Happy birthday, John.
Kiss me
“L'amore comincia con un
sorriso, cresce con un bacio e finisce con un tè.”
(Anonimo)
“Ho deciso quale regalo voglio da te.”
esclamò John, rivolgendogli un gran sorriso.
Non meno di
cinque minuti prima Paul gli aveva chiesto che cosa desiderasse come regalo di
compleanno da parte sua. Un bel “Arrangiati!” fu la prima risposta di John, ma
Paul l’aveva implorato di aiutarlo, prima di tutto perché mancavano solo un
paio di giorni, ed inoltre era meglio che Paul gli regalasse qualcosa che gli
servisse davvero, piuttosto che qualcosa che l’anno dopo John avrebbe
distrattamente riciclato, magari per lo stesso Paul.
Così alla
fine John gli aveva detto che ci avrebbe pensato e lo fece davvero, mentre si
trovavano nella camera di Paul, con le loro preziose chitarre, tutti intenti a
scrivere un altro grande capolavoro, come a Paul piaceva chiamarli.
“Bene, di che
si tratta?” domandò, senza alzare lo sguardo dal quadernino dove scrivevano i
loro testi e relativi accordi, “Non dirmi Elvis, perché non si può.”
John mise il
broncio: “Perché?”
“Problemi
logistici, sai.”
“D’accordo,
allora mi accontenterò di qualcosa di più semplice."
“Cosa?”
domandò Paul, senza sapere che quella sarebbe diventata la parola più
pericolosa che avesse mai pronunciato.
“Baciami.”
Paul alzò la testa dal suo quaderno e
lo guardò come… come se… in effetti non sapeva bene come guardarlo. Dopotutto
si trattava sempre di John Lennon e se c’era una cosa che ancora non aveva ben
compreso di lui, era distinguere quando scherzava da quando era serio. E non
poteva neanche cercare di decifrare il suo sguardo, perché John era
perfettamente in grado di raccontare una barzelletta e assumere l’espressione
più tetra, così come annunciare una tragedia tra una risata e l’altra.
Ma questa volta Paul decise che sì,
John stava scherzando, era ovvio, e lui doveva semplicemente stare al gioco,
per non essere preso in giro. Quante volte c’era cascato?
“Oggi no, amore, ho le labbra secche.
Facciamo domani.” esclamò ridendo e tornò a guardare i versi scritti sul
quaderno.
“Va bene lo stesso per me.” rispose
John, appoggiando con cura la chitarra sul pavimento, “Non importa. Dai,
baciami.”
E fu quando John si sporse un po’
verso di lui che Paul capì che non stava scherzando. Diamine, non stava
scherzando affatto!
“Finiscila, John. Non è divertente.”
affermò, tirandosi leggermente indietro.
“Come fai a saperlo se non ci abbiamo
mai provato? Hai baciato altri ragazzi?” gli domandò l’amico, come se stessero
tranquillamente discutendo con quale accordo dovesse terminare la canzone.
L’espressione che Paul gli rivolse fu
una delle più sbalordite e indignate che lui potesse mostrare: “Cosa? No! Ma
che diamine ti salta in testa?”
John sorrise,
incurante delle proteste dell’amico, e arrancò verso di lui: “Bene, allora
proviamoci.”
Il quaderno
fra le mani di Paul scivolò per terra e lui non riuscì ad alzarsi abbastanza
velocemente. John lo inchiodò gentilmente contro il materasso e continuò a
sorridergli, con un sorriso che era stranamente genuino, spoglio della sua
solita aria beffarda. E questo, più di tutto il resto, fece tremare Paul. Dalla
testa ai piedi. Un unico grande fremito sotto il corpo di John.
“Lasciami
andare.” mormorò, quasi in un sibilo.
“Andiamo,
Paul, non è poi così diverso dal baciare una ragazza, giusto? Non mi sembra di
avere due lingue e tre labbra!” Ridacchiò, avvicinandosi a lui, tanto che ora
la punta del suo naso sfiorava il suo, “Te lo immagini? Sarebbe davvero
mostruoso.”
Tuttavia Paul
non era affatto divertito come John. Al contrario era totalmente terrorizzato e
si dimenò un po’ per cercare di liberarsi dalla presa dell’altro ragazzo il più
presto possibile.
“John, ti
prego, togliti di dosso.”
John si
sollevò appena per guardarlo meglio negli occhi: “Si tratta solo di un bacio
innocente, Paul. Che problema hai?”
“Che problema
hai tu?” ribatté Paul, “Non sono così.”
“Così come?”
domandò lentamente John.
“Così!
Così che vado in giro a baciare ragazzi per provare, perché sono troppo
annoiato dalla mia vita tediosa.” sbottò Paul e ancora prima che John si mettesse
a sedere, con un’espressione contrita sul suo volto, capì che quello che stava
dicendo, il modo in cui lo stava dicendo fosse troppo avvelenato.
“Io non vado
in giro a baciare ragazzi.”
“Eppure mi
hai appena chiesto di farlo. Come mai? Stu ti ha
rifiutato e ora ti butti su di me per soddisfare le tue piccole curiosità da
pervertito?!”
“Vaffanculo,
McCartney!” imprecò John e senza dire nient’altro, senza rivolgergli un solo
sguardo, si alzò, afferrò la sua chitarra e se ne andò.
Paul rimase
sdraiato sul suo letto, ascoltando i passi di John che scendevano le scale
frettolosamente. Mantenne lo sguardo fisso davanti a sé, ancora incredulo per
quello che era accaduto, ma John gli aveva davvero chiesto di baciarlo, così di
punto in bianco. E ci aveva anche provato: Paul poteva percepire il calore
delle mani di John ancora sui suoi polsi e il cuore che batteva all’impazzata,
come se non trovasse alcun modo per riuscire a calmarsi.
E il suo
cuore continuò a battere per tutta la sera, e il giorno dopo, e quello dopo
ancora. Batteva e sussultava, facendolo fremere stranamente ogni volta che
ascoltava la voce di John che gli sussurrava baciami, ogni volta che
rivedeva le sue labbra che si avvicinavano pericolosamente. Ogni volta che
sentiva la paura afferrarlo e sconvolgerlo.
Dio, quanto
era stato stupido! Perché aveva avuto paura? Si trattava solo di un bacio, John
non gli aveva di certo chiesto di sposarsi e vivere insieme per il resto della
vita.
La risposta
non era poi così semplice: poteva aver avuto paura perché si trattava di
baciare John, oppure di baciare un ragazzo, oppure tutte e due e Paul stava
semplicemente andando in confusione.
La verità era
che aveva avuto paura perché temeva di scoprire di averlo desiderato, come
l’aveva desiderato John. Sempre che John l’avesse desiderato e che non si
trattasse di uno dei suoi capricci. Paul non poteva saperlo, John se n’era
andato prima di poter dire altro.
E oggi era il
suo compleanno. Era da quel giorno che non si vedevano e Paul voleva fare pace,
chiedergli scusa per quello che gli aveva detto e sperando che lui lo lasciasse
almeno entrare in camera sua, fargli anche gli auguri di buon compleanno. Solo
questo.
Certamente
questo non sarebbe accaduto se Paul fosse rimasto a casa sua. Così si decise
una volta per tutte e raggiunse Woolton a piedi. Il
cuore continuava a battere forte, dettando un preciso ritmo da seguire con il
suo passo. Quando arrivò, le sue gambe tremavano leggermente e lui bussò con la
mano che tremava vistosamente. Fu Mimi ad aprirgli la porta.
“Buonasera,
signora.” la salutò lui educatamente, rivolgendole un gran sorriso.
Mimi lo
guardò con un sopracciglio alzato e Paul rise sotto i baffi: sapeva di non
piacerle, per qualche strano motivo che ancora Paul non aveva ben compreso.
Nonostante ciò, lui non mancava mai di essere cortese con lei, perché anche se
sapeva essere davvero pedante con John e i suoi amichetti e lui la prendesse
molto spesso in giro, lamentandosi di quanto fosse impicciona, Paul era certo
che quello non fosse nient’altro che il loro modo di dimostrare l’affetto che
provavano l’uno per l’altra. Forse un modo alquanto strano, certo, ma
l’importante era che per John quella donna fosse proprio come una madre e guai a
chi osava mancarle di rispetto.
“Paul. Entra
pure. John è in camera sua.” gli disse, ben consapevole di quale fosse lo scopo
della sua visita.
“Grazie.
Posso salire?” domandò lui e fece per allungare una mano verso il corrimano.
Ma fu fermato
dolcemente da Mimi: “Dipende.”
“Da cosa?” le
chiese, sorpreso che lei l'avesse fermato.
Era strano
che volesse parlare con lui, non accadeva praticamente mai, solitamente si
limitava a rivolgergli un cenno verso le scale. Ora, invece, gli fece capire di
seguirla in cucina e così lui fece.
“Da quello
che vuoi dirgli.”
Paul fu preso
un po’ in contropiede e si fermò proprio in mezzo alla stanza, lo sguardo fisso
sulla donna e le orecchie che si drizzarono, un po’ spaventate da ciò che
avrebbero udito.
“Avete
litigato, vero?” gli chiese dolcemente.
La domanda lo
riportò subito all’ultima volta che aveva visto John, alla sua richiesta
strana, e Paul arrossì vistosamente, chinando il capo.
“Sai, Paul,
sono sempre molto attenta a tutto ciò che riguarda John e da diverso tempo
riesco a capire con chi ha litigato, fra i suoi amici, a seconda dell’umore che
si ritrova. Per esempio, se litiga con Stuart diventa taciturno e non parla più
con nessuno, mentre se litiga con Cynthia, allora diventa aggressivo e inveisce
contro chiunque gli capiti a tiro. Ma quando litiga con te, è un miscuglio tra
tutte queste reazioni, come se non sapesse davvero quale scegliere per sfogare
il dispiacere che prova per aver litigato con te. E in questi ultimi giorni,
John è stato proprio così. Difficile da sopportare, sai?”
“M-mi
dispiace.” le disse senza impedire a se stesso di balbettare.
Mimi si
avvicinò, continuando a sorridergli con tenerezza e poi gli prese una mano fra
le sue, accarezzandola gentilmente: “Qualunque cosa sia successa, devi dire
questo a lui, non a me.”
“Lo farò.”
“E sono
sicura che anche lui alla fine te lo dirà. Anche il nostro Johnny sa capire
quando sbaglia.”
In altre occasioni
Paul sarebbe stato d’accordo, ma forse questa volta la colpa era solo sua e
John non aveva fatto niente di male. Non l’aveva insultato, non l’aveva
picchiato, non aveva fatto niente di niente, a parte sorridergli teneramente e
chiedergli una dimostrazione d’affetto.
“E per
facilitare il rappacificamento…” Mimi richiamò la sua attenzione avvicinandosi
al tavolo della cucina, “Portargli un po’ di tè. Stavo per farlo io, ma immagino
che potresti farlo tu, ora, che ne dici?”
Paul annuì e
la osservò mentre aggiungeva una tazza e un cucchiaino sul vassoio. Poi glielo
porse sorridendo.
“Ecco qua. Di
fronte a una tazza di tè diventa tutto più facile e non si litiga mai!”
Paul sorrise
e poi si incamminò su per le scale, che molte volte aveva ormai percorso per
salire nella piccola camera di John. Ad ogni scalino, una nuova emozione si
aggiungeva a tutto quel bel mucchietto che già stava provando e che lo stava
mandando sempre più in confusione.
Quando fu di
fronte alla porta e bussò, il suo cuore batteva così forte che ormai lo sentiva
rimbombare in ogni parte di lui, soprattutto nelle orecchie, così tanto che in
un primo momento non riuscì a sentire la voce vellutata di John dire, “Avanti”.
E quando John fu sul punto di ripetere l’invito, Paul si decise ad aprire la
porta, facendo molta attenzione a non rovesciare il vassoio e tutto il servizio
di porcellana. Se si fosse rotto, allora quella sarebbe stata la fine tra lui e
Mimi.
John era
seduto sul suo letto, la schiena contro il muro, il quaderno dei suoi schizzi
sul suo grembo, una matita dietro l’orecchio e gli occhi che non riuscirono
subito a nascondere la sorpresa di vedere Paul proprio lì, in camera sua.
“Ciao.” lo
salutò con voce tremante, restando immobile sulla soglia della stanza, “Posso
entrare? Ho portato il tè.”
John annuì,
questa volta apaticamente e lo guardò entrare e appoggiare il vassoio sul suo
comodino.
“Non è che
l’ho portato io, Mimi mi ha chiesto di portarlo su, ecco tutto.” spiegò Paul,
sorridendo nervosamente e accorgendosi di aver appena detto qualcosa di
assolutamente insensato.
Santo cielo,
era agitato come non lo era mai stato prima d’ora e tutto questo per John.
Odiava sentirsi agitato con l’unica persona che al contrario l’aveva sempre
fatto sentire a proprio agio. Odiava non sapere cosa dire e uscirsene alla fine
con affermazioni stupidissime. Odiava anche John perché non stava contribuendo
a farlo sentire meglio, restando al proprio posto, senza muovere un muscolo,
senza fiatare, con la stessa espressione di totale apatia che innervosiva Paul
ancor di più.
“Posso
sedermi?” chiese infine Paul.
Tuttavia da
qualche parte doveva pure cominciare.
John si
limitò a scrollare le spalle e Paul lo prese come un sì. Solo che quando lui si
sedette accanto all’amico, questi si alzò, andando verso la finestra e gettando
una volta per tutte l’umore di Paul sotto i piedi. Aveva voglia di alzarsi e
andarsene, ma non poteva e non l’avrebbe mai fatto. Sarebbe stata la fine della
sua amicizia con John e perdere John non era un’opzione, soprattutto se era a
causa di uno stupidissimo bacio.
“Mi dispiace,
John.”
Finalmente
John si degnò di guardarlo, appoggiandosi alla finestra e incrociando le
braccia sul petto: “Ti dispiace?”
Il suo tono
era quasi incredulo e Paul si sentì in dovere di spiegare le sue scuse.
“Sì, mi
dispiace che quello che ho detto ti abbia fatto arrabbiare.”
“Sai quanto
me ne può importare…” sbottò John, tornando a guardare fuori dalla finestra, e
Paul semplicemente lo osservò con la bocca leggermente aperta, in un’espressione
di totale idiozia.
“Non sei
arrabbiato per quello che ho detto?”
“No.”
“Allora
perché?” gli domandò, agitandosi perché a questo punto non sapeva per cosa
avrebbe dovuto scusarsi, “Io non ho
fatto nient’alt-”
“E’ proprio
questo il punto.” rispose John, voltandosi verso di lui, l’espressione quasi
scoraggiata, “Non hai fatto niente.”
Paul arrossì
appena, sentendo un dolce calore espandersi sul viso e sul collo: “Ma John,
come potevi pretendere che facessi…quello?
Mi hai preso alla sprovvista.”
John ridacchiò,
senza un reale divertimento.
“Certo,
perché se ti avessi detto che non desideravo altro negli ultimi giorni, negli
ultimi mesi, l’avresti fatto?”
Paul spalancò
gli occhi, mentre sentiva il proprio cuore perdere uno o due o forse anche tre
battiti. Ecco, era morto, era morto mentre John parlava di mesi, mesi in cui
aveva desiderato baciare Paul. Quanti mesi con esattezza? Perché ogni mese era
formato da almeno trenta/ trentun giorni… Da quanto tempo John pensava a lui in
quel modo?
Faceva quasi fatica a crederci e se
non l’avesse sentito uscire dalla bocca dello stesso John, probabilmente
avrebbe semplicemente riso. Era così assurdo, ridicolo. E a quel pensiero Paul
si maledisse. Stava ridendo dei sentimenti di John, da quando era diventato
così insensibile?
“John, io… io…” balbettò Paul, senza
sapere cosa dire o fare, senza sapere nulla di nulla riguardo quella situazione
che era più grande di lui.
“Ecco, appunto. Vedi, Paul, non eri
pronto per questo.”
“Che cos’è questo?”
“Non lo so.” ammise John, mestamente,
“Forse è il motivo per cui ti ho chiesto di baciarmi.”
Paul arrossì nuovamente alla parola. Anche
John sembrava sentirsi allo stesso modo, spaesato, alle prese con un sentimento
che non poteva gestire. Almeno da solo. Forse insieme avrebbero potuto anche
farcela e capire qualcosa di tutta quella storia.
Poi la risata di John lo ridestò dai
suoi pensieri.
“L’unica cosa che so, Paul, è che è
come con gli spinaci.”
“Spinaci?” ripeté Paul, sbattendo le
palpebre.
John annuì: “All’inizio ti fanno
schifo perché come può piacerti quel mucchietto molliccio e verdognolo? Ma poi
pensi che non li hai mai assaggiati e che prima di poter giudicare, devi
assolutamente provarli, altrimenti non potrai mai dire davvero che ti fanno
schifo. Dopo puoi pensare quello che vuoi, ma prima devi assaggiare."
Paul lo osservò titubante, un po’
perplesso per il paragone con delle verdure, ma in effetti aveva reso bene
l’idea.
“Bisogna provare tutto nella vita,
Paul, perché ne abbiamo solo una.”
Paul chinò il capo, lo sguardo di John
cominciava a bruciare ovunque su di lui e Paul non riusciva a sopportare tutto
questo, il modo in cui lo guardava, il tono della sua voce. Non era mai stato
così delicato e questo lo stava facendo impazzire. Tutto ciò solo per lui, per
Paul. Perché?
“D’accordo, allora.”
Se fare questo avrebbe aiutato John a capire con cosa avesse a che fare,
allora Paul voleva aiutarlo. E naturalmente, voleva saperlo anche lui.
“D’accordo?”
“Sì.” esclamò Paul e si alzò in piedi,
raggiungendolo, “Baciami.”
John sgranò gli occhi, inizialmente
sorpreso, ma poi sorrise, con quell’aria maliziosa che non fece che rendere
ancor più nervoso Paul.
“In realtà sono stato io a chiederti
di baciarmi. Devi essere tu a farlo.” gli fece notare, punzecchiandogli il
petto con un dito.
“Oh. V-va bene.” ribatté lui,
scrollando le spalle, più per l’agitazione che per altro, “Dove vogliamo
farlo?”
“In che senso?” domandò John,
trattenendo una risatina.
“Sì, in piedi oppure sul letto?”
“Oh, Paul, tu sì che sai come accendere
il romanticismo.” commentò con esagerata enfasi nella voce.
“Sono serio, idiota. Io penso di aver
bisogno di stare seduto.” gli disse, afferrandogli un polso e trascinandolo
verso il letto.
John ridacchiò: “Cos’è, hai paura che
il mio bacio appassionato possa far cedere le tue gambine?”
Paul si sedette sul letto e lo guardò
contrariato.
“John, sono serio.” affermò e poi
batté la mano sul posto accanto a lui.
“Anche io.” ribatté John e si
inginocchiò di fronte a lui.
Paul lo osservò a lungo, mentre gli
appoggiava una mano sul ginocchio. John stava tremando e nonostante stesse
sorridendo, dolcemente ora, mostrava anche una paura che Paul aveva visto poche
volte sul suo volto. Il fatto che anche John fosse spaventato da questo, lo
tranquillizzò. Almeno era in due in quella situazione. La realizzazione non lo
sorprese neanche un po’.
Beh, se doveva farlo davvero, doveva
darsi una mossa. Veloce e indolore, come togliere un cerotto.
Così chiuse gli occhi, li chiuse con
forza e poi si chinò su John fino a quando le sue labbra non incontrarono
quelle dell’amico: erano morbide come quelle di una ragazza, erano sottili e
profumavano di buono. Era molto meglio di quanto si aspettasse. No, ma cosa
stava pensando? Lui aveva pensato le cose peggiori su quel bacio, e invece ora
stava scoprendo che era bello come qualunque altro bacio della sua vita.
Il pensiero lo costrinse a chinarsi un
po’ più in avanti, muovendo appena le labbra su quelle di John, che però era
rimasto immobile e non sembrava aver alcuna intenzione di dimostrare a Paul il
suo coinvolgimento. Perché? In fondo era stata una sua idea e Paul stava
cercando di baciarlo in modo appropriato.
“Che ti prende?” gli domandò,
scostandosi di poco e con quel movimento riuscì a notare un piccola lacrima
fare capolino in un angolo dell’occhio di John.
John deglutì,
guardandolo nervosamente, come se avesse paura di condividere quello che
provava con lui: “Cosa?”
“E’ come se
ti stessi trattenendo, perché lo stai facendo?” chiese, incantato dalla visione
di quella lacrima che ora scivolava lentamente sulla guancia di John.
“Io, io… non lo so.”
“Avanti, John, ti ho visto fare meglio di
così.” lo rassicurò, incapace di trattenersi dall’allungare una mano e
asciugare la lacrima sul viso dell’amico, “Non devi essere nervoso, si tratta
solo di un bacio.”
“No, non è vero, Paul. Non è solo un
bacio. Tutto ciò che l’ha preceduto, ciò che seguirà non rendono questo un
bacio qualunque.” spiegò lui, e nella sua voce era nascosta un’ansia che Paul
sapeva che voleva liberarsi e sfogarsi appieno, ma in qualche modo era
costretta in una gabbia che John e anche Paul volevano aprire.
“D’accordo, tutto quello che vuoi,
John, ma ora siamo qui e se dobbiamo baciarci, dobbiamo farlo bene. Non voglio
che ti trattieni per colpa mia.”
“Vuoi che ci baciamo di nuovo?” gli
domandò John incredulo e quasi divertito.
Paul arrossì appena e annuì
timidamente, distogliendo lo sguardo.
“Ma tu non eri quello che non andava
in giro a baciare ragazzi?” domandò John, alzando un sopracciglio.
“Tu non sei i ragazzi. Sei John.” spiegò dolcemente.
John annuì distrattamente e osservò le
mani di Paul, intrecciate sul suo grembo. Le fissò con aria assorta per un
lungo istante, prima di tornare a guardare i suoi occhi.
“Un bacio vero, allora?”
“Un bacio vero.” confermò Paul.
Questa volta fu più semplice per Paul
chinarsi su John, non chiuse neanche gli occhi, voleva guardarlo per tutto il
tragitto, per essere sicuro che non si innervosisse o forse per
tranquillizzarlo se fosse successo, o ancora, per tranquillizzare se stesso. Ma
in realtà sembrava ormai conoscere perfettamente quelle labbra, come se le
avesse baciate da sempre, come se sapesse come volevano essere baciate.
John ben presto prese il sopravvento,
afferrandogli il viso tra le mani e Paul lo lasciò fare, mentre le labbra di
John si muovevano sulle sue e le facevano dischiudere lentamente. La sua lingua
s’intrecciò con la propria, sfiorandola e poi accarezzandola. Il respiro di
John gli solleticava la guancia, le sue mani si mossero a toccare il collo di
Paul, avvicinandolo ancor di più.
Non era solo un bacio e ora Paul lo
sapeva bene. Era un'unica carezza, umida e intima, una carezza che coinvolgeva
entrambi i corpi, che si sfioravano in qualunque parte.
Poi tutto cessò, quando John si
allontanò da lui. Paul rimase con gli occhi chiusi, il cuore batteva forte, ma
con un ritmo lento e intenso, il respiro un po’ affannato e il viso lievemente
accaldato. Era una sensazione piacevole, come quando ci si risveglia alla
mattina, sotto delle calde coperte e fuori c’è solo freddo ad attenderci.
Nessuno vorrebbe mai abbandonare quel dolce tepore e allo stesso modo, Paul
voleva sentirsi così per sempre.
Infine, aprì gli occhi, ritrovandosi
davanti John, che bene o male era nelle sue stesse condizioni, e sapere che
fosse stato proprio lui, Paul, ad avergli causato questo rese tutto incredibile
e strabiliante, qualcosa che Paul non aveva mai pensato di poter provocare in
un ragazzo, figuriamoci in John.
“Ebbene?” gli domandò.
“Ebbene cosa?”
“Ebbene, hai capito che cos’è questo?”
John arricciò il naso, pensieroso: “Mm,
sì, sì, penso proprio di sì.”
“E puoi illuminare anche me?”
“Certo!” rispose John, sorridente, ma
prima che Paul potesse rispecchiare la sua espressione, continuò, “Ma dovrai
aspettare il tuo compleanno.”
“Cosa?” esclamò Paul indignato, “Ma
sono quasi…sette mesi!”
“Beh, potrai considerarlo come il tuo
regalo da parte mia.”
“No, non ci sto. Voglio saperlo.”
ribatté lui, incrociando le braccia e assumendo un profondo cipiglio.
John ci pensò un po’: “Allora facciamo
che sarà il tuo regalo di Natale. Sono solo due mesi, no? Pensi di poter
aspettare fino a Natale?”
Paul sospirò, rassegnato e scrollò le
spalle.
“E Natale sia. Ma guarda che lo voglio
sapere davvero.”
“Lo saprai, promesso.” esclamò John,
alzandosi in piedi, “Sai che ti dico? Credo che tutto questo baciarci ci abbia
fatto diventare davvero le labbra secche. Sarà meglio idratarle con un po’ di
tè.”
Paul scoppiò a ridere, mentre John si
avvicinava al vassoio e versava l’acqua calda della teiera nelle due tazze. Poi
aggiunse il latte e una zolletta di zucchero e porse la tazza a Paul,
intimandogli di non versare neanche una goccia sul suo letto. Paul gli assicurò
che avrebbe prestato attenzione e John si sedette accanto a lui.
“Comunque, sai, Paul? Penso che questo
sia il regalo più bello che abbia mai ricevuto.” esclamò John, dopo il primo
sorso di tè.
Paul fermò la tazza a pochi centimetri
dalla sua bocca: “Io sono bravissimo a fare i regali, non lo sapevi?”
John ridacchiò, appoggiando la schiena
al muro.
“Lo so ora. Grazie mille, Paul.”
“Buon compleanno, John.”
Note
dell’autrice: ebbene,
questo il è mio regalo per John. Naturalmente, non poteva che essere una slash… aww… <3
Ringrazio kiki
che ha corretto la storia e ha incoraggiato l’autrice.
Volevo pubblicizzare anche la oneshot che scrissi un anno fa, circa, con due diversi compleanni di John. È una storia a cui sono troppo affezionata, perché è collegata a un bel ricordo. Si intitola “Sleepy Johnny”: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1408083&i=1
Grazie a chi leggerà e recensirà. Ci sentiamo
domenica con il capitolo 7 di “Ticket to Paris”.
Kia85