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Autore: mistaya89    03/10/2013    0 recensioni
Non era un amore che nasceva dalla passione, dal desiderio, che pervadeva i sensi e l’anima. Che ti faceva desiderare di essere viva e morta, che ti annientava e ti creava. Non era l’amore per cui avresti abbracciato l’inferno a braccia aperte e accolto ogni supplizio con la gioia più lieta. Non era un bisogno fisico nascosto in fondo al petto, miele e fiele nella stessa tazza. Era più una carezza sulla guancia. Non era un pugno foderato di seta. Non era l’amore che era salvezza e perdizione. Dolore e perfezione. No, non era lui.
Amo Cassandra Clare, partiamo da qui. Ho scritto la Fanfic prima che uscisse l'ultimo libro di Shadowhunters, Le origini. Non sapevo ancora come Cassie avrebbe fatto finire la storia. Quindi ho provato ad immaginarmi una scena che secondo me sarebbe potuta essere contenuta nel libro. Amo da sempre i triangoli e Tessa, Jem e Will ne rappresentano tutte le sfumature. La sofferenza, la dolcezza, l'indecisione, l'amore.. Spero di avervi reso giustizia nel mio piccolo. Prima fanfic che condivido,essendo abbastanza timida scrivo da sempre, ma non ho mai pubblicato. Spero che possa piacere! ^^
Genere: Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: James Carstairs, Theresa Gray, William Herondale
Note: Lime | Avvertimenti: Triangolo
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You can push me away, I can take it

I can make you a promise, and break it

We know the way it goes by now 

Running off just to see if I chase you

I pretend I know how to replace you

Still we get tangled up some how

Hear it thunder, and I wonder

How long can I hang on? I'm caught in the storm

I'm caught in the rain

I'm caught in the rush that hides this pain

I'm ready to drown, but it's comin' down, but I feel so alive 

Just let me go, just walk away

If you love someone, you never let them stay

Caught in the storm

 

La pioggia continuava a cadere. In effetti, c’era sempre stata pioggia, pensò. Non ricordava più l’ultima volta in cui aveva visto il sole. Ma non ci aveva mai fatto caso prima di allora, perchè aveva avuto il suo sole personale. Un sole che la bruciava dentro e che aveva due occhi profondi come gli oceani su cui aveva viaggiato, blu e brillanti come la volta del cielo e le stelle che ora quelle nuvole crudeli le stavano nascondendo, privandola anche del loro conforto. Tu, tum. L’acqua le ruscellava addosso, sul viso e sugli occhi, sulle mani strette al petto. Mani che avrebbero voluto strapparsi quel cuore, quel muscolo crudele che faceva cosi male. Il vestito era zuppo e la gelava, pensadole addosso come la sofferenza stessa. Ma non era niente rispetto al dolore. Il dolore era il suo solo universo. Alzò il cielo al viso, offrendolo volontariamente a quelle gocce d’acqua, sperando che potessero lavare via la sua sofferenza, la sua miseria, la sua maledizione. Gocce di sale si mischiavano all’acqua del cielo. Tess. Si lasciò cadere, scivolando silenziosamente contro il muro. Il buio l’avvolgeva, la pioggia attutiva i rumori di un mondo che continuava ad esistere nonostante tutto. Dio, Dio, come faceva male. Non riusciva a respirare, non riusciva ad urlare, non riusciva a muoversi. La gola era chiusa, gli occhi stretti oramai ustionati dal sale delle lacrime. Tremava, ma non per il freddo. Tremava perchè era spezzata, rotta dentro. Rotta come il suo ciondolo, l’angelo, che ora giaceva spezzato e macchiato da qualche parte sul pavimento di quella sala maledetta. Tu, Tum. Come poteva battere ancora? Non avrebbe dovuto spezzarsi? Era spezzato, anzi no, era ridotto in polvere. Dilaniato. Consumato prima ancor di aver imparato come usarlo. Tessa. Quando aveva smesso di piovere? Il suo viso era ancora bagnato, ancora percorso da rivoli d’acqua. Una striscia di luce le cadde addosso, illuminandole il vestito strappato e ferendole gli occhi. Persino la pallida luce della luna era troppo per lei. Socchiuse gli occhi e quella luna pallida, la sua luce, le ricordarono un altro tipo di argento. L’argento dei suoi occhi, che quella sera avevano brillato fulgidi come diamanti. “Sei stupenda” le diceva mentre i suoi occhi la guardavano pieni di amore, divertiti e fieri del bacio che le aveva appena rubato. L’aveva vista con il vestito da sposa. “Porta male” gli aveva detto, e lui le aveva risposto ridendo che era troppo superstiziosa, sussurrandoglielo sulle labbra . Poi le aveva sottratto un altro bacio, più forte, più pressante, stringendola in vita e togliendole il respiro mentre il pizzo compresso dalle sue mani le aderiva alla pelle. Labbra bollenti. L’aveva lasciata andare, all’improvviso, e senza il sostegno delle sue braccia lei era quasi caduta, un ultimo scintillio di fierezza negli occhi squisitamente maschile e se n’era andato. Prima che qualcuno lo vedesse. Convinto che di lì a poco lei avrebbe percorso la navata, e sarebbe diventata sua moglie. Senza altro dolore, senza altri problemi. Quanto, quanto si sbagliava. Jem.

Lei era rimasta nella stanza, frastornata, aveva mandato via tutti. Voleva stare sola. All’improvviso il peso di quel che stava facendo l’aveva colpita facendola vacillare. Come un pugno arrivatole sul costato. Stava per sposare Jem. Lo amava. Perchè sentiva il bisogno di ripeterselo? Forse perchè Will sarebbe stato lì. Suo testimone, suo parabatai, suo amico.. Oh si, Will per Jem era tante cose. Ma cos’era per lei? Non aveva mai smesso di amarlo. Di desiderarlo. Di odiarlo, anche. Questo lo sapeva, lo aveva sempre saputo nonostante le interminabili ore passate a convincersi del contrario. Se solo le cose fossero andate diversamente, se solo lui si fosse confidato prima. Quante volte aveva covato questi pensieri? Quante volte si era detta che non importava, quante volte si era ripetuta che sarebbe stata bene lo stesso.
Accoglieva quei ricordi come un naufrago accoglie la terra. Ricordare era meno doloroso che pensare.Voleva vivere nel passato, per quanto tremendo e doloroso era nulla in confronto al suo presente.
Sarebbe riuscita a percorrere la navata, a guardare il suo sposo, senza incrociare gli occhi di Will? Perchè sapeva che se lo avesse fatto, i suoi sentimenti sarebbero stati lì, esposti. Perfettamente visibili in quegli specchi che avevano il colore degli zaffiri. E non poteva, oh non poteva fare questo a Jem. Jem che l’aveva salvata, che aveva curato le ferite, che le aveva dato una ragione per andare avanti quando le era sembrato di non averne più, che l’amava. E Tessa sapeva in fondo, di amarlo a sua volta solo che era quell’amore che nasce dall’affetto, dal bisogno di avere un amico vicino, una persona che ti sostenga mentre il mondo ti assorbe con i suoi guai. Che ti dia una briciola di luce alla fine del nero della notte. Non era un amore che nasceva dalla passione, dal desiderio, che pervadeva i sensi e l’anima. Che ti faceva desiderare di essere viva e morta, che ti annientava e ti creava. Non era l’amore per cui avresti abbracciato l’inferno a braccia aperte e accolto ogni supplizio con la gioia più lieta. Non era un bisogno fisico nascosto in fondo al petto, miele e fiele nella stessa tazza. Era più una carezza sulla guancia. Non era un pugno foderato di seta. Non era l’amore che era salvezza e perdizione. Dolore e perfezione. No, non era lui. Will.
Ricordò lo sguardo, perso e sofferente che le aveva rivolto quella mattina. Davanti agli altri era calma, lo trattava con tiepida accettazione. Non si permetteva il minimo cedimento. E lui le rispondeva alla stessa maniera, le domande sul fondo di discorsi futili, celate dalle banalità quotidiane. Accuratamente nascoste dietro maschere di pizzi e velluti. Soltanto dei lampi come fulmini nel suo sguardo a tradire i suoi veri sentimenti, le sue vere intenzioni. Quando passando casualmente nei corridoi si sfioravano, Tessa bruciava. E scappava. Davanti agli altri era solo la promessa sposa che conversava cordialmente con il parabatai del suo fidanzato. Da sola nell’oscurità della sua camera era la sposa che piangeva il dolore e la finzione. Con Will.. non c’era un con Will. Gli aveva detto addio, e aveva fatto in modo di non trovarsi mai, nemmeno per sbaglio, da sola con lui. Lui aveva rispettato questa sua tacita volontà, fino al giorno del matrimonio.
Mentre era seduta sul letto, in uno stato catatonico, aveva sentito aprirsi la porta della stanza. Il suo sguardo era rimasto fermo sul nulla che stava fissando da ore a quella parte, o erano giorni? Non l’aveva nemmeno alzato per guardare chi fosse entrato, semplicemente non le importava. Chiunque fosse, non parlava, era rimasto fermo sulla porta, Tess non lo vedeva ma poteva sentire i respiri lievi. Un brivido la colse quando riconobbe il ritmo di quei respiri. Respiri che un tempo aveva ascoltato come un ladro ascolta lo scattare della serratura che cela il suo bottino. Improvvisamente divenne acutamente consapevole dello spazio della sua camera, che le sembrava troppo piccola per mantenerla alla giusta distanza da lui. Gli occhi le erano tornati alla vita mettendo a fuoco il suo stato. I pizzi neri e i nastri d’oro del vestito, i granelli di polvere che rilucevano nel chiarore della finestra, i lenzuoli di seta bagnati dalle sue lacrime. “Tessa - la voce roca, sofferente come quella di un naufrago che non beveva da giorni- io...”
Lei si era alzata, ponendo tutta la distanza che quella camera le permetteva, tra lei e il suono di quella voce. Voleva dirgli di andarsene, di non parlare, doveva farlo, ma la voce l’aveva abbandonata. Ennesimo tradimento che il suo corpo le imponeva quando si parlava di Will. Il suono di passi lievi come il più leggero fiocco di neve le disse che lui si stava avvicinando. Era all’angolo, non poteva scappare. Non c’era altro luogo dove andare. Lui la raggiunse e si fermò ad appena un palmo dalla sua schiena. Tessa avvertiva il calore del suo corpo. La mano corse ad aggrapparsi al cornicione della finestra, stringendolo come se fosse la sua unica ancora durante un naufragio. Per impedirle di naufragare, o di abbracciare gli abissi. L’altra mano rimase distesa lungo il corpo, troppo pesante per essere mossa. I suoi respiri le solleticavano i capelli. Il suo odore, fresco e pulito, le invadeva i sensi, parlandole di casa e di sole. Strinse più forte il cornicione, premendo le unghie nel legno. La voce ancora non tornava e il corpo non pago prese a tremare. Lui non si muoveva, persuaso che qualunque suo movimento, seppur minimo, avrebbe potuto frantumare quel momento. Quell’attesa spasmodica di tutto e niente la stava consumando, i respiri di lui, fattisi più veloci erano come lancette di un orologio impazzito. Il suo calore e il suo profumo droghe di cui non sapeva di essere dipendente. Il cuore le martellava nel petto, cosi forte che pensò che lui doveva udirlo, cosi doloroso. Un lieve senso di nausea, un malessere fisico che rispecchiava quello emotivo. La voglia di toccarlo era  una fitta continua che le attraversava ogni terminazione nervosa e la lasciava spossata. “Will” un rantolo, un gemito, una richiesta di aiuto, un urlo soffocato, un nome schiacciato fra le labbra, nemmeno il tempo di essersi accorta di quel che aveva appena detto che lui la prese. Le sue braccia la circondarono attirandola verso di lui, premendosela contro il corpo, affondando il viso nell’incavo del suo collo. Le curve dei suoi muscoli sotto il tessuto, le sue labbra contro il collo. Tessa smise di pensare. Si girò nel suo abbraccio, fino a trovarsi faccia a faccia. E poi lo baciò. 

 
   
 
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