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Autore: DearMag    04/10/2013    0 recensioni
Mentre il treno viaggia, velocissimo, guardiamo la nostra vecchia vita che si allontana, e siamo solo io e lei, com'è giusto che sia.
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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1.
Daniele

Mi sveglio ed è come riemergere da un fiume, tirare la testa fuori dall'acqua fredda e scura.
Ero a Parigi fino a qualche momento fa, nei miei sogni, e il grigiore dell' inverno avvolgeva quella città magica, maledetta, misteriosa, un sacco di "m" insomma.
Mi sveglio. Ma questa non è Parigi, decisamente no. Sono in camera mia, a Milano, ed è il ventitrè di dicembre.
Cerco di muovermi, di alzarmi dal letto, ma rimango incollato al materasso.
Ho ventidue anni, vivo con i miei in una casa in cui nessuno si parla e la mia vita non sta andando proprio da nessuna parte.
Non studio, non frequento nessun corso, niente. Eppure mi sarebbe piaciuto, ero bravo, io, al liceo, solo che quando poi l'ho finito non sono stato in grado di prendere in mano la mia vita e costruirmi un futuro. Non so nemmeno se lo voglio, io, un futuro.
Alla fine mi alzo, non posso passare un altro giorno a letto, devo almeno fare finta di essere un ventenne che prova a viversi la vita, e poi c'è già mia madre che se ne sta tutto il giorno a dormire, come se il mondo non   esistesse più, come se il tempo avesse smesso di scorrere.
"Sono stanca." Dice.
"Lo so." Le rispondo io.
Come al solito mio padre non c'è, sarà in giro a qualche riunione importante per mandare avanti il suo lavoro del cazzo. Io per mio padre non esisto, sono un buco nero. Allora adesso non esiste manco lui per me.
Ho una carta di credito, un fondo fiduciario da cui posso prendere tutto quello che voglio, perché mio padre è pieno di soldi, perché mio padre è un maestro nel suo lavoro, e ha fatto carriera,peccato che nel frattempo la sua famiglia si è completamente arenata e lui ancora non se n'è nemmeno accorto.
Comunque sta di fatto che con le mie possibilità potrei fare quello che voglio, e invece non mi va di fare un cazzo.
Potrei andarmene, scappare via da qui, perché più passano i giorni e più la mia angoscia sale: sto sprecando la mia vita, soffro come un cane e non faccio niente per mettermi in salvo.
Potrei prendere un treno e... sì, potrei, ma alla fine non lo faccio mai.
La mia vita è un bel casino, e poi come faccio a lasciare mia madre, quella povera donna impaurita come un cerbiatto abbagliato dai fari di un suv nella notte.
La porto via con me.
Questa è un' idea folle, però sì, potrebbe anche funzionare. In fondo anche lei si sta buttando via: ha quarantasei anni e passa i mesi buttata su un letto, si muove per la casa come un' ombra, come una che non esiste. E mio padre non la guarda nemmeno più, fa finta che non ci sia, che quella donna pietosa e distrutta che le gira in casa non significhi niente.
"Tua madre sta bene" Sì, sta bene. Va tutto bene, va tutto bene.
Se lo è ripetuto talmente tante volte che alla fine, secondo me, ha iniziato pure a crederci.
Busso alla camera dei miei genitori. "Mà? Mamma... posso?" Riesco a sentire solo dei piccoli gemiti, come dei mugugni. Lo prenderò per un sì. Aprendo la porta penso che quello che sto per fare non ha senso, ma è stato un lampo, un fulmine, e proprio mia madre mi ha insegnato a seguire sempre l' istinto, a vivere seguendo ciò che mi dice la pancia, non la testa.
Lei è rannicchiata sul lato destro del letto, che dà sulla finestra chiusa. E' tutto buio, ed io mi stendo di fianco a lei. "Mamma, su... mamma, svegliati un secondo, è importante."
"Dani... dai, lasciami... lasciami dormire."
"No, mamma, davvero, cerca di fare uno sforzo, ascoltami."
Lei si lascia convincere, e, placida, si mette a sedere sul piumone rosso. La guardo in faccia, per un secondo non posso proprio credere che questa sia davvero mia madre. No, non può essere, la donna che sta di fronte ha me ha il viso pallido, sembra più vecchia di quel che è, e ha due solchi neri sotto gli occhi, nonostante le 18-20 ore che dorme al giorno.
La guardo, mi guarda.
Sembra perfino che mi legga nella mente, perché ora i suoi occhi sono bassi, pieni di vergogna.
"Mamma, non possiamo andare avanti così" Le dico.
"Lo so che fa male, che fa tutto schifo e che vorresti tornare all' anno scorso, quando la vita era bella, quando festeggiavamo davvero il Natale e tu bevevi vino bianco, ma solo un bicchiere, perché le donne ubriache sono volgari. Lo so che quei tempi non torneranno più, ma dobbiamo passare oltre, entrambi, perché la vita può essere ancora bella e potremmo festeggiare altri Natali, se solo tu lo volessi. Ma non possiamo farlo qui, questo posto è marcio, saturo di fantasmi e di dolori. Mamma, io voglio andare via, voglio ricominciare, e devo farlo con te, perché non ci penso proprio a lasciarti qui, con quell'uomo che avrebbe dovuto salvarti e che invece ti ha lasciata sprofondare."
"Daniele, cosa stai dicendo? Parli sul serio?" Mi guardava incredula.
"Mai stato più serio mamma. Mai."
"Ma come facciamo? Non si può "ricominciare", come dici tu, alla mia età.... ho passato i quarantanni da un pezzio, io, non sono mica giovane come te, che puoi prendere e andare... ma poi andare dove?"
"Non lo so, non lo so, purché sia via da qui. Io ho... ho Samuel, lui sta a Torino, vedrai che ci può ospitare per un po'. Mettiamo insieme i nostri soldi, i tuoi e i miei, e ci buttiamo. Ti prego mamma, se non vuoi farlo per te, allora fallo per me. Sono tuo figlio, cazzo, la mia felicità dovrà pure contare qualcosa per te."
Ormai la sto implorando, vicino alle lacrime. Non voglio forzarla, ma questa è la nostra via d'uscita e dobbiamo sfruttarla.
"Ma tesoro... e papà? Non ci lascerà partire così, non lo accetterebbe mai."
"E noi non glielo diciamo. Prendiamo i soldi, facciamo le valigie e ce ne andiamo. E quando lui chiamerà ci parlerò io, e dovrà andargli bene. Quando è troppo è troppo mamma, dobbiamo andarcene."
"Ma... io..." Tentenna, ci pensa, ma poi si illumina. Forse ha capito, forse si è svegliata, finalmente, forse ha visto nei miei occhi la voglia di un futuro per entrambi.
"Va bene. Facciamolo."
"Davvero?" Non posso crederci, non ci speravo.
"Oh mamma, sì, brava" L'abbraccio forte, la stritolo, e lei sorride, sorride timidamente, come una che non sa come si fa, come una bambina che mostra i denti per la prima volta.
Le do millemila baci, baci euforici, millemila baci per inaugurare la nostra nuova vita. Perché a volte non puoi fare altro che andartene.
Faccio i bagagli così come capita: poche cose a caso, giusto per andare. Sono così felice che non vedo niente, non sento niente, sono stordito, inebriato, pronto.
Prendo i miei disegni, i miei libri, e la collana di Serena, appesa al muro sopra il letto, quella catenina d'argento, piccola, importantissima.
"Mamma? Io sono pronto, tu?" le urlo, e ho già paura che ci abbia ripensato, corro nell'altra stanza e penso che la troverò di nuovo sotto le coperte, stanca, con quel velo di nebbia sugli occhi che per un secondo ho visto sparire poco fa.
"Un attimo... non so..." La trovo inginocchiata per terra, confusa, guarda l'armadio aperto, pieno di roba, e la valigia, grande, ma troppo piccola per contenere tutto.
"Cosa porto? Io... non so, cosa devo portarmi?"
"Mamma, non ti ricordi come si fa una valigia?"
"..."
"Beh, è fine dicembre, farà freddo ancora per almeno tre mesi, portati roba pesante e qualcosa di primaverile che ti piace, qualcosa a cui sei attaccata."
"Mi dici tu cosa ti piace? Io non saprei" Mi implora, è stata così abituata in quest'anno ad allontanare ogni sensazione che ora non sa nemmeno cosa le sta bene tra i suoi vestiti.
"Ok, beh, porta tutti i tuoi maglioni, che sono caldi, questi jeans chiari, questi un pò più scuri, che snelliscono" Lo dico ridendo, perché mia madre è una creaturina di un metro e cinquantacinque che peserà sì e no quarantadue chili.
"Stupido" Ride anche lei.
Mi fa un effetto stranissimo vederla ridere, è come ritrovare un' abitudine, un pezzo di vita che mi ero lasciato dietro.
"Portati anche dei pantaloni seri, una tuta, qualche golfino e un paio di giacche."
"I gioielli li prendo?"
"Certo mamma, perché no?"
"Beh, in realtà me li ha comprati tuo padre... mi sento un po' una ladra a fuggire così, prendendomi anche la roba di valore."
Ah, mia mamma, credo che non possa esistere persona più buona ed insicura. Le persone migliori sono sempre così, non sanno stare al mondo, hanno sempre paura di muoversi, di disturbare.
"Fidati, quando scoprirà che non ci siamo più, il suo più grande problema non saranno i gioielli, mà." Le accarezzo un braccio, per rassicurarla.
"Andrà tutto bene, stai tranquilla."
Sorrido, sorride.
"Ok."
"Allora, possiamo andare? Hai preso tutto?"
"Credo... credo di sì. Con i soldi come facciamo?"
"Beh, abbiamo entrambi il nostro fondo, ci fermiamo a prelevare prima di prendere il treno"
"Sì, ha senso... credi che papà chiuderà i nostri conti?"
"No, non credo possa arrivare a tanto, siamo sempre la sua famiglia. Comunque preleviamo tutto quello che possiamo per sicurezza."
Usciamo in strada e il vento ci travolge in questa mattinata grigia, natalizia: è il vento della vita.
La vita che mi ha sfondato le ossa e ha fatto sì che il mio sangue congelato tornasse a scorrere oggi.
Mia madre ha il viso di una bambina, è una donna pavida, a stento si regge in piede, ma questo vento rinvigorirà anche lei, che cammina con il viso magro e appuntito, da volpe, nascosto dentro una sciarpa di lana enorme, e non so se per il freddo o perché non vuole che si veda la sua espressione. Trema, e non credo proprio sia per il freddo, è terrorizzata, perché ricominciare, riprendersi la sua vita, le sembra più oscuro e spaventoso che lasciarsi andare come stava facendo, di certo è più difficile, ci vuole un bel coraggio, e lei non ha mai rischiato così, io lo so, la conosco.

 



9:35, il treno è in ritardo di venti minuti. Lei comincia già ad agitarsi,
"Pure il treno in ritardo... Non è stata una buona idea Dani" si alza, va avanti e indietro, si stringe le guance tra i denti, come fa quando è in ansia,
"Sapevo che non era una buona idea. Torniamo a casa, torniamo a casa."
"Mamma, calma. E' la cosa migliore, e lo sai, se no non saresti nemmeno qui. Ce la possiamo fare, tu ce la puoi fare. Siediti qui vicino a me e aspetta, tanto si sa che Trenitalia non è certo famosa per la puntualità dei suoi mezzi!".Lei ride, si rilassa un po' forse.
Potrebbe sembrare, quindi, che sia io il calmo della situazione, quello con la mente fredda, ma in realtà mi sto cagando addosso. Manco ho chiamato Samu per vedere se può ospitarci. Però devo cercare di non farmi travolgere, devo andare fino in fondo, e cazzo, questa volta non lascerò le cose a metà: porterò me e mia madre in salvo.Se Maometto non va alla montagna, allora è la montagna che deve andare da Maometto, no?

 



9:45, saliamo sul treno, sedendoci l'uno davanti all' altra, entrambi vicino al finestrino perché a noi piace così, ma io contrario al senso di marcia, perché lei detesta quel posto. E' piena di piccole fissazioni mia madre, come tutti poi.
Mentre il treno viaggia, velocissimo, guardiamo la nostra vecchia vita che si allontana, e siamo solo io e lei, com'è giusto che sia, una madre e un figlio che si sono cercati a lungo e, finalmente, sembra abbiano ritrovato, su questo treno, ciascuno un pezzetto dell' altro, e di se stessi.

 

  
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