Salve! Questa
è la prima
volta che metto piede nel fandom come scrittrice, e ho anche un
po’ paura, ma
ci tenevo a spiegare da dove è nata l’idea per
questo Spin-off.
Sappiate che è tutta una
vendetta contro Spock!!!
Tempo fa, si discuteva con
Nakahime
di quanto fosse “stupido” il suo Spock a fare
quello che sta facendo;
eravamo tutte e due arrabbiate con lui, e io volevo vendetta,
così mi son
detta, scriviamo qualche cosa per fargliela pagare. E così
è uscita questa
storiella che è il seguito ideale di “Sono
un dottore, non una bambinaia” di
Naka appunto.
E niente... tutto qua. Buona
lettura!
Disclaimers:
Quanto narrato
non è mai avvenuto. Non scrivo a scopo di lucro e i
personaggi citati
appartengono a Gene, e in questo caso specifica a Naka per lo spin-off
A
Spasso per l’Enterprise
Il turno del Signor
Spock
non sarebbe cominciato prima di un paio d'ore.
D'altra parte lui era già
vestito e pronto a dare inizio all'ennesima giornata sull'Enterprise.
Prima di andare in
plancia, però, voleva passare in infermeria e sincerarsi
delle condizioni del
capitano, trasformatosi in un bambino, da una settimana.
Arrivato nell'area medica, e
trovatola vuota, si spostò nella stanzetta che le infermiere
avevano preparato
per il piccolo JJ; già sapendo che lì
avrebbe trovato il dottor McCoy.
La porta della
'nursery' si aprì con un lieve fruscio ed
una volta entrato Spock
poté avere conferma delle sue previsioni.
McCoy era accanto alla
culla di JJ, intento a sottoporre il piccolo a degli
esami, mentre
questo dormiva tranquillamente.
"Buongiorno
dottore" sussurrò Spock, avvicinandosi lentamente.
Il dottore si girò appena
verso di lui e, dopo avergli scoccato un sorriso
beffardo, disse:
"Salve Spock! Solita
visita di controllo?".
Il vulcaniano non rispose,
non sollevò nemmeno il suo classico sopracciglio, mostrando
così tutta la sua
indifferenza alla domanda dell'amico.
La verità, però, era che
da quando il capitano era stato magicamente trasformato in un lattante,
lui era
passato ogni giorno a trovarlo.
Certo, capitava pure che
passasse l'intera notte seduto accanto alla culla, con il
piccolo che gli
dormiva fra le braccia; ma ora, con l'approssimarsi della nave
alla Terra,
non gli era stato più possibile dedicare tali
attenzioni al capitano.
"Sono qui per sapere
se ci sono progressi nelle sue condizioni, dottore" disse Spock,
accennando lievemente con la testa alla culla.
"Già.... beh,
controllo praticamente ogni ora e non cambia mai niente. Quindi direi
di
no." spiegò McCoy e avvicinò il
tricorder all'infante, per
controllare ancora una volta.
Vedendo che il suo compito
lì era ormai finito, il primo ufficiale si diresse alla
porta per andare in
plancia.
Era quasi arrivato
all'uscita quando le parole di McCoy lo fermarono.
"Sa, ieri ha chiesto
di lei" disse teneramente il dottore.
Spock si fermò sulla
porta, colpito da quelle parole, si girò impercettibilmente
verso l'amico e
questi continuò:
"L'infermiera Chapel ieri gli ha fatto il bagnetto. Sembrava si fosse
divertito e che fosse felice, ma quando lei ha provato a farlo
addormentare
per la notte, lui ha cominciato a piangere, dimenarsi e gridare il suo
nome." spiegò, accarezzando lievemente i ricci biondi del
bel diavoletto.
Quando si girò a guardare
Spock, il dottore rimase sorpreso. Certo non si aspettava di vedere il
vulcaniano
mostrare emozioni per una cosa come quella, ma ugualmente trovare il
'sangue
verde' pietrificato sul posto, con lo sguardo fisso chissà
dove, e le labbra
leggermente aperte per lo stupore, lo lasciò turbato.
"Insieme alla Chapel
ho dovuto faticare non poco per farlo addormentare. E nonostante questo
sembra
che il suo sonno si sia calmato solo qualche ora fa."
continuò a spiegare
il medico, nella speranza che Spock reagisse alle sue parole.
Ma quando questo non
accadde, tentò un'ultima carta.
"Io non le chiedo di
passare tutto il suo tempo con lui; solo, venga a trovarlo mentre
è ancora
sveglio, magari così si calmerà." e
così dicendo sperò che l'amico
accogliesse la sua supplica.
Il cuore del buon dottore
aveva sofferto non poco nel non poter accontentare il piccolo Jim. lo
aveva
visto piangere disperatamente per più ore, senza smettere di
gridare
"Pok!".
Gli si era stretto il
cuore a vedere il suo amico e capitano ridotto in quello
stato, e aveva
già deciso di parlarne con Spock. Poi, però, gli
allarmi della nave avevano
cominciato a suonare, comunicando all'equipaggio l'incombente minaccia
-poi
rivelatasi un campo d'asteroidi che la nave stava attraversando- e il
dottore
aveva capito che sarebbe stato meglio lasciare
il primo ufficiale
e facente funzione di capitano, lì dove
era indispensabile che fosse.
Ma come far capire una
cosa del genere ad un bambino di appena un anno?
Era impossibile.
Letteralmente.
Così era dovuto tornare a
tentare di consolare e calmare Jim, sperando che si addormentasse il
prima
possibile.
"Dottore sa
perfettamente che, ora più che mai, il mio posto non
è qui in infermeria, ma in
plancia." furono queste le parole di Spock ad un McCoy ancora perso nei
ricordi della sera precedente.
"So benissimo qual è
il suo posto signor Spock, ma deve capire che qui si sta parlando di un
bambino
di un anno che non riesce a controllare le sue emozioni. E che non ci
fa
chiudere occhio la notte con le sue urla!!! Se lei è l'unico
in grado di
calmarlo, beh è suo dovere stare qui affinché
tutto vada per il meglio e
l'equipaggio riposi degnamente. Anche questo è un compito
del capitano!".
McCoy si sentiva frustrato
per quella situazione: in perenne lotta contro i mulini a
vento, che in
quell'occasione avevano preso le sembianze di un vulcaniano testardo e
di un
bambino capriccioso.
"Il capitano dovrà
farci l'abitudine. Soprattutto dopo che avremo
raggiunto
"Cosa intende
dire?" ringhiò l'altro in rimando.
"Intendo dire che una
volta sbarcati sulla Terra, sottoporremo il Capitano a tutti gli
esami necessari per cercare di invertire il processo
da lui subito.
Ma se questo dovesse avvenire troppo lentamente o non avvenisse mai,
l'Enterprise sarebbe costretta a ripartire senza il capitano Kirk e noi
saremmo
costretti a dirgli addio." spiegò diligentemente Spock.
McCoy boccheggiò,
esterrefatto da quanto il vulcaniano aveva appena prospettato.
"Lei... lei vuole
abbandonare quel bambino sulla Terra? Ma non ha un minimo di cuore!"
urlò
il dottore, correndo il serio rischio di svegliare JJ.
"Dottore sa
perfettamente che noi vulcaniani non utilizziamo il nostro sistema
cardio-circolatorio per...."
"Oh mi risparmi la
lezione di biologia Spock!" McCoy interruppe
l'amico "Non
so come faccia, dopo che lo ha cullato tutte quelle notti, ad essere
ancora
così rigido e glaciale... e" le
parole gli morirono in bocca
quando, con la coda dell'occhio, vide Jim Junior
muoversi agitato
nella culla.
"Credo che per me sia
arrivato il momento di andare. Il mio turno sta per iniziare e questa
conversazione si è già protratta più
del dovuto.
Con permesso,
dottore..." e così dicendo, Spock uscì
dall'infermeria senza voltarsi
indietro.
Leonard lo seguì con lo
sguardo fino a che la sua figura non si perse nel corridoio,
sinceramente
rammaricato di vederlo fuggire ancora una volta.
Come sempre aveva fatto,
ogni qualvolta che i suoi sentimenti per Jim si risvegliavano.
*
* *
Niente attacchi Klingon,
nessuna avaria al motore, andava tutto bene. McCoy, però,
non riusciva ad
essere del tutto felice di questa situazione.
Abituato alle avventure
più assurde e complicate sapeva che, per
trasformare una giornata perfetta
come quella, in una praticamente disastrosa, serviva ben poco.
Nonostante ciò si era
limitato a svolgere i suoi compiti da medico: aveva visitato i
pazienti, si
era aggiornato con gli ultimi trattati medici arrivatigli e,
preciso come
un orologio svizzero, ogni ora aveva controllato i parametri medici di
JJ.
Aveva sperato di vedere dei miglioramenti.
Durante l'ultimo
controllo, quello delle 10:00, aveva trovato il piccolo sveglio nella
culla che
si guardava intorno alla ricerca di chissà cosa o chi, con
un sorriso furbetto
sul volto paffuto.
McCoy non riuscì a frenare
un moto di tenerezza davanti a quell'immagine.
Vedendolo arrivare, il
bimbo cominciò a battere le manine e a sbrodolare la sua
solare risata.
Leonard si avvicinò e
sottopose il capitano al consueto screening.
"Non è cambiato
niente. Jim ma quando hai intenzione di crescere?" chiese al bambino,
fintamente esasperato.
JJ ricominciò a ridere ed
urlare "Boo!" sbracciandosi per essere preso tra le sue
braccia.
Con Jim al petto,
Leonard si diresse all'altro capo della stanzetta, dove era stato
creato un
piccolo recinto pieno di giochi. Vi depose il bambino e dopo qualche
minuto lo
vide gattonare verso un modellino in gomma dell'Enterprise.
Sicuro che da lì il
piccolo non sarebbe mai potuto uscire, McCoy
lasciò la stanza per
andare a controllare i suoi malati.
Lo screening al piccolo
delle 11:00 era saltato per colpa del guardia
marina Fletcher che si
era inavvertitamente chiuso una mano tra le porte del turbo-ascensore.
Il
dottore dovette quasi ricostruirgli tutte le ossa prima di poterlo
mandare a
riposo a tempo indeterminato, almeno finché non avessero
raggiunto
Con il problema
di Fletcher risolto e lo screening delle 12:00 ormai
prossimo, McCoy
decise di anticiparsi coi tempi e di andare subito da Jim.
Entrato nella nursery, si
diresse al recinto dei giochi, ma questo era vuoto e del capitano non
c'era
nemmeno l'ombra.
Preoccupato, si avvicinò
alla culla. Probabilmente, pensò il dottore, un'infermiera
aveva preso il
bambino e lo aveva deposto lì per fargli fare un riposino.
Ma anche la culla era
vuota. McCoy controllò dappertutto. Alzò le
coperte, si piegò sotto la culla,
rivoltò tutta la stanza, ma del piccolo JJ non
c'era traccia.
Decise di chiedere
all'infermiera Chapel. Premette il comunicatore interno all'infermeria
e la
chiamò.
"Signora Chapel! Qui
McCoy, risponda!" ordinò molto agitato.
"Dottore mi dica. C'è
un'emergenza medica col capitano? Ha bisogno d'aiuto?" rispose
l'infermiera prontamente.
"No Christine, niente
emergenza. Il capitano non si trova, saprebbe dirmi quand'è
stata l'ultima
volta che l'ha visto?" chiese, cercando di celare la paura crescente.
"Oh mio dio dottore!
L'ultima volta che l'ho visto stava giocando tranquillamente nel suo
recinto.
Sarà stata un'ora e mezzo fa, credo." rispose Christine,
sinceramente
preoccupata.
"Ho capito, grazie
per l'informazione. McCoy chiude!" senza neanche aspettare la reazione
della sottoposta, Leonard tolse il dito dal comunicatore.
Dove si sarebbe potuto
cacciare un bambino di quell'età? Si chiese il dottore,
sempre più preoccupato.
Certamente una nave
stellare non era il posto più sicuro per un bambino; con
tutte quelle guardia
marine maldestre che non avevano ancora imparato a maneggiare i phaser,
o la
gente che correva velocemente per i ponti spostandosi da una parte
all'altra.
Ma non poteva cercare da
solo il piccolo, gli serviva aiuto. E, purtroppo per lui,
l'unico che
avrebbe potuto aiutarlo era anche la persona a cui si era giurato di
non
chiedere mai soccorso.
Riluttante all'idea
premette nuovamente il pulsante del comunicatore e vi parlò
dentro.
"Sono il Dottor
Leonard McCoy; plancia rispondete!".
La risposta si fece
attendere e più il dottore aspettava, più la sua
agitazione cresceva; ma
quando, infine, ci fu risposta, McCoy gioì
nel sentire la voce della
persona che stava cercando.
"Qui Spock. Dottore
cosa succede?". Leonard non se lo fece ripetere due volte e rispose
impaziente.
"Spock, abbiamo un
problema. Il capitano è scomparso!".
*
* *
La sua attenzione era in
minima parte dedicata all'osservare le stelle che sfrecciavano davanti
l'Enterprise a velocità di curvatura.
In verità stava ragionando
su quanto potessero essere ripetitivi i compiti di un capitano, se non
si
presentava alcuna complicazione.
Aveva passato la mattinata
a firmare rapporti, comandare ai vari timonieri di aumentare o
diminuire la
velocità della nave, o guardare le stelle senza poterle
analizzare.
Non riusciva a capire come
facesse Kirk a sopportare tutto questo, per di più con
costante meraviglia,
sebbene sapesse che lì fuori c'era un universo pieno di
stranezze da analizzare
e catalogare.
Più volte il primo ufficiale
si era segretamente compiaciuto di poter avere a disposizione tutti
quegli
strumenti per le sue ricerche.
Nonostante questo, la
logica impediva al vulcaniano di alzarsi dal suo posto per andare a
lavorare al
lettore. Il turno alpha, però, stava quasi per
finire. Mancavano solo
dieci minuti.
Questo avrebbe permesso a
Spock di lasciare la plancia e dedicarsi a ciò che
più amava del suo lavoro
come scienziato; gli esperimenti.
Spock non riuscì neanche a
finire di pensare il concetto che nel lasso di pochi secondi accaddero
tre
cose:
la plancia rimase
momentaneamente senza energia, per poi riprendersi come se niente fosse
successo.
Il Vulcaniano sentì uno
strano brivido freddo corrergli lungo la schiena. Brivido che non si
permise
nemmeno di attenzionare.
E, per finire, il
suono di una comunicazione interna alla nave, fece sobbalzare tutti i
presenti
in plancia.
Mentre gli ufficiali si
prodigavano per capire la causa del momentaneo black-out, Spock si mise
in
contatto con la sala motori.
"Qui Spock. Ingegnere
Scott, risponda" intimò l'ufficiale, senza alcuna traccia
d'emozione nella
voce.
"Comandante, è tutto
ok lì sopra?" chiese Scott col suo forte accento scozzese.
Spock inarcò un
sopracciglio, registrando l'eccessiva informalità con cui il
capo ingegnere gli
aveva parlato.
"Scott mi faccia
rapporto sul momentaneo black-out della nave" chiese il comandante.
"Oh quello! E' stato
un semplice sbalzo di tensione. La mia bambina non ne ha risentito, non
si
preoccupi." a quelle parole, il vulcaniano dovette soffermarsi a
riflettere.
Lui non era preoccupato. Come
facente funzione di capitano era suo dovere accettarsi che la nave non
corresse
pericoli.
Allora, secondo quale
logica o sensazione umana Scott aveva potuto trarre quella conclusione
su di
lui?
Ma non c'era tempo per
simili quesiti; Spock doveva ancora prendere la comunicazione interna.
"Bene ingegnere. Se
dovessero esserci problemi mi contatti subito. Spock chiude." premette
il
pulsante del comunicatore e si rivolse al tenente Uhura.
Nyota aprì subito la
comunicazione e dagli altoparlanti in plancia si diffuse la voce di un
preoccupato McCoy che chiedeva di parlare.
Spock non perse tempo
prezioso e a sua volta rispose.
"Qui Spock. Dottore
cosa succede?" e appena finì di pronunciare l'ultima parola
un nuovo
brivido freddo lo colpì. Ma anche questa volta il primo
ufficiale lo ignorò.
"Spock abbiamo un
problema. Il Capitano è scomparso!" urlò il
dottore, e nel sentire quella
frase, l'intera plancia si immobilizzò.
"Dottore, credo di
non aver ben compreso le sue parole. Cosa intende per scomparso?"
chiese
il vulcaniano, palesando i dubbi generali.
"Intendo dire che non
è più nella sua stanzetta. L'ho cercato
dappertutto ma non riesco a
trovarlo" spiegò McCoy ormai sull'orlo di una crisi di nervi.
Nel frattempo Spock poté
sentire molti dei suoi sottoposti tirare un respiro di sollievo.
Sebbene lui
non riuscisse a condividere la loro stessa gioia.
"Ascolti
dottore" disse, cercando di mantenere una voce quanto più
posata possibile
"lo cerchi al di fuori dell'infermeria, vedrà che non si
sarà allontanato
molto. E se fra due ore non dovesse ancora averlo trovato, mi
ricontatti e
organizzeremo una ricerca capillare in tutta la nave."
Ci fu qualche attimo di
silenzio, poi la voce del dottore tornò tonante.
"No! Non se ne parla
neanche." Spock, confuso da quelle parole, inarcò un
sopracciglio ma non
ebbe il tempo di chiedere spiegazioni, perché il dottore lo
precedette.
"Spock lei non ha
capito. Io non le sto semplicemente comunicando di quanto accaduto al
capitano.
Io le sto chiedendo di aiutarmi; quindi si alzi e venga qui!"
urlò un
furibondo McCoy.
"Dottore il mio posto
è qui in plancia. Sa perfettamente che non mi è
possibile allontanarmi."
disse, cerando di mantenere una calma che stava minacciando sempre di
più di
abbandonarlo.
"Ma con che coraggio
lei lascerebbe un bambino di un anno a vagare per una nave come
l'Enterprise?" chiese il dottore ormai completamente fuori
di sé.
Spock non seppe come
rispondere. Le parole del dottore erano veritiere, e nel suo profondo
sapeva di
essere in ansia per il capitano. Ma c'era anche quella piccola parte
nella sua
testa che gli diceva che se fosse successo qualcosa alla nave mentre
lui aveva
lasciato la sua postazione, la colpa sarebbe stata interamente sua.
Mentre rifletteva sul da
farsi, non si accorse che il tenente Sulu gli si era avvicinato, e
quando
questi gli parlò, Spock rimase sorpreso nel trovarselo
così vicino.
"Comandante, il turno
alpha finisce tra un minuto e io sono già pronto a
sostituirla. Vada pure a
cercare il capitano, noi ce la caveremo." e così
dicendo il
timoniere sperò che per una volta il comandante lo
ascoltasse.
Spock ringraziò
mentalmente la solerzia che Sulu mostrava nel suo lavoro e che
lo portava
a presentarsi in plancia svariati minuti prima dell'inizio del suo
turno.
"Molto bene tenente.
Ma riducete la velocità di curvatura a due. E chiamatemi
subito se dovesse
esserci qualche problema." così dicendo si alzò
dalla sedia, lasciandola
al sottoposto.
"Dottore
mi dia un
paio di minuti e sarò in infermeria." disse al comunicatore
portatile
e, dopo aver chiuso la chiamata, uscì dalla plancia.
*
* *
In quello stesso momento,
mentre Spock correva da McCoy, Jim si aggirava indisturbato per i
corridoi
della nave.
Il piccolo monello era
evaso dal recinto dei giochi, arrampicandosi abilmente sulle pareti in
legno,
ed aveva poi gattonato fino alla porta.
Le porte della nave
spaziale erano dotate di sensori di movimento, capaci di captare
qualsiasi
essere si avvicinasse loro.
Una volta fuori dalla
stanzetta, Jim aveva impiegato qualche attimo per decidere dove andare.
Per la verità
"decidere", nel suo caso, era una parola grossa. Aveva seguito, come
sempre, il suo istinto e la sua curiosità.
Ricominciò quindi a
gattonare con solerzia andando alla scoperta della nave.
Incredibilmente non trovò
nessuno sul suo cammino, il che lo divertì non poco,
facendolo scoppiare in
grosse risate accompagnate da versetti gutturali d'apprezzamento.
Il primo vero
problema, JJ dovette affrontarlo circa un'ora dopo la sua fuga
quando,
arrivato alla fine del corridoio, si trovò davanti le porte
chiuse di un turbo
ascensore.
Jim non sapeva ancora che
per aprirle bisognava premere l'apposito pulsante; e se anche lo avesse
saputo
non ci sarebbe mai arrivato, non riuscendo neanche a stare ritto su due
piedi.
Il piccolo rimase lì
davanti, dubbioso sul da farsi con un'espressione tutt'altro che
divertita.
Stava quasi per arrendersi
quando, magicamente, le porte si aprirono. Probabilmente qualcuno aveva
mandato
il trasporto al suo piano senza accorgersene.
Felice di aver finalmente
via libera, JJ entrò nella cabina e le porte gli si chiusero
alle spalle.
Ora doveva solo mettere in
funzione il trasporto. Ma come? In che modo avrebbe potuto superare
l'ostacolo,
se non riusciva neanche a ricordare i nomi delle persone che incontrava?
Era tropo piccolo! Un
bambino come lui doveva solo pensare a rimpinzarsi di latte e biscotti
e a
passare il suo tempo a giocare coi i suoi modellini di gomma, o a farsi
coccolare dalle tenenti.
Non doveva di certo
scorrazzare per la nave.
Ma ora si trovava
rinchiuso nel turbo ascensore e tutta la voglia di ridere e giocare gli
era
passata.
Aveva paura e faceva
freddo. In più era tutto solo.
Voleva solo ritornare
nella sua stanzetta e accoccolarsi nella sua culla.
"Baaaaaaa" urlò
provando a farsi sentire da fuori, ma non funzionò.
"Baaaaaaaaa"
riprovò ma ancora niente.
Stanco e sempre più
affamato, si appoggiò alla parete ed iniziò a
succhiarsi il pollice.
La fame, la paura e il
freddo non fecero altro che incupire il morale già basso del
piccolo, e alla
fine scoppiò a piangere esausto.
*
* *
Spock correva verso la sala
ricreativa 6. Aveva già controllato la zona macchine ma di
JJ nessuna notizia.
Ora sperava che McCoy avesse avuto più
fortuna di lui.
Erano ore che cercavano,
senza un minimo di sosta.
Arrivato dall'amico chiese
subito se avesse trovato qualcosa, ma quando questi scosse la testa, un
nuovo
brivido lo colpì.
Ormai ci aveva fatto
l'abitudine ai brividi, ma ogni volta non poteva fare a meno di
chiedersi il
perché.
Perché sentiva quegli
strani formicolii?
Avevano forse a che fare
col capitano? E se sì, in che modo?
"Abbiamo cercato
dappertutto, perché non lo troviamo?" le parole di McCoy
interruppero i
ragionamenti del vulcaniano.
"Non lo so dottore.
Mi creda" rispose Spock con voce atona.
"Ha provato a
comunicare con la plancia? Magari lo hanno trovato coi sensori".
Dopo la prima ora di
ricerche cadute nel vuoto, Spock e McCoy avevano deciso di chiedere
aiuto alla
sala comando.
"Li ho contattati
circa mezz'ora fa. Possiamo ritentare" disse il primo ufficiale.
"Benissimo. Provi,
allora!" lo sollecitò il dottore.
Ma Spock non arrivò
neanche a toccare il comunicatore, perché una fitta
improvvisa al fianco lo
lasciò senza fiato e lo costrinse a piegarsi su se stesso
per alleviare il
dolore.
"Spock cosa le
succede?" urlò il dottore, spaventato dall'improvviso malore
dell'amico.
Il vulcaniano boccheggiò
qualche volta per poi ritornare alla sua usuale compostezza.
Si posò una mano sul
fianco, lì dove si trovava il suo cuore, e lo
sentì galoppare più veloce di
quanto fosse normale per lui.
Dopo essersi ripreso, si
concesse qualche attimo per analizzare quanto appena accaduto.
Non stava male
fisicamente. Non era stanco, affamato o disidratato. L'unica ipotesi
plausibile
era che fosse stato colpito da una potente emozione.
Un'emozione talmente forte
da fargli provare la voglia di scappare e nascondersi nella sua
cabina; da
fargli sembrare che le paratie intorno a lui gli si stringessero
addosso.
Da fargli sentire un nodo alla gola che non gli
permetteva di parlare
o respirare. L'unica cosa che avrebbe voluto fare, in quell'attimo di
assoluta
pazzia, era piangere. Piangere e disperarsi per essere solo, senza via
d'uscita.
Il primo ufficiale si
stupì non poco quando si rese conto di
aver appena sperimentato un
attacco di panico.
"Spock è sicuro di
stare bene?" chiese il dottore preoccupato. Ma dal vulcaniano non venne
alcuna risposta.
"Spock!" ritentò
Bones, ma quando anche il secondo tentativo fallì il dottore
decise di
avvicinarsi all'amico.
"Oh mio Dio, Spock!
Lei è completamente ghiacciato." esalò il
dottore, dopo aver appoggiato
una mano sulla spalla del vulcaniano.
"Cosa?" chiese
l'ufficiale, ancora scosso e confuso.
"Venga, si segga e si
appoggi alla paratia mentre io la controllo." e così dicendo
prese il suo
tricorder.
"Dottore non mi
sembra questo il momento. Dobbiamo ancora trovare il capitano; soltanto
allora
potremo dedicarci alla mia condizione fisica" disse stoicamente il
vulcaniano.
"E lei pensa
veramente che io le permetterò di girare per la nave in
queste condizioni? Si
segga e si faccia controllare. Ordini del medico!".
'Ordini del medico' erano
quelle le uniche parole a cui nessuno poteva opporsi, nemmeno il
capitano, e
Spock lo sapeva.
Arresosi all'evidenza dei
fatti, si appoggiò alla paratia per poi farsi scivolare per
terra.
Mentre McCoy lo
analizzava, lui si permise di ripensare a quella
strana giornata. Era
iniziata senza intoppi, poi erano arrivati i brividi di freddo.
Spock non aveva mai
provato una cosa simile, di questo ne era certo. Però un
angolino della sua
testa gli suggeriva che non era la prima volta che li vedeva.
Il primo Ufficiale decise
di concentrarsi, chiudere gli occhi, escludere ciò che lo
circondava e calarsi
nel suo io più profondo, alla ricerca di quella informazione
che ancora gli
sfuggiva.
E così fece.
Si ritrovò a vagare in
un mare di ricordi alla ricerca di una labile sensazione. Non
c'era logica
che potesse essere usata, questa volta. Spock non aveva il tempo di
guardare
tutti gli innumerevoli ricordi che la sua testa conteneva.
Dovette, quindi, affidarsi
all'istinto.
Un piccolo trillo lo colpì
quando si avvicinò ad un ricordo ed incuriosito vi
entrò.
Vide una squadra
esplorativa montare un campo base, su un pianeta in cui l'Enterprise
doveva
compiere delle esplorazioni.
Nel suo ricordo, lo
sguardo del primo ufficiale si posò sul capitano, il quale a
sua volta stava
osservando la lussureggiante flora del pianeta di classe M.
Il suo doppio si soffermò
a guardare la figura del capitano e si stupì quando
notò l'impercettibile
tremore scuotere l'oggetto della sua attenzione.
Incuriosito si avvicinò
lentamente.
"Capitano mi permetta
di chiederle il motivo per cui sta tremando" disse la sua copia
pacatamente.
Il capitano dapprima si
girò verso di lui abbagliandolo col suo sorriso e poi
rispose:
"E' adrenalina Spock.
Quell'euforia che ti prende quando hai la possibilità di
esplorare e scoprire
qualcosa di nuovo." spiegò pazientemente Jim, già
sapendo che il suo vice
non avrebbe capito appieno.
E Spock non aveva
realmente capito, non fino a quella mattina, almeno. Il problema,
però, era che
quando i brividi erano arrivati lui non stava 'scoprendo' proprio
niente.
"E' strano. Molto
strano." disse Leonard, interrompendo i ragionamenti del primo
Ufficiale.
"Cosa, è strano
dottore?" chiese Spock con una malcelata nota d'irritazione nella voce.
Stavano già perdendo troppo tempo.
"La sua temperatura.
Il tricorder segna che essa è tale da rispettare i criteri
della biologia
vulcaniana; eppure se io la tocco lei è completamente
ghiacciato, quando invece
dovrebbe essere l'esatto contrario." spiegò brevemente McCoy.
"Questo perché,
dottore, io sto bene. Esattamente come le avevo precedentemente detto."
e
così dicendo si alzò e ricominciò a
camminare.
"Ora se vuole
cortesemente smettere di sprecare tempo, la ringrazierei se mi aiutasse
a
cercare il capitano." aggiunse Spock, già alla fine del
corridoio.
"Diavolo di un
vulcaniano testardo! Può negare quanto vuole ma io non ci
vedo chiaro."
borbottò Leonard prima di incamminarsi
dietro l'amico.
*
* *
JJ si svegliò solo e
sudato, ancora rinchiuso nel turbo-ascensore.
Doveva essersi
addormentato mentre ancora piangeva, perché non ricordava di
averlo fatto.
Si sedette meglio e si
guardò intorno, per ritrovarsi ancora da solo.
Un nuovo fiotto di lacrime
minacciò di uscire quando si rese conto che probabilmente
non sarebbe mai
riuscito a compiere la sua missione.
Voleva solo giocare un po'
con Spock. Magari anche guardare le stelle insieme.
Era chiedere troppo?
Ma così rinchiuso,
dubitava che ne avrebbe avuto l'occasione.
Il suo amico dalle
orecchie buffe gli mancava. Era da un po' che non lo incontrava.
Quando chiedeva di Spock
al dottore, lui gli rispondeva che il vulcaniano passava alla fine o
prima che
iniziasse il suo turno in plancia.
Ma Jim non poteva vederlo,
perché a quegli orari dormiva.
Una sera aveva fatto i
capricci e aveva sperato che il vulcaniano sarebbe arrivato a salvarlo
dal
brutto Boo urlante, che non faceva altro che sgridarlo, ma non era
successo.
Pok si era sempre
dimostrato gentile con lui, a differenza dell'altro puffo azzurro che
lo
tormentava con uno strano strumento pieno di lucine e suoni strani.
Ora gli mancava il suo
amico, con le sue orecchie a punta che avrebbe tanto voluto
mordicchiare.
Voleva stare appeso al suo
collo, libero di potersi beare del suo profumo così simile
ai biscotti che la
Chapel metteva nel suo biberon.
Voleva dormire accoccolato
a lui, con una mano poggiata al suo torace per sentirne il calore. Si
sentiva
protetto in quei momenti.
Voleva solo rivedere il
suo amico! Ma come fare a liberarsi da lì?
Tutti i tentativi fin'ora
fatti erano andati nel vuoto.
JJ si guardò ancora una
volta intorno. Questa volta il suo sguardo si fissò su un
grosso pulsante
rosso.
Era grande e colorato. E a
Jim piacevano le cose grandi e colorate. Proprio come Spock, un grande
puffo
azzurro.
Si avvicinò sotto il
pulsante e provò ad afferrarlo con le manine grassocce.
Ma era troppo in altro;
seduto non ci arrivava.
Si appoggiò alla parete e
piano piano sostenendosi ad essa provò a mettersi in
posizione eretta. Il
pulsante rosso sempre ben visibile davanti a lui.
Provò a stendersi un po'
di più ma le gambine gli cedettero e ricadde seduto,
sbattendo il sederino.
Fortunatamente il pannolino attutì la caduta.
Guardò di nuovo
il pulsantone rosso e decise che sì,
poteva riprovare.
Puntellandosi con le mani
sulla parete, riprovò ad alzarsi. Era arrivato a
metà strada quando le gambine
ricominciarono a tremargli per la stanchezza, non aveva ancora imparato
a
camminare in posizione eretta. Quelle erano le prime prove.
Con caparbietà, Jim riuscì
a mettersi in piedi e con un ultimo sforzo riuscì a premere
il pulsantone
rosso, che si accese e cominciò a lampeggiare.
Stanco ma felice, il
piccolo si lasciò ricadere in basso e batté le
mani, sbrodolando allegre
risate.
"Destinazione
selezionata: Ponte di comando" fu la voce robotica che fece fermare le
risate.
Inconsciamente, Jim aveva
premuto il tasto di emergenza che riportava automaticamente il
trasporto al
livello del ponte di comando, per permettere agli ufficiali una fuga
più
celere.
JJ poteva già sentire una
leggera vibrazione nel pavimento sotto di lui, segno che si stava
muovendo.
Per lo stupore non si
accorse che l'elevatore aveva già finito la sua corsa e
quando le porte si
aprirono, indicandogli la libertà, si affrettò a
gattonare fuori, prima che
queste si chiudessero.
Era già praticamente
uscito quando le porte si chiusero portando con loro un lembo della
tutina
gialla di Jim, bloccandolo ancora una volta.
Il piccolo sbuffò
infastidito; mai che gliene andasse bene una!
Arrabbiato con la sua
tutina, iniziò a tirare per liberarsi.
Gattonò lentamente in
avanti e quando la tutina cominciò a tirare nel senso
opposto, lui mise quanta
più forza gli fosse possibile per continuare a procedere.
Impiegò un paio di minuti
per tutta l'operazione; ma quando la tuta si strappò, il
contraccolpo lo spedì
su una grata per il passaggio dell'aria che gli provocò
delle escoriazioni al
visino, alle mani e alla coscia, ora scoperta a causa dello strappo.
Dolorante, JJ gattonò per
il corridoio senza permettersi di versare una nemmeno una lacrima. Non
era il
momento, doveva continuare l'esplorazione della nave!
Arrivato alla fine della
strada trovò un'altra porta che questa volta si
aprì automaticamente, con un
fruscio talmente basso che gli ufficiali dall'altra parte nemmeno lo
sentirono.
Ciò permise al capitano di
entrare indisturbato e di gironzolare per la plancia.
La sua delusione fu non
poca quando capì che dal basso del pavimento non sarebbe
riuscito a vedere
niente.
Girò un po' per la plancia
fino a trovare la poltrona del comando, vuota.
L'imbottitura in pelle
aveva veramente un'aria morbida. E a lui il morbido piaceva, era come
la sua
culla dove gli piaceva tanto sonnecchiare.
Provò quindi ad
arrampicarsi sulla poltrona, ma era davvero troppo alta.
Per la rabbia si lasciò
andare ad un versetto talmente stridulo che fece girare, verso di lui,
la
maggior parte dei presenti.
"Capitano!" fu
l'urlo del tenente Uhura che spezzò il silenzio.
Sentitosi chiamato in
causa, il capitano si girò e sorrise amabilmente.
Quello che successe dopo,
JJ non lo capì del tutto, dato che fu tutto troppo veloce.
In un batter d'occhio
Uhura, Sulu e Checov furono su di lui. Lo presero, lo misero a sedere
sulla
poltrona e lo bloccarono con le cinture di sicurezza, perché
non cadesse. Poi
iniziarono a tempestarlo di domande.
Domande a cui Jim non
poteva, non sapeva e soprattutto non voleva rispondere. Non aveva fatto
tutta
quella strada per farsi rimproverare da tutta quella gente. C'era
già Boo per
quello.
Cominciò a sporgersi, per
quanto gli fosse consentito, alla ricerca del suo amico puffo.
Ma quando non lo trovò,
non ci mise molto per zittire tutti quanti e chiedere angelicamente:
"Pok?"
Nessuno rispose, ma Sulu
diede ordine al tenente delle comunicazioni di contattare il comandante.
E lei obbedì prontamente.
*
* *
Spock e McCoy stavano
attraversando un ponte della nave. Improvvisamente il primo ufficiale
si
bloccò.
Bones, che lo seguiva, per
poco non gli sbatté contro.
"Ma le pare questo il
modo di fermarsi?" chiese alterato il dottore.
Spock non rispose. In
effetti la domanda di McCoy non era neanche giunta alle sue orecchie.
Un
altro rumore aveva messo in allarme il suo sistema
uditivo.
Aveva percepito un labile
suono, come di pianto. Ma era troppo lontano per poter capire
chi fosse.
Il vulcaniano ne era
certo. Qualcuno, nella nave, stava piangendo.
Sapendo che gli umani
erano un popolo dedito a questo tipo di sfogo, soprattutto se in
situazioni di
disagio, non si preoccupò molto di ciò che aveva
sentito.
Sebbene, nel momento
stesso in cui le sue orecchie avevano captato il pianto, Spock avesse
sentito
una stretta ingabbiargli il cuore.
"Ho creduto di
sentire qualcosa, dottore" spiegò ad un incredulo McCoy.
"Ma non era niente.
Su, continuiamo a cercare il capitano." disse, per poi ritornare ad
addentrarsi
nella nave.
Dovevano ancora
controllare gli alloggi.
Il dottore e il primo
ufficiale stavano controllando la cabina di quest'ultimo, quando Spock
ebbe
l'ennesimo malore.
Accusò un forte dolore al
braccio destro.
Talmente forte da
impedirgli di muoversi e costringere il dottore ad aiutare l'amico a
sedersi su
una sedia lì vicino.
Subito, senza neanche
proferire parola, Leonard cacciò fuori il
suo fedele tricorder per
analizzare l'amico.
"Anche questa volta
niente. I suoi valori sono tutti nella norma. Non c'è una
lesione, non c'è un
malfunzionamento organico o neurologico. Non c'è
assolutamente niente!"
spiegò Bones esasperato.
Spock lo guardò dubbioso.
Era strano che il tricorder del dottore fallisse, o che McCoy non
riuscisse a
fare una diagnosi; ma così era.
"Non si preoccupi per
me. Continuiamo la ricerca." disse, cercando di alzarsi. Ma
Bones lo
trattenne con una mano sulla sua spalla.
"Apprezzo che lei
voglia trovare il capitano anche a discapito della sua vita, ma quando
tutto
questo sarà finito, sappia che la rinchiuderò in
infermeria e non uscirà finché
non avremo capito cosa le provoca questi disturbi." asserì
il medico, con convinzione.
Spock avrebbe voluto
protestare, ma per una volta accettò le premure dell'amico e
lo ringraziò con
un semplice gesto del capo.
Fu una mezz'ora dopo che
ricevettero la comunicazione.
"Comandante Spock,
qui tenente Uhura. Risponda signore." gracchiò il
comunicatore.
"Tenente cos'è
successo? C'è un'emergenza?" chiese il primo ufficiale con
la sua solita
freddezza.
"No comandante, è
tutto nella norma. In verità si tratta del capitano. E' qui,
in plancia."
spiegò la tenente, con una nota di incredulità
nella voce.
McCoy e Spock rimasero
senza parole. Come aveva fatto un bambino di quell'età ad
arrivare in plancia?
I due ufficiali non seppero darsi risposta.
"Comandante vi stiamo
aspettando. E se con lei c'è anche il dottore, gli dica di
portare il kit del
primo soccorso." aggiunse Uhura, prima di chiudere la
comunicazione.
"Quel gran figlio
di..." sospirò Bones, ancora incredulo "mentre noi
perlustravamo la
nave alla sua ricerca, lui se ne andava in plancia. Non
cambierà mai! Sempre a
pensare alle stelle." aggiunse, per poi abbandonarsi ad una risata
isterica, in cui riversò tutta la preoccupazione fino a quel
momento
accumulata.
Spock intanto era ancora
bloccato. Il suo cervello era rimasto ancorato alle parole 'Il Capitano
è in plancia’
. Saperlo in salvo gli aveva tolto un gran peso di dosso.
Ma ora non sapeva cosa
fare. Se correre in plancia per accertarsi che il tenente avesse detto
il vero
o restare con McCoy e passare prima in infermeria.
Fortunatamente per lui, ci
pensò il dottore a decidere.
"Spock lei vada pure.
Ci penserò io a prendere il kit." disse sorridendo.
Il vulcaniano accettò di
buon grado la scelta dell'amico; salutò con un cenno il
dottore e si avviò
verso la plancia.
Il dottore aspettò qualche
attimo in più. Per poterlo vedere andar via.
Non gli era sfuggito il
sospiro di sollievo di Spock quando Uhura aveva detto che Jim era salvo.
Come non gli era sfuggita
l'impazienza del primo ufficiale dopo che la tenente aveva chiuso la
conversazione.
Per questo aveva preferito
mandare avanti Spock. Per poter dare qualche attimo di pace a quei due
gran
testoni.
*
* *
Spock si avvicinò
trafelato al ponte di comando. La logica gli aveva impedito di correre,
ciò
nonostante il suo passo era stato più veloce del solito.
Non se lo sapeva spiegare
ma era pervaso da un grande senso d'aspettativa; come se dietro quella
porta ci
fosse il più grande tesoro del mondo.
Il che, pensò, era
altamente illogico dacché lui aveva già tutto
quello che potesse desiderare: il
suo lavoro di scienziato, la possibilità di viaggiare ed
esplorare fra le
stelle...
Arrivato alla porta,
percepì nitidamente il suo cuore accelerare i battiti e
questo era strano; non
gli era mai capitato prima. Neanche durante il peggiore attacco alla
nave.
La porta si aprì sibilando
e il primo ufficiale poté finalmente entrare.
"Comandante sul
ponte" fu il benvenuto del tenente Sulu.
Saluto che venne ignorato
dal vulcaniano che, istintivamente, si diresse alla poltrona di
comando. Se
c'era un posto sulla plancia, in cui trovare il capitano, era
sicuramente
quello.
E così fu.
Spock trovò il piccolo
intento a guardare le stelle con stupore.
Aveva la boccuccia rosea
leggermente aperta in un 'Oh' muto di meraviglia. I suoi occhi color
del miele
erano sgranati e limpidi, perfetto specchio di quanto il piccolo stava
osservando.
Inconsciamente JJ si era
sporto verso le stelle, ma le cinghie di sicurezza gl'impedivano di
cadere.
Davanti a quell'immagine
Spock non seppe come reagire. La logica gli diceva che era
normale: il
capitano che guardava le stelle. Il suo cuore gli diceva che quello era
ciò per
cui viveva e lottava ogni giorno. La logica ritornava a ricordargli che
forse,
aveva ragione il dottore e doveva solo concedersi un po' di riposo.
Spock non diede ascolto a
nessuna delle due parti, si limitò semplicemente a guardare
senza neanche
muovere un muscolo.
La magia del momento si
spezzò quando JJ si girò alla sua destra e lo
vide.
Dapprima il bambino si
limitò a guardare il primo ufficiale, poi si aprì
in un sorriso meraviglioso e
alzando le braccine fece segno a Spock di prenderlo.
Fu quello il segnale che
fece risvegliare il comandante. Sciolse le cinghie e prese il piccolo
con sé. Quando arrivò tra le braccia del
vulcaniano, JJ gli buttò le
braccine al collo e cominciò a piangere.
In quello stesso istante
Spock venne travolto da un'orda di emozioni. Sentì la gioia
per avercela
fatta; l'enorme paura di rimanere solo e di non riuscire nel
suo compito.
Poi l'amarezza e il rimpianto per non poter più comandare
l'Enterprise.
Quest'ultima emozione fu
un campanello d'allarme per Spock, ma ci badò poco
perché un'altra cosa lo
incuriosì maggiormente.
Si sentì chiamare. 'Pok!', il
nome risuonò chiaramente nella sua testa. Ma il
capitano stava ancora
singhiozzando e non riusciva a parlare.
Fu quello che fece capire
al vulcaniano da dove provenissero quelle strane sensazioni. Era Jim.
Era
sempre stato lui.
Generalmente Spock aveva
bisogno di un contatto per percepire i sentimenti di una persona, ma
questa
volta non ce n'era stato bisogno. Il vulcaniano si riscoprì
affascinato dalla
cosa.
Cercando di far calmare il
piccolo, Spock cominciò ad accarezzarlo lievemente sulla
testolina piena di
ricci color dell'oro.
Il bambino si
calmò dopo un poco.
"Va tutto bene, ora.
Ma mi prometta che non scapperà mai più" disse
Spock con voce
rassicurante.
Il bimbo uscì dal suo
nascondiglio sul collo dell'amico, e con ancora il visino bagnato di
lacrime,
annuì brevemente.
In quel frangente il
dottor McCoy entrò in plancia col medi-kit sotto braccio.
"Oh ma guarda!!!
Giusto te cercavo, Jim." disse, avvicinandosi velocemente al bambino.
"Se provi ancora una
volta a scappare e a farci prendere un altro spavento simile, ti giuro
che..."
"Dottore!" lo
fermò il vulcaniano.
Durante il suo sfogo
accalorato il dottore non si era accorto che il bimbo si era nuovamente
rifugiato fra la spalla e il collo del primo ufficiale, per la paura.
Si
potevano già vedere delle lacrime che minacciavano di
debordare dai suoi
occhietti mortificati.
"Il capitano ha
capito il suo errore. Si fidi di me."
"Ah, se ci ha
parlato lei... non dubito
che abbia capito." e così
dicendo, Bones mise il kit medico ai
piedi della sedia, pronto per essere usato "Allora, vediamo cosa
possiamo
fare per questi graffi. Spock mi passi il capitano."
Il vulcaniano stava già
per spostare il bambino, quando questi gli si aggrappò
addosso rifiutando di
muoversi.
"No!" urlò
spaventato, e nella plancia si alzò un coro di risate.
"Oh andiamo,
Jim!" disse il medico, esasperato.
"No!" ripeté il
piccolo e poi fece una linguaccia al dottore.
"Vuoi la guerra
piccola birba? Ebbene! Spock si segga sulla sedia e metta il capitano
davanti
a sé." disse McCoy, ben sapendo che JJ stava
facendo i capricci non
per le medicazioni, ma perché non voleva allontanarsi dal
suo Spock.
Guariti i graffi al
piccolo, il dottore si rivolse al primo ufficiale.
"E lei? Tutto
normale?" chiese, ancora leggermente preoccupato.
"Sì, tutto
bene." rispose Spock mentre osservava il capitano giocare con i suoi
capelli neri.
"Mi lasci dare una
controllata." insistette l'altro, per poi appoggiare una mano
sul
braccio del vulcaniano e controllarne la temperatura.
"Boo!" lo
riprese JJ con un'espressione contrariata che riaccese le risate in
plancia.
"Ok, ok, non te lo
tocco!" sorrise Bones "Tu guarda! Così piccolo e
già geloso. Ma
cresci un poco e poi vedrai come inizierà a scappare il tuo
bel
vulcaniano." borbottò il dottore, fornendo alla plancia
altro materiale di
cui ridere.
Il capitano non parve dare
troppo importanza alla cosa; era talmente stanco che si stava per
addormentare
in braccio al primo Ufficiale.
Spock, invece, rimase
sorpreso dalle parole di McCoy.
"Bene, che ne dite di
andarvi a riposare un po'? Farà bene ad entrambi."
asserì il dottore.
Spock si alzò dalla sedia,
già pronto per andare in infermeria a mettere JJ nella
culla, per poi ritornare
in plancia per l'inizio del suo turno, ma il piccolo
protestò ancora una volta.
"Spock porti il
capitano con sé nei suoi alloggi e fatevi
una bella dormita."
consigliò il dottore.
"Non posso, il turno
del tenente Sulu sta per finire e io devo prendere il mio posto in
plancia." protestò il vulcaniano.
"Spock non è in
condizione di guidare una nave e il capitano
non le permetterà di
lasciarlo tanto facilmente. Inoltre siamo già entro i
confini del Sistema
Solare, possiamo far sostare l'Enterprise per un paio d'ore e
permettervi di
riposare." spiegò caldamente il dottore.
"E' vero signore. Ed
io la sostituirò volentieri." si aggiunse Sulu.
Colpito da tanta premura
nei suoi confronti, il vulcaniano finì per accettare le
proposte degli amici.
Impartì personalmente
l'ordine di fermare la nave e poi si ritirò nel suo
alloggio accompagnato
da McCoy.
Spock e McCoy camminavano
silenziosamente diretti, ancora una volta, all'alloggio del primo
ufficiale.
Ognuno era concentrato sui propri pensieri; inoltre non volevano
disturbare il
piccolo che dormiva comodamente in braccio al vulcaniano.
Col passare del tempo, il
piccino si era mosso più volte. Ora riposava col capo
poggiato sulla spalla
dell'amico, le braccine intorno al suo collo e le gambe strette ai lati
del
torace del vulcaniano.
Sembrava un cucciolo
di koala addormentato sul suo albero preferito.
Arrivati in cabina, Spock
poggiò delicatamente il piccolo sul letto, stando bene
attento che non fosse
troppo vicino al bordo.
"E' ancora convinto
di volerlo lasciare sulla Terra, se non dovessimo riuscire a curarlo?"
chiese sommessamente il dottore, prima di tornare a guardare l'infante.
Spock non rispose. Non
aveva una vera a e propria risposta per quella domanda.
Secondo la logica quella
rimaneva ancora l'unica opzione valida. Ma ora, dopo aver vissuto
quella
giornata così atipica e aver sentito le emozioni del
capitano, non ne era più
così sicuro.
Bones accettò il silenzio
dell'amico di buon grado.
"Beh spero per lei
che abbia imparato la lezione, Spock." e così
dicendo salutò l'amico
e lo lasciò solo.
Spock non era del tutto
sicuro di quale lezione stesse parlando McCoy, ma dopo che il dottore
se ne fu
andato ci pensò durante la doccia e la preparazione per la
notte.
Era già disteso nel suo
letto, con accanto il capitano, quando il piccolo si girò e
si accoccolò più
vicino a lui.
Il vulcaniano rimase immobile
cercando di abbandonarsi al sonno, ma non ci riusciva.
Osservò, quindi,
il bambino che gli dormiva accanto, nella speranza
che questo
incentivasse la stanchezza. Non si accorse, però, di
una mano paffuta che
si avvicinava sempre di più al suo volto, per poi
appoggiarsi sulla sua
guancia.
"Pok nanna"
sussurrò JJ.
"Capitano, vuole che
dorma?" chiese, sebbene sapesse che il bambino non lo avrebbe compreso.
"Ti!" rispose il
piccolo per poi andare a seppellire il suo visino nella tunica del
vulcaniano.
Spock strinse il bambino
a sé e poi chiuse gli occhi, cercando di
abbandonarsi alle grazie di
Morfeo.
Ma prima di riuscirci, il
comandante si permise di formulare un ultimo pensiero.
'Capitano, torni alla sua
età naturale. Sulla nave tutti abbiamo bisogno di lei. Io ho
bisogno di lei. Ti
prego, Jim!'
Nell'incoscienza del sonno
a Spock parve di udire una risposta alla sua muta preghiera.
'Va bene Spock. Lo farò
per la nave, per la ciurma, ma soprattutto per te' e per quanto
illogico, il
primo ufficiale si sentì rassicurato da quelle parole.
Fu così che si
addormentarono: divisi da uno stupido scherzo della biologia, ma
stretti l'uno
fra le braccia dell'altro.
N.d.a. Risalve!
Sono sempre io, quella di poco fa....
Dico de cose in croce e vi libero dalla mia presenza. Primo,
l’ultima discussione fra capitano e primo ufficiale io
l’ho creata e collocata
in mezzo al sonno, perché quello è
l’unico momento in cui la nostra mente cede
e ho pensato che Spock potesse concedersi quelle parole. Quindi se vi
sembra
OOC, mi spiace ma è stata immaginata proprio così.
Secondo, anche se mi è piaciuto moltissimo farlo, scrivere
di bambini così piccoli è veramente
un’impresa. Però è anche molto
soddisfacente.
E per finire, vorrei ringraziare Nakahime che non solo ha
accettato che questa cosa venisse pubblicata, ma mi ha anche fatto da
beta,
compiendo (tra l’altro) un lavoro magistrale.
Grazie infinite per aver sopportato i miei infiniti scleri.
Si un tesoro!!!
Well, ho detto tutto. Spero che la storiella vi sia piaciuta
e se vi andasse di lasciare una recensione potrei anche chiedere a JJ
di
passare un giorno intero con voi per farsi spupazzare allegramente.
Baci Baci, Naky.