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Autore: wingsam    10/10/2013    1 recensioni
"Una lama trafisse al cuore Pan, che si vide costretto a rallentare. Esterrefatto, strinse le dita al petto e abbassò lo sguardo, aspettando di vedere una ferita raccapricciante. Invece, nulla. La pelle era di un rosa pallido, illuminato dal consono bagliore lattescente proprio di una divinità.
Hermes non tardò ad atterrare al suo fianco, allarmato. -Non c’è tempo da perdere, figlio mio. Qualcosa non va?
Pan, gli occhi sgranati e il fiato mozzato, levò lentamente il volto. -Sta accadendo qualcosa di orribile- sussurrò con un filo di voce."
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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cap 1 un terribile tifone

Un terribile Tifone





olimpo







La voce del flauto



-Dove sei, mia adorata?

Un essere ulula a gran voce nel folto della foresta, fermatosi per scrutarsi attorno. Riprende la sua andatura, incredibilmente svelta, fendendo a metà un grosso cespuglio di bacche.

-Perché scappi? Fermati, per favore!

Al suo passaggio la vita freme, pullula e lampeggia, tessendo ricami di fiori e guizzi d’ali.

Si arresta di nuovo, al centro di una radura, sollevando una pioggia di terra. Muove avanti e indietro la testa, dalla quale spunta una radiosa chioma castana. Gli occhi dorati studiano attenti la conformazione del territorio, grandi e lucenti, bramosi della preda.

-Perché fuggi?- urla fuori di sé, innalzando il suo lamento fino al cielo, laddove una mandria di nuvole accelera spaventata.

In un cenno d’ira percuote il terreno con gli zoccoli vigorosi, borbottando. Comincia ad essere stufo di quel gioco, dura da fin troppo tempo: sono quasi sette giorni che segue le sue tracce, senza mai raggiungerla davvero. All’inizio la sua fame era trainata dal motore dell’amore, del desiderio supremo, e il susseguirsi di sole e luna era solo una circostanza irrilevante, un particolare che gli era sgusciato intorno come brezza leggera. Ma mano a mano che i venti soffiavano tra gli steli d’erba, l’infatuazione era andata sbiadendo, lasciando il posto al seme della frustrazione; e questo aveva avuto tutto il tempo e lo spazio per crescere e dare frutti.

Oltremodo stizzito, l’essere si schiaffeggia le gambe coperte da una spessa pelliccia. -Ti supplico, mostrati a me ancora una volta!- domanda al vuoto, ciondolando la testa sul collo nervoso.

E’ allora che la figura esile e traslucida di una fanciulla appare, in fondo alla radura, seminascosta da alcune betulle.

-Non avvicinarti, o scomparirò di nuovo- mormora piano ella, le mani giunte sul petto nudo.

L’inseguitore sussulta a dir poco. Volge il mento barbuto in direzione della ragazza, mentre un sorriso gaio trova posto in mezzo alle gote imporporate. Alza le braccia in un richiamo muto, nella speranza immortale che possa essere esaudito.

-Finalmente- sussurra, umettandosi le labbra. Il suo vistoso pomo d’adamo mostra tutta l’eccitazione che può ritornare a scorrere calda nelle vene.

La fanciulla si acciglia, per nulla entusiasta di quella situazione. Mentre con una mano copre il seno, sposta l’altra per rendere invisibile la zona pubica. -Che cosa vuoi da me?

-Sei così bella- dice l’essere, ancora immobile al centro del pascolo. Sembra aver ignorato la domanda che gli è stata rivolta, immerso nei propri pensieri. Poi si riprende d’improvviso, e, capacitandosi forse solo adesso di cosa sta davvero accadendo, si esibisce in un profondo inchino. Dunque, trattenendo un’infantile risata, muove le zampe caprine.

-Fermati, Pan!- tuona la ninfa, sebbene la sua sia una voce estremamente delicata. Sta rivolgendo al dio uno sguardo giudicatore, distaccato. -Ti ho detto di non muoverti!

Al che l’altro pianta gli zoccoli in terra. -Perché ti sei mostrata a me, allora? Perché non posso toccarti? Perché non posso amarti? Perché?- ruggisce, con un progressivo aumento di volume della voce e della furia.

-Addio.

Questa sola, ultima parola odono le orecchie di Pan, appena prima che l’attraente figura di Siringa svanisca e divenga un tutt’uno con i chiari tronchi retrostanti.

Un’irrefrenabile senso di insoddisfazione e inadeguatezza torna ad ardere nel suo cuore, che ordina alle zampe di muoversi più veloci del suono. -Torna qui, torna qui!- esclama, per metà adirato e tormentato.

L’inseguimento, che pare coinvolgere un solo partecipante, termina sulle sponde di un acquitrino. Qui regnano soltanto piante basse e spoglie, sporadici fiori dalle tinte paonazze e un’infinità di canne. Pan sposta il suo grosso fisico, umano ma anche caprino, su e giù lungo la riva dello stagno, certo che Siringa non si sia allontanata da lì. Si fida del suo fiuto, è grazie ad esso se ha potuto inseguirla nonostante non la intravedesse.

Un alito di vento si solleva sopra allo specchio d’acqua, gelido e silenzioso, ne increspa la superficie e si infiltra nel canneto. E’ proprio quell’istante a suscitare nella mente di Pan un grido di vittoria: l’ululato invisibile, insinuandosi tra le canne, ha prodotto un suono basso e sibilante, ma non è riuscito a tradire l’udito infallibile del dio, poiché la voce di Siringa è giunta chiara sino a lui come squillo di tromba, come  strillo d’aquila.

In un baleno Pan si trova accovacciato innanzi al canneto, fregandosi le mani. -Mia adorata…ti ho trovata! Ma…ma dove sei? Qual è quella giusta?- Prende ad osservare le piante una ad una, aspettando di cogliere il minimo tremore, il più piccolo sussurro. Quello che il dio non sa è che Siringa non è la sola a dimorare in quello stagno: vi sono altre ninfe, moltissime altre, le quali hanno provveduto a fornire aiuto alla sorella inseguita tramutandola in canna, cosicché passasse inosservata.

Purtroppo, il loro piano è andato in fumo.

Con un gesto perentorio Pan ha estirpato una decina di canne, fra le quali è certo vi sia anche l’amata. Scarta quelle ridotte peggio, fino a che non gliene rimangono sette; allora viene colmato da un’idea geniale. Ne taglia le estremità con le unghie affilate, dando ad ognuna una lunghezza diversa, in modo tale che una sia più corta di quella precedente. Per finire le lega insieme con un laccio di rametti e strisce di corteccia.

Ansioso ed estasiato, inclina lo strumento appena ottenuto in modo che l’aria vi passi attraverso: la voce di Siringa spezza il silenzio, sospirando un lamento che non troverà pace.  

 

 

Le labbra di Pan si avvicinarono al flauto e vi soffiarono dentro, producendo una melodia breve, allegra e mielosa, con un non so che di voce umana.

Insieme per sempre” pensò compiaciuta la divinità, rigirandosi lo strumento tra le dita affilate e nodose. Il ricordo di quel giorno trovava consistenza nella sua mente ogni qual volta gli capitasse di sfiorare il flauto, ed allora vi si perdeva, vi si arrendeva completamente, il più delle volte accomodandosi su di un’amaca ottenuta intrecciando liane e foglie.

Un rumore sommesso di passi d’uomo scivolò sino ad essere percepito da Pan. Questi balzò giù dal giaciglio, intascò il flauto e mosse gli zoccoli ad una velocità incredibile, svanendo letteralmente nel nulla. Saettò attraverso il sottobosco, salutando con la mano scoiattoli e formiche, e scoppiando in una grassa risata ad ogni incontro avvenuto. Quando la presenza dell’uomo si fece palpabile, trovò nell’ombra di una quercia un ottimo nascondiglio e tese l’orecchio, sporgendosi appena.

Un ragazzino con un arco in spalla stringeva la mano di una bambina, probabilmente due fratelli a caccia. Parlottavano a testa china, e la piccola gesticolava per un capriccio inesaudito.

Il dio non esitò un istante e colse l’occasione: dischiuse le labbra e produsse mediante le corde vocali un verso che si allontanava parecchio dalla voce che normalmente usava.

La passeggiata dei due ragazzini venne spezzata da un’agghiacciante ululato. Il fratello scattò e si impose davanti alla sorella, allargando le spalle e aspettando che una belva feroce si presentasse a lui. Estrasse dalla faretra una freccia e la incoccò, poi trattenne il respiro e tese con non poca fatica la corda dell’arco. La piccolina dietro di lui dovette compiere uno sforzo immenso per non gridare.

Davanti ai fratelli non apparve nessun lupo, ma il corpo di una creatura che aveva dell’incredibile: dalla vita in su presentava le fattezze di un giovane uomo, dal viso affascinante e perfetto. Grandi e magnetici occhi dorati, un naso tagliato fine, labbra sottili e rosate, lineamenti mascolini addolciti dalla forma del mento e delle gote. I capelli e la barba erano tenuti lunghi, di un marrone acceso, imperlati di fiori variopinti e insetti sgargianti. Al di sotto dei pettorali e gli addominali scolpiti, l’inguine si nascondeva sotto un pelo riccioluto, tendente al nero, che s’infittiva via via che proseguiva verso i fianchi. Le poderose cosce terminavano con uno zoccolo ciascuna.

Prima ancora di presentarsi, Pan si produsse in un secondo ululato, confondendo ancor di più le menti dei fratelli. Poi, aprendo le braccia e assumendo un’espressione divertita, disse: -Che cosa fanno due teneri cuccioli umani nel mio regno?

Il più grande, mosso dal senso di responsabilità che portava sulle spalle nei confronti della sorella, fu lesto a rispondere, anche se la voce non tradì il suo sgomento. -Siamo…venuti…a…a caccia- balbettò.

Pan mutò la mimica facciale in un lampo, incupendosi. -Cosa hai detto?

Silenzio di timore.

-A caccia?- ripeté tetro Pan, gonfiandosi in petto e piegando le braccia per mostrare la sua virilità. E gridò a squarciagola: -Come osate togliere la vita agli animali? Io sono il custode delle foreste, il protettore dei boschi, colui che sussurra ai suoi abitanti- Per finire scandì lentamente, con voce bassa e irata: -E voi…venite…a caccia?

Mentre i due ragazzini se la davano a gambe con gli occhi pieni di lacrime e il cuore martellante, il dio pronunciò un tonante ruggito di leone, che fece tremare gli alberi e il cielo.

Così come poco prima aveva alterato facilmente il suo umore, Pan distese la fronte e sorrise, per poi piegarsi in due e ridere a crepapelle. Cadde sul letto di foglie secche a terra, scalciando.

-Pan!

Un rigido richiamo riportò la divinità ad ergersi in piedi; contro qualsiasi spiegazione logica, in lui era scomparsa ogni traccia d’ilarità. Alzò gli occhi, dove qualcuno stava oscurando la luce del sole.

Discese dal cielo un uomo alto più di due metri, che si posò quasi senza peso sull’erba. Possedeva un fisico scolpito e un viso pulito e asessuato. Vestiva una rozza tunica di stoffa, che trovava appiglio ad una sola spalla lasciando l’altra scoperta; ad altezza della testa e dei piedi, un paio di grandi ali vaporose sbucavano fuori da un elegante copricapo bianco e calzature di stoffa chiara.

Diresse le iridi argentate su Pan, e lo indicò per mezzo del bastone d’oro che impugnava, raffigurante due serpenti attorcigliati. -Figlio, è richiesto il nostro intervento!- esclamò fiero.

-E’ bello rivedervi, padre!- rispose prontamente Pan, scalpitando.

Hermes fece un cenno d’insofferenza con la mano libera. -Non c’è tempo, Pan. Devi venire subito con me, l’Olimpo necessita del nostro aiuto!

L’uomo caprino piegò il capo, confuso. -Com’è possibile? Non ho percepito alcun pericolo!

-Perché il tuo regno non è stato ancora toccato- fu la risposta grave dell’altro. -Tu non hai connessioni con la casa degli dei, non puoi, non…mi dispiace, non possiamo concederci un secondo di distrazione in più. Muoviamoci. Seguimi!

Senza dilungarsi oltre, Hermes si librò in volo per mezzo delle ali ancorate a testa e piedi, e con uno scatto scomparve  alla velocità del fulmine. Il satiro gli fu dietro in un battito di ciglia, galoppando rapido come il vento.

-Padre, cosa accade?- domandò Pan, mentre schivava tronchi e saltava corsi d’acqua. Trovava insolito il fatto che Hermes fosse così angustiato, l’essere burlone e sempre pronto a scherzare era un aspetto che lo caratterizzava in ogni momento. Questo lo incuriosiva e allarmava, perché non gli era mai successo di vedere suo padre così. Che fosse accaduto qualcosa di estremamente grave?

Hermes lo squadrò dall’alto, il volto inespressivo. -Zeus e Athena potrebbero essere in fin di vita, soltanto noi possiamo aiutarli. Tifone ha attaccato l’Olimpo.

Fine Prima Parte

  
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