Il capitano non parve dare troppo importanza alla cosa; era talmente stanco che si stava per addormentare in braccio al primo Ufficiale.
Spock, invece, rimase sorpreso dalle parole di McCoy.
"Bene, che ne dite di andarvi a riposare un po'? Farà bene ad entrambi." asserì il dottore.
Spock si alzò dalla sedia, già pronto per andare in infermeria a mettere JJ nella culla, per poi ritornare in plancia per l'inizio del suo turno, ma il piccolo protestò ancora una volta.
"Spock porti il capitano con sé nei suoi alloggi e fatevi una bella dormita." consigliò il dottore.
"Non posso, il turno del tenente Sulu sta per finire e io devo prendere il mio posto in plancia." protestò il vulcaniano.
"Spock non è in condizione di guidare una nave e il capitano non le permetterà di lasciarlo tanto facilmente. Inoltre siamo già entro i confini del Sistema Solare, possiamo far sostare l'Enterprise per un paio d'ore e permettervi di riposare." spiegò caldamente il dottore.
"E' vero signore. Ed io la sostituirò volentieri." si aggiunse Sulu.
Colpito da tanta premura nei suoi confronti, il vulcaniano finì per accettare le proposte degli amici.
Impartì personalmente l'ordine di fermare la nave e poi si ritirò nel suo alloggio accompagnato da McCoy.

 
Spock e McCoy camminavano silenziosamente diretti, ancora una volta, all'alloggio del primo ufficiale. Ognuno era concentrato sui propri pensieri; inoltre non volevano disturbare il piccolo che dormiva comodamente in braccio al vulcaniano.
Col passare del tempo, il piccino si era mosso più volte. Ora riposava col capo poggiato sulla spalla dell'amico, le braccine intorno al suo collo e le gambe strette ai lati del torace del vulcaniano.
Sembrava un cucciolo di koala addormentato sul suo albero preferito.
Arrivati in cabina, Spock poggiò delicatamente il piccolo sul letto, stando bene attento che non fosse troppo vicino al bordo.
"E' ancora convinto di volerlo lasciare sulla Terra, se non dovessimo riuscire a curarlo?" chiese sommessamente il dottore, prima di tornare a guardare l'infante.
Spock non rispose. Non aveva una vera a e propria risposta per quella domanda.
Secondo la logica quella rimaneva ancora l'unica opzione valida. Ma ora, dopo aver vissuto quella giornata così atipica e aver sentito le emozioni del capitano, non ne era più così sicuro.
Bones accettò il silenzio dell'amico di buon grado.
"Beh spero per lei che abbia imparato la lezione, Spock." e così dicendo salutò l'amico e lo lasciò solo.
Spock non era del tutto sicuro di quale lezione stesse parlando McCoy, ma dopo che il dottore se ne fu andato ci pensò durante la doccia e la preparazione per la notte.
Era già disteso nel suo letto, con accanto il capitano, quando il piccolo si girò e si accoccolò più vicino a lui.
Il vulcaniano rimase immobile cercando di abbandonarsi al sonno, ma non ci riusciva.
Osservò, quindi, il bambino che gli dormiva accanto, nella speranza che questo incentivasse la stanchezza. Non si accorse, però, di una mano paffuta che si avvicinava sempre di più al suo volto, per poi appoggiarsi sulla sua guancia.
"Pok nanna" sussurrò JJ.
"Capitano, vuole che dorma?" chiese, sebbene sapesse che il bambino non lo avrebbe compreso.
"Ti!" rispose il piccolo per poi andare a seppellire il suo visino nella tunica del vulcaniano.
Spock strinse il bambino a sé e poi chiuse gli occhi, cercando di abbandonarsi alle grazie di Morfeo.
Ma prima di riuscirci, il comandante si permise di formulare un ultimo pensiero.
'Capitano, torni alla sua età naturale. Sulla nave tutti abbiamo bisogno di lei. Io ho bisogno di lei. Ti prego, Jim!'
Nell'incoscienza del sonno a Spock parve di udire una risposta alla sua muta preghiera.
'Va bene Spock. Lo farò per la nave, per la ciurma, ma soprattutto per te' e per quanto illogico, il primo ufficiale si sentì rassicurato da quelle parole.
Fu così che si addormentarono: divisi da uno stupido scherzo della biologia, ma stretti l'uno fra le braccia dell'altro.

 

 

 

 

 

 

 

 
N.d.a. Risalve! Sono sempre io, quella di poco fa....
Dico de cose in croce e vi libero dalla mia presenza. Primo, l’ultima discussione fra capitano e primo ufficiale io l’ho creata e collocata in mezzo al sonno, perché quello è l’unico momento in cui la nostra mente cede e ho pensato che Spock potesse concedersi quelle parole. Quindi se vi sembra OOC, mi spiace ma è stata immaginata proprio così.
Secondo, anche se mi è piaciuto moltissimo farlo, scrivere di bambini così piccoli è veramente un’impresa. Però è anche molto soddisfacente.
E per finire, vorrei ringraziare Nakahime che non solo ha accettato che questa cosa venisse pubblicata, ma mi ha anche fatto da beta, compiendo (tra l’altro) un lavoro magistrale.
Grazie infinite per aver sopportato i miei infiniti scleri. Si un tesoro!!!
Well, ho detto tutto. Spero che la storiella vi sia piaciuta e se vi andasse di lasciare una recensione potrei anche chiedere a JJ di passare un giorno intero con voi per farsi spupazzare allegramente.
Baci Baci, Naky.

   
 
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