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Autore: Crossbred    09/10/2013    0 recensioni
Lei era l’ultima ruota del carro, era quella ruota di scorta che eri costretto a portarti appresso, nonostante volessi liberartene non potevi, perché appena ti serviva aiuto la mettevi lì a sopportare tutto quel peso.

E' una parte della mia vita.
Nya
Genere: Malinconico, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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-Martedì 7 febbraio 2012 2:05 p.m

 
-Era una noiosa e fredda giornata, era buio e l’unica cosa che intravedeva dalla finestra, era solo quel piccolo bosco posto difronte casa sua.
C’era una luce, e riusciva a vedere le bellezze della notte attraverso essa.
Guardò il display del suo cellulare, erano le 05:30…decise che ormai era inutile ritornare a letto, andò in bagno, si sciacquò  il viso cercando di risvegliarsi, ma l’unica cosa che non voleva era risvegliarsi dal quel sogno, ricorrente di ogni notte..
“ Finalmente era riuscita ad entrare in quella foresta, riusciva a sentire ogni minima vibrazione, anche il rumore innocuo delle foglie, che si poggiavano lievemente sul suolo.Si sentiva strana, come se non fosse nel suo corpo, in una pozzanghera intravide la sua immagine riflessa, era un lupo.Non si spaventò a specchiarsi, anzi quell’immagine l’affascinava, decise di voler provare tutto ciò che potesse fare un lupo.
Corse per tutta quella foresta fino allo sfinimento, si cibò di una piccola lepre. Era così debole e indifesa, quasi provò eccitamento nel vederla lì, a pregarla con gli occhi di non esser divorata.”
Se fosse stata nel suo corpo,non avrebbe mai fatto una cosa del genere, a dirla tutta non sarebbe mai entrata in una foresta, non perché le mancasse il coraggio, ma era consapevole che se fosse entrata lì non sarebbe più uscita. Restare sola era l’unica cosa che le interessava maggiormente in quel periodo.
Forse avrebbe incontrato un animale feroce che l’avrebbe sbranata, o semplicemente perché quello era l’unico posto in cui si potesse sentire se stessa, l’unico posto che potesse capirla.
Tornò alla realtà,  chiuse l’acqua cercò disperatamente il suo amico fidato, il suo meraviglioso correttore, lui c’era sempre, era sempre lì pronto a nascondere tutti i tormenti avuti la sera prima.
Lo passò sotto gli occhi,una due tre volte il suo tentativo di nascondere quelle occhiaie, dovute dalle lacrime e dalle notti insonne risultò quasi inutile, ma la maggior parte era sparito.
Eccola pronta per una nuova giornata scolastica, non era la migliore a scuola non perché fosse una ragazza senza cervello, ma semplicemente perché aveva così tanti pensieri per la testa, che non riusciva più a concentrarsi nello studio come una volta.
Dopo essersi trasferita lontana dalla sua città, si ritrovò in un nuovo posto da sola senza i suoi amici, i suoi familiari…
Era sola, suo fratello la maggior parte del suo tempo lo passava lontana da lei, con la fidanzata e veniva a trovarla solo 1 o 2 volte al mese.
Quei pochissimi giorni insieme però non le bastavano, voleva ripoter passare i suoi giorni con lui a far cazzate, magari stendersi sul divano e prenderlo a cuscinate come un tempo.
Le mancava incredibilmente, ma credeva che se anche l’avesse avuto vicino lui non si sarebbe comportato come una volta con lei, negli ultimi tempi quando andava a trovarla era sempre freddo e distaccato quasi non le interessasse di lei. Lui era concentrato solo sulla sua vita con la sua anima gemella, anima gemella, non c’ha mai creduto in queste cose, forse perché non l’ha ancora trovata, o forse perché semplicemente non credeva più nell’amore.
Da piccola ha sempre odiato le principesse, che si innamoravano del ragazzo perfetto.
Ha sempre cercato un ragazzo imperfetto, un ragazzo che le somigliasse un po’,più una persona aveva difetti, più lei provava interesse verso di essa. Era sempre stata una bambina diversa dalle altre, occhiali neri le contornavano il viso, piuttosto grandi,capelli lunghi ricci che le cadevano lungo le sue spalle, di solito li usava come tendina per nascondersi dagli occhi che volevano leggerla e capirla.
Sembrava timida, ma non lo era, le bastava poco per aprire il suo cuore a tutti. Era colei che tutti definivano, la bambina troppo vivace e sbarazzina, colei che disturbava gli altri per puro divertimento personale, colei che sin dai 6 anni ne aveva già passate troppe.  Era felice, le brillavano gli occhi ma acquistò subito la capacità, di saper nascondere le vere emozioni che portava dentro. Suo fratello poco dopo il suo sesto compleanno aveva perso la vista, e lei lo aiutava a far tutto, quando cadeva per un oggetto fuori posto lei era sempre lì pronta a tendergli la sua piccola manina per aiutarlo. Lei lo amava, glielo si poteva leggere negli occhi, ma lui non poteva vederlo non riusciva a capire, quanto lei volesse aiutarlo e con un semplice gesto della mano l’allontanava.
 Quello non fu l’unico suo modo per allontanarla, con gli anni cercava in tutti i modi di farsi odiare, ma lei non poteva far a meno di lui nonostante, lo trattasse freddamente. Sapeva che in cuor suo apparteneva a lui più di chiunque altra persona. Questo cambiò all’età di 14 anni, una sera si trovava a casa da sola e ricevette una telefonata. “Papà e Luca sono in ospedale, è piuttosto grave ma sta tranquilla torneranno a casa.” Stare calma fu l’ultima cosa che fece, sapeva il perché loro potessero trovarsi lì, sapeva da tempo chi stesse cercando di fargli del male ma nessuno dava conto alle parole di una quattordicenne. Prese le chiavi, infilò un paio di scarpe, e iniziò a correre per le strade in cerca di un autobus. Lo trovò e si recò nel luogo del “delitto” era tutto calmo all’apparenza, ma le persone che vivevano lì la guardavano, era cambiata in pochissimi anni. Sguardo gelido, rabbia scalfita sul suo viso era una belva, non era più capace a mantenere la calma. Usare le mani era il suo unico modo per difendersi, e per difendere chi amava.
Chiese in giro dove li avessero portati, si recò in ospedale e trovò sua madre in lacrime. Come sempre colui che stava in bilico tra la vita e la morte era suo fratello. Graffi sul tutto il viso, testa spaccata in due come suo padre del resto. Voleva far qualcosa ma non sapeva cosa, anzi si aveva voglia di spaccare la faccia a coloro che li avevano ridotti in quello stato. Approfittò dell’isolamento della madre per andar via, ritornò nel luogo calmo e trovò a terra quel maledetto oggetto, ancora impregnato di sangue.
Sangue del suo stesso sangue, lo stringeva convulsamente quasi come se volesse spaccarlo, ma era di metallo un po’ improbabile che potesse riuscirci. Iniziò a sferrare colpi sulle mura intorno a lei, aveva sempre odiato quel palazzo, non solo perché era antico e cupo ma perchè c’erano persone odiose.
Il suo cellulare inizio a squillare, era sua madre ma staccò le chiamate, era cresciuta per strada e sapeva il peggio che potesse esistere nella vita. Inizio a salire le scale, percorse il pianerottolo che la separava da quella porta, la porta in cui erano rinchiusi “i cattivi” iniziò a sferrare colpi su colpi a quella porta. Voleva che uscissero fuori, voleva vendicarsi stava per perdere suo padre e suo fratello, colpiva, colpiva e pensava come sarebbe andata a finire la sua vita senza loro. Nessuna risposta, solo ammaccature , non aprivano troppo codardi pensò, ma la porta accanto si aprì ed uscì una signora “ Piccrè sono andati via, torna in ospedale e non far cazzate, ne hai gia fatte troppe in passato” Seguì il consiglio di quella signora, è vero ne aveva combinate troppe, ma del resto quando cresci in un quartiere malfamato, se non hai le palle devi costruirtele. Il dramma finì, tutti stavano bene tranne lei, il suo punto fisso erano loro voleva sapere dove fossero scappati. Una sera origliò una conversazione tra sua madre e suo padre, “ E’ tutto finito, voi state bene le cicatrici si stanno sbiadendo dobbiamo solo dimenticarci di tutto.” Dimenticarsene, come potevano dimenticarsi di quel gesto. Quell’aggressione fu solo l’ultima goccia che fece traboccare il vaso, dopo 5 mesi decisero di cambiare città.
Ed eccola lì, sotto la fermata dell’autobus cuffie nelle orecchie, musica ad alto volume e sguardo cupo.
Era cambiata ancor di più in quei 3 anni ne erano successe di tutti i colori,suo padre perse il lavoro, i suoi genitori si picchiavano ogni giorno e lei si ritrovava a distaccarli. Era la spugna su cui tutti versavano l’acqua, sapevano che lei era abbastanza forte per sopportare tutto. L’ultimo natale suo padre le scrisse un bigliettino e una frase le rimasse impressa. “ Sei la figlia migliore che si possa desiderare, sei forte altruista a volte anche bastarda, ma sappiamo che in cuor tuo c’è dell’amore, buon natale mamma e papà” Sorrise leggendo quelle parole, non tanto per i meravigliosi complimenti che c’erano scritti, ma perché loro non pensavano realmente quello. L’avevano sempre definita la pecora nera della famiglia, non rispettava le regole, era aggressiva si chiudeva in se stessa fregandosene degli altri.  Forte, no non lo era più indossava una maschera, aiutava tutti proteggeva tutti, proteggeva se stessa dagli altri, ma non riusciva  a proteggere se stessa da se stessa. La sua vita era diventata infernale e monotona, le giornate passavano velocemente e tra un insulto un pugno una lacrima e un altro pugno, provava odio per ciò che era diventata. Odiava tutto di lei, l’aspetto il carattere, il modo di pensare. Sfogava la sua rabbia su quel sacco da boxe comprato di nascosto, sfogava la sua rabbia sui muri di casa, sulle porte..sfogava la sua rabbia mixata all’odio su se stessa. Si odiava più di qualunque altra cosa, arrivò a pensare persino al suicidio, ci stava arrivando piano piano vicino. C’era quasi riuscita, le lacrime le rigavano il viso, sul quel maledetto pavimento c’era acqua rosa, acqua rosa le percorreva il corpo intravedeva la strada per la felicità.  Vide un viso, quello di suo nonno le parve felice ma no era piuttosto contrariato,per la strada che stava intraprendendo. Chiuse i rubinetti del suo corpo, e da quel giorno decise che nulla più sarebbe riuscita a ferirla.
Si portava quel segreto dentro da 1 anno e mezzo, nessuno sapeva ciò che nascondeva dentro di sé, ormai stava bene con se stessa stava riacquistando fiducia. Ma iniziò a provare odio per le persone che le stavano accanto, le trattava in modo freddo, le odiava per ciò che erano riuscite a farle fare. I problemi peggioravano, ma prendeva la vita con più leggerezza, fino a quando la botta finale.
“Papà sta peggiorando, pochi anni” poche semplici parole che le fecero crollare il mondo addosso.
Non aveva mai avuto un buon rapporto con suo padre, non si dicevano mai “ ti voglio bene “ anzi lei lo trattava sempre male. Non lo odiava, ma moltissime volte gli aveva detto quelle due parole, credeva di provare odio perché lui non c’era mai stato. Non l’ha mai avuto al suo fianco, né per una visita, né per una stupidissima recita scolastica, ha sempre pensato egoisticamente prima a sé stesso, dopo a sua moglie e suo figlio. Lei era l’ultima ruota del carro, era quella ruota di scorta che eri costretto a portarti appresso, nonostante volessi liberartene non potevi, perché appena ti serviva aiuto la mettevi lì a sopportare tutto quel peso.
Pochi anni gli restavano, doveva goderseli o doveva restare in quello strano rapporto.
Anche se avesse voluto cambiare qualcosa, lui non glielo permetteva giorno dopo giorno quella cosa gli corrodeva il cervello. Non era più lo stesso, non era più “Papiii” era un semplice essere umano, 45 kg erano troppo pochi per un uomo, ma fargli mettere su peso era difficile.
Suo fratello se ne fregava della situazione, e tutto ricadeva su lei, doveva lottare contro quel cervello, contro le smanie di suicidio della madre. Ma la lotta più grande l’aveva vinta, quella con se stessa e giorno dopo giorno pensava che se era riuscita a vincere quella, tutto si poteva aggiustare.
Passava le sue giornate al di fuori di quelle 4 mura, sorridendo, rideva era felice.
Ora si che era veramente felice, aveva intorno a sé persone che le volevano bene, anche se lei non riusciva a fidarsi più di nessuno. Amava solo sé stessa, questo contava ormai per lei, non tutti capivano il suo comportamento, nessuno sapeva cosa avesse passato in 17 anni, nessuno sapeva cosa stesse passando in quel periodo, ma nonostante tutto era felice di ciò che era diventata…nonostante i “ sei spregevole, sei bastarda, sei senza cuore, ci sei ma subito dopo sparisci..” si amava, si amava in modo immenso, era forte, si sentiva forte niente poteva più distruggerla.
Non credeva nell’amore da tempo, aveva smesso di cercarlo, l’unica cosa che faceva era impuntarsi su un ragazzo, l’otteneva e dopo 1 mese lo lasciava. Era come un giocattolino nuovo, il cuore non riusciva a darlo a nessuno..
“Ho letto una volta che gli antichi saggi credevano che nel corpo ci fosse un ossicino minuscolo, indistruttibile, posto all'estremità della spina dorsale. Si chiama luz in ebraico, e non si decompone dopo la morte né brucia nel fuoco. Da lì, da quell'ossicino, l'uomo verrà ricreato al momento della resurrezione dei morti. Così per un certo periodo ho fatto un piccolo gioco: cercavo di indovinare quale fosse il luz delle persone che conoscevo. Voglio dire, quale fosse l'ultima cosa che sarebbe rimasta di loro, impossibile da distruggere e dalla quale sarebbero stati ricreati. Ovviamente ho cercato anche il mio, ma nessuna parte soddisfaceva tutte le condizioni. Allora ho smesso di cercarlo. L'ho dichiarato disperso finché l'ho visto nel cortile della scuola. Subito quell'idea si è risvegliata in me e con lei è sorto il pensiero, folle e dolce, che forse il mio luz non si trova dentro di me, bensì in un'altra persona.”
Forse l’aveva già trovato da tempo quel Luz, non era un altro giocattolino da ottenere, era qualcosa di più, non era amore quello non era capace a provarlo…Era qualcosa di più potente e indissolubile, ma quel Luz per ora sarebbe rimasto sepolto tra i suoi pensieri, si sarebbe fatto vivo solo nei suoi sogni, l’unico posto in cui lei potesse essere realmente l’artefice della sua vita. 


Non è frutto della mia immaginazione, l'ho scritta un anno fa e se la pubblico solo ora, è perchè sento il bisogno di liberarmene.
E' una parte della mia vita, o per meglio dire una parte del dolore che ho provato in 17 anni.
Non so più cosa dire...Nya

 
  
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