Storie originali > Fantasy
Ricorda la storia  |      
Autore: Nemainn    05/10/2013    5 recensioni
Uno Spirito della Notte dalla lingua troppo lunga cerca rifugio da Ecate, adirata con lui, nella verde Irlanda... Cosa mai gli toccherà fare pur di avere un tetto sopra la testa?
Genere: Avventura, Commedia, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Documento senza titolo






I grandissimi occhi dorati sembravano brillare nella notte. Enormi nel piccolo volto, luminosi, spettrali. Inquietanti.
Si trovava lontano dalla sua casa, e probabilmente era meglio così, visto quello che si era lasciato alle spalle. Ecate era decisamente arrabbiata con lui. Quella notte, dalle mani della Dea, erano scaturite scintille sufficientemente minacciose da indurlo a partire per una lunga vacanza, possibilmente lontano dalle terre influenzate da Lei. Così si era trovato a vagare fino a quella costa. Ne aveva già passati altri di tratti di mare, aveva guadato a nuoto fiumi, avuto passaggi inconsapevoli sulle nave degli uomini, ed ora era abbastanza certo che Ecate non potesse arrivare a lui. Abbastanza certo, sarebbe stato certo magari un poco più lontano.
Il problema era andare oltre quel punto.
Lo spirito della notte rabbrividì. Certo il clima non era particolarmente piacevole, alle porte dell'inverno, così a nord, faceva già freddo e il cielo plumbeo e cupo prometteva solamente altra pioggia. Abituato ai climi caldi della sua bella Italia si sentiva perennemente infreddolito. Sospirando si raggomitolò meglio nell'anfratto tra le rocce, sperando di non morire assiderato.
Semplicemente era ingiusto. Ingiusto e crudele. Lui non lo aveva certamente fatto apposta a fare la spia! O meglio, se Ecate si vantava nella sua corte di essere stata la prima ad aver avvertito Demetra del rapimento, cosa ne poteva sapere lui? Come poteva immaginare che andare a dire ad Ade che era stata Ecate a fare la spia, avrebbe scatenato così tanti problemi? Ecco la Dea avrebbe semplicemente dovuto dirlo, no? Era così facile “Non parlatene in giro che è una faccenda delicata”. Invece no, doveva per forza fare la grande, per poi prendersela con lui perché gli era scappata una parola con Ade.
Nerva si raggomitolò ancora più strettamente, mentre nel cielo appariva un lampo di luce seguito, dopo pochi istanti, dal terribile suono del tuono. Ancora pioggia. Ma in quella terra pioveva sempre? Si chiese quasi disperato.
Un tetto sopra la testa sarebbe stato l'ideale, ma l'ultima volta lo avevano scambiato per una specie di cane venuto male. Lui, un cane! Che cosa orribile! Lui era un lemure, uno spirito della notte di tutto rispetto, di antica famiglia e provata capacità! Eppure in quella terra neppure sapevano cosa lui fosse, lo avevano scacciato a scopate fuori dalla stalla dove aveva trovato rifugio.
Era stato tentato di vendicarsi, portando qualche piccola sciagura alla casa, ma quello avrebbe voluto dire attirare l'attenzione di Ecate sulla sua posizione. Del resto perseguitare qualcuno non solo era impegnativo, ma richiedeva un certo aiuto da parte della sua divinità patrona. Da solo non poteva portare molta pazzia, serviva una certa assistenza divina. La qual cosa, di conseguenza, attirava inevitabilmente l'attenzione della divinità stessa. Era abbastanza impossibile, in effetti, chiedere ad Ecate di aiutarlo senza attirare la sua attenzione. E Nerva era certo che la Dea non avrebbe usato l'informazione sulla sua posizione per aiutarlo nella sua piccola vendetta.
Con un ennesimo brivido il lemure si addormentò, imbronciato e pieno di pensieri.
Quando finalmente l'alba sorse in un cielo punteggiato di nubi, sentendosi vecchio, stanco e decisamente acciaccato. Nerva uscì dal suo rifugio e si rese conto che, davanti a lui, guardando il mare, sedeva una donna.
Beh non sembrava umana, era decisamente troppo bella per esserlo, ma qualunque cosa fosse piangeva. E lui, in fondo, aveva il cuore tenero e quei sommessi singhiozzi gli fecero immediatamente cambiare idea sul farsi i fatti propri. Ma non avendo molta voglia di sentire battute o commenti sullo strano cane, con pizzico di magia fece una cosa che solitamente evitava, prese forma umana. Come uomo non era un granché, doveva ammetterlo. Aveva le sembianze di un ragazzetto gracile ma non poteva farci nulla. Un tempo era stato quello il suo aspetto, molto tempo prima, prima di morire affogato. Ma era un'altra storia.
Si avvicinò alla donna, il passo silenzioso e leggero.
“Perché piangete?” A quelle parole lei, sorpresa, alzò gli occhi su lui e fu lì, in quell'istante, che Nerva perse l'uso della parola, trovandosi la lingua incollata al palato. La donna era la più splendida, regale e bellissima che avesse mai visto. E tutte quelle parole sminuivano comunque la sua figura e la sua aura.
“Chi sei tu che mi parli?” La donna si alzò in piedi e solo allora Nerva fece caso agli abiti ricchi di ricami, alla stoffa pregiata, alla corona che con un cerchio sottile cingeva, oro su oro, il capo della donna.
“Sono, ecco, io sono un viaggiatore mia signora. Vengo da lontano, vi ho sentito piangere e mi sono dispiaciuto per voi, non volevo recarvi alcuna offesa!” Offendere una Dea era sufficiente, non sapeva bene chi avesse davanti ma una certa cautela era auspicabile.
La donna sorrise e fu come il sole che squarciava le nubi di un cielo temporalesco e cupo.
“Nessuna offesa, solo mi avete sorpresa! Nessuno mai viene quassù, qua vicino ha dimora il gigante Finn MacCool. Tiene alla larga molta gente la sua presenza, ha fama di essere un grande attaccabrighe!”
“Come vi dicevo, non sono di queste parti mia splendente signora, ma come può qualcosa farvi piangere così tristi lacrime?”
La donna scosse il capo, guardando gli immensi occhi dorati del ragazzino in piedi davanti a lei. Vestiva in modo strano, eppure era cortese, e lei sospirando raccontò del suo amore. Regina, da molti anni sola, aveva donato il suo cuore a un uomo che viveva al di là del mare ma che non poteva raggiungerla. L'unica via di accesso era la strada costruita dal gigante Finn MacCool , ma il gigante, oltre ad essere un geloso guardiano, chiedeva un pedaggio impagabile. Voleva il sangue di un uomo morto da almeno cento anni, ma un uomo morto da così tanto tempo come poteva aver sangue nelle sue vene? E la regina, inconsolabile, ogni giorno saliva sulla collina guardando la strada del gigante poco lontano. Piangeva, chiedendosi quando avrebbe potuto avere accanto a lei il suo amore.
“Siete Regina, mia signora, non avete potere di comandargli di aver libero il passo?”
“Sono regina dell'Isola di Smeraldo mio buon amico, ma non tutto ciò che vi vive è mio suddito. E i giganti vivono con le loro regole, lasciando in pace noi in cambio del rispetto della loro vita e della loro legge.” Nerva si grattò la sommità del capo, coperto da una disordinata zazzera nera, riflettendo. Lui era umano, o almeno lo era stato un tempo, e con un po' di fatica forse poteva cercare di sanguinare. E di certo cento anni dalla sua morte erano passati. Ma come poteva spiegare a quella bellissima regina che stava parlando con un lemure, spirito della notte, della corte della Divina Ecate, senza spaventarla? Non voleva che quella donna lo allontanasse, il suo sorriso aveva scaldato la sua anima come nulla prima. Non voleva dirle la verità, eppure desiderava aiutarla, tentennò, e starnutì violentemente.
“Ma voi dovete avere freddo, per ringraziarvi del vostro orecchio vi offrirò ospitalità al mio palazzo. Se vorrete potrete allietarci con le storie della vostra terra lontana, i viaggiatori portano sempre calore nelle sale della mia casa!”
Nerva accettò e si incamminò al fianco della bellissima regina, che aveva scoperto chiamarsi Mebd. Camminarono a lungo e lei continuò a narrargli la sua storia.
Ogni nave mandata a prendere il suo amato, per una maledizione, affondava. Nessuno poteva portare quell'uomo sulla costa della sua isola. La maledizione, lanciata da un uomo scontento di non avere l'amore di lei, era potente, impossibile da spezzare. Così nessuna nave, barca, zattera o oggetto galleggiante poteva portarlo da lei.
Gli raccontò di come avesse anche ordinato che il mare gelasse e, munita di lame che si allacciavano agli stivali, tentò di percorrere il tratto che la separava dal suo amore. Ma era stato tutto inutile. Il mare ghiacciava vicino alla costa, ma oltre i poteri dei druidi non potevano andare, lasciando irraggiungibile il suo amore.
Aveva ordinato che si trovasse il modo di farla volare come un uccello, ma era stato inutile. Nessun artigiano e nessun mago erano riusciti nell'impresa.
Ad ogni parola della splendente regina, Nerva era sempre più inebriato d'amore. Come il più intossicante dei vini, quel dolce suono lo ubriacava, e lui pendeva sempre di più dalle sue rosse labbra. Accettò l'ospitalità che gli veniva offerta e raccontò della sua lontana, assolata e calda Italia, raccontò di come si fosse inimicato Ecate e vide la regina sorridere. Alla fine del banchetto, quando i bardi suonavano nella grande sala allietando i commensali con dolci note, lui si inchinò al cospetto di Mebd.
“Mia signora, non temete ciò che io sono, ma la morte mi è stata data diverse centinaia di anni fa. Potrei cercare di aiutarvi, se è il sangue di un uomo morto che il gigante desidera per darvi libero passaggio, quello avrete da me. In cambio vi chiedo di accettarmi alla vostra corte fino a quando la mia Dea non mi avrà perdonato. O si sarà scordata di essere arrabbiata con me...”
Quelle parole erano costate molto coraggio al lemure, ma il suo cuore pareva martellargli nel petto con violenza ogni volta che posava lo sguardo sulla regina. Desiderava stare lì, vederla, aiutarla e saperla felice.
“Le vostre parole sono quanto di più meraviglioso potessi sognare mio buon Nerva! Mi date gioia e speranza e, in cambio, chiedete ciò che sarebbe già vostro per pura ospitalità! Che così sia! Io Regina Mebd ho parlato!”
Nerva sorrise, i piccoli denti appuntiti da lemure fecero così, per un attimo, capolino in una bocca altrimenti umana. Quella notte dormì tra pareti di pietra, sotto calde pellicce, assaporando un sonno comodo e caldo che non gustava da troppo tempo. L'indomani partì con la magnifica regina e poche guardie, la dimora del gigante li aspettava. Viaggiarono spediti, attraversarono verdi colline e il cielo terso si rannuvolò, bagnandoli di pioggia. Il tempo in quell'isola era mutevole come l'umore di una ninfa, Nerva era sicuro di quello. Un momento prima, pur con il freddo, il sole splendeva, mentre poco dopo ecco che un temporale lo inzuppava fino al midollo.
Davanti agli occhi dello spirito della notte apparve l'oceano e il sentiero del gigante, lasciandolo bocca aperta.
Un sentiero si inoltrava tra le acque, pilastri di pietra basaltica che sfidavano i flutti fino alla riva opposta, persa in quel spento blu che si mescolava al grigio nella lontana foschia umida. Le nubi grigie, solcate da rade lance di luce dorata, correvano nel cielo, riflettendo il mutevole gioco delle onde altrettanto cupe. Un gioco di grigi creato dall'acqua, dal cielo e dalla roccia, che lasciava l'osservatore colmo di meraviglia e stupore. La collina digradava verde verso quello spettacolo, mentre il sentiero di terra scura sotto gli zoccoli delle loro cavalcature portava ad una grotta sul fianco della stessa.
Lì la regina smontò dal suo palafreno bianco, avviandosi seguita da Nerva e dai pochi guerrieri fino all'entrata. Il lemure in forma umana era a dir poco nervoso. Non era certo di poter sanguinare in quella forma, ma il gigante non avrebbe accettato il sangue in forma di lemure.
Non aveva veramente mentito, era certo di poter creare qualche goccia di sangue, ma sanguinare... no. Non ne era certo. E ora si trovava a seguire nervosamente la bellissima Mabd nella casa di quel gigante. Sulla soglia di pietra screziata dal muschio, sulla spiaggia dove alghe abbandonate davano tocchi tristi alla sabbia chiara, la donna alzò il viso regale e luminoso.
“Finn MacCool! Io, Mabd, ti chiamo!”
Un suono nacque dalla caverna, simile al sordo cozzare di roccia con roccia, e l'uomo più grosso che Nerva avesse mai visto, apparve. Solo piegando la testa all'indietro poteva vederne il volto. Lunghi capelli biondi in un viso dai tratti duri, segnati dal vento e dal mare. Abiti di lana a scacchi verdi e neri, calzoni dello stesso tartan e alti stivali.
“Cosa vuoi da me regina degli uomini?” Nonostante le dimensioni la voce del gigante era musicale e per nulla cavernosa, anzi, era assai piacevole alle orecchie dello spirito.
“Voglio poter usare il tuo sentiero, gigante! Hai imposto un pedaggio, ed io dopo anni finalmente ho risolto il tuo indovinello!”
Una risata di cuore scaturì dal petto di Finn, mentre con un movimento rapido si sedeva all'entrata della sua grotta, su di un masso.
“Bene allora, dove è questo sangue di uomo morto da almeno cento anni?”
Nerva ad un cenno della regina si fece avanti, in realtà con una certa titubanza.
“Sarebbe il mio.”
“Che scherzo è mai questo? Il ragazzino mi pare molto in salute per essere un uomo morto!”
“Non sono un ragazzino, ma lo ero nel momento della mia morte e per quello ho questo aspetto. La mia signora Ecate mi accolse alla sua corte, come spirito della notte.” Il gigante guardò sorpreso il lemure e strizzò gli occhi, osservandolo meglio. Dopo un lungo sguardo annuì, rilassando le massicce spalle.
“Non menti, non sei di certo vivo. Ma come credi di potermi donare del sangue se non sei tra i viventi?” Con un gesto teatrale il lemure prese dalle mani della regina un piccolo pugnare di bronzo. Stringendo le labbra, e sperando di riuscire nel suo intento, si concentrò, ricordando la sensazione del sangue, il suo colore, il suo calore.
Ricordò il cuore e il suono che aveva nel suo petto, il suo pulsare ritmico.
Si concentrò, alzando poi gli occhi sul suo polso. Con un gesto deciso appoggiò la punta affilata sulla pelle bianca e affondò, mentre una linea rossa appariva sulla pelle. Sangue, gli serviva sangue!
Con disperazione si concentrò e sentì una goccia di sangue sgorgare dal polso morto, poi due e infine un minuscolo rivolo caldo e dall'odore ferroso scorrere sull'avambraccio sotto gli occhi del gigante. La regina, con una pezza della più candida lana, asciugò e raccolse quel liquido rubino e lo porse poi al gigante, un sorriso fiero e deciso sul volto. “Non posso negarti oltre l'accesso al mio sentiero, questo è decisamente sangue di morto, molto ben invecchiato poi!”Il gigante sospirò e con un gesto indicò il sentiero di pilastri di basalto. “Vai, porta qua il tuo amato, ti sei meritata il premio visto quanto sei stata scaltra! E tu, piccolo spirito, hai la mia parola, se mai possa servirti passare potrai farlo, ma una volta soltanto! Quindi pondera bene quando usare questo dono.”
“Grazie buon Finn MacCool, il tuo dono è grande e generoso!” Nerva sorrise e si sedette. “Vi aspetterò qua mia regina, ho un solo passaggio e non credo sia il caso di usarlo a questo modo!” Il lemure sorrise, soddisfatto. Aveva una casa dove vivere ora, accanto alla sua bellissima Mebd. L'ira di Ecate prima o poi si sarebbe esaurita ed allora lui sarebbe tornato nella sua assolata penisola, ma fino a quel momento il suo sole sarebbe stato il sorriso della regina. Quello lo avrebbe scaldato con i più caldi raggi, riempiendolo di gioia ogni volta a quella vista.
La donna annuì, il volto che puntava verso l'acqua, il vento che con dita vivaci giocava con le lunghe ciocche dorate. Con sicurezza si avviò, il passo deciso della guerriera, il volto nobile della regina, verso l'altra sponda. Verso la fine del sentiero dove l'attendeva il suo amore.










N.d.A.

Storia che partecipa al PrompTiAmo del gruppo FB "Io scrivo su EFP"
-1- Non so scrivere commedie, qua non muore nessuno ed è il meglio che sono riuscita a fare... Tenendo conto che commedia è un'opera dalle tematiche leggere solitamente a lieto fine, anche se non fa ridere, spero di essere riuscita a non far piangere. Le lacrime di pietà non valgono.

-2- Quando ho letto lemure non ho pensato all'animale. Lo so, sono strana. Il termine "lemure" deriva dalla parola latina lemures, cioè "spiriti della notte" che sta ad indicare gli spiriti della notte della mitologia romana. Secondo il mito tornavano sulla terra a tormentare i vivi, perseguitando le persone fino a portarle alla pazzia. Il senso di orrore che circondava queste figure spettrali venne poi a delineare quello della loro domina, la dea Ecate. Ecco come nasce Nerva. (Nerva è, tra l'altro, veramente un nome latino.)

-3- Per stare in tema come personaggio femminile ho scelto Mebd. Lei era l'entità che garantiva il contatto tra il mondo dei vivi ed il mondo dei morti ma venne venerata anche come Dea guerriera. La festa Pagana di Mabon fu ed è celebrata in suo onore, ogni anno all'Equinozio autunnale (il 21 settembre quindi mica a caso eh). Durante questa ricorrenza chi voleva diventare Re doveva invocare la potente Regina Medb ed essere invitato dal potente spirito a bere il suo idromele.

-4- La strada del gigante è presentata a questo modo, ho rispettato quanto più ho potuto il mito.

-5- Uno dei nomi d'Irlanda è “Isola di Smeraldo”.

-6- Serve davvero che metta la nota per spiegare il rapimento di Persefone nell'Ade?

-7- “ munita di lame che si allacciavano agli stivali ” Gli antenati dei pattini da ghiaccio. Si, misero, ma ho fatto del mio meglio...

.
   
 
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Nemainn