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Autore: BlueMoon_    10/10/2013    0 recensioni
La morte, tristezza e sofferenza... ma l'amore di coloro che ti stanno accanto ti aiuta a superare anche i momenti più bui
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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<<…  Il principe la baciò sulle labbra rosee. La bella principessa dai lunghi capelli biondi si svegliò e, da quel giorno, vissero per sempre felici e contenti. FINE>>
“Dai papà, ancora un’altra volta” mi chiese la mia piccola principessa.
“No, tesoro, è tardi. È ora di andare a letto che domani ci dobbiamo svegliare presto per andare a scuola”. Baciai la testa alla mia piccola bimba, le rimboccai le coperte, spensi la luce e la lasciai dormire. Scesi in salotto e aprii l’armadietto dove ero solito tenere i liquori per bere un bicchiere di whisky importato dalla Scozia: era un regalo di mia moglie per il nostro anniversario. Era il miglior whisky che avessi mai bevuto. Mi sedetti sul divano e iniziai a piangere.
Quella era la storia preferita di mia moglie e ogni momento era buono per leggerla alla nostra piccola principessa. Ricordo che una volta aveva sostituito i nomi dei personaggi con i nostri e raccontò la storia di come lei ed io c’eravamo conosciuti, ma alla nostra bambina non era piaciuta, perché lei voleva sentire la storia della principessa.
Quel ricordo mi fece scappare un sorriso. Mi manca tanto sentire la voce dolce e lieve che aveva nel descrivere gli sguardi intensi che i due amanti si scambiarono durante il loro primo incontro nel bosco. Ma ciò che mi faceva più ridere era la voce acuta e stridula che dava alla strega. Era bravissima. Io, invece, sono un disastro e alla mia piccola bambina piace farmelo notare ogni volta che ci provavo.
Ma poi la malattia è sopraggiunta e se l’è portata via. Ricordo ancora l’ultimo giorno passato in ospedale.
Lei era lì, stesa sul letto pallida e immobile, come il marmo. Io le sedevo a fianco, accarezzandole la mano e cercando di farla ridere almeno in quegli ultimi momenti. Maya (come si chiama la mia bimba) era seduta su un tavolino lì vicino, mentre disegnava una casa e la sua famiglia; ad un certo punto, tirò fuori dalla sua borsa rosa un piccolo libricino; lo aprì e iniziò a leggerlo.
<<…e vissero per sempre, felici e contenti>>.
“Finito”, disse tutta contenta “Mamma, ti è piaciuta la storia?”
“Moltissimo tesoro mio, moltissimo. Stai diventando sempre più brava”. A quelle parole i suoi occhi divennero tutti lucidi, sapeva che non l’avrebbe vista crescere e sentirla leggere per lei fu molto doloroso e al tempo stesso una gioia immensa, infatti riuscì a trattenere le lacrime. Ho sempre ammirato il suo carattere forte, non si lasciava mai scalfire da niente e sapeva sempre come riprendersi e come reagire ad ogni situazione. Era lei che riusciva a confortarmi quando le cose non andavano bene e trovava sempre le parole giuste da dirmi per farmi star meglio; lei era la mia ancora di salvezza, un rifugio, una protezione, una certezza.
“Anche noi vivremo per sempre felici e contenti, vero papà?”
Non risposi, ma rivolsi lo sguardo verso mia moglie che, nel frattempo, si era girata a guardare fuori dalla finestra. Non stava piangendo. Davanti a noi non l’avrebbe mai fatto.
“Certo piccola mia, sempre insieme. Nulla ci potrà dividere.”
Mia moglie non proferì parola; chiuse gli occhi e inspirò forte. Dopo un po’ disse: “Voglio andare a fare un giro nel parco, mi accompagnate?” Maya, tutta eccitata, prese il cappottino rosso e si precipitò fuori. Io mi fermai un attimo a contemplare mia moglie, l’unica donna che aveva capito come fossi in realtà e che ha saputo accettarmi nonostante i miei mille difetti. Si vedeva che era provata dalla malattia, ma la sua debolezza appariva solo fisicamente, perché traspariva la sua voglia di continuare a vivere, non voleva fermarsi davanti al primo ostacolo;  voleva proseguire. La fissai ancora più attentamente e la trovai bella come sempre, la cuffia rossa che portava in testa le donava molto e faceva risaltare i suoi occhi azzurro ghiaccio. Non riuscivo a toglierle gli occhi di dosso. Più la guardavo e più mi innamoravo di lei, lei era perfetta. Quando la presi in braccio per metterla sulla carrozzina la strinsi forte a me e la baciai intensamente, come non avevo mai fatto prima. Le lacrime cominciarono a rigarmi il viso. Io non ero e non sono forte come lei; non ho la sua forza d’animo che le permetteva di superare e accettare tutto, anche la malattia. Elly mi guardò con i suoi occhi dolci e pieni d’amore; prese la mia faccia tra le sue mani. Oh come erano morbide, profumavano di iris, il suo fiore preferito. Mi asciugò le lacrime e mi disse: “Io sono ancora qui. Sono qui con te e Maya. Non vi libererete di me così facilmente”. Scoppiammo in una risata fragorosa e la ribaciai. Per l’ultima volta.
Uscimmo della struttura e ci sedemmo su una panchina vicino a un laghetto, dove c’erano dei bellissimi cigni bianchi. Uno uscì dall’acqua e si avvicinò a noi. Elly prese un pezzo di pane e glielo porse. Sorrise dolcemente. Era ora di cena, così rientrammo. L’orario di visite era finito, la salutammo con la promessa di tornare il giorno dopo e ci avviammo verso casa.
Maya accese la televisione per guardare i cartoni animati; non comprendeva la gravità della cosa, anche perché noi evitavamo di mostrarci tristi davanti a lei, soprattutto Elly perché non voleva che alla sua piccola bimba rimanesse un ricordo triste della madre;  voleva darle solo amore e affetto. Ma io non potevo sopportare quella situazione, non ce l’avrei mai fatta senza la compagna della mia vita, senza avere al mio fianco la donna perfetta. Dopo qualche ora, mentre stavo preparando Maya per metterla a letto, squillò il telefono. Nessuno chiamava a quell’ora. Iniziai a pensare il peggio, l’ansia prese il sopravvento, tant’è che non riuscì a muovermi, come se tutti i miei muscoli si fossero pietrificati di colpo; il mio corpo si rifiutava di dirigersi vero il telefono.
 Il motivo era semplice: non volevo alzare la cornetta per ricevere brutte notizie, non dopo un pomeriggio così meraviglioso, in cui eravamo tornati ad essere una famiglia, come se la malattia fosse scomparsa. Non volevo crederci. Mi feci forza e mi avvicinai al telefono. “Pronto?” dissi con un filo di voce. Iniziai a sudare per la paura e l’ansia. La tensione era palpabile nell’aria.
“Si… buonasera. Scusi l’ora, ma sarebbe meglio se lei venisse in clinica. È urgente.” A stento riuscì a tenere le lacrime, ma risposi e chiusi la chiamata. Lasciai cadere la cornetta e sprofondai nella poltrona che si trovava lì vicino. Non avevo più forze, il mio peggior incubo si era avverato, così all’improvviso e senza alcun preavviso. Non potevo accettarlo, non volevo credere che fosse vero. Ormai le lacrime avevano preso a scorrere, nulla le avrebbe fermate, il mio respiro si fece sempre più affannoso. Cercai di asciugarmi il volto e andai a svegliare con delicatezza Maya, senza preoccuparla troppo. Dormiva così beatamente, era immersa in un mondo incantato in cui non esisteva il dolore, né la sofferenza, si vedeva dal sorriso che aveva stampato sul volto. La chiamai sussurrando il suo nome. “Dai piccola mia, stasera andrai a dormire dalla nonna, sei contenta?”
“Ma papà, io volevo stare con te”.
“Amore, che pensiero dolce, ma meglio così. La nonna sarà contenta di averti un po’ tutta per sé”. Accennai un sorriso, anche se, a malincuore, non era molto sentito.
Salimmo in macchina e la portai da mia madre. Comprese tutto e non mi chiese niente, mi diede un baciò sulla fronte con quell’amore che solo le madri sanno dare, prese Maya per la mano e la portò dentro.
Corsi in macchina, ma, prima di mettere in moto, rimasi immobile, come se la mia vita non avesse avuto alcun senso. Poi mi feci forza e azionai la macchina per andare a vedere per l’ultima volta mia moglie. Il tragitto non era lungo, ma sembrava infinito e interminabile, come se non dovessi mai arrivare alla meta. Scesi dalla macchina e, come rinato di nuova energia, corsi verso la camera di mia moglie, le infermiere tentarono di fermarmi, ma non si opposero più di tanto. Aprii la porta ed eccola stesa su quel letto bianco che richiamava il colore della sua pelle; ma era diversa. Il suo volto non era triste come il pomeriggio, anzi era rilassato e le labbra disegnavano un sorriso morbido e felice. Era bella come non mai.
Quella visione mi lasciò di sasso, mi aspettavo di vedere un cadavere deperito e secco, invece vidi una donna bellissima, sembrava che stesse dormendo. Mi porsero una lettera e un diario. Il suo diario, quello che era solita tenere sul comodino e che aggiornava in ogni momento possibile: mattina, notte… nessuno l’aveva mai letto, perché era il suo mondo ed era giusto che rimanesse un segreto. Aprii la lettera, la sua calligrafia era ordinata e precisa come sempre:
<>
Aveva ragione: non riuscì a non piangere. Troppe emozioni insieme: gioia, rabbia, tristezza e amore. Rabbia perché non potevo credere che me l’avessero portata via, ma gioia perché ancora una volta mi ha dimostrato la sua immensa gioia di vivere: nemmeno la malattia era riuscita a incrinare e ad abbattere il suo spirito. Era riuscita a fronteggiare il male a testa alta e a uscirne lo stesso vincitrice perché ora era libera, come quel cigno. Nulla l’avrebbe più fermata, poteva volare al di sopra di tutto. Anche se non c’era più, era riuscita a darmi la forza di continuare a vivere, per me, ma soprattutto per Maya, perché ora più che mai aveva bisogno di me, del suo papà. Le avrei dato tutto l’amore possibile, non l’avrei mai lasciata sola. Lei era la mia ragione di vita. Stetti ancora qualche ora lì al suo fianco, a tenerle la mano e ad ammirarla. Sarei rimasto lì così per l’eternità, ma avevo una figlia cui badare, un esserino indifeso, che aveva bisogno di tutto l’amore del mondo. Lasciai la stanza e mi diressi da mia madre. Mi tornò in mente il bacio, così piccolo ma inteso, che mi diede quella sera e compresi quanto fosse importante l’amore di un genitore, perché è l’unico che ti accompagnerà per sempre: potrai litigare con loro, discutere, ma nulla farà mai allontanare un genitore dal proprio figlio. È l’amore più vero e sincero che esista. Arrivai a casa sua e la strinsi in un fragoroso abbraccio, avevo bisogno di lei in quel momento, perché era l’unica che potesse starmi vicina. Rispose all’abbraccio, ma non disse nulla, perché ogni parola sarebbe stata inutile. A piedi scalzi e con il passo leggero arrivò in sala Maya e sedette tra le mie gambe. Mi chiese cosa era successo e, nel modo più semplice possibile le cercai di spiegare che la mamma era andata tra gli altri angeli del cielo, ma che sarebbe stata sempre con noi e le lessi la lettera.
Il giorno seguente andammo in clinica, il cigno era lì a trastullarsi sull’acqua del laghetto. Ad un certo punto si alzò e iniziò a volare in circolo sopra di loro “Guarda papà, è la mamma che ci sta salutando, ci sta dicendo che è li sopra di noi”
“si, amore. La mamma ora è lì che ci protegge. È libera di volare… di volare ovunque.”
  
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