La
coppa della vita
Nickname
sul forum: Kyra Nott
Nickname su EFP: Fiamma Erin Gaunt
Pacchetto scelto: 3
Fazione scelta: Mangiamorte
Titolo della storia: La coppa della vita
Raiting: Giallo
Personaggi: Wilkes; Evan Rosier
Introduzione: L’alchimista Grigore sembra essere in possesso
di una Coppa
capace di donare la vita eterna. Una soffiata riferita da Rookwood
porterà il
Signore Oscuro ad affidare la missione allo scettico Wilkes e al suo
compagno
di sempre, il cugino Evan. Tuttavia non tutto è
ciò che sembra.
Note dell’autore: Allora, la storia è ambientata
nel 1979, prima di ogni balzo
temporale sarà riportata data e località in cui
è ambientata la storia. Alcune
frasi sono in rumeno, subito dopo i dialoghi trovi tra parentesi la
traduzione
della frase. Infine, il nome e la parentela di Wilkes con Evan sono una
mia
licenza in quanto di loro due non sappiamo praticamente nulla; visto
che quasi
tutte le famiglie Purosangue sono imparentate tra loro ho immaginato
quindi che
fossero cugini e che condividessero un legame praticamente fraterno. Mi
è stato
talvolta fatto notare, nelle mie storie che li vedono come
protagonisti, che
assomigliano per certi versi a una versione Serpeverde di James e
Sirius per
via del rapporto che li lega.
Villa
Malfoy, 19 dicembre 1979.
Rico si
smaterializzò davanti ai cancelli della residenza dei
Malfoy. Lanciò
un’occhiata intorno a sé, controllando se qualcuno
l’avesse seguito, poi si
strinse nel mantello da viaggio e s’incamminò
lungo il vialetto ricoperto dalla
ghiaia più bianca che avesse mai visto. Si trattava bene,
Lucius, non c’era che
dire. Trovò ad attenderlo, appoggiato a una colonna del
patio, il familiare
profilo di suo cugino. Con la carnagione alabastrina, i capelli color
dell’oro
e gli occhi blu sembrava la statua perfetta per un giardino ammantato
di neve
come quello.
- Ti
aspettavo, sei quasi in ritardo. – lo accolse, una nota di
rimprovero trasparì
dal tono abitualmente incurante e pacato.
- Quasi in
ritardo significa che non lo sono ancora, rilassati cugino. –
Evan
alzò
gli occhi al cielo. Era sempre così con Rico, diceva bianco
e lui ribatteva
nero, certe volte spingeva la sua sopportazione ogni limite.
Rico lo
oltrepassò, bussando con decisione al battente in mogano
laccato. Gli aprì
un’elfa domestica dallo sguardo timoroso.
- I signori
sono gli ospiti che padron Malfoy attendeva? –
squittì, badando bene a non
incrociare il loro sguardo.
-
Sì, siamo
noi. Facci strada, elfa. –
Si
voltò
verso il cugino, che non aveva mosso un muscolo.
-
Bè? Mi
era parso di capire che fossimo quasi
in ritardo. – lo incalzò ironicamente.
-
Farò
finta di non aver colto il tuo sarcasmo. –
replicò, seguendolo e sforzandosi di
ignorare lo sguardo del moro. Dannazione, mantenere la
serietà e la compostezza
quando lo guardava in quel modo era quasi impossibile, possedeva una
mimica
facciale a dir poco espressiva ed esilarante.
-
Vorrà
dire che dovrò impegnarmi a rendere il mio sarcasmo ancora
più evidente. –
- Rico, per
favore. – borbottò, scuotendo la testa. Le morbide
onde dorate gli finirono
davanti agli occhi, costringendolo a ravviarsele con la mano. Portava i
capelli
un po’ più lunghi di quanto fosse solito fare e
stava cominciando a pentirsi di
quel seppur lieve cambio di look.
- Lo so, lo
so: diplomazia, insolenza e tracotanza. Non dimentico le regole, Ev.
–
Certo che
non le dimenticava, peccato solo che la diplomazia non fosse
esattamente una
delle sue migliori qualità, quanto a insolenza e tracotanza
invece ne possedeva
fin troppa.
Raggiunsero
la sontuosa sala da pranzo in stile impero, trovando il resto dei loro
compagni
già ai loro posti. Non si trattava di tutti gli adepti del
Signore Oscuro, ma
solo di una cerchia ristretta, quella che si sarebbe potuta definire
l’elitè.
Bellatrix e Rodolphus sedevano a metà tavolata, accanto ai
padroni di casa, e
davanti a loro avevano preso posto Regulus e Rabastan; il primo posto a
sinistra era occupato da Severus, che scrutava il resto dei presenti
con i suoi
penetranti occhi scuri, gli unici liberi erano i primi due posti a
destra.
Presero posto lì, trovandosi davanti l’espressione
altera di Rookwood e
Mulciber. A giudicare dal ghigno di superiorità che avevano
dipinto sul volto
sembrava che fossero perfettamente consapevoli del motivo per cui era
stata
convocata quella riunione.
- Pensavo
che non saresti venuto, Wilkes, non sei quello che si dice un tipo
affidabile.
–
Rico gli
rivolse un sorriso sprezzante: - E tu non sei quello che si dice una
testa
fina, Mulciber, ma a un certo punto dovrebbe essere evidente anche a
una testa
di legno come te che non ho alcuna intenzione di tirarmi indietro.
–
- Come mi
hai chiamato? – esclamò il Mangiamorte, tirando
indietro la sedia di scatto e
facendola stridere sul pavimento in cotto.
- Testa di
legno. Che c’è, per farmi capire da te devo
parlare più lentamente o
semplicemente cercare qualcuno che parli imbecillese? –
Evan
soffocò una risata, affondando il viso nel calice di
cristallo e prendendo un
lungo sorso di vino elfico. Ecco che ricominciavano, sembrava che quei
due
fossero incapaci di stare nella stessa stanza senza saltarsi alla gola.
La
discussione venne interrotta prima che finisse con il degenerare da un
rumore
di passi che riecheggiò lungo il corridoio. Si alzarono
tutti in piedi, pronti
ad accogliere l’ingresso del loro Signore.
- Bene,
vedo che i miei fidi Mangiamorte sono già tutti qui,
possiamo cominciare. –
esordì con la sua voce simile al sibilo di un serpente.
Soffermò
gli occhi rossastri su ciascuno dei commensali.
- Immagino
vi domandiate a cosa si debba questa riunione straordinaria. Confesso
di
saperne quanto voi, ma spero che Mulciber e Rookwood vogliano
illuminarci con
le loro scoperte. –
Non
sembrò
che i due uomini avessero colto l’ironia nella voce del loro
Signore, o forse
decisero semplicemente d’ignorarla.
Era
evidente che fossero certi di essere in possesso di notizie formidabili
o non
si sarebbero mai arrischiati a disturbarlo.
- Mio
Signore, lavorando all’Ufficio Misteri ho appreso una notizia
che sono certo
susciterà il vostro interesse. Si tratta di un manufatto
leggendario che sembra
essere in possesso di un noto alchimista rumeno, Nicolai Grigore.
–
Al nome del
celebre alchimista si levò un mormorio lungo il tavolo.
Grigore era un caro
amico di Nicolas Flamel ed era passato alla storia per le sue
sperimentazioni
ai limiti dell’incredibile. L’idea che fosse in
possesso di un oggetto di
incredibile potere non era poi così ridicola.
- La tua
fonte ha detto di che manufatto si tratta? – lo
interrogò l’Oscuro, parte della
sua ironia era scomparsa a quella notizia.
-
Sì, mio
Signore, dell’ Ankh. –
Il mormorio
si trasformò in sbuffi increduli. La coppa
dell’immortalità era una storiella
per bambini, lo sapevano tutti.
- Mio
Signore, con il dovuto rispetto, non vorrete davvero cercare una coppa
di cui
non esistono prove che ne documentino l’esistenza?
– intervenne Rico.
Si era
unito ai Mangiamorte per l’azione e la gloria, per passare
alla storia come il
migliore dei combattenti, non certo come colui che rincorreva leggende
infantili.
- In
verità
esistono testimonianze di una coppa del genere, il suo percorso
è facile da
rintracciare nella storia se ci si rifà all’altro
nome che le è stato dato. Sto
parlando di quello che i Babbani chiamano il Sacro Graal. –
Rico
sbuffò, incredulo. Fantastico, ora ci si metteva anche Lui
con quelle stupide
leggende.
- Leggo lo
scetticismo nel tuo sguardo, Wilkes, forse dovresti essere proprio tu a
occuparti di questa missione. – aggiunse, assottigliando lo
sguardo con aria
pericolosa.
- Ma, mio
Signore… - fece per protestare Rookwood, venendo zittito da
un deciso cenno
della mano.
- Ho deciso
che andrà Wilkes. Rosier, tu andrai con lui. –
Evan
annuì
all’istante. Era la prassi quella di muoversi in coppia e la
loro intesa era
ormai consolidata.
- Bene.
Elfa, comincia a servire la cena. – ordinò,
facendo sussultare la creaturina
che si trovava in un angolo e si era appiattita il più
possibile contro la
parete per non farsi notare più del necessario.
Due ore
più
tardi la cena era terminata e Villa Malfoy si era lentamente svuotata.
Rico ed
Evan uscirono in giardino, alzando il cappuccio nero per proteggersi
dalla neve
che aveva ripreso a fioccare.
- Ti rendi
conto, dovremo andare alla ricerca di una cosa che nemmeno esiste. E in
Romania
per giunta, hai una vaga idea di quanto faccia freddo lì in
questo periodo? –
- Non
sarebbe successo, se tu avessi tenuto chiusa la bocca e non avessi
fatto mostra
di tutto il tuo innato scetticismo. – gli fece notare Evan,
porgendogli un
braccio.
- Dovevo
dirlo, insomma, è ridicolo. –
Serrò
la
presa sull’avambraccio del cugino e un attimo dopo
udì il consueto Pop che
contraddistingueva la Smaterializzazione. Si ritrovarono nel salotto di
villa Wilkes,
dove ad attenderli davanti al caminetto stavano Rikki ed Erik,
rispettivamente
la cugina e il fratello di Evan.
- Fammi
spazio, sto congelando. – esordì Rico, sedendosi
accanto alla sorella e
allungando le mani verso il fuoco crepitante. Avvertì il
familiare senso di
pizzicore che preannunciava il risveglio degli arti e la riattivazione
della
circolazione sanguigna.
- Kelly, un
boccale di Burrobirra caldo, subito! – urlò in
direzione della cucina.
Rikki
studiò con attenzione il volto del fratello, lo aveva visto
irritato in quel
modo solo in rarissime occasioni.
- Cosa
è
successo, Evan? –
- Nulla che
ti riguardi. – borbottò scontrosamente Rico.
- Non
l’ho
chiesto a te. – ribattè, guardando con insistenza
il cugino.
-
L’Oscuro
ci ha assegnato una missione e Rico è arrabbiato
perché per portarla a termine
dobbiamo recarci in Romania. – replicò
ironicamente.
- Non sono
arrabbiato per la Romania. Cioè, non solo per quello, ma
perché non troveremo
un dannato accidente di niente. Io lo so, tu lo sai, tutti lo sanno.
– lo
contraddisse.
- Kelly, la
Burrobirra! – aggiunse, alzando nuovamente la voce. Non
ottenendo risposta, si
alzò dal divano con impeto: - Si può sapere dove
sei, stramaledettissima
incapace di un’elfa? –
L’elfa
si
Materializzò ai suoi piedi, il nasino sottile e a punta semi
congelato per il
freddo. In mano stringeva un termos e un paio di boccali.
- Kelly
chiede scusa, padron Rico, ma in casa non c’era Burrobirra e
Kelly è andata a
comprarla al bar più vicino. –
- Va bene,
per questa volta non fa niente, ma prima di agire avvisa, mi si
è sentito
strillare come un matto per tutta la casa. –
L’elfa
annuì,
assicurando che in futuro avrebbe avvisato, e si ritirò in
cucina.
- Che hai
da ridere, Ev? –
- Nulla,
solo che non puoi incolpare Kelly, se ti comporti da pazzo è
solo perché lo
sei. –
-
Divertente, veramente spassoso, perché non conservi un
po’ di humor per i
rumeni, sono sicuro che lo adoreranno. –
-
D’accordo, non è serata, perché non
andiamo a dormire? Domani ci servirà tutta
l’energia in nostro possesso per cominciare la missione.
–
Rico
annuì,
sbadigliando, - Questa è la prima cosa intelligente che ti
sento dire in tutta
la giornata. –
Raggiunsero
la camera dell’erede dei Wilkes e s’ infilarono
sotto i molteplici strati di
coperte. Avevano iniziato a dormire insieme durante le nottate
invernali quando
avevano solo tre anni e da allora era diventata una prassi. Persino a
Hogwarts,
quando non erano impegnati in attività più
piacevoli, condividevano il letto.
Nessuno si era mai stupito più di tanto né aveva
fatto commenti maligni. Il
fatto che Evan e Rico vivessero in perfetta simbiosi non era un segreto
per
nessuno.
*
Distretto
di Cluj, 23 dicembre 1979
- Hai una
vaga idea di dove ci troviamo? – domandò Rico,
scrutando gli alberi che li
circondavano. Aveva l’impressione che fossero già
passati in quel punto, o
forse no? Quei dannati alberi erano tutti uguali.
- In un
bosco. – replicò Evan, sforzandosi
d’interpretare con esattezza le parole
riportate sulla mappa. Abbandonando la prudenza, decise di utilizzare
la magia.
In fin dei conti chi si sarebbe mai aspettato di trovare due
Mangiamorte in un
bosco della Transilvania?
- Lumos.
–
sussurrò. Ecco fatto, ora sì che riusciva a
leggere.
- In un
bosco, che brillante deduzione, come ho fatto a non arrivarci da solo?
–
borbottò ironicamente Rico, avvicinandoglisi e sbirciando al
di sopra della sua
spalla.
- Casa di
Grigore dovrebbe essere qui. –
Indicò
un
punto non molto lontano dai margini del bosco. Fantastico, ora che lo
avevano
individuato non dovevano fare altro che trovare un modo per riuscire a
orientarsi in quel dannatissimo labirinto naturale.
D’un
tratto
un rumore attirò l’udito sviluppato di Rico. Fece
cenno a Evan di non muovere
un muscolo e chiuse gli occhi, cercando di captare da dove provenisse.
La
cecità simulata aiutava a concentrarsi sui suoni,
perché la vista non distraeva
il cervello con dettagli inutili e questo poteva concentrarsi
esclusivamente su
ciò che percepiva.
Indicò
un
cespuglio non molto lontano, a una decina di metri più o
meno, e sfoderò la
bacchetta. Evan lo imitò all’istante. Non era
bravo a percepire le presenze
come suo cugino, ma si fidava ciecamente del suo istinto. Se Rico
diceva che
c’era qualcuno che li stava seguendo allora era
così.
Un nuovo
frusciare e finalmente il misterioso sconosciuto si fece vedere.
Balzò fuori
dal cespuglio dietro cui si era nascosto e si lanciò verso
di loro. Era un lupo
dal pelo fulvo ed era delle dimensioni di un pony. Un lupo mannaro,
ecco
spiegata quella puzza di cane bagnato che aveva sentito.
-
Stupeficium. – pronunciarono all’unisono. Due fasci
rossastri colpirono in
pieno petto la creatura, che andò a finire contro il tronco
di un albero e
giacque immobile.
-
Incarceramus. –
Delle
resistenti funi d’argento apparvero a incatenare il lupo al
tronco. Uccidere un
animale mannaro era complicato e loro non avevano tempo da perdere,
magari
sarebbe rimasto legato lì per qualche giorno e la mancanza
di cibo e acqua
avrebbero fatto il resto.
- Non
è
sicuro accamparci, probabilmente il suo branco si aggira per questi
boschi,
dobbiamo uscire di qui il prima possibile. –
decretò Evan, puntando la
bacchetta davanti a sé.
- Guidami.
– sussurrò, picchiando sul punto della cartina che
segnava la loro
destinazione.
Seguirono
la scia luminosa della bacchetta, uscendo dal fitto della vegetazione e
riuscendo finalmente a rivedere la luce lunare. Evan spense la
bacchetta, con
quella luna piena non occorrevano altre fonti di illuminazione, tutta
l’area
circostante era rischiarata da quella spettrale luce biancastra.
- Quella
deve essere la casa del nostro uomo. – decretò,
indicando la villetta in legno
a pochi metri da loro.
-
Fantastico, andiamo a parlarci e, quando ci dirà che in
realtà è tutta una
stupida favola, finalmente torneremo a casa. –
Raggiunsero
la porta dell’abitazione e bussarono un paio di volte. Nel
giro di qualche minuto
una donna si affacciò sulla soglia e trasalì,
impaurita.
- Cine
ești,
ce vrei?* - (*Chi siete, cosa volete?)
-
Che ha detto? – domandò
Evan, perplesso. Non era mai stato un granchè con le lingue,
meno che mai con
il rumeno.
-
Vuole sapere chi siamo e
cosa vogliamo. – tradusse Rico, poi si rivolse alla donna,
parlando lentamente
per permetterle di capirlo malgrado la pronuncia non proprio perfetta:
- Cautam
Nicolai Grigore*. – (*Cerchiamo Nicolai Grigore)
Il
tono della donna passò
dall’impaurito al sospettoso: - Ce vrei Nicolai?* - (*Cosa
volete da Nicolai?)
Esasperato,
Evan puntò la
bacchetta contro la donna.
-
Portaci da Nicolai. –
-
Lui no è qui, io casa sola.
Lui no è qui. – esclamò, in un inglese
sgrammaticato e dal pesante accento
rumeno.
Un
rumore proveniente dal
retro interruppe la strenua difesa della donna. Rico la spinse di lato,
varcando la soglia e dirigendosi nell’altra stanza. Era una
specie di incrocio
tra un salottino e una cucina, una bambina colorava un disegno che
ritraeva una
famiglia felice. Le si avvicinò, mettendosi in ginocchio per stare alla sua stessa
altezza e la guardò
negli occhioni azzurri.
-
Bună
ziua,
ce
e
numele
tău?*
- (*Ciao, come ti chiami?)
-
Irina. – replicò
sorridendogli.
-
Eu sunt Rico. Trezoreria,
este casa ta tata?* - (*Io sono Rico. Tesoro, è in casa il
tuo papà?)
La
piccola annuì, indicando
con un ditino una porta dall’aria solida.
-
E così non era in casa, eh? –
commentò Evan, rivolgendo uno sguardo tagliente alla donna,
la quale prese a
piagnucolare in un incomprensibile misto di inglese e rumeno.
-
É sigillata. – annunciò Rico,
dopo aver cercato di buttare giù la porta a spallate.
-
Spostati. Bombarda Maxima. –
Il
battente saltò in aria con
un boato che fece spaventare la bambina. La piccola Irina corse tra le
braccia
della madre, che la strinse a sè e cercò di farla
smettere di piangere.
Sembrava
proprio che avessero
appena trovato il laboratorio di Grigore. L’uomo, intento a
nascondere qualcosa
in un cassetto, sobbalzò e si addossò al muro. Il
volto era una maschera di
terrore.
-
Nu
știu
nimic,
nu
știu
nimic*.
– (*Non ne so niente, non ne so niente).
-
Di cosa, esattamente, non
sai nulla? – domandò Rico con tono gelido.
-
Di cosa voi cercare, io non sapere.
Giuro, io non sapere. –
Gli
si avvicinò lentamente,
scrutando gli alambicchi e le provette che ricoprivano i vari tavoli
del
laboratorio. Quando fu a pochi centimetri dalla sua faccia lo
fissò negli
occhi. Erano di un verde chiaro che la paura faceva assomigliare a
pezzi di
vetro e guizzavano da una parte all’altra; si posavano
ovunque, meno che sul
volto del Mangiamorte di fronte a lui. Mentiva, ed era anche un pessimo
bugiardo, poteva quasi riuscire a sentire il sapore della menzogna
nelle sue
parole.
-
Non mi piacciono i bugiardi,
non li ho mai sopportati. –
L’alchimista
perse il poco
colore che era rimasto sul suo volto. Evan osservava la scena con
pacato
distacco, quasi disinteressato. Quello era il momento di Rico, era lui
quello
bravo a minacciare e a instillare il terrore nelle loro vittime.
-
Scommetto che in quei fogli
che cercavi di nascondere c’è proprio
ciò che cerchiamo. – aggiunse, chinandosi
ad afferrarli. Grigore provò a reagire, cercando di
ostacolarlo, ma un fascio
di luce rossastra lo spedì a cozzare contro la parete
opposta.
-
Da un’occhiata a questa
roba, Evan, mentre io faccio due chiacchiere con il nostro amico.
–
Il
cugino afferrò la manciata
di fogli di pergamena e li esaminò con attenzione. Erano
scritti fittamente con
una calligrafia spigolosa e difficilmente comprensibile, ma il senso
globale
era chiaro: annotazioni su una sorgente che si trovava nella regione
più
settentrionale della Romania, la cui acqua era connessa alla Coppa
della vita.
-
Chiedigli di questa sorgente,
Vară. –
Aveva
un pessimo
presentimento, sperava tanto di sbagliarsi.
-
La sorgente, Grigore,
parlami di Vară. – ordinò Rico.
L’uomo
scosse la testa, - No
dico, io non dico nulla. –
Dannato
idiota, pensava
davvero che lui non sapesse come estorcergli ciò che voleva
sapere? Se avesse
voluto avrebbe potuto obbligarlo a farsi a pezzi da solo.
-
Imperio! –
L’uomo
lo fissò con occhi
vacui, come un bambolotto privo della propria volontà.
-
Conosci la domanda, ora
rispondimi. –
-
Vară è sorgente con
acqua che distrugge potere di Coppa. Io sapeva voi venuti qui a
cercare, io
distrutta giorni fa. –
Il
pugno di Rico si abbattè
sul volto dell’alchimista, fracassandogli il naso. Avrebbe
continuato a
colpirlo se non fosse stato per l’intervento di Evan, che gli
serrò la mano in
una morsa di ferro.
-
Non abbiamo tempo per
questo. –
Già,
aveva ragione, ma il
pensiero di aver fatto tutta quella strada per nulla lo mandava in
bestia. Cosa
avrebbero raccontato all’Oscuro Signore? L’ira
riprese a infiammargli il corpo.
-
Sectusempra! –
La
testa di Grigore si staccò
con un taglio netto dal collo e rotolò a terra, gli occhi
spalancati per la
sorpresa. La moglie e la bambina urlarono, troppo scioccate
dall’orrore e dalla
paura per provare anche solo a fuggire.
Evan
si diresse verso di loro,
incantandole affinchè dimenticassero tutto. Non avrebbero
avuto alcun ricordo
del loro arrivo, di come fosse morto Grigore nè di che fine
avesse fatto la sua
testa. Rico raccolse il capo dell’uomo e lo lasciò
cadere con aria disgustata
dentro un sacco trovato nel laboratorio.
-
Andiamo, abbiamo finito qui.
–
Uscirono
in silenzio dall’abitazione
e incantarono una pietra lì vicino affinchè si
trasformasse in una Passaporta.
Ormai la riservatezza era inutile, la missione si era rivelata un vero
fiasco.
*
Villa
Malfoy, 24 dicembre 1979
Arrivarono
a destinazione all’alba
della Vigilia di Natale, stremati per le lunghe notti insonni e il
freddo che
avevano patito in quei giorni.
-
Non vedo l’ora di tornare a
casa, mi alzerò dal letto solo per mangiare e bere.
– decretò Rico,
stiracchiandosi e storcendo il naso quando sentì il collo
scricchiolare. Ci
mancava solo la vecchia artrite al trapezio cervicale che tornava a
farsi
sentire
-
Concordo in pieno, è stato
un viaggio inutilmente faticoso. –
Vennero
ricevuti dieci minuti
dopo il loro arrivo, quando a entrambi era stata servita una cioccolata
bollente e un vasto assortimento di cibarie.
-
Allora, che notizie mi
portate? – li accolse l’Oscuro Signore, gli occhi
rossastri che li fissavano
con intensità.
-
Pessime notizie, mio
Signore. Grigore aveva già distrutto la Coppa quando siamo
arrivati. – replicò Evan,
chinando lo sguardo e venendo imitato dal cugino. Entrambi
s’irrigidirono in
attesa di una punizione che non arrivò mai. La risata del
loro Signore li fece
sobbalzare per la sorpresa.
-
Lo sapevo già, ovviamente.
Si è trattato di un test, una piccola prova per verificare
la vostra lealtà.
Volevo vedere se vi sareste impegnati anche non credendo
all’esistenza di ciò
che vi chiedevo di cercare. Avete dimostrato che Lord Voldemort non
sbaglia mai
nel giudicare le persone, siete degni della mia fiducia. –
concluse.
Si
scambiarono un’occhiata
sollevata. Almeno per questa volta l’avevano fatta franca.
-
Ho un regalo di Natale per
voi, mio Signore. –
-
Un regalo per me, Wilkes, di
che si tratta? –
Una
punta di curiosità affiorò
nella sua voce sibilante.
Si
fece avanti, porgendogli il
sacco con aria rispettosa. L’Oscuro Signore si
lasciò sfuggire un’espressione
di assoluto stupore mentre osservava la testa di Grigore uscire dal
sacco e
adagiarsi sul suo grembo.
-
Un metodo d’uccisione poco
ortodosso, la trovo una scelta originale, mi piace. –
approvò, rivolgendogli
uno sguardo d’approvazione.
-
Ora andate, avete servito
bene il vostro Signore, è giunto il momento che vi
riposiate. –
Chinarono
rispettosamente il
capo e uscirono in silenzio. Quando furono fuori dalla villa, Evan
prese la
parola: - Come sapevi che avrebbe approvato il tuo dono? –
-
Non lo sapevo, ho rischiato
e ho vinto. – replicò Rico, rivolgendogli quel suo
sorrisetto di ironica
superiorità che non vedeva più sul suo volto da
giorni.
-
Ora basta con le domande.
Andiamo a casa e non facciamo nulla per il resto della giornata,
l’hai sentito
no, ce lo siamo meritati. – aggiunse.
-
E domani? –
-
Domani è un altro giorno, ci
penseremo. -
[3.560
parole]