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Autore: Belarus    07/10/2013    3 recensioni
Un Drago Celeste che nobile non è mai voluta essere, una fuga bramata da sempre e un mondo del tutto sconosciuto ad allargarsi ai piedi della Linea Rossa. Speranze e sogni che si accavallano per una vita diversa da quella che gli è da sempre stata destinata. Una storia improbabile su cui la Marina stende il proprio velo di silenzio, navi e un sottomarino che custodiscono un mistero irrivelabile tanto quanto quello del secolo vuoto.
#Cap.LXXXV:" «Certo che ci penso invece! Tornate a Myramera e piantatela con questa storia dello stare insieme! Io devo… non potete restare con me, nessuno di voi può. Sparite! Non vi voglio!» urlò senza riuscire o volere piuttosto trattenersi.
Per un momento interminabile nessuno accennò un movimento in più al semplice respirare e solo quando Aya fu sul punto di voltarsi per andare chissà dove pur di mettere distanza tra loro, Diante si azzardò a farsi avanti.
«Ci hai fatto giurare di non ripetere gli errori passati. I giuramenti sono voti e vanno rispettati.» le rammentò. "
Genere: Avventura, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eustass Kidd, Nuovo personaggio, Trafalgar Law
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Teru-Teru Bouzu '
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Titolo: Teru-Teru Bouzu
Genere: Avventura; Romantico; Generale {solo perché c’è davvero di tutto}.
Rating: Arancione {voglio farmi del male, oui.}
Personaggi: Nuovo personaggio; Eustass Capitano Kidd; Trafalgar Law; Heart Pirate.
Note: è la prima volta che scrivo qualcosa con un personaggio di mia invenzione e a dirla tutta ne sono terribilmente spaventata, non sono il genere di autrice a cui piace inventare integralmente, ma l’idea mi ruzzolava nella mente da anni e mi sono convinta finalmente a scriverla. Tra l’altro ieri era il compleanno di Trafalgar e volevo fargli un regalo… schifido, in ritardo, ma pur sempre un regalo.
Per quanto riguarda la storia, trattasi di una long – sperando di portarla a termine – di cui questo primo capitolo è solo il prologo, scritto principalmente per introdurre il personaggio da me partorito e alcune motivazioni che staranno alla base della vicenda. Si svolge prima degli eventi narrati da Oda sull’approdo a Sabaody e nella mia mente assomiglia vagamente ad un “What if…” quindi vedete un po’ voi come interpretarlo. I personaggi originali del manga appariranno poco alla volta e dal prossimo capitolo, giusto perché di fretta non ne ho. Per altre delucidazioni – come il perché del titolo o della leggenda – note a piè di pagina o contattatemi anche solo per il gusto di insultarmi ù_ù Mercì e alla prossima settimana, con il primo capitolo.




PROLOGO






Secondo la leggenda ogni essere umano possiede in sé uno spirito, il Reikon. Quando l’età avanza e la morte sopraggiunge, lo spirito si libera del corpo e resta in attesa dei propri riti funebri, trasformandosi in protettore della famiglia, cui dopo il trapasso fa visita ogni anno durante la torrida festa dell’Obon. Accade a volte, però, che tali riti non siano effettuati o per imperizia o per vendetta e il Reikon rimanga bloccato sul fiume Sanzu nella vana attesa che la vecchia Datsue-ba e il marito Keneō pesino i suoi indumenti per condurlo nell’aldilà. Solo allora, consumato dai propri sentimenti ancora umani, il Reikon muta in Yūrei e torna nel mondo dei vivi per perseguitarli per l’eternità con i propri Hitodama.
Non doveva esservi poi molta differenza agli occhi di sua madre tra lei e uno di quegli spiriti ingiustamente definiti malevoli, glielo leggeva nello sguardo ogni qualvolta il suo comportamento disattendeva le aspettative che le erano state imposte o la sua “maledizione” veniva fuori. Le aveva persino sentito sibilare con orrore preghiere che esorcizzassero la sua anima, poiché a suo dire, non vi era alcuna spiegazione che giustificasse tali atteggiamenti se non un qualche Yūrei venuto a perseguitarli senza un ingiusto motivo. Di ragioni a quei comportamenti o alla persecuzione di un povero spirito Aya avrebbe potuto trovarne a milioni. Da bambina, quando Ko-sama le aveva raccontato in segreto quella vecchia leggenda, le era capitato di chiedersi come mai uno di quei poveri schiavi tormentati tra le candide mura del palazzo della sua famiglia non fosse ritornato a divorare l’anima dei suoi genitori dopo la morte. Poco tempo dopo però, aveva abbandonato la speranza di vedere in loro un qualche segno che indicasse una spiacevole visita notturna ed era giunta alla triste conclusione che almeno da morti, quei poveri uomini volessero volare sopra le onde del Grande Blu per raggiungere le proprie famiglie e liberarsi dalle catene di quell’orrida città che era Marijoa.
«Me ne vado.» allontanò con disgusto le iridi ambrate dal giardino, dove sua sorella Hana prendeva il thè con una delle sue viziatissime amiche.
«Hime-sama sa che è impossibile… i cancelli sono sempre chiusi.» mormorò dispiaciuta la donna accanto al suo letto, fermando per qualche secondo il continuo cucire.
Aya le rivolse un sorriso grato per il tono che da sempre Ko le ha riservato.
Sapeva che quell’epiteto nulla aveva a che vedere con la presunta disparità di classe che avrebbe dovuto esserci tra loro, alle sue orecchie suonava piuttosto come l’ennesima carezza da parte di qualcuno che per lei era stato molto più che una madre.
La vecchia Ko le aveva tenuto compagnia durante gli anni, l’aveva protetta, cresciuta, ma cosa ben più importante, le aveva fornito delle continue fughe seppur immaginarie da quell’orribile linea rossa su cui si ergeva la capitale. Grazie a lei aveva scoperto cosa si celasse oltre quelle coltri di nebbia vaporosa che risalivano le scarpate, da lei aveva imparato vecchie canzoni e leggende del mare orientale, insieme a lei aveva coltivato in silenzio la speranza di fuggire da quella casa che mai le era appartenuta.
«Voglio chiedere ai miei genitori di scendere nell’arcipelago per il mio compleanno, da lì se avrò fortuna troverò un modo per allontanarmi abbastanza da far perdere le mie tracce.» scandì con sicurezza, sintomo di quanto quell’idea le fosse ronzata in testa.
«Sabaody?» le braccia parvero sprofondare sulle spalle allargate dall’età e dal seno prosperoso.
«Dirò loro che voglio una schiava, l’idea sarà abbastanza riprovevole da convincerli a portarmi lì all’istante… » ghignò tristemente e gli occhi corsero nuovamente alla finestra dagli infissi nivei.
Oltre quelle mura di latte, oltre il palazzo del Governo Mondiale, lontano dalle strade brulicanti di nobili e marines, sotto le nebbie plumbee che circondavano la linea rossa, c’era il mondo reale. Quello stesso mondo dove nascevano le bolle che occasionalmente fluttuavano sin lì, dove Ko era nata, dove il Grande Blu si estendeva a perdita d’occhio, dove il bianco di Marijoa non esisteva. Quello stesso mondo che lei non aveva mai visto, quello in cui aveva vissuto Gold Roger, il famigerato Re dei Pirati.
«E dove andrai?! È grande là sotto!» biascicò con preoccupazione lasciando cadere insieme al tono rispettoso anche il lavoro di maglia fatto sino ad allora.
«Non lo so, ma non voglio più stare qui… questo non è il mio posto Ko, lo sai che non lo è.»
Ebbe quasi l’impressione di vedere il viso della sua vecchia balia chinarsi in un muto assenso, nonostante i suoi occhi fossero ancora puntati oltre i tetti delle abitazioni, di là delle mura immacolate dove si allargava la distesa di terra rossa e le nuvole lasciavano intravedere una macchia blu in quel mare di nebbie.
Marijoa non le era mai appartenuta, né mai sarebbe avvenuto il tanto sperato cambiamento che sua madre attendeva da anni. Era nata nel luogo sbagliato, tra gente con cui condivideva solo qualche goccia di sangue e nient’altro. Quella gabbia dorata però, l’avrebbe trattenuta ancora soltanto per qualche giorno, dopo il suo nome sarebbe scomparso tra milioni e lo Yūrei, per cui tanto sua madre provava timore, avrebbe allontanato i propri Hitodama da quella dimora e sarebbe ridisceso nel mondo cui per sempre sarebbe appartenuto.
«Teru-Teru Bouzu, Teru Bouzu, ashita tenki ni shite o-kure.»



***





Non era mai stata nell’arcipelago, né in nessuna delle isole o piattaforme che riempivano il mondo di sotto. La sua immaginazione aveva generato una visione distorta e obliqua di quei luoghi, nutrendosi dei racconti di Ko-sama, ma nulla di ciò che vi era scaturito era lontanamente paragonabile all’arcipelago Sabaody. Era a conoscenza delle mangrovie Yarukiman, della suddivisione dei grove, persino delle bolle di resina che sporadicamente fluttuavano sino a Marijoa, ma camminarci in mezzo era stata una scoperta continua.
Allontanò lo sguardo dal cielo di foglie che molti metri più su impediva al sole di riscaldare completamente il terreno, portandolo lungo la via su cui i suoi genitori insieme a sua sorella si erano allontanati qualche minuto prima creando con la loro presenza un corridoio tra la massa di visitatori. Sua madre e Hana dovevano essere di certo intente a guardarsi attorno con espressioni di puro orrore, quel posto le disgustava più di qualsiasi sua azione deprecabile a Marijoa.
Sapeva che la decisione di venire in quel luogo quel giorno era scaturita dalla speranza di un possibile cambiamento, certamente suo padre aveva preferito accontentarla con un “regalo di così bassa lega” come uno schiavo piuttosto che incorrere in qualche azione sconsiderata, ma non le importava poi molto. Quel giorno non avrebbe comprato nessuno schiavo, non avrebbe camminato tra la gente sopportando i muti sguardi di obbligato rispetto come ci si aspettava per un Drago Celeste, non sarebbe divenuta un clone della sua perfetta sorella. Sabaody sarebbe stata la sua via di fuga.
«Tieni, portalo con te!» osservò le mani della donna, mentre tiravano fuori una sacca dall’aria lercia da sotto la gonna dai bordi sbrindellati.
«Cos’è?» chiese incuriosita, allacciandolo al cinturone in cuoio.
«Ci ho messo dentro una cappa per coprirti, dei berry e qualcosa da mangiare, ora va però altrimenti se ne accorgeranno!» la spinse un po’ più distante continuando a guardarsi intorno con aria preoccupata.
Quando erano giunti sull’arcipelago, il presidio della Marina aveva registrato la loro visita e avvisato i gruppi di controllo che si aggiravano oltre la zona fuorilegge, probabilmente quando i suoi genitori si sarebbero accorti della sua mancanza l’allarme si sarebbe diffuso in ogni grove.
«Mi mancherai Ko… grazie per tutto!» la strinse a se un’ultima volta, ma la donna la allontanò dopo poco.
«Va, su! Dal grove ventinove in poi nessuno si preoccuperà di chi sei, quindi fa il prima possibile! Sta attenta e non cacciarti in guai troppo grossi!» borbottò con voce rotta, mentre gli enormi occhi nocciola le si riempivano di lacrime.
«E va dalla Marina semmai dovesse accaderti qualcosa! Vai, corri!» concluse con voce fioca.
Gli abitanti e visitatori di Sabaody ripreso a riempire le vie commerciali tra i grove, ignari della presenza di un nobile mondiale tra loro. Aya le scoccò un ultimo bacio frettoloso e mosse qualche passo tra il brulichio di gente che le si accalcava attorno, scorse le prime lacrime rigare il volto grinzoso di Ko e corse via affondando i tacchetti degli stivali tra l’erba umida con una morsa intollerabile a serrarle la gola.
Non si sarebbero mai più riviste se la Marina non l’avesse ritrovata. La vecchia Ko avrebbe rappresentato nella sua memoria l’unico ricordo amorevole di una vita di cui si stava liberando con ogni suo sforzo. Non sapeva cosa le sarebbe accaduto da quel giorno in avanti, non era neanche molto certa di come avrebbe trascorso la sua prima notte o se ce ne sarebbero state altre. Il mondo in cui si stava addentrando passo dopo passo era una realtà a lei sconosciuta, i racconti e le leggende non sarebbero stati sufficienti lì, ma la consapevolezza di poter rispondere del proprio destino, delle proprie scelte, la spingeva ad accelerare la corsa a ogni secondo.
Continuò a correre a perdifiato tra negozi appariscenti, bancarelle ricoperte di resina e uomini provenienti da ogni parte del Grande Blu. Proseguì nella propria fuga sentendo i polmoni bruciare per lo sforzo, serrando le mani perfette attorno alla sacca che batteva sul suo fianco, con i capelli finalmente liberi da sciocche acconciature che non le si addicevano. Non smise neanche quando su una delle mangrovie il numero “29” svettò nefasto con i propri bordi rovinati, avanzò, ma il suo cuore parve farsi più leggero.
«Teru-Teru Bouzu, Teru Bouzu, watashi no negai wo kiita nara amai osake wo tanto nomasho.»










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Note dell’autrice&Traduzioni:
Dunque, i nomi che ho scelto appartengono un po’ tutti alla tradizione giapponese e com’è ovvio hanno un loro significato specifico. Passo dunque a traduzioni e spiegazioni.
- “Aya”: Normalmente significherebbe “Colorata/Appariscente”, ma ha un’accezione cui mi sono ispirata e che riprende le caratteristiche della protagonista, ovvero “Progetto”. Credo si capisca abbastanza bene dal prologo che i genitori abbiano una serie di aspettative che lei puntualmente disattende, non gradendo particolarmente il proprio ruolo di nobile mondiale.
- “Ko”: “Pace/Pacifica/Piena di bontà”.
- “Hana”: ovvero “Prediletta”.
Per quanto riguarda invece le citazioni sulla mitologia giapponese e i vari personaggi:
- “Reikon/Yūrei”: la leggenda è esattamente tale e quale a quella che ho riportato all’inizio, nulla di più nulla di meno.
- “Hitodama”: entità che corrispondono ai nostri fuochi fatui, si dice fossero presagio di sventure o di futuri tormenti. In base alla quantità di fuochi si poteva definire il numero di calamità prossime.
- “Datsue-ba/Keneō” : Sono due vecchie spiriti traghettatori che agiscono sulle sponde del fiume Sanzu. Spesso la moglie è dispettosa e distrugge gli abiti dei defunti, impedendo che il marito possa acconsentire il passaggio.
- “Sanzu”: Fiume su cui navigano le anime dei defunti. Può essere attraversato in quattro guadi, ognuno dei quali corrisponde ad una pena da scontare per l’aldilà.
- “Teru-Teru Bouzu, Teru Bouzu, ashita tenki ni shite o-kure.” : “Teru-Teru Bozu, Teru Bozu portami il sole domani”: è una famosa preghiera in filastrocca della tradizione giapponese. Il Teru Bozu è un auspicio che viene appeso alle finestre affinché gli spiriti maligni si tengano lontani dalle dimore, lo si usa spesso contro la pioggia per il giorno seguente. Spesso la preghiera viene ripetuta come auguri per un futuro più felice.
- “Watashi no negai wo kiita nara amai osake wo tanto nomasho. “: “Se ascolterai le mie preghiere ti donerò del sakè dolce”: Altra strofa della preghiera.



  
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