<< And
every once in a while I'd sing a song for
you
That would rise above the mountains and the stars and the sea
And if I wanted it to it would
lead you back to me >>
The Lion’s Roar, First Aid Kid
Si girò più
e più volte sotto la coperta, la schiena a contatto con la dura terra e il
pianto disperato dei Bambini Sperduti che gli perforava le orecchie,
martellandogli le tempie fino a quando i suoi occhi non si spalancarono, fissi
dove avrebbe dovuto esserci il cielo, oscurato
dagli alberi della giungla.
Si alzò a
sedere, sbattendo le palpebre un paio di volte prima che i suoi occhi
riuscissero ad abituarsi all’oscurità che lo circondava.
Osservò per
qualche istante i suoi compagni di viaggio, dormivano tutti profondamente a
parte Emma che continuava a girarsi e rigirarsi in preda a quello che sembrava
un sonno particolarmente difficile.
Si domandò
se anche lei sentisse il pianto disperato dei bambini: era qualcosa che gli
stringeva il cuore, capace di riportarlo indietro a quando lui stesso era stato
uno dei Bambini Sperduti, a quando suo padre l’aveva abbandonato e l’Ombra era
andata a prenderlo.
Si alzò in
piedi e mordendosi il labbro fece qualche passo in certo, lanciando poi un’occhiata
all’inizio della Selva Nera, dove sperava con tutto se stesso di non dover
metterci piede nuovamente.
Quel luogo
era oscuro, la luce della luna faticava a filtrare fra le pesanti e umide
foglie scure, l’aria era pesante, come se ne venisse risucchiato tutto l’ossigeno.
Vi aveva
trascorso tantissimo tempo la prima volta che era arrivato a Neverland: vi si era rifugiato per fuggire dai Bambini
Sperduti una volta che l’Ombra l’aveva lasciato sulla spiaggia.
Aveva corso
fino a quando i suoi piedi nudi non aveva cominciato a sanguinare, fino a
quando le gambe, tremanti non lo avevano abbandonato ed era finito con il volto
nel fango.
Ricordava
come se stesse succedendo in quel momento – o forse era solo quel luogo, quei
pianti che gli stavano friggendo la testa -
il puro terrore che lo aveva invaso quando Rufio
lo aveva preso su per il colletto della sua camicia sporco e, dopo avergli assestato
un calcio nello stomaco, lo aveva portato davanti a Peter Pan.
Le labbra di
Killian si piegarono in un ghigno al ricordo di quello che aveva fatto a Rufio quando era tornato a Neverland
per seconda volta: il cuore oscurato dalla vendetta e il bisogno, quasi
primordiale di fare del male a qualcuno
e quando, per puro caso, si era scontrato con lui nella Selva, il desiderio di
provare l’uncino sulla tenera pelle di quel ragazzino che anni prima era stato
il suo incubo, era troppo dolce e gustoso per essere ignorato.
And I held tight to the Captain's might
As he pulled up his trews.
"You haven't slept," heave ho, he said,
"In many suns and moons.”
Il respiro
si fermò da qualche parte nella sua gola e la sua mano, l’unica sua mano, tremò
febbrilmente, mentre quel dolce canto gli accarezzava le orecchie, portandolo
indietro di anni, quando ancora la gioia e l’innocenza facevano parte di lui.
Quelle
parole le ricordava cantate da una voce maschile, profonda e roca per la troppa
erba gatta, ricordava suo padre cullarlo con quella canzone di notte,
accompagnando quella melodia a delicate carezze sui capelli.
Le lacrime –
quanto era che non piangeva? Nemmeno riusciva a ricordarlo – gli appannarono la
vista mentre il canto continuava.
"Oh, I will sleep when
we reach shore,"
"And pray we get there soon."
He said, "Now hush love, here's your gown."
"There's the bed, lantern's down."
But I don't want to go to sleep;
in all my dreams, I drown
A cantare
però, questa volta, non era sua padre, era una donna con la voce più dolce e
delicata che lui avesse mai sentito, miele colato sulle dita e dolce ronzio di
api.
Fece qualche
passo, superando il confine ed entrando nella Selva Nera: non era riuscito ad
impedirselo, era come se con quel canto i suoi piedi avessero presa vita propria,
seguendo un percorso noto solo a loro, che non necessitava di una luce o di una
mappa, ma solo di quelle parole.
Il suo cuore
era gonfio di lacrime e i suoi occhi talmente appannati che quasi non vedeva
dove metteva i piedi, ma non importava, fino a quando avrebbe sentito la ninna
nanna sarebbe andato tutto bene.
Per un
attimo il volto di suo padre, con la linea volitiva della mascella, la
cicatrice che gli tagliava crudelmente la guancia sinistra e il suo sorriso
storto, comparvero davanti ai suoi occhi, talmente vivido che pensavo di
poterlo toccare semplicemente alzando la mano.
La canzone
continuava, sempre quella voce quasi angelica che intonava le parole
dolcemente, come se le stesse cantando a un bambino per farlo addormentare.
Arrivò a una
piccola radura, illuminata da un ribelle raggio di luna che era riuscito a
farsi strada nell’oscurità e qualcuno era lì, seduta su un tronco di albero
caduto, ad aspettarlo.
Era una
donna, la stessa che stava cantando la canzone, gli dava le spalle ed era
avvolta da un lungo abito color lavanda, un drappo bianco, che alla luce della
luna sembrava di impalpabile seta a coprirle le spalle, i capelli portati
davanti, raccolti sul petto, le dita che
li accarezzavano e la ninna nanna che continuava.
"Captain! Captain!
I will do your chores
I will warm your cot at night
And mop your cabin floors
Sicuramente
lo aveva sentito avvicinarsi a lei, ma non aveva dato segno di volersi girare
verso di lui, continuava a cantare e ad accarezzarsi i capelli.
Killian fece
qualche passo avanti verso la donna, girandole intorno e il cuore gli si fermò
dolorosamente nel petto quando riconobbe il volto madreperlaceo della
principessa Aurora.
Lei lo
osservò per un attimo, accennò un sorriso innocente e continuò a cantare, come
se il fatto che lui fosse lì ad ascoltare non la imbarazzasse, ma al contrario,
stesse addirittura cantando per lui.
Scold me, hold me
I'll be yours
to keep
The only thing I beg of you
Don't make me go to sleep"
Gli rivolse
poi una lunga occhiata carica di qualcosa di molto simile al rancore e alla
rabbia.
“Non provi
anche questa volta a strapparmi il cuore, Killian?”
Aveva
pronunciato il suo nome come se fosse il peggiore degli insulti, qualcosa che
le labbra di una principessa non avrebbero dovuto conoscere.
Scosse poi
il capo, lunghe onde castane che si muovevano nel candore abbacinante del suo
scialle, si alzò in piedi, guardandolo intensamente negli occhi.
“Non ti odio
come pensi, non più almeno.”
Aurora gli
tese la mano perché lui la stringesse, ma l’unica cosa che ricevette fu l’uncino
di Killian ad accarezzarle la pelle morbida e bollente della gola.
“Molto
gentile Peter Pan farti apparire davanti a me. A che gioco vuole giocare? Non
sei reale, non puoi essere qui!”
Lo sguardo
chiaro di lei, dello stesso colore del cielo quando incontra il mare al
crepuscolo, era sereno, le piccole labbra rosse stese in un sorriso dolce.
“Non è stato
Peter Pan a portarmi qui, ma tu o la tua immaginazione.” Dichiarò tranquilla lei, lo sguardo innocente
e sereno di una bambina.
Killian fece
un passo indietro, il cuore in gola e la schiena contro il tronco di un albero.
“Perché ti
avrei portata qui?” ringhiò diviso fra la confusione e qualcosa di molto simile
alla paura.
“Perché mi
hai fatto del male, mi hai strappato il cuore come Rumplestiltskin
ha fatto con Milah. Perché quando hai avuto a che
fare con me sei diventato come lui.”
Fece una pausa
e sorrise nuovamente “O almeno questo è quello che credi tu. Non sono tanto
sicura che sia così.”
Si tornò a
sedere sul tronco dell’albero caduto e picchiettò piano la mano accanto a lei “Forza,
siediti.”
Le gambe di
Killian tremavano mentre prendeva posto vicino all’ombra della principessa, i
suoi occhi continuavano a scrutarle il viso alla ricerca di un qualsiasi
particolare che ne rivelasse la vera natura.
Non era
reale, Aurora, la Bella Addormentata non poteva essere lì con lui, doveva
essere la sua immaginazione, la magia di Neverland, qualunque
cosa, ma non la realtà.
“Si, non
sono reale, Killian, la vera me è nell’Enchanted Forest, smettila di pensare così forte, mi fai venire il
mal di testa!”
La sua voce
era risuonata carica di rimprovero ma allo stesso tempo estremamente dolce,
come una madre con il figlio, si aspettò quasi che gli desse un leggero scappellotto
sulla nuca.
“Tu hai
bisogno di sentirti dire qualcosa e hai scelto me per farlo, perché dopo aver
abbandonato Baelfire sono il tuo rimorso più grande, perché
se potessi tornare indietro non mi avresti mai strappato il cuore e consegnato
a Cora.
Fece una
pausa e si leccò le labbra “Io ero sempre dalla tua parte, mi fidavo di te,
prendevo sempre le tue difese e tu…”
Non riuscì a
finire la frase che Killian intervenne, la voce acuta e l’ansia a stringergli la
gola.
“Ho
recuperato il tuo cuore e fatto in modo che la guerriera te lo riportasse.” Le fece
notare con un tono più duro di quanto avrebbe voluto.
Aurora rise
e nemmeno mille piccole campanelli insieme avrebbero potuto produrre un suono
tanto melodioso e dolce.
“E’ proprio
questo che voglio farti capire!” cinguettò lasciandoli una dolce carezza sulla
guancia.
“Non sei
cattivo come pensi, non hai un cuore marcio, non sei incapace di amare, non sei
un codardo.”
Killian
sbatté le palpebre, non riuscendo a credere alle parole che uscivano dalle
labbra della ragazza.
“Cosa ne
sai?” ringhiò, sentendo il peso di quella cieca fiducia nei suoi confronti.
“Hai
rinunciato alla tua vendetta per salvare il figlio di Bae,
perché?” gli domandò dolce e retorica insieme, come se sapesse già la risposta
ma avesse comunque bisogno di sentirla.
“Perché era
giusto così.” Rispose subito e piccato Killian, come se fosse ovvio, quasi
offeso che lei glielo avesse chiesto.
Aurora
scosse il capo e gli prese la mano, stringendola fra le sue.
“Non è solo
questo e lo sai.”
“Cosa ne
vuoi sapere tu?”
“Hai bisogno
di sentirtelo dire, per andare avanti, per poter fare ciò che è giusto.”
Killian si
alzò in piedi, liberando la mano dalla dolce stretta di lei e abbaiò “Io non
posso fare ciò che è giusto, NON POSSO!”
Aurora
rimase a lungo in silenzio, guardandolo intensamente negli occhi e mordendosi
il labbro.
“Il tuo
cuore è pieno di dolore, Killian. Ti sei perso come la prima volta che sei
arrivato qui.”
Gli fece
segno di tornare a sedere al suo fianco e incatenò i suoi occhi a quelli cupi e
desolati di lui.
“Non sei
come tuo padre. Non abbandonerai Henry come ha fatto lui con te.”
Aveva detto
quelle parole, quelle che sapeva aveva bisogno di sentire, quelle che si
portavano dietro un dolore e una sofferenza in lui che non avrebbe mai potuto
immaginare.
“L’ho già
fatto, con Bae” esalò nel dolore di una dichiarazione
che gli costò l’ultimo briciolo di forza che gli era rimasto.
“Ho
abbandonato Bae, ho lasciato che Peter Pan lo
prendesse, che Tamara e Greg lo uccidessero, avrei dovuto difenderlo e..”
Aurora non
gli permise di finire di parlare, gli posò un dito sulle labbra morbide e
piene, mentre con l’altra mano gli accarezzava prima la tempia e poi la
guancia.
“Si è sempre
in tempo per rimediare, per essere gli eroi della propria storia.”
Cancellò con
un dito una leggera lacrima che aveva lasciato gli occhi del pirata e stava
attraversando la guancia.
“Non posso
essere un eroe. I principi sono degli eroi, io sono solo un pirata.” Mormorò con
lo sguardo basso.
Aurora lo
costrinse a guardarlo negli occhi, lo sguardo serio e penetrante al punto che
Killian pensò che gli stesse leggendo la mente, che riuscisse a vedere
addirittura oltre ad essa.
“Chi ha
detto che un pirata non può essere un eroe? Non mi sembra che ci sia una legge
che lo vieta!” disse in fine scrollando le spalle.
“Dipende
solo da te. Il tuo cuore è buono, Killian, e non è necessario che continui a
fare la scelta sbagliata.”
Si alzò in
piede e fece un passo lontano da lui.
“Torna dagli
altri, hanno bisogno di te e della tua guida.” Lo incoraggiò poi con un
sorriso.
Killian
sentì il cuore fermarsi dolorosamente nel petto all’idea che lei sparisse, che
lo lasciasse e smettesse di parlargli.
“No,
aspetta, non andare” quasi la pregò, rendendosi conto di quanto aveva bisogno
delle sue parole.
“Non hai
bisogno di me adesso. Sai cosa devi fare, sai di aver abbastanza forza per
farlo.”
Il pirata
scosse il capo, cercando nuovamente di fermarla “Non mi hai dato nemmeno il
tempo di chiederti scusa per quello che ti ho fatto!”
Aurora piegò
il capo, ancora quel luminoso e brillante sorriso a stenderle le labbra, era
meravigliosa, era luce e si rese conto solo in quel momento di quanto la
desiderasse.
“Ci
rivedremo, cioè, la rivedrai prima di quando pensi.”
Si alzò
indietro e fece per fermarla, afferrarla per il polso, portarla contro il suo corpo
e stringerla perché un po’ della sua luce e della sua bontà lo invadesse, ma lei
era già scomparsa.
Il suo
respiro era affannato mentre si guardava intorno nervoso, fece per chiamarla,
urlarle il suo nome, pregandola di tornare indietro, quando un cespuglio si
mosse vicino a lui.
Regina gli
rivolse una lunga occhiata scocciata
“Invece di
girare da solo per la foresta, perché non torni al campo? Abbiamo avuto visite”
“Chi?”
domandò immediatamente
“Peter Pan.”
Seguì Regina
da dove era venuto, si guardò solo una volta indietro, sperando di scorgere
Aurora seduta sul trono di albero caduto dove l’aveva lasciata, ma la radura
era vuota, gelida e buia senza di lei.
Noticine di Ally:
L’idea per
questa storia è nata già due settimane fa in realtà, quando era uscito lo sneak and peak di Emma che
incontra per la rpima volta Peter Pan.
Venivano
inquadrati tutti ma non Hook e mi sono chiesta, dove
è finito?
Questa è la
mia risposta che da vita alla mia OTP, lo Sleeping Hook,
come sa chi ormai mi segue da un po’.
Il titolo
della storia, come anche la canzone che Aurora canta è In All
My Dreams I Drown di Jessica Lowndes e Terrance Zdunichln, che sembra
davvero un inno allo Sleeping Hook.
Non sappiamo
ancora con certezza se Killian è mai stato a Neverland
prima della morte di Milah, ma nella mia testa è
così, quindi pace!
Spero che vi
sia piaciuta, un abbraccio a tutti!