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Autore: dreamlikeview    10/10/2013    26 recensioni
Louis non vive più da anni.
E' gay, la sua famiglia omofoba lo odia, e a scuola è vittima di bullismo, a diciotto anni, quasi diciannove anni, è bloccato al terzo anno di liceo.
Ma quando un nuovo arrivato, giocatore di rugby, bello come il sole, di nome Harry farà capolino nella sua vita, qualcosa cambierà.
Ma Harry, riuscirà mai a far riprendere Louis dalla sua depressione?
[It's Larry.]
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
- Questa storia fa parte della serie 'All about them.'
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Desclaimer: I personaggi non mi appartengono, niente di tutto ciò è scritto per offenderli e/o a scopo di lucro, non mi baso su nulla di veritiero, ma solo sulla mia fantasia, e quella di Lu.

Crediti: A Lu, per il meraviglioso banner e il plottaggio della storia. 

Avvisi: ATTENZIONE, CONTIENTE SCENE DI VIOLENZA FISICA. 

 
 
 
“Sei inutile!”
“Perché non ti uccidi?”
“Perché non ci liberi dalla tua presenza, checca?”
“Ehi, femminuccia, corri dal fidanzatino a farti consolare, adesso?”
“Gay di merda!”
“Non sei capace di fare l’uomo? Ah, no, non lo sei!”
“Feccia!” “Rifiuto!” “Errore!” “Sbaglio!” “Scherzo della natura!”
“Vergognati, frocio.”
“Ma come si fa a vivere nel tuo corpo? Sei talmente orrendo!”
“Fai un favore a tutti noi, porta il tuo brutto aspetto lontano da qui.”
“Perché non fai un favore all’umanità e ti uccidi?”
“Staremmo molto meglio senza di te.”
“Sei un errore! Non sei degno di vivere.”
“Nessuno ti amerà mai, puttana.”
“Ucciditi!”
Questo era solo una parte di ciò che ogni giorno a scuola e a casa veniva riferito a Louis Tomlinson, un adolescente che da poco aveva fatto coming out. Erano passati precisamente due anni da quel giorno, il giorno in cui tutto era cambiato per lui. Se prima a scuola passava inosservato, nessuno badava a lui, dopo il coming out sembrava essere diventato popolare, negativamente ovviamente. Tutti i giocatori di football, di baseball, di rugby, ma anche quelli più ‘sfigati’, lo prendevano di mira ogni giorno, perché lui era gay, era ‘diverso’, amava semplicemente gli uomini. Non era colpa sua se si era fidato delle persone sbagliate, i suoi familiari. Lui aveva fatto outing solo in casa, ma a quanto pareva a sua sorella Lottie faceva schifo avere un fratello omosessuale, perché il giorno dopo tutta la scuola sapeva di lui. Inizialmente avevano iniziato solo con parole di scherno e piccoli spintoni, che non avevano nociuto più di tanto sulla già precaria autostima del ragazzo, che era cresciuto nella paura e nel terrore, ma poi la situazione era peggiorata, non sapeva come, si era ritrovato nel bagno dei ragazzi completamente inerme, tra le mani di giocatori sportivi molto più sviluppati di lui, che era mingherlino e fisicamente piccolo, e quelli lo avevano pestato a sangue, lo avevano picchiato così forte da fargli perdere i sensi, non prima di avergli intimato di non dire niente a nessuno, perché altrimenti la situazione sarebbe peggiorata, addirittura.
E non erano le prime botte che prendeva.
Le aveva prese già da suo padre, le prendeva fin da quando era piccolo.
Louis era stato adottato all’età di sei anni dalla famiglia Tomlinson, era cresciuto in un orfanotrofio, ma era un bimbo felice, una volta. I suoi occhioni azzurri si illuminavano come due fari alla luce del Sole, e i suoi capelli castani risplendevano quando esso brillava, si divertiva, giocava con gli altri bambini, non faceva domande sulla sua famiglia suor Isabel gli aveva detto una volta, che loro erano angeli, e lui credeva agli angeli, per questo amava il fatto che i suoi genitori lo fossero, e che lui lo sarebbe diventato quando sarebbe diventato grande. Ma poi le cose erano cambiate, quando era stato adottato. Non subito, almeno. Inizialmente, era felice anche con la nuova famiglia, si divertiva con Jay a fare i biscotti e ad imburrare le teglie, e a giocare a pallone con Mark in cortile, ma poi era arrivata Lottie, seguita da Felicitè, le sue sorelline. Dopo quel momento, tutto era peggiorato. Era diventato un peso, lui era quello nuovo, quello estraneo, loro erano le figlie ‘vere’. E quando Lottie era cresciuta, tra un ‘Papà, Louis mi tira i capelli!’ e un ‘Papà, Louis se la prende sempre con me!’ e ancora un ‘Papà, Louis non mi presta le sue macchinine!’ e un altro ancora ‘Papà, Louis mi ha rotto la bambola!”, Louis era diventato il bambino più odiato, ormai aveva dodici anni, e allora suo padre aveva iniziato a picchiarlo, prima uno schiaffo, poi due, tre, quattro… fino ad arrivare ai pugni, ai calci, alla cinghia.
A diciassette anni aveva fatto coming out, e allora tutto era crollato, era peggiorato.
La violenza su di lui, l’odio, le brutte parole. Ormai aveva diciotto anni, quasi diciannove, ma non poteva andare via da casa, non prima di aver finito l’High School. Era stato bocciato per ben tre anni, un anno perché era stato ricoverato in ospedale per più di tre mesi, a causa di botte pesanti dal padre, giustificate come una brutta caduta per le scale, un altro anno perché non aveva studiato per niente, non motivato, e a quel punto erano iniziate le minacce.
E poi, la più recente, l’anno prima, quello del coming out.
Non ce l’aveva fatta, si assentava spesso per evitare di incontrare gente, spariva da casa per non respirare la stessa aria dei genitori, e non studiava. A Louis piaceva studiare, fin da bambino aveva voluto farlo. Gli sarebbe piaciuto diventare medico, per aiutare coloro che stavano male, ma quella speranza man mano sciamava, perché sapeva che non ce l’avrebbe fatta. Era ancora bloccato al terzo anno di liceo, e nessun università avrebbe mai accettato uno come lui. Inoltre, da un anno a quella parte, era caduto in depressione.
Una profonda depressione.
Aveva iniziato prima a mangiare sempre di meno, sempre più poco, fino a smettere del tutto, poi pian piano aveva iniziato a sfogarsi su se stesso, a farsi del male, a ferirsi volontariamente. E il suo stato era peggiorato con il tempo, con le botte, con il male. Tutto era peggio da quando avevano iniziato a picchiarlo, era sempre più debole, sempre più triste, depresso. Ormai, i suoi occhi azzurri erano grigi, un grigio spento, simile alla polvere, il suo corpo era piccolo, deperito, magro, quasi gli si vedevano le costole, e il suo sorriso non esisteva più.
Aveva dimenticato come si sorridesse.
Ed inoltre, era terrorizzato. Viveva costantemente nella paura, quando camminava si guardava intorno circospetto, camminava sempre velocemente, si stringeva le braccia al petto, e cercava di sparire, cercava di rendersi invisibile a tutti, ma non ci riusciva sfortunatamente. Aveva paura di qualsiasi essere esistesse: donna, uomo, ragazzo, ragazzo, cani, gatti. A volte credeva che anche le piante gli facevano paura. Era totalmente terrorizzato, da tutto, e da tutti.
In due anni, la sua vita era cambiata. Tutto era peggiorato, e lui si sentiva sempre peggio.
Aveva paura di tutto, ma nessuno lo aiutava, non voleva aiuto. Non voleva che nessuno lo vedesse, né lo guardasse.
Forse avevano ragione tutti gli altri a dirgli di dover morire. Forse era davvero il caso di uccidersi.
A cosa serviva la sua esistenza, in fondo?
 
 
Un’altra giornata di sofferenza era iniziata.
Si era alzato, si era vestito, ed era uscito prima che suo padre si svegliasse. Erano solo le sette di mattina, non sapeva cosa fare, la scuola avrebbe aperto solo alle otto, e lui non aveva la minima idea di cosa fare, ma tutto era meglio di restare a casa sua a subire l’ira del padre, le occhiate schifate delle sorelle, la delusione di sua madre…
Non ce la faceva più, tutto era più grande di lui, tutto era così doloroso, così… orrendo. Doveva stare bene, voleva stare bene, ma non ci riusciva, non poteva riuscirci, non da solo. Ma non aveva nessun amico.
Alla fine, optò per andare al parco vicino la scuola, dove avrebbe letto un po’ un buon libro, distraendosi da tutto, distraendosi dal dolore, e dalla crudeltà di tutti. Perché dannazione tutti dovevano essere crudeli con lui?
Appena giunto al parco, si sedette su una panchina vuota, di legno marcio e bagnato, leggermente puzzolente, ma comoda per passare il tempo, quando voleva scappare da tutto. Quel parco era abbandonato, non rischiava nemmeno di fare brutti incontri come i suoi compagni di scuola, e allora iniziò a leggere.
Non si accorse che fosse passata almeno mezz’ora, e alzò lo sguardo dal libro.
Fu allora che lo vide la prima volta.
A pochi metri da lui, con un pallone ai piedi, i pantaloncini corti neri, le scarpette da ginnastica, una felpa enorme, rossa e grigia, e una massa di ricci scuri informe sulla testa. Era la cosa più bella che avesse mai visto in vita sua. Oh, quei capelli dovevano essere veramente morbidi al tocco, e lui era davvero… bello. Era così possente. Le spalle erano larghe, il bacino proporzionato, e le gambe magrissime.
Louis riuscì a nascondersi dietro lo scivolo in disuso appena in tempo, prima che egli, il dio greco, si girasse, rivelando anche il suo viso, quello di un angelo, un angelo tentatore, certo, ma pur sempre un angelo.
Le labbra carnose, piene, rosse, il viso paffuto come quello di un neonato, il naso piccolino, e quegli occhi di un colore indefinito. Non li vide bene, era troppo lontano e lui non aveva indossato i suoi odiosi occhiali quella mattina, ma erano di un colore intenso, bellissimo. Forse erano verdi, come il prato su cui i suoi piedi poggiavano, o forse erano azzurri come il cielo che sovrastava le loro teste, o forse erano grigi come la pietra, ma non morti e spenti come i suoi, no, quello doveva essere il grigio più bello di tutti, o forse tutti e tre i colori, pietra, cielo e prato misti insieme, un elemento ancora più potente, un colore esplosivo, che fece crollare Louis per la prima volta, da quando si era svegliato. Era stato bravo, aveva trattenuto l’impulso, invece la vista di mister perfezione, l’aveva scombussolato.
Si era lasciato scivolare contro la scala di legno dello scivolo, e aveva tirato le gambe al petto.
Ecco perché lo odiavano.
Lui non era così bello, non lo sarebbe mai stato. E forse quel meraviglioso ragazzo, quell’angelo, quel dio greco, gli avrebbe fatto del male, come tutti gli altri. Lo avrebbe accolto, fatto stare bene per un po’, e poi l’avrebbe spezzato.
Era sicuro fosse della sua scuola, la felpa che indossava era quella dei giocatori di rugby della sua scuola, ma ignorava in che classe fosse, o di che anno fosse, e non voleva saperlo, affatto.
“Perché sono così sbagliato?” – sussurrò a se stesso, affondando il viso nell’incavo tra le due ginocchia conserte al petto – “non potevo nascere normale?” – primo singhiozzo andato, primo di tanti – “perché a me? Perché?”
Doveva mandare via tutto quel dolore, doveva fare qualcosa e immediatamente.
Due dita alla gola, e velocemente rigettò l’aria fredda di quella mattina di ottobre. Sembrava tutto sbagliato.
Non poteva lasciarsi abbattere dalla vista di un bel ragazzo.
Uno che probabilmente gli rendeva la vita impossibile ogni giorno, certo.
Vomitò, vomitò e vomitò ancora, fino a che il male accumulato non uscì sotto forma di piccole gocce di sangue, e come se non fosse successo assolutamente nulla, recuperò il suo zaino, e si diresse a scuola, pronto ad affrontare una nuova giornata schifosa.
Forza Louis, sii ottimista!
Impossibile. Essere ottimisti in quelle situazioni era davvero impossibile.
Avanzò attento verso la scuola, e la via era sgombra per sua fortuna, fu così fino agli armadietti, almeno. Stava prendendo il suo libro di filosofia, prima che qualcuno chiudesse con violenza il suo armadietto, e lui, terrorizzato, si girasse verso l’autore di quella violenza.
“Buongiorno, frocio, allora quanti pompini hai fatto da stamattina?” – rise sguaiatamente, appoggiando una mano contro il mobile in ferro, mentre i suoi compagni accerchiavano il ragazzo, che non sapendo cosa fare o dire, scosse violentemente la testa. Non sapeva nemmeno cosa significasse fare… quelle cose. – “non rispondi? Bene.” – si girò verso i suoi amici con il sorriso sadico sul viso – “cosa facciamo noi a chi disobbedisce?” – chiese retorico – “a chi non risponde a noi?” – continuò, mentre Louis cercò di indietreggiare ancor di più, sentendosi quasi un tutt’uno con l’armadietto, sperando che esso lo inghiottisse – “o semplicemente a Louis, checca, Tomlinson?” – concluse, allegro.
“Lancio nel cassonetto!” – urlarono – “lancio nel cassonetto!”
“No, no, no!” – cercò di opporsi il ragazzo, mentre quelli lo afferravano chi per le spalle, chi per le gambe – “il cassonetto no, vi prego, no!” – urlò, prima di essere colpito in pieno addome dal capitano della banda di bulli.
“Mai opporti, checca, lo sai.” – disse perentorio – “al cassonetto, ora!” – esclamò soddisfatto, mentre con estrema facilità i suoi compari trasportavano Louis di peso fuori dall’edificio, fino ai cassonetti della spazzatura, dove il tanfo di sporco e rifiuto si concentrava maggiormente.
“Tre!” – urlò, mentre i compagni facevano dondolare Louis – “due!” – continuò, e un’altra oscillazione fu compiuta dal corpo del ragazzo – “uno!” – terminò, e dopo un’ultima oscillazione, il corpo esile del ragazzo fu gettato nel cassonetto della spazzatura, il cui coperchio venne chiuso immediatamente.
“E’ qui che devi restare, nella spazzatura!” – urlò il capitano – “rifiuto!”
Ridendo andarono via tutti, mentre Louis tentava di aprire il coperchio ed uscire. La puzza era insopportabile, odiava quella scuola, odiava tutti. Era il più grande, eppure sembrava il più piccolo. Odiava trovarsi lì, e odiava che nessuno si ribellasse mai a quelle scimmie con poco intelletto.
Voleva solo qualcuno che lo difendesse, chiedeva tanto?
Forse sì,visto che non c’era mai stato nessuno per lui, in tutta la sua vita.
Quando finalmente riuscì a liberarsi dal cassonetto, Louis si diresse in bagno, dove cercò di lavarsi come meglio poteva. Forse se riusciva a sgattaiolare in palestra, riusciva anche a fare la doccia, avrebbe avuto ginnastica quel pomeriggio, e sebbene il suo fisico non reggesse lo sforzo, lui la tuta l’aveva portata, o meglio, l’aveva sempre nell’armadietto, perché la usava raramente. Attese che la campanella suonasse, e poi uscì fuori dal bagno. Velocemente raggiunse il suo armadietto, e da esso prese la tuta. Corse poi verso la palestra, e riuscì ad entrare negli spogliatoi. Non c’era nessuno, era deserto, per fortuna. Lentamente entrò in una delle docce, e lasciò che l’acqua tiepida colpisse il suo corpo, quella sì che era una sensazione piacevole, con essa sembrava che tutti i dolori venissero meno, così come la puzza terribile del cassonetto. Poi sentì canticchiare. Per fortuna era basso, quindi gli bastò abbassarsi dietro il muretto bianco, per evitare di essere visto, ma dalla sua postazione, vide dei capelli ricci, e capì che fosse il ragazzo del parco, santo cielo. Doveva andare via, subito. Doveva fuggire, doveva…
Quello non si era minimamente accorto della sua presenza, e iniziò a cantare.
Aveva la voce roca, profonda.
Bellissima.
Louis si lasciò scivolare contro il muretto, finendo con il sedere per terra, mentre l’acqua lo colpiva ancora. Non doveva nemmeno trovarsi lì, si era intrufolato di nascosto, e se quel giocatore l’avesse visto? L’avrebbe picchiato a sangue? Chiuse velocemente l’acqua, ascoltò ancora un paio di note di quel ragazzo, e dopo aver afferrato un asciugamano corse nella toilette più vicina, si chiuse dentro per asciugarsi ed indossare la tuta, che aveva intelligentemente dimenticato su una panchina. Magnifico. Il riccio era ancora sotto la doccia, per questo Louis sgattaiolò velocemente fuori dal nascondiglio e altrettanto velocemente indossò la sua tuta, prima di lanciare uno sguardo alle docce, e poi correre via, come se non fosse mai stato lì. Raggiunse nuovamente il suo armadietto, e prese il libro di matematica – aveva saltato la prima ora di filosofia - correndo veloce verso l’aula. Non aveva intenzione di avere un replay della mattina appena passata, né incontrarli. Riuscì ad evitare tutti, fino alla fine delle lezioni mattutine, ma poi fu strattonato.
Era l’ora di pranzo, la maggior parte degli studenti era a mensa.
Sentì chiaramente qualcuno afferrargli la maglietta, e appoggiargli una mano sulla bocca.
“Se urli, ti uccido” – aveva sibilato una voce al suo orecchio, e lui era trasalito. Aveva capito chi fossero, cosa volessero fargli e sapeva il perché da sempre, da quando tutto era cominciato.
La persona che lo stava ‘sequestrando’ lo trascinò fino ad uno sgabuzzino, in cui lo spinse dentro violentemente facendolo sbattere contro tutte le cianfrusaglie in esso contenute.
“Resta qui, frocio, e se provi a chiedere aiuto…” – rise – “nessuno lo farà, ovviamente, ma non solo, ti uccideremo, stavolta davvero.”
Louis stavolta tremò. Cosa volevano fargli? Perché lo avevano chiuso lì dentro? E perché sentiva che chiudeva a più mandate la serratura? Perché dovevano tenerlo prigioniero lì? Si sedette per terra, e cercò una posizione comoda per stringersi su se stesso. Poi gli chiedevano perché era depresso, cosa doveva fare? Era maltrattato dalla mattina alla sera, e non solo. Lo era anche a casa, ovunque. Aveva una calamita per le persone che volessero fargli male, e quel pensiero era talmente veritiero, che lo colpì come uno schiaffo violento, facendolo iniziare a piangere, nuovamente.
Forse era passata mezz’ora, quando il ragazzo di prima, e altri tre tornarono. Non voleva, qualsiasi cosa, non la voleva, aveva paura, tremava, e piangeva. Voleva tornare a casa, o no, voleva tornare in orfanotrofio, voleva tornare lì e vivere con la suora, l’unica che in diciotto anni lo avesse aiutato almeno un po’. Voleva che lo accettassero così com’era, voleva che non lo giudicassero solo perché fosse gay, voleva troppe cose irrealizzabili.
“Oh, il nostro frocetto piange” – esclamò Ryan, il più grosso e massiccio dei quattro – “perché non gli diamo un valido motivo per farlo?”
“Sì, hai ragione. Diamogli un motivo.” – disse senza emozioni Anthony, che fu il primo a colpirlo con un calcio, dritto tra le costole. Dolore, eccolo. Il dolore dal quale era scappato tutto il giorno, eccolo che arrivava.
“Sai che tua sorella, Lottie, ha detto che sei una feccia, eh?!” – esclamò Michael, colpendolo ancora, ripetutamente.
“Non sei degno di questo mondo, Tomlinson!” – esclamò un altro, del quale Louis non ricordava il nome, che continuò a pestarlo, insieme agli altri, mentre lui tratteneva il fiato, piangeva, tremava. Voleva solo un po’ di pace fisica, voleva un po’ di tranquillità, e invece subiva sempre, subiva e basta.
Quando ebbero finito, sputarono su di lui, il cui corpo era scosso dagli spasmi per il dolore e per le lacrime. Nessuno lo aiutava, nessuno faceva nulla per fermare tutto quello. Nessuno ne aveva il potere, o meglio, nessuno voleva. A chi importava dell’insignificante, stupido, omosessuale, Louis Tomlinson? A nessuno, appunto.
Riuscì a malapena ad alzarsi, dopo troppo tempo che era lì per terra, mentre le lacrime non smettevano un attimo di scorrere giù sul suo viso. Era terribilmente spaventato, adesso.
Troppo, davvero. Ora sapeva di cosa fossero davvero capaci, ora sapeva che erano dei ragazzi violenti, l’aveva appena visto sul suo corpo. Non erano mai stati così violenti, certo l’avevano pestato altre volte, ma stavolta aveva davvero rischiato di morire, sentiva il respiro mozzato e il petto bruciare, tant’erano dolorose le ferite, tant’erano profondi i tagli infertigli. E piangeva, piangeva come mai in vita sua. Tremava, oh sì, tremava tantissimo.
Si trascinò fino al bagno – fortunatamente poco distante – e si appoggiò al lavandino. Guardò il suo riflesso nello specchio, e vomitò. Il suo viso era una platea di lividi, gonfiori e sangue, gli occhi erano gonfi e rossi, così rossi da sembrare alieni, e i suoi capelli impregnati di sudore e non voleva sapere se qualcos’altro in essi fosse sangue o saliva non sua. Si lavò la faccia, ficcò la testa sotto il getto dell’acqua, e poi vomitò ancora e ancora e ancora, fino a perdere le forze, totalmente.
Quella era la sua giornata tipo, ma quella era stata peggiore delle altre. Tremante afferrò il suo zaino, e da esso estrasse un piccolo rasoio. Oh, il suo migliore amico, doveva a lui se un po’ riusciva a star meglio. Accarezzò un polso, notando che fosse quello tagliato la sera prima, allora cambiò mano.
Un taglio, dolore.
Due tagli, leggero sollievo.
Terzo taglio, pace.
Quarto taglio, quinto, sesto… infiniti, una dipendenza patologica.
E mentre lui continuava la porta del bagno si aprì, rilevando la figura del ragazzo riccio di quella mattina. Continuava a perseguitarlo? Com’era possibile che fosse sempre nei posti in cui andava Louis?
“C-Che diavolo fai?” – urlò correndo verso di lui, strappandogli il rasoio dalle mani, lanciandolo dietro di sé. Louis urlò terrorizzato, e si coprì il viso con le braccia, una delle quali era insanguinata. Il ragazzo riccio non ci pensò due volte prima di strapparsi la maglia, e avvolgere il pezzo di stoffa attorno al polso del ragazzo, fermando il flusso di sangue. Il castano tremava, aveva paura. Non voleva che gli facessero del male, no.
“Aiuto!” – urlò – “aiuto, aiuto!”
“Calmati, non voglio farti del male!” – urlò a sua volta il riccio, mentre Louis si rannicchiava di più su se stesso, urlando, piangendo e tremando forte. Aveva paura, aveva il terrore di qualsiasi cosa.
“T-ti prego, v-va via… t-ti prego, n-non farmi male, t-ti prego, mi han-no già p-picchiato, t-ti prego, aiuto, ti prego… non voglio ancora, ti-ti prego, ba-basta, ti prego, ti prego… aiuto…” – sussurrò tra le lacrime e i tremiti, mentre il riccio si piegava sulle ginocchia verso di lui, e allungava una mano verso il suo viso accarezzandolo lentamente. Voleva solo tranquillizzarlo, e fargli capire che andasse tutto bene, non voleva fargli del male.
“Sono Harry Styles, sono nuovo, e sono del terzo anno.” – gli sorrise per rassicurarlo, mentre il castano alzava gli occhi dentro i suoi, e si sentì totalmente invaso dal verde, verde smeraldo, verde speranza. I suoi occhi erano verdi, il colore che nella vita di Louis mancava da tanto tempo, la speranza, gli occhi di Harry erano del colore della speranza.
“L-Louis T-Tomlinson… t-terzo...” - sussurrò allora il ragazzo, mentre il ragazzo dagli occhi speranza lo guardava. 
“Visto che non era difficile?” – sorrise alzandosi e porgendogli le mani – “forza, vieni con me.”
Louis guardò le sue mani, poi le sue spalle, il suo collo e poi il suo viso. Non sembrava un tipo intenzionato a far del male al prossimo, ma tutti coloro che lo prendevano di mira erano esattamente ragazzi dei quali nessuno avrebbe mai sospettato. Poteva davvero essere come tutti gli altri, un suo futuro torturatore.
Fissò le sue mani, enormi, ancora e scosse violentemente la testa.
“N-no, v-via, la-lasciami…” – sussurrò stringendosi nuovamente le braccia intorno alle ginocchia, rannicchiandosi su se stesso. Aveva paura, non voleva avere a che fare con nessuno, voleva solo stare da solo, vomitare e farsi del male.
“Devo portarti in infermeria.” – disse perentorio il riccio, guardandolo. Lui non voleva lasciarlo lì, voleva aiutarlo, era evidente che il castano avesse bisogno di cure e di essere medicato, e toccava a lui farlo, essendo l’unico presente in quel momento. Nonostante fosse spaventato, e Harry ne era consapevole, lo vedeva perfettamente, non poteva fare a meno di aiutarlo, e di portarlo in infermeria.
“N-no, non voglio… lasciami…” – tremò ancora.
E allora Harry non ebbe altra scelta. Non poteva fare altrimenti, si sarebbe sentito in colpa a lasciarlo lì in quelle condizioni, chi sapeva poi, il perché l’avessero ridotto in quel modo.
Louis sembrava tanto un tipo delicato, fragile come un vaso pregiato ed antico, indifeso come un cucciolo abbandonato, tenero come un peluche. Non lo conosceva, eppure riusciva a percepire questo solo guardandolo. Essendo un giocatore di rugby, non gli fu difficile, una volta alzatosi, abbassarsi su di lui, e prenderlo in braccio, il ragazzo appena sentì di essere stato preso contro la sua volontà, cercò di ribellarsi, di liberarsi, ma quello era più forte di lui, troppo forte per un ragazzo debole come lui, riuscire a liberarsi. Tuttavia, qualcosa di nuovo nacque dentro di lui, qualcosa di indefinito. Quell’Harry aveva qualcosa di diverso dagli altri, sebbene fosse terrorizzato a morte, temesse che quel ragazzo gli facesse del male, che lo portasse in qualche aula e lo picchiasse come i suoi compagni, una parte di lui, una piccolissima parte di lui, sentiva che poteva fidarsi di lui. E poi le sue braccia sembravano così accoglienti e forti… non aveva mai provato una sensazione tremenda e terrificante come quella. Che significava? Harry gli avrebbe davvero fatto del male? Stava lentamente impazzendo?
“Mettimi giù!” – urlò improvvisamente, divincolandosi. Non poteva permettere di nuovo che lo picchiassero, non poteva, aveva paura, troppa. Sapeva di meritare il dolore fisico, ma in quel modo era troppo.
“Hai bisogno di cure. Non ti metto giù.”
“No!” – urlò – “no, no, no! Lasciami, lasciami!” – si agitava, lì tra le braccia di Harry. Forse era davvero impazzito per avere impressioni così discordanti tra di loro, prima credeva fossero accoglienti, ora le vedeva come una prigione, ma aveva troppa paura, davvero troppa, non riusciva a liberarsi, si sentiva oppresso.
Il dolore, la perdita di sangue, e la stanchezza, lo portarono a perdere i sensi, lì tra le braccia di Harry, che si mosse velocemente, doveva aiutarlo, doveva far qualcosa per lui. Non lo conosceva, era vero, ma non poteva ignorare una richiesta d’aiuto, anche silenziosa, quando se ne presentava una davanti a lui così forte, evidente, quasi urlata in silenzio. Davanti a tutta la scuola, Harry trasportò Louis in braccio fino all’infermeria, dove l’infermiera di turno si prese cura di lui. Il riccio restò accanto al castano per tutto il tempo, fino a che il ragazzo non rinvenne. Era terrorizzato, davvero troppo terrorizzato, ma almeno le ferite che aveva, erano diminuite ed erano state fasciate.
Quando Louis scorse la sagoma di Harry accanto a sé, tremò inizialmente. Non sapeva cosa aspettarsi da lui, ma poi Harry gli sorrise, e Louis si accorse che quello fosse il Sole, arrivato dopo tanto tempo di buio. Era la luce nell’oscurità della sua vita, lo spiraglio di luce, il raggio di sole che baciava delicatamente i petali dei fiori il primo mattino, era la sua luce, la sua speranza. Quel sorriso stava per diventare la sua unica ancora di salvezza.
“Cosa ti è successo?” – chiese Harry, prendendogli delicatamente la mano sinistra nella sua destra, evitando di chiedergli perché l’avesse trovato con un rasoio in mano e il braccio insanguinato. Si conoscevano ancora da poco, ed era una cosa troppo personale, avrebbe aspettato un po’ per chiederlo. Louis non si accorse della sua mano intrecciata a quella di Harry, ma si sentì benissimo in quel momento, come non si era mai sentito in vita sua. Qualcuno si stava interessando a lui? Alla sua salute? Impossibile, era un sogno, ma dal quel sogno non voleva svegliarsi, e se… no, no. Non poteva, non poteva davvero…
“Sono… sono gay, m-mi hanno picchiato per questo” – confessò a bassa voce, come se quello fosse un segreto, qualcosa che nessuno avrebbe mai dovuto scoprire.
“E’ una cosa orrenda… mi dispiace, Louis.” – disse sinceramente dispiaciuto, stringendogli la mano, ma Louis tremò ancora. Non aveva finito tutto, doveva essere sicuro di non sbagliarsi, ma una lacrima scappò dal suo occhio, e non sfuggì al riccio, che lo incitò ad andare avanti con uno sguardo eloquente.
“T-ti prego, n-non farmi male, i-io… non posso sopportarlo, non oggi…” – singhiozzò – “p-puoi…?”
“Ti picchiano perché sei gay, no?” – chiese Harry, facendo tremare Louis, che annuì – “lo sono anche io.” – confessò il riccio, sorridendo – “ti proteggerò io, lo prometto.” – e solo allora, il castano si rilassò in parte.
Forse aveva trovato qualcuno.
Dopo mezz’ora, l’infermiera consigliò al ragazzo di tornare a casa, ed Harry si offrì volontario per accompagnarlo a casa, il castano non potette dire nulla, non poteva dire cosa gli sarebbe successo, una volta a casa, e restò in silenzio, lasciando che Harry lo riaccompagnasse con la moto. Era terrorizzato, ma la presenza di Harry lo faceva sentire più sicuro, non troppo, ma un po’ sì. Era da poco passata l’ora di pranzo, quindi sua madre e le sue sorelle non erano ancora rientrate, tanto meno suo padre. Aveva qualche ora per respirare, ma non voleva che nessuno lo notasse, voleva solo che tutto passasse il più in fretta possibile. Una volta fuori casa sua, scese velocemente dalla moto di Harry, e dopo averlo salutato, corse alla porta di casa, ma il riccio lo fermò.
“Posso restare da te?” – gli urlò dietro – “non voglio stare da solo a casa, mia madre non c’è e nemmeno mia sorella!”
Louis si girò verso di lui, e non seppe cosa rispondere.
Dire di no era scortese, ma dire di sì… avrebbe significato la sua morte, ma passare del tempo con il ragazzo che l’aveva salvato, voleva dire di più. Fece pari o dispari, e poi con un cenno del capo, lo invitò ad entrare. La casa era leggermente in disordine, ma Harry non vi badò. L’unico motivo per cui era andato insieme a lui, era la preoccupazione, ignorava il perché, ma era preoccupato per quel ragazzo, forse per il suo peso inesistente, le sue braccia segnate e il suo corpo esile, non lo sapeva, o perché fosse gay come lui… era un mistero, ma aveva paura che facesse di nuovo ciò che aveva fatto a scuola, nei bagni, e ne ebbe paura. Non voleva che un ragazzo come lui, soffrisse in quel modo, e il suo cuore enorme, la sua bontà facilitarono la sua scelta di aiutarlo e conoscerlo meglio.
Louis lo condusse intimidito in cucina e maldestramente afferrò delle pentole, facendole cadere. Harry aveva saltato il pranzo per colpa sua, e voleva rimediare in un certo senso, ma fallì miseramente.
“Vuoi una mano? Sono piuttosto bravo.” – chiese, giungendo in suo soccorso, prendendolo per i fianchi, e appoggiando le mani sulle sue, facendo fremere il più basso. Cucinarono insieme, ma Louis non toccò niente.
La cosa era strana per Harry, ne aveva bisogno, non poteva digiunare.
“Louis, devi mangiare qualcosa, sei debole, dopo quello che ti hanno fatto.”
“M-ma…”
“Dai, Louis, mangia qualcosa, sforzati un pochino, lo giuro, non starai male.” – cercò anche di imboccarlo, ma quello si rifiutava sempre, dicendo di non averne voglia, di avere mal di stomaco. Ad ogni domanda, cambiava la risposta, e fu facile per Harry avere il quadro completo, ma non voleva ancora esprimersi negativamente a riguardo.
Riuscì unicamente a fargli mangiare una fetta di pane imburrato con un bicchiere di aranciata.
Si rifiutarono entrambi di fare i compiti, e si buttarono sul divano a guardare un film. Era una bella sensazione, nuova per Louis, non si era mai sentito così coccolato, letteralmente. Harry lo aveva fatto appoggiare sulla sua spalla, e gli stava accarezzando il fianco. Perché lo faceva? Si conoscevano da poche ore, perché doveva mandarlo in confusione?
Non riuscì a chiederglielo, perché la porta di casa si aprì, e il padre di Louis entrò nel salone che dava sull’ingresso, non appena vide Harry, fulminò con lo sguardo il figlio.
“Buonasera, signor Tomlinson, sono Harry Styles, un amico di Louis” – sorrise presentandosi, porgendogli la mano, ma quello la evitò, schifato.
“E’ un piacere, Harry” – disse a denti stretti – “è un vero piacere.”
“Allora io vado, Louis!” – esclamò, sorridendo al castano, ignaro di ciò che stava per accadere all’interno di quelle quattro mura. Il ragazzo lo supplicò con lo sguardo di non andare via, di non lasciarlo da solo con lui, ma non vi fu verso di fargli capire tutto. Con un cenno della mano, Harry uscì di casa e l’inferno di Louis, ricominciò.
Indietreggiò fino alle scale, e fece per correre in camera sua, quando il padre lo afferrò per un braccio, spingendolo per terra, ai suoi piedi. Louis tremò inevitabilmente, sapeva cosa stava per succedere. Perché era tornato così presto? Perché? Non poteva tornare tardi come sempre?
“Spiegami chi era.” – primo calcio forte, alle gambe – “tu non hai amici. Sei solo” – nuovo calcio, sul bacino – “spiegami chi cazzo era! Un frocio come te?!” – urlò, tirandolo in piedi prendendolo per i capelli.
“N-no, m-mi ha solo…” – deglutì – “mi-mi fai male… p-papà…” – lo supplicò, cercò di supplicarlo di smettere, di non fargli male, di… lasciarlo in pace. Ma ottenne uno schiaffo forte in faccia.
“Mi fai schifo, non devi chiamarmi così!” – tuonò l’uomo, sbattendo il ragazzo contro il muro, e tirandogli un calcio tra le gambe, di nuovo. Louis tremava, aveva paura. – “fila in camera tua, vengo tra poco a darti la tua punizione.”
Non bastavano le botte?
Louis corse via, prima in bagno, dove vomitò l’anima, per liberarsi da quel male appena causatogli dal padre, come ad eliminare tutto lo sconforto che aveva dentro, oltre a quell’orribile grasso in eccesso che si ostinava a vedere su di lui, poi corse in camera sua e si buttò sul letto, strinse il cuscino tra le mani, cercando di non pensare a cosa sarebbe successo, perché lo sapeva, sapeva cosa sarebbe successo, e ne aveva paura. Per questo pianse, pianse disperato, rannicchiandosi quanto più possibile su se stesso, circondandosi di apparente e vana protezione.
Quando sentì la porta aprirsi di nuovo, capì che le sue sorelle e sua madre, fossero tornate, e l’urlo di gioia delle bambine nel vedere il padre in casa, si sentì fino alla camera di Louis.
Perché nessuno sentiva mai le sue urla di terrore? Perché nessuno si accorgeva mai che lui stesse male? Perché?
La porta della camera era aperta, non gli era permesso di chiuderla, e quando Lottie passò davanti lo guardò in un modo che Louis avrebbe solo voluto sparire, o dormire e dimenticare tutto. Non poteva credere di essere odiato dalla sua stessa famiglia, dai compagni a scuola, dal padre, da tutti.
“Louis?” – sentì la madre parlare al telefono – “pff, uno scansafatiche. Se ne sta tutto il giorno a poltrire sul divano, forse è questo ciò che fanno quelli come lui, no? Danno fastidio, sarebbe stato meglio non adottarlo quel giorno.”
E allora Louis pianse di nuovo, perché non riusciva ad accettare che la sua famiglia lo stesse bistrattando in quel modo, che la sua famiglia parlasse male di lui di continuo.
La casa era quasi calma, quando il padre lo raggiunse.
L’ora della punizione era arrivata, e la cinghia scattata.
Tra le urla di dolore, i tremiti, la paura, il male, la sofferenza, il dolore, l’odio, la depressione e pianti amari, la routine di Louis Tomlinson era quella da anni, peggiorata dopo il coming out, non sarebbe mai cambiata, o meglio l’aveva fatto, ma in peggio. Non sarebbe mai migliorata.
Harry Styles sarebbe riuscito a tirarlo fuori da quel casino?
Si chiese, prima di svenire sul suo letto, sotto i colpi di cintura violenti del padre.
Avrebbe solo voluto non risvegliarsi mai più.
Era troppo tutto quello, per uno fragile come lui.
 
*
 
Erano appena passati sei mesi.
Louis aveva conosciuto Harry esattamente sei mesi prima, e sapeva molte cose di lui, tante abbastanza da farlo sentire al sicuro, da fidarsi di lui, e da lasciare che egli lo proteggesse.
Sapeva che Harry avesse quasi due anni in meno di lui, era al terzo anno, come lui, solo che era stato bocciato una sola volta, a differenza sua. Era nella squadra di rugby fin dalla sua scuola precedente, e non gli era stato difficile entrare in quella della sua attuale, ed era un esperto nel placcare gli avversari, ma diverso da tutti gli altri giocatori. Era buono, ed era altissimo, tanto da non sembrare un appena diciassettenne - li aveva compiuti a febbraio - ma un ventenne, i suoi muscoli erano tanti, e le sue spalle enormi, ma il suo viso era come quello di un bambino, delicato, dolce e sorridente. Era semplicemente adorabile, e bellissimo.
Louis non avrebbe mai creduto che un ragazzo come lui, potesse anche solo pensare di essere amico di uno insignificante come lui, insomma, cosa avrebbe potuto offrirgli? Nulla, solo problemi.
Harry però, nonostante fosse più piccolo, lo scortava in classe, lo andava a prendere alla fine delle lezioni, frequentava l’ora di ginnastica alla sua stessa ora, e spesso avevano lezioni comuni, e durante quelle lo teneva accanto a sé, e lo proteggeva al meglio. Louis non si era mai sentito così sollevato in vita sua. Sentiva di avere finalmente qualcuno accanto a sé, qualcuno che lo aiutasse e lo supportasse, anche se non era esattamente fuori dalla depressione, a casa la situazione era sempre peggiore, suo padre non accettava la sua amicizia con Harry, vedendo quel ragazzo come un pericolo alla salute della sua famiglia, credendo che egli potesse minare la loro ‘normalità’, ma sapeva, in fondo, che Louis si vergognasse di se stesso, e quindi non avrebbe mai rivelato nulla al ragazzaccio.
Quindi, sebbene Harry proteggesse il ragazzo durante le ore scolastiche, l’inferno non era ancora finito, era sempre vivo nella vita del giovane Louis, che considerava casa sua un vero e proprio inferno.
Fin dalla mattina.
Suo padre aveva scoperto del suo trucco per sfuggire alla ‘punizione’ quotidiana, e aveva preso seri provvedimenti, perché non poteva pensare di aver adottato ed ospitato un casa sua un ragazzo, all’epoca bambino, omosessuale.
Di fronte a quella realtà era inorridito. Non poteva pensarci, e per questo si sfogava letteralmente con quel povero ragazzo, rendendogli una vita un inferno, punendolo per ciò che era, e sperando che in quel modo, il ragazzo tornasse sulla ‘giusta’ via, nonostante ciò, aveva iniziato ad odiare il figlio, dopo la nascita delle bambine, perché quando lui e sua moglie lo avevano adottato, credevano di non poter avere figli, e quella motivazione li aveva spinti ad adottare Louis, un orfanello dell’orfanotrofio di Doncaster, cosa fosse cambiato nei suoi confronti non era ancora del tutto chiaro, insomma, quando Lottie, la prima delle femmine, aveva iniziato a parlare, a crescere, a capire e a notare le differenze tra lei e Louis, aveva anche iniziato a dare a lui la colpa di qualsiasi cosa accadesse in casa, ad incolparlo di ogni minima cosa, e l’uomo non aveva potuto fare altrimenti che difendere la piccola di casa, punendo il maggiore, che non era davvero suo figlio, portava solo il suo cognome, in fondo.
“Ehi, a cosa pensi?” – chiese Harry a Louis, mentre erano a mensa. Quelle erano tutte supposizioni di Louis, tutto quello che credeva di suo padre, tutto quello che immaginava fosse accaduto nel suo cervello. Ed era colpa sua, solo colpa sua, perché se non fosse mai venuto al mondo, non avrebbe mai sofferto, e non avrebbe portato problemi ad altri.
“Niente, è che…” – tossì – “ho un po’ di mal di stomaco, e non credo che mi faccia bene questa roba.”
“Louis, anche ieri avevi mal di stomaco.” – disse irritato il riccio – “mi dici che hai?”
“Che devo dirti? Non ho fame, dannazione!”
“Ma anche ieri, e l’altro ieri, e il mese scorso, non sono mica stupido!”
“E allora? Non voglio mangiare lo schifo della scuola, è un problema?”
“D’accordo, domani porterò io dei sandwich, fatti da me.”- disse stizzito – “vedremo se è solo la roba della mensa.”
E allora Louis si spaventò. Anche Harry iniziava a trattarlo male?
No, no… non lo voleva, non poteva accettarlo.
“S-scusa, m-mangerò, s-scusa…” – sussurrò tremando. Harry lo guardò e come se fosse stata la cosa più naturale del mondo, lo abbracciò, avvolse il suo esilissimo corpo tra le sue braccia, rendendosi conto ancora una volta che Louis fosse troppo magro per la sua età, che Louis avesse bisogno di aiuto, e prima o poi gliel’avrebbe chiesto, voleva fare qualcosa per lui, voleva aiutarlo, non sapeva molto di quel ragazzo, era un tipo riservato, ma aveva imparato a capire quando avesse paura di qualcosa, quando fosse terrorizzato a morte, e quando fosse tranquillo.
“Va tutto bene, davvero.” – gli sussurrò all’orecchio, per tranquillizzarlo – “facciamo una cosa, perché non vieni ad assistere agli allenamenti di rugby, oggi?”
“P-posso? Davvero?” – chiese, sorridendo appena.
“Certo! Mi farebbe piacere.”
“Anche me…” – sussurrò ricambiando l’abbraccio, adorava stare tra le braccia di Harry, gli infondevano protezione e davano la sensazione di ‘casa’, erano ampie, calde, accoglienti.
Tra esse si sentiva sempre tranquillo, al sicuro. Come se niente potesse fargli del male, e forse era un bene che si sentisse così, almeno a scuola. Il suo rendimento era migliorato di poco, ma era migliorato.
Forse, grazie ad Harry, non avrebbe perso un altro anno della sua vita.
Quando suonò la campanella, annunciando che la mensa fosse finita, Harry accompagnò Louis nell’aula di letteratura inglese, salutandolo con un dolce bacio sulla guancia.
“Quante ore hai?” – chiese premurosamente, lasciandogli la cartella che gli aveva trasportato lui, per terra.
“Solo tre, poi ho finito.” – disse intimidito, guardando i gesti dell’altro. Da quando qualcuno era così gentile con lui?
“Benissimo, io invece ho spagnolo, francese e poi ho gli allenamenti. Ci vediamo qui?”
Louis annuì energicamente, e Harry si congedò da lui. Oltre a tutto, Louis aveva scoperto che Harry amasse le lingue straniere, per questo il pomeriggio seguiva solo corsi di lingue, se aveva capito bene, ne seguiva anche uno di italiano e uno di tedesco. Non poteva davvero credere di chi avesse incontrato, Harry era un ragazzo così pieno di ambizioni, di sogni, di voglia di vivere, come poteva interessarsi ad uno come lui? Insomma, lui era l’esatto opposto di Harry: nessuna ambizione, nessun sogno, voglia di vivere pari ad un numero sotto lo zero. 
Durante le tre ore di letteratura, la sua testa era altrove, in un altro universo, divisa tra la depressione e la luce rappresentata da Harry. Insomma, come poteva essere quasi felice stando con Harry, ed essere del tutto giù di morale, una volta tornato a casa? Beh, se la sua famiglia l’odiava in quel modo, era anche normale, a differenza di quando era con Harry, che gli tirava sempre su il morale, come durante il pranzo. Si era accorto che avesse avuto paura, e lo aveva abbracciato forte, rassicurandolo, invece di colpirlo con violenza, com’era solito fare il padre.
Attese, quasi trepidante che le ore passassero, e quando si avvicinò alla porta, attese l’arrivo di Harry. Non vedeva l’ora di vederlo, di abbracciarlo, e di lasciarsi stringere da lui, così forte da perdere il fiato, ma non in modo cattivo, e negativo, in modo dolce, da mandarlo sulle stelle, così forte da sentirsi in un altro universo, dove lui non era depresso, dove lui era un ragazzo normale, amato da tutti, con un discreto successo tra i ragazzi e le ragazze.
Vide i giocatori di football passare davanti l’aula, e si nascose immediatamente dietro la porta, per sparire dalla vista di tutti, di non farsi vedere. Per sua fortuna quella volta non accadde nulla, e dopo dieci minuti Harry giunse, facendo sparire le sue paure, mandando via i demoni della sua vita, almeno per un poco.
Sotto la maglietta, i suoi polsi erano segnati, e continuavano a comparire nuovi tagli, ma Harry non lo sapeva.
Sotto la maglietta, il suo fisico spariva sempre di più, ed Harry era intenzionato a farlo ricomparire.
“Lou! Ehi!” – esclamò vedendolo, una volta arrivato in casse.
“Harry…” – sorrise sollevato osservando il ragazzo già in divisa da rugby, con la palla ovale sotto il braccio. Era ancora più bello di quanto ricordasse, e sorrise imbarazzato quando Harry gli porse la sua felpa, dicendogli di indossarla.
Il riccio aveva notato i tremiti del ragazzo, e credeva fossero per il freddo, e non per la paura. Non aveva visto i giocatori di football passare davanti all’aula di Louis, e di conseguenza ignorava il livello di terrore dell’altro.
Il castano l’accettò, un po’ per sentirsi più al sicuro, un po’ perché avesse davvero freddo, e la indossò, rendendosi conto che fosse davvero troppo grande per lui, che diavolo era quella sensazione che sentiva?
Era diversa da quella che provava di solito, era… piacevole, quasi.
“Harry, non ti ho mai chiesto… in che ruolo giochi.” – disse Louis, mentre con lui avanzava verso il campo all’esterno della struttura scolastica.
“Sono un estremo. Ho il ruolo di difendere, diciamo, la nostra area.”
“Come un portiere?”
“Non proprio, Lou” – ridacchiò – “è tipo difesa, dai. Come te lo spiego…” – ci pensò su un attimo –“in pratica, ho il compito di difendere da dietro le linee davanti a me, quindi placco, corro… cose così.”
“Mh… capisco, quindi sei bravo con i placcaggi?”
“Me la cavo, sì.” – ridacchiò, giungendo al campo – “guarda impara, piccolo.” – gli sussurrò correndo a salutare il coach, e a prendere posizione.
Il cuore di Louis perse  un battito, dopo quell’ultima insignificante – per Harry – parola. L’aveva chiamato piccolo, era una cosa meravigliosa, nessuno l’aveva mai chiamato così, ed era una cosa così dolce… adorante guardò gli allenamenti di Harry, e lo vide placcare un ragazzo, rilanciare la palla, correre veloce, prendere la palla, rilanciarla ancora, sembrava così a suo agio, così tranquillo… era semplicemente bellissimo anche in quel ruolo.
E l’aveva chiamato piccolo.
Lo guardò giocare, e ogni tanto annusava la felpa di Harry, che gli andava eccessivamente grande, davvero troppo, tuttavia gli piaceva, lo faceva sentire protetto, e… poteva dire voluto bene? Harry gli voleva bene? O era solo un’illusione? Una dolce illusione, ma se lo fosse stato davvero, probabilmente Louis non ce l’avrebbe fatta, non sarebbe sopravvissuto. Improvvisamente, mentre il riccio si stava ancora allenando, uno dei suoi compagni di squadra, pensò bene di lanciare una pallonata direttamente su Louis, rimasto a bordo campo. Lo colpì violentemente nello stomaco, facendolo abbassare su se stesso, facendo scoppiare a ridere tutti gli altri, tranne Harry.
“Ma dico, sei impazzito?!” – tuonò, appunto, Harry contro il suo compagno, che fu raggiunto dal coach e punito per aver fatto un vero e proprio atto di vandalismo ai danni di un ragazzo che stava solo assistendo.  Harry corse poi verso Louis, per accertarsi che fosse tutto okay. Il castano era leggermente più pallido, e si massaggiava il punto leso.
“Tutto bene, Lou?” – chiese preoccupato.
“S-sì, t-tranquillo, ci sono abituato.”
“Giuro che la pagherà. Non devono toccarti.” – sibilò stringendo un pugno, e Louis sorrise appoggiando la mano sulla sua, accarezzandogliela piano. Perché nessuno era come Harry? Perché tutti lo trattavano male?  
Harry era solo intenzionato ad aiutarlo? Non poteva essere un illusione, lui era davvero diverso.
Non riusciva a dirgli ancora tutto, non riusciva a confessargli tutta la sua vita, ma prima o poi l’avrebbe fatto, avrebbe chiesto il suo aiuto direttamente, l’avrebbe fatto solo quando sarebbe stato sicuro che Harry ci fosse stato per lui, che non lo avesse lasciato solo per nulla, che gli fosse stato accanto nonostante tutti i suoi problemi.
“Sto bene, tranquillo…” – sussurrò – “non voglio che fai a botte con qualcuno per me.”
“Lo farei, non sarebbe un problema. Posso placcare tre giocatori insieme, un coglione come quello è una passeggiata per me. Basta che me lo chiedi, Lou.” – disse guardandolo negli occhi, ma Louis scosse la testa. Detestava la violenza, non voleva che fosse usata da qualsiasi altra persona, né tanto meno per difendere lui.
“Va tutto bene. Non fa poi così male.”
“Okay, allora.” – sorrise il riccio – “faccio la doccia e ti raggiungo, così ti riaccompagno.”
“Ma gli allenamenti…”
“Li continuo domani.”
Louis sorrise annuendo, e gli disse che per lui andava bene, che l’avrebbe aspettato esattamente lì, e non si sarebbe mosso, mai. Una cosa era certa: era maledettamente cotto di Harry.
Era l’unica spiegazione al rossore delle sue gote, alle sue gambe che tremavano come gelatine, al suo battito cardiaco aumentato.
Attese qualche minuto che Harry uscisse dagli spogliatoi, ma stare lì, scoperto, lo faceva sentire una vittima perfetta, lì solo alla mercé di tutti, sperava solo che Harry finisse presto, che tornasse da lui, e lo proteggesse, temeva che da un momento all’altro, gli altri giocatori tornassero alla carica, con lui. La pallonata era stata solo una sorta di avvertimento, ne era sicuro. Non riusciva a non pensare al fatto che potessero attaccarlo anche in quel momento, perché solo da quando Harry aveva iniziato a farsi vedere con lui, le cose erano cambiate. A quanto pareva, se all’inizio dell’anno Harry era pressoché sconosciuto, dopo diversi mesi, e dopo le prime amichevoli di rugby, in cui si era distinto, era entrato nei popolari della scuola, e anche grazie al suo bell’aspetto, nessuno sospettava minimamente che lui fosse gay, come Louis. Ma anche in quel caso, nessuno si sarebbe mai messo contro di lui.
Lo stava ancora aspettando, quando una folata di vento lo fece rabbrividire, spingendolo a stringersi nella felpa enorme del riccio per scaldarsi. Finalmente poi lo vide arrivare, bello come non mai.
Stava parlando al telefono fittamente, e aveva un sorriso dolcissimo sulle labbra.
Tutto andava bene in quel momento.
“Davvero?!” – lo sentì esclamare, quando era quasi vicino a lui – “oh, amore è una notizia fantastica!” – esclamò, facendo gelare il sangue nelle vene di Louis, aveva detto amore? – “certo, ti presenterò Louis! Quando hai detto che vieni?” – Louis era immobile. Non poteva crederci, chi era la persona con cui Harry parlava? – “ci sarò!” – esclamò felice –“mi manchi anche tu.” – disse con il tono un po’ più basso – “sì, ti amo anch’io, Nick.”
Ti amo anch’io, Nick.
Ti amo anch’io.
Ti amo.
Nick.
Aveva detto Nick e non Louis.
Nick. Detestava già quel nome. Era così brutto detto dalle labbra di Harry.
Nick.
Era insignificante, ma lui lo amava. Magari era un cugino, o un fratello… non voleva perdere anche Harry, non poteva perderlo. Non voleva, era tutto così sbagliato, perché? Era andato tutto bene quella giornata e ora… aveva solo voglia di piangere, vomitare e farsi male. Ecco, lo meritava. Si era illuso di nuovo.
Il riccio chiuse la chiamata, e si avvicinò definitivamente a lui, sorridendogli.
“Ehi, Lou, Nick viene qui per il weekend, vuoi unirti?” – chiese sorridendo.
“Chi è Nick…?”  - chiese.
Stupido masochista. E’ ovvio che stanno insieme, ma tu devi farti del male sempre vero, idiota?
Stupido masochista.
“Il mio ragazzo. Oh… forse non te l’avevo detto” – disse con un mezzo sorriso – “mi dispiace, avrei voluto, ma non sapevo quando fosse il momento giusto, insomma, il nostro è un rapporto un po’… così, e…”
Una doccia gelata investì in pieno il ragazzo. Tutte le cose positive si erano volatilizzate, tutto era svanito nel nulla, era stato bello finché era durato, era ora di tornare alla sua normalità. Era ora di tornare ad essere il solito, depresso, insignificante Louis. Non riusciva ad essere importante per qualcuno, che veniva subito fuori che c’era qualcuno di più importante. Sempre la seconda scelta, sempre quello che finiva male in un rapporto, sempre quello che soffriva.
Forse, quella era una delle delusioni più grandi.
Non si aspettava che Harry avesse mentito in quel modo, certo che non poteva pretendere molto, visto che lui taceva sulla sua vita, ma Harry sembrava diverso da tutti, sembrava… a posto.
Non avrebbe mai creduto che quelle parole, quella frase: “è il mio ragazzo”, potesse fare così male.
Era uno dei dolori più grandi che avesse mai provato. Aveva paura, era… stranito.
Come poteva essere così orribile soffrire per amore?
Era peggio di quando suo padre lo picchiava, di quando veniva torturato a scuola… era peggio di qualsiasi altra cosa.
“No, va bene. Va tutto bene.” – sussurrò, tremando, combattendo contro la voglia di piangere, di urlare, di sfogarsi, di farsi del male, di vomitare.
Dovevi immaginarlo.
Sei la seconda scelta, nemmeno tu stesso avresti scelto te.
Sicuramente Nick sarà un ragazzo fantastico.
Lui non è mica complicato come te.
Sei un fallimento.
Una nullità.
Ti odia anche Harry, contento ora?
“D-Devo andare…” – sussurrò – “c-ciao…”
“Louis, cosa…?” – non finì la domanda, perché Louis corse via. Non velocemente, infatti Harry lo raggiunse subito e lo fermò per un braccio, ma quello si dimenò urlando.
Che diavolo era successo?
Perché ora faceva così?
Era come il primo giorno che si erano conosciuti. Era terrorizzato, tremava ed era sull’orlo delle lacrime. Che fosse successo qualcosa mentre non c’era? Perché Louis si ostinava a non parlare?
“Devo andare, lasciami!” – urlò strattonando il braccio, ed Harry capì che per quel giorno era meglio lasciar perdere, perché non voleva sembrare troppo attaccato al ragazzo, anche se durante quei mesi erano stati uniti, sapeva che qualcosa tra loro era scattato. Non sapeva bene cosa, ma voleva con tutto il suo cuore aiutarlo, farlo sorridere di nuovo, ma Louis non glielo permetteva.
Louis corse via, in lacrime.
Non era giusto, l’unica persona che mostrava un minimo interesse nei suoi confronti, andava via in quel modo. Era impegnato con qualcuno che sicuramente era migliore di lui in tutto, non poteva per una volta, trovare una persona che si interessasse a lui, senza altre interferenze? No, doveva essere la seconda scelta per Harry.
Quando giunse a casa, ignorò la madre, le sorelle, le loro parole di scherno, il loro odio, e si chiuse nel bagno.
Si osservò allo specchio, e capì perché Harry non poteva amarlo davvero. Era imperfetto, il suo viso era orrendo, il suo aspetto ancora peggiore, i suoi occhi erano di un colore spento e brutto, i capelli non curati, simili ad una scodella. Ma aveva ancora la sua felpa addosso. Non voleva consegnargliela, non voleva disfarsene, era l’unica cosa che rendeva ciò che c’era stato tra lui ed Harry vero, realistico, e perfetto. Harry non avrebbe detto niente, non aveva mica intenzione di dire tutto a Nick, no?
Scoppiò in lacrime, pensando a quanto si fosse illuso, a quanto fosse stupido ad aver dato fiducia ad Harry, di quanto fosse idiota perché ci aveva creduto davvero, come aveva solo potuto immaginare che qualcuno ci tenesse a lui?
Con tutte le sue imperfezioni, i suoi traumi, il suo aspetto, il suo tutto.
Era assurdo, come poteva pensare solamente che Harry ci tenesse a lui? Era ovvio che nella sua vita doveva esserci un Nick, un tipo perfetto, bellissimo, simpatico, dolce, con tante ambizioni, e un bel po’ di muscoli, il suo esatto opposto, in pratica. E non poteva far altro che piangere. Perché, in fondo, sapeva che il riccio fosse diverso, o almeno lo sperava, invece si era dimostrato come gli altri. E poi perché l’aveva chiamato piccolo? Perché infierire quel colpo?
E allora che prese il suo rasoio e incise il primo taglio sul polso. Ormai non bruciava più quando lo faceva, era abituato. Il secondo era per punirsi di come si fosse affezionato ad Harry, il terzo per avergli dato fiducia, il quarto per punire se stesso, il quinto per le sue imperfezioni, e via, continuando fino a quando non perse il conto, e si ritrovò con il braccio insanguinato, non troppo però. Non arrivava mai troppo in fondo, non era così coraggioso. E non si sentiva nemmeno male. Stava bene. Si sentiva quasi libero, a parte quel groppo sullo stomaco.
Doveva liberarsene, doveva farlo per forza. Si avvicinò alla tavoletta del water e infilò due dita alla gola, vomitando. Rigettò l’acqua bevuta, il pezzo di arancia che Harry gli aveva fatto mangiare, avrebbe vomitato anche gli organi se avesse potuto, continuò e continuò sempre di più, fino a quando il suo corpo non ebbe espulso in parte quel macigno sullo stomaco. Si alzò con fatica da terra, reggendosi alla tavoletta e, dopo aver tirato lo sciacquone ed essersi fasciato alla meglio i polsi, barcollò fino a che non raggiunse la sua camera, e lì si chiuse dentro, dove continuò a piangere. Harry era l’unico essere sulla faccia della terra ad essere stato gentile con lui, fin da quando era finito in quel buco nero, ma lo stesso Harry era impegnato con un altro. Quindi quando quest’altro sarebbe ritornato sarebbe stata la fine della loro ‘amicizia’. Non voleva, non riusciva ad accettarlo, era tutto così ingiusto. Perché la sua vita era sempre ingiusta con lui? Perché? Magari se si fosse fidato… se gli avesse raccontato tutto… no, non sarebbe cambiato nulla, lo avrebbe trattato come un povero idiota, e l’avrebbe deriso come tutti gli altri.
Harry era diverso…
Lo era anche dopo avergli praticamente mentito per sei mesi?
Restò lì per ore, il buio era calato e il suo telefono era quasi impazzito a furia delle chiamate di Harry, che preoccupato lo chiamava, ma Louis non badò a quello, non ci riuscì, sentì la porta spalancarsi e sua madre urlargli contro qualcosa di poco carino, e le sue sorelle ridere di lui. Odiava la sua famiglia, non era giusto che anche loro lo trattassero in quel modo, perché l’avevano adottato se era un peso per loro?
“Mamma, non ho fame.” – disse nuovamente guardando il soffitto.
“Muoviti, mostro. Devo sfamarti, finché vivrai sotto il mio tetto.”
“Non chiamarmi così.” – disse sottovoce – “i-io non sono un mostro…”
La donna spalancò gli occhi, Louis rispondeva in quel modo? E da quando aveva gli attributi?
“Papà! Louis ha risposto male alla mamma!” – urlò Lottie da dietro alla donna, mentre Louis impallidiva. No, non subito, era debole ancora troppo per quello che si era fatto da solo prima. L’uomo salì velocemente, e scostò la moglie, guardando male il figlio adottivo. Louis automaticamente si parò il viso con le mani, ma l’uomo lo colpì nello stomaco con un pugno, e mentre il ragazzo abbassava le mani sul ventre e boccheggiava per il dolore, venne colpito anche sul viso, violentemente.
“Non rispondere mai più male a tua madre, frocio.”
Louis trattenne un singhiozzo, subendo anche il secondo schiaffo in pieno viso, prima che l’uomo andasse via, dicendogli che quella sera non avrebbe cenato. Poco gli importava, non avrebbe mangiato lo stesso, ma quello che gli fece più male, furono gli appellativi che gli diedero tutti. Sua madre l’aveva chiamato ‘mostro’, suo padre ‘frocio’.
“Io non lo voglio un fratello come te!” – urlò Lottie – “voglio un fratello normale!”
“Lottie, ma…”
“No, non lo voglio, e tu non sei mio fratello, sei stato adottato!” – urlò prendendo per mano la sorella, andando dai genitori, mentre l’altra sorella lo guardava malissimo. Odiava quella vita.
Harry, dove sei?
Avevi promesso di proteggermi, dove sei?
Con Nick, vero?
Aiuto, che qualcuno mi aiuti…
Harry, perdonami…
Non lasciarmi solo…
Harry, salvami…
Non puoi, hai Nick, lui è perfetto, io no.
Voglio morire.
Quella notte, Louis si addormentò tra le lacrime. La speranza era arrivata per un attimo, e poi era svanita, lasciandolo nuovamente solo nel suo dolore, nella sua depressione, nella sua imperfezione.
 
Quando la mattina dopo si svegliò, non si riconobbe.
Oltre al solito brutto aspetto, aveva gli occhi talmente gonfi che credeva di avere qualche reazione allergica, erano evidenti i lividi che suo padre gli aveva fatto con quegli schiaffi. E non ne poteva più di mentire ad Harry, dicendogli di aver sbattuto contro lo spigolo della credenza, che fosse inciampato, di essere caduto dalle scale…
No, di certo non poteva più inventare quelle scuse banali, forse doveva dirgli la verità, ma come?
Beh, lui gli aveva nascosto Nick.
Ma no, c’era Nick, non poteva ritornare da Harry, non voleva che qualcun altro lo odiasse, già riceveva troppo odio a casa. Non voleva che un geloso fidanzato di Harry se la prendesse con lui, non voleva che Harry lo considerasse un peso. Era questo ciò che era per tutti. Un peso, uno stupido peso, che gravava sulle spalle di tutti.
Non poteva davvero più continuare così.
No, quella giornata avrebbe ignorato Harry, sarebbe stato come se nulla fosse mai accaduto, si sarebbe nascosto nei bagni, e avrebbe aspettato che tutti fossero andati nelle aule. Sì, era una buona idea, ottima idea.
Avrebbe ignorato Harry, e avrebbe ignorato i suoi compagni.
Poteva farcela.
Doveva solo ignorare, camminare ed ignorare. Non sapevano se Harry fosse nei paraggi, non sapevano che si fossero allontanati, non sapevano nulla di quello che era successo tra loro, quindi avrebbero temuto Harry, no?
Ed aveva fatto così, appena arrivato a scuola.
Si era accertato che Harry non fosse nei paraggi, ed aveva raggiunto la sua classe, sapeva che non passando per il parcheggio, avrebbe evitato che i giocatori di football lo vedessero, per questo evitò anche loro arrivando sano e salvo in classe. Seguì le prime due ore di lezione, e poi fu il momento di cambiare aula. Non sarebbe sopravvissuto, non ce l’avrebbe fatta, aveva paura che lo vedessero. Uscì di corsa, correndo verso il bagno dei ragazzi, e sentì una voce fermarlo. Fortunatamente era quella di Harry, ma voleva evitarlo, non voleva fermarsi, per questo aumentò il passo, seminandolo, e giungendo in una zona della scuola un po’ deserta. Le aule erano in disuso da tempo, e nessuno si addentrava mai in quei corridoi, forse un giorno i dirigenti avrebbero fatto qualcosa per modernizzare quell’area, magari creando laboratori specifici, o anche ulteriori aule, ma per il momento, erano piene di muffa, e ragnatele. Louis voltò immediatamente le spalle, per andare via, e tornare indietro, ma andò a sbattere contro un petto largo. Deglutì rumorosamente. Non era Harry, non era il suo profumo quello, e la paura lo investì. Si era messo nei guai da solo, ed era stato totalmente stupido a credere di poter resistere un giorno in quell’inferno senza il riccio.
“Ciao frocetto.” – sussurrò minacciosamente Ryan, il quarterback della squadra di football, mentre gli altri della squadra lo accerchiavano, bloccandogli ogni via d’uscita. Certo, otto contro uno solo, era molto leale.
“C-Cosa vu-oi da me?” – tremò allontanandosi da lui, andando a sbattere con la schiena contro un altro giocatore, che lo bloccò, afferrandolo per le sottili braccia. Louis deglutì di nuovo, tremando. Era in trappola.
Aprì la bocca, per urlare il nome di Harry, sapeva che lui sarebbe corso immediatamente, ma quando stava per urlare, la voce gli mancò, aveva troppa paura, tanta da paralizzarlo. Sapeva cosa sarebbe successo, sapeva che avrebbe sofferto tantissimo e sapeva che non sarebbero stati clementi. Erano sei mesi che non lo toccavano, dovevano sfogarsi su di lui, per tutto il tempo trascorso senza la loro preda preferita. Lo trascinarono dentro un’aula, lo spinsero per terra, e poi iniziarono ad insultarlo, a picchiarlo come mai prima d’ora.
“La tua fidanzatina non viene a salvarti?!” – urlò uno, colpendolo in pieno petto, facendolo gemere di dolore.
“N-non è il mio ragazzo… e-e non è una donna…” – disse Louis tra gli spasmi per il dolore, cercava di mettersi diritto, ma quelli lo spingevano sempre per terra, di nuovo, e lo colpivano forte, facendogli male.
“Giusto, la donna della situazione sei tu, vero?” – rise Ryan, spingendolo contro il muro, colpendogli una guancia con un pugno forte.
“N-no…” – gemette ancora, mentre un altro lo prendeva per le braccia e lo sbatteva ripetutamente al muro, mentre Ryan gli tirava giù i pantaloni. No, non stava accadendo davvero. Non poteva essere vero, era… un incubo.
“Vediamo se Styles si diverte dentro a questo bel culo.” – disse tirandogli giù anche i boxer. Louis si dimenò più forte, cercando di allontanarsi da quel muro infernale, di rialzarsi i pantaloni e poi scappare lontano da loro, e da quello che volevano fargli. Aveva paura, troppa paura. – “sta’ fermo, piccola troia, voglio divertirmi con te.” – sibilò minacciosamente, premendolo contro il muro, e facendosi aiutare dai compagni che lo tennero bloccato.
“No, no… non voglio!” – urlò Louis, cercando di serrare le gambe, cercando di non farsi toccare, ma inutilmente, non riusciva a respingerli, non ci riusciva, e tremava sempre più forte, il suo corpo era scosso da violenti brividi, era terrorizzato, non voleva, non voleva così, non in quel modo. Voleva innamorarsi di qualcuno, voleva solo innamorarsi, non voleva perdere la verginità, unica cosa rimastagli in tutto quel dolore, in quella violenza che c’erano nella sua vita. No, non voleva in quel modo, non con un ragazzo che lo odiava, che lo detestava, non in quel modo così brutale.
Aveva paura quando lo piegarono, e tre di loro lo tennero fermo premendo le mani sulla sua schiena.
Pianse disperatamente quando percepì che l’altro abbassarsi i pantaloni.
Tremò forte quando lo prese per i fianchi, stringendoli facendogli male, lasciandogli lividi evidenti.
Singhiozzò quando gli morse la schiena, lasciandogli segni rossi e vividi sulla pelle pallida.
Pianse più forte quando lo colpirono sul viso per farlo stare zitto, supplicava a bassa voce di smetterla, di lasciarlo.
E urlò di dolore quando, senza preparazione, senza lubrificante e senza preservativo, fu violato con forza e aggressività. Si dimenava, e più lo faceva, più quello era violento, più piangeva più sentiva male. Urlava, urlava sempre più forte, si sentiva totalmente umiliato e faceva male, faceva terribilmente male.
Ma il peggio arrivò quando, prima che quello dentro di lui venisse,  uno di quello che premevano le mani sulla sua schiena, si abbassò i pantaloni e per tappargli la bocca gli infilò in bocca il suo membro, costringendolo a zittirsi e a fargli provare piacere.
Louis voleva urlare, vomitare, piangeva e provava dolore. Si sentiva in trappola, sentiva le risate degli altri, sentiva che uno gli venisse dentro e l’altro nel suo cavo orale, sentiva l’umiliazione scorrere sul suo corpo, si sentiva peggio di come si fosse mai sentito in vita sua, e quando lo lasciarono per un attimo, davanti a tutti vomitò. Vomitò sul ragazzo davanti a lui, macchiò le sue nuovissime scarpe di marca, lo ridicolizzò col suo vomito, e questo scatenò la furia del ragazzo, che prese a dargli botte sempre più forti, insieme agli altri che lo incitavano. Quando ebbero finito, Louis era semisvenuto, tre di loro avevano abusato di lui, mentre due lo avevano costretto al lavoro di bocca, e ogni abuso era stato intervallato da una sfuriata di botte dolorose e violente date dagli altri tre rimanenti del gruppo. Louis aveva capito che fosse la sua ora, non poteva sopravvivere a quello. Era troppo per lui, troppo dolore, troppa umiliazione.
Con le ultime forze rimastegli, si trascinò fino alla sua cartella, lasciata qualche metro più in là dai suoi aguzzini, e riuscì ad inviare un messaggio brevissimo ad Harry. Voleva almeno morire tra le sue braccia, non voleva morire solo. Almeno quello il suo fato poteva concederglielo, no? Poteva morire tra le braccia del ragazzo che credeva di amare?

A: Harry
Aiuto…
 
Da: Harry
Cosa succede? Louis, stai bene?
 
La risposta di Harry fu immediata, ma Louis non riuscì più a rispondere, non aveva le forze. Voleva solo che tutto finisse, che il dolore finisse, che Harry arrivasse e lo portasse via, o che la morte giungesse veloce, senza farlo soffrire di più. Aveva già sofferto troppo, no? Allora chiuse pian piano gli occhi, lasciandosi andare. Si addormentò lì tra il sangue, il vomito, lo sperma e la saliva, ma tutto sembrò placarsi in quel momento.
Il dolore, la sofferenza, non c’erano più.
C’era solo calma.
Che fosse quella la morte?
 
“Louis, Louis, piccolo, mi senti?” – qualcuno gli teneva la testa sopra qualcosa di morbido, era di sicuro un cuscino e una voce dolce e roca lo chiamava. Oh, forse era la sua mamma biologica, l’angelo, ma era maschile, quindi poteva essere il suo papà biologico?
Un dolore lancinante gli arrivò in tutto il corpo. Aveva ripreso conoscenza, ecco.
Aprì gli occhi urlando, chiunque lo stesse toccando, non doveva assolutamente farlo. Non voleva essere toccato.
Iniziò a dimenarsi, a scalciare, ad urlare.
“Louis, Louis, sono io, sono Harry, guardami, piccolo, sono qui, shh…” – gli accarezzò i capelli, stringendolo più forte. Non avrebbe mai dovuto lasciarlo solo, non avrebbe mai dovuto accettare la sua decisione, doveva continuare a proteggerlo, era l’unico in grado di farlo. Louis scoppiò in lacrime, lì tra le sue braccia, e si aggrappò alla sua maglietta, stringendola forte, come se fosse l’unica cosa che lo tenesse ancorato alla vita.
“Haz, Haz…” – sussurrò contro il suo petto, stringendolo ancora forte, stoppato dalle lacrime e dal pianto disperato del quale era preda – “mi dispiace, mi dispiace… ti prego, non odiarmi anche tu, t-ti prego…” – singhiozzò – “ti prego, ti prego…” – lo supplicò, mentre Harry cercava di calmarlo. Lo coprì delicatamente con la sua felpa e lo aiutò ad alzarsi.
“Ti porto a casa mia, okay? Ti medico… e mi racconti tutto.”  - gli disse, e Louis lo guardò con le lacrime agli occhi, i suoi occhioni azzurri erano pieni di lacrimoni, che violentemente venivano fuori dai suoi occhi, scivolando contro le gote smunte del ragazzo. Harry si accorse che, una volta in piedi, Louis non riuscisse a reggersi in piedi, e allora passò un braccio sotto le sue gambe, e lo sollevò. Lo prese in braccio, e Louis allacciò le braccia attorno al suo collo. – “non ti odio, Louis, non potrei mai odiarti.”
“Promesso?”
“Promesso.”
Louis si lasciò andare contro il petto di Harry, e lasciò che il riccio lo portasse a casa sua. Durante il viaggio non parlarono molto, anche perché Louis, scosso dai singhiozzi e dai tremiti era più svenuto che sveglio, e non appena furono a casa di Harry, Louis si sentì subito al sicuro, forse aveva perso conoscenza, ma non era in grado di accorgersene, si sentiva come in un’altra dimensione, sentiva tutto ciò che lo circondava, ma vedeva tutto buio. La mamma di Harry, anche se non l’aveva vista, sembrava una donna dolce, a giudicare dalla voce lenta e cadenzata, non sentì altro, dormiva, forse. Percepiva cosa accadesse intorno a lui, ma non capiva nulla, sentiva solo che qualcuno si prendeva cura di lui, che gli medicava i graffi, metteva qualcosa di fresco sui lividi, e poi fasciava tutto, inoltre sentiva una mano grande, calda e sicura che stringeva la sua piccola ed esile, in cerca di protezione. E nel sonno, sorrise. Nonostante tutto, Harry era corso ad aiutarlo.
Quando riprese conoscenza, era ormai il giorno dopo.
Harry aveva la schiena curva, e la testa appoggiata sul cuscino di Louis, i loro visi erano vicinissimi. Louis ebbe l’istinto di percorrere il contorno delle sue labbra. Viste così da vicino erano davvero belle, piene e carnose.
Dovevano essere bellissime da baciare…
Forse poteva solo sfiorarle per un attimo, Harry dormiva così bene. Chiuse gli occhi, e preso da un improvviso coraggio, avvicinò i loro volti, quando senti le labbra di Harry a contatto con le sue, sorrise. Erano morbidissime, ma non poteva, non poteva… sentì Harry alzarsi di scatto, allora finse di dormire. Il riccio gli accarezzò la guancia delicatamente.
“Lou” – sussurrò, credendo che dormisse davvero – “Louis, ehi, svegliati, per favore…”
Il castano lentamente apri gli occhi, e lo guardò nei suoi, perdendosi ancora in quel verde meraviglioso.
“Ciao…” – sussurrò mentre il riccio sorrideva sollevato.
“Mi racconti cosa è successo?” – chiese preoccupato – “ho sentito quei coglioni del football parlare di aver dato una lezione secolare ad un frocetto.” – gli accarezzò delicatamente i capelli – “ho capito che parlassero di te, poi ho collegato il messaggio.”
“Haz, no…” – supplicò. Non voleva rivedere quel momento, non voleva, era troppo, voleva solo andare avanti e dimenticare, anche se tutta l’umiliazione provata, non sarebbe andata via facilmente, sarebbe rimasta con lui, per sempre. L’avrebbe perseguitato, fino alla fine dei suoi giorni. Sarebbe stata come un marchio su di lui. Ma il riccio insistette con lo sguardo, e Louis capì di dovergli dare almeno una spiegazione, l’aveva salvato – “i-io… m-mi hanno… hanno…” – Harry spalancò gli occhi capendo. Gli afferrò la mano, e la strinse forte – “m-ma… mi odiano tutti… tutti, Haz…” – strinse la presa sulla mano, quello era il momento, doveva parlare, sfogarsi, doveva raccontargli tutto. – “mi odiano, sono gay…” – sussurrò mentre una lacrima scivolava via dai suoi occhi – “i miei genitori mi hanno adottato… quando ero piccolo…” – sospirò – “all’inizio andava bene, poi…” – tremò, e Harry intensificò la presa sulla sua mano – “mi dispiace essere sbagliato, lo giuro… io…” – deglutì – “Lottie diceva che era sempre colpa mia, e papà mi picchiava, mi picchia ancora” – si fece più vicino ad Harry – “e-e poi ho detto loro che sono gay…” – chiuse gli occhi prendendo un profondo respiro. Non voleva che gli tremasse la voce, mentre raccontava quei dettagli – “papà non l’ha accettato, mamma… mi odia, Lottie mi considera un errore, e Felicitè… mi odia anche lei.” – deglutì – “Lottie l’ha detto a tutta la scuola… ed è per questo che gli altri se la prendono con me.” – finì la prima parte del racconto con un singhiozzo, e Harry restò in ascolto – “poi.. i-ieri…” – ora tremava più forte – “m-mi hanno preso, i-io ero geloso di Nick… scusa… e ti ho evitato, allora… mi hanno preso.” – le lacrime ora scendevano veloci dai suoi occhi – “mi hanno insultato, picchiato…” – deglutì, non riusciva a proseguire. I loro colpi, la violenza con cui gli avevano strappato via l’unica cosa bella che avesse, erano troppo vivide nella sua mente, e i singhiozzi coprivano tutto ciò che voleva dire.
“Ti hanno… stuprato, Lou?” – chiese Harry, accorto.
Il castano annuì solamente, piangendo e tremando ancora. Harry si affrettò ad abbracciarlo e a stringerlo fortissimo, facendolo sentire al sicuro, finalmente. Facendolo sentire protetto, come solo lui sapeva fare.
“Ha-Haz… io…” – si staccò da lui, piangendo ancora e si alzò le maniche del pigiama che gli avevano messo addosso, scoprendo tutti i tagli che aveva – “m-mi dispiace, non avevo il coraggio di dirlo a nessuno…” – era meglio parlare del suo autolesionismo, che parlare di quello che gli era successo il giorno prima. Aveva cambiato argomento, ma Harry poteva vedere che la paura e l’umiliazione fossero ancora in lui.
“E’ un bene che tu ti sia aperto con me, Lou.”
“E sono… anoressico.”
Harry sospirò, lo sospettava, ma  non credeva di avere ragione. Lo abbracciò nuovamente, stringendolo forte, e Louis sentì un po’ del dolore andare via, perché c’era Harry a prenderlo, ad aiutarlo. Sentiva di potersi fidare, nonostante ci fosse Nick nella vita di Harry. Poteva essere suo amico, ne aveva bisogno, aveva un dannatissimo bisogno di lui.
“Lasciati aiutare…” – sussurrò il riccio, mentre il castano annuiva, perché sì, dannazione, voleva una mano, voleva stare bene, e con l’aiuto di Harry ci sarebbe riuscito, lo sapeva. Finalmente, dopo mesi, Louis si era aperto, aveva fatto la sua richiesta d’aiuto, ed Harry era più che propenso ad aiutarlo. Era lì per lui, non era altri.
Louis passò tutto il giorno a casa di Harry, notte compresa.
Il riccio aveva passato la giornata ad elaborare cosa fosse accaduto a quella gemma rara che era Louis, lo avevano picchiato, umiliato, insultato e stuprato. Avevano fatto di nuovo del male a Louis, e lui era stato chiaro mesi prima.
Nessuno doveva permettersi di toccarlo, nemmeno con un fiore.
Sentì una rabbia mai provata prima, risalire dal suo stomaco, dal cuore, da ogni suo organo. Non dovevano toccare Louis, e l’avrebbero capito con le buone o con le cattive. Non dovevano mai più permettersi di toccarlo, e mentre lo guardava dormire tra le sue braccia, addormentato quasi tranquillo, pensava che non avesse mai visto qualcosa di più bello di lui. Nonostante tutto il dolore, la depressione, i problemi, il bullismo, Louis era vivo. E anche se non se ne accorgeva, era un giorno di più sempre più forte.
Era anche geloso, non era un amore di ragazzo?
Si addormentò stringendolo, con la promessa che tutto il male, sarebbe passato, e tutto sarebbe tornato a posto giusto. Sì, ma Nick? Che avrebbe detto a Nick? Sarebbe arrivato il giorno dopo, e non sapeva se andare o meno all’appuntamento con lui. Doveva inviargli un messaggio, perché non aveva voglia di vedere il suo ragazzo, che non vedeva da mesi? Non si sentiva nemmeno un po’ emozionato. Era un po’ che non provava più quello che provava prima. Ah, ci avrebbe pensato poi, ora aveva Louis da stringere, da proteggere, da… amare? 
Nonostante avesse detto a Nick di amarlo, non era stato propriamente sincero.
Era stata una frase detta più per abitudine che per amore, forse doveva davvero vederlo. Ma… se quella fosse stata la fine della loro storia? Della loro relazione?
Forse necessitava davvero di incontrarlo, ma quando pensava all’amore, nella sua mente si figurava solo un nome:
Louis.
 
 
Alla fine disdisse l’appuntamento con Nick, e badò a Louis, fino a che non fu guarito almeno in parte. Era riuscito a farlo mangiare un po’, con scarsi risultati, visto che poi l’aveva trovato in bagno a vomitare,  ma almeno aveva evitato i tagli. Ci sarebbe voluto un po’ di tempo, doveva lavorarci, ma aveva promesso a se stesso e a Louis, che l’avrebbe fatto uscire dal quel tunnel, e l’avrebbe fatto, quando si metteva in testa una cosa, nessuno gli faceva mai cambiare idea.
Dopo il weekend, i due tornarono a scuola.
Louis era a dir poco terrorizzato, e si stringeva al fianco di Harry, quasi per nascondersi, per sparire.
Non voleva farsi vedere, non voleva che gli facessero di nuovo del male.
“No, nel parcheggio no…” – sussurrò tremando.
“Non aver paura, ci sono io.”
Quando si ritrovarono davanti i ragazzi dell’altra squadra, Harry spinse Louis dietro di sé, e il castano avvolse le braccia attorno al suo torace, cercando di sentirlo più vicino possibile.
“Styles e la sua puttana, quale onore.” – disse Ryan sprezzante.
“Sta’ zitto tu, pezzo di spazzatura.” – sibilò Harry tra i denti – “cosa cazzo avete fatto a Louis?!” – tuonò nella loro direzione. Ribolliva di rabbia. La sua rabbia era paragonabile al magma incandescente nelle profondità di un vulcano. E lui era come un vulcano quiescente, pronto ad esplodere dopo un periodo di inattività.
“Solo quello che altri hanno fatto.” – disse divertito – “l’abbiamo scopato.”
Harry avanzò verso di loro, lasciando Louis dietro di sé.
“Ripetilo.” – sibilò ad un palmo dal suo viso, minacciosamente. Aveva aggrottato le sopracciglia, e la sua mascella era contratta, segno che era davvero nervoso. Molto più di quanto apparisse. – “non metterti contro di me, sono l’Estremo nella squadra di rugby. Ne placco almeno tre insieme.” – disse con calma apparente.
“L’abbiamo scopato, cosa che anche tu gli hai fatto.”
La rabbia di Harry esplose.
Si avventò contro di lui e gli sferrò un pugno dritto sul viso. Quello si staccò dal muro, pulendosi il labbro per metà spaccato dal pugno di Harry, e lo guardò male, facendo segno ai suoi ‘complici’ di ‘far abbassare la cresta ad Harry’, ma il riccio era molto più veloce e forte di loro. Tempo cinque minuti, e tre giocatori di football furono a terra. Li riempì di calci, prima di girarsi verso Ryan e guardarlo soddisfatto, ma ancora adirato, quasi ringhiava tanto fosse arrabbiato in quel momento.
Sembrava essersi trasformato, un po’ come Bruce Banner, che quando era arrabbiato, si trasformava in Hulk, così aveva fatto Harry, la rabbia l’aveva governato, fino a spingerlo a tirare un pugno anche a Ryan, e stenderlo una volta per tutte. Nessuno doveva permettersi di toccare Louis. Voleva che soffrissero quanto avessero fatto soffrire lui, voleva restituire con gli interessi tutto ciò che avevano dato a Louis il giorno prima. Voleva vendicarlo, e fargli capire che i suoi precedenti avvertimenti fossero ancora validi, che quindi non dovessero mai più avvicinarsi a lui.
“Non toccatelo, non guardatelo, non insultatelo.” – sibilò dando ulteriori calci a Ryan – “non dategli fastidio, non respirate la sua stessa aria” – disse duramente guardandoli – “se non volete vedervela con  me, di nuovo.”
Quelli annuirono, e un po’ ammaccati, corsero via.
Non si sarebbero mai più messi contro Harry Styles.
Intanto, Louis osservava quella scena terrorizzato.
Se Harry si fosse arrabbiato anche con lui, avrebbe fatto la loro fine? Sarebbe stato male di nuovo, a causa del riccio?
Il ragazzo si avvicinò a lui, e Louis si parò con le mani.
Aveva paura, non voleva che qualcun altro gli facesse del male, aveva già subito troppo in quegli anni, e non poteva, né voleva permettersi di essere picchiato ancora, soprattutto da Harry, ne sarebbe morto, e non si sarebbe mai più ripreso. Quella sarebbe stata la cosa peggiore in assoluto, se Harry gli avesse messo le mani addosso, non avrebbe retto il colpo, sarebbe crollato definitivamente, vinto da tutto.
“Non ti farei mai del male, Louis” – disse tranquillo, allungando una mano verso il castano, che tremava ancora – “lo prometto, ero solo arrabbiato con loro per quello che ti avevano fatto.”
“E-e se io… ti facessi arrabbiare…?” – chiese terrorizzato.
“Fidati di me, non ti toccherei mai. Se dovessimo litigare, lo faremo. A voce, però.”
“Lo prometti?”
“Lo prometto.”
Louis afferrò la mano di Harry, e il riccio lo attirò a sé, abbracciandolo. Finalmente tutto era a posto, il suo Louis era finalmente al sicuro, e nessuno gli avrebbe fatto del male. Era sicuro che sarebbe riuscito a cambiare la situazione e a farlo star meglio. La cosa più difficile era far sparire i suoi problemi familiari. Ma forse aveva un’idea.
Doveva prima decidere cosa fare con Nick.
Gli aveva già dato una buca, e sapeva che Nick non perdonava gli appuntamenti falliti.
Prima o poi avrebbe capito cosa fare anche con lui.
La cosa che gli premeva maggiormente era aiutare Louis, aiutarlo ad uscire dalla depressione, dall’autolesionismo e dall’anoressia. Che lui l’avesse ammesso era un gran passo avanti, ma come avrebbe fatto Harry da solo?
Doveva fargli vedere uno psicologo?
Doveva portarlo via dalla sua famiglia?
Aveva preso a cuore il ragazzo dagli occhi azzurri spenti. Harry era sicuro che quegli occhi una volta erano bellissimi e luminosi. Ma dovevano lavorarci un po’, e lui non si sarebbe tirato indietro, non subito, non senza aver lottato.
E se Louis avesse avuto bisogno solo di amore?
Doveva parlarne con un esperto, prima di qualsiasi altra cosa, e doveva chiarire tutto con Nick, altrimenti sarebbe stato equivoco. Sì aveva deciso cosa fare.
Avrebbe agito velocemente.
In quel momento, si limitò ad abbracciare Louis, a tranquillizzarlo, promettendogli che l’avrebbe accompagnato lui stesso in classe quel giorno e tutti i giorni seguenti. Un po’ come un bodyguard personale, ma Louis volle restare lì tra le sue braccia, per un lasso di tempo che parve enorme.
“T-ti prego, n-non voglio stare a scuola… Haz, voglio andare a casa…” – sussurrò.
Il riccio lo guardò, e provò ancora un’enorme tenerezza. Sentiva dentro di sé un enorme senso di protezione verso quel giovane più grande di lui, ma così piccolo. Piccolo, bassino, mingherlino, indifeso… come poteva essere più grande di lui? Quanto poteva essere… perfetto? Nonostante tutto quello che si era fatto, Harry era andato oltre l’aspetto fisico, oltre la depressione. Gli aveva letto dentro, aveva scovato il vecchio Louis, il Louis bambino, quello che rideva, scherzava e giocava, quello felice. E non vedeva l’ora di riportarlo alla luce.
Louis tremava ancora.
I ricordi di tre giorni prima erano vividi nella sua mente, e la sfuriata di Harry contro quelli, non aveva giovato alla sua paura, anzi l’aveva reso ancora più fragile, ancora più piccolo, ancora più spaventato, ancora più indifeso davanti al riccio, al quale, nonostante tutto, aveva dato fiducia. Sarebbe stato terribile ricevere le botte anche da Harry, sarebbe stato peggio di scoprire di Nick, peggio dello stupro, peggio degli insulti di sua madre, di suo padre, peggio delle botte di suo padre, peggio di restare solo, peggio di tutto.
La paura lo divorava da anni, e lui non riusciva a sbarazzarsene in fretta, ma poteva provarci. Con l’appoggio di Harry, sicuramente ci sarebbero state buone probabilità di guarigione parziale. Nessuno avrebbe potuto scacciare tutti i demoni del suo passato, nessuno, nemmeno Harry, ma poteva cercare di andare avanti, doveva solo fidarsi.
Erano nell’auto di Harry, i suoi occhi erano sempre più pesanti, era stanco.
Non sapeva perché, aveva dormito per tutto il weekend, ma probabilmente erano le ore arretrate di sonno di tutto quel tempo, speso a stare male, a piangere e a farsi male. Era la depressione ad averlo sfinito. E ora, nell’auto di Harry, voleva solamente dormire.
“Ti prego, Haz…” – sussurrò – “non odiarmi” – deglutì chiudendo gli occhi – “tu sei diverso da tutti gli altri, ti prego…”
Non riuscì a dire altro, perché fu rapito dal sonno, e portato in un mondo meraviglioso, dove Harry era tutto suo. Il riccio si girò verso di lui, lasciandosi scappare un sorriso.
Quel ragazzo era davvero troppo speciale, per stare così male.
“Non potrei mai odiarti, piccolo” – sussurrò appoggiandogli una mano sulla gamba, e coprendolo con la sua felpa.  Lo vedeva infreddolito e non poteva far altro che pensare che dovesse prendersi cura di lui, e basta. Contava solo questo. – “mi prenderò cura di te, lo prometto.”
 
*
 
Era passato un mese da quando Harry aveva dato una sonora lezione ai giocatori di football, ed era un mese che si prendeva cura di Louis, non aveva più sentito Nick, fino a qualche giorno prima, e la cosa non gli dispiaceva più di tanto. Lui e Nick si erano conosciuti ad Holmes Chapel, la sua città natale. Nick era all’ultimo anno, mentre Harry al primo, era stato l’anno in cui Harry era stato bocciato. Nick lo aveva contagiato alla vita notturna, ed Harry da piccolo adolescente si era fatto influenzare, poi Nick era partito per il college, ed erano rimasti in contatto. Tra un messaggio ed un’uscita sporadica, si erano legati in modo tutto loro, finendo per innamorarsi l’uno dell’altro, la relazione a distanza non era stato un problema, fino all’arrivo di Louis nella vita di Harry, dopo il trasferimento a Doncaster. Erano stati insieme tre anni, ma ora, il riccio aveva deciso di parlare seriamente con Nick, perché sentiva dei sentimenti crescenti per il castano, ma sentimenti discendenti per il suo ‘ragazzo’. Non voleva perdere la sua amicizia, era l’unico rimastogli a legarlo ancora alla sua vecchia cittadina. Si erano sentiti due giorni prima, entrambi volevano parlarsi. Che la loro relazione fosse ad un punto critico e morto era evidente a tutti, loro stessi compresi.
Avevano appuntamento per quel weekend, Harry non era preoccupato, a differenza di Louis che era pervaso dall’ansia. Cosa sarebbe successo? Harry avrebbe lasciato Nick?
Certo, stava meglio, leggermente, da quando Harry si stava prendendo cura di lui, ma se Nick gli avesse detto di lasciarlo? Se Nick volesse far soffrire Harry? Lui non voleva che il riccio soffrisse, era così dannatamente speciale che non poteva star male, era inumano far soffrire uno come lui. Non era giusto, semplicemente.
“Lou, la pianti di andare avanti e indietro per la camera?” – chiese improvvisamente Harry. Erano riuniti in camera di Harry, stavano studiando letteratura inglese, ma nessuno dei due riusciva a farsela entrare in testa. Era noiosa.
“No! Domani devi vedere Nick.” – disse Louis, agitando le braccia verso l’alto.
Era ancora magrissimo, ma aveva smesso di tagliarsi, o meglio ci stava provando. Avevano litigato tante volte lui ed Harry a causa di quello. Ogni volta che stava male, lo faceva, ma spesso invece di farlo, era riuscito a chiamare Harry e a sfogarsi con lui, invece che con se stesso. Forse i litigi a volte servivano davvero molto.
“Lo so, tranquillo, vieni qui.” – sorrise aprendo le braccia, e Louis vi si gettò tranquillamente, lasciandosi poi abbracciare da lui, e permettendogli di accarezzargli la schiena e i capelli. Aveva scoperto di adorare quel tipo di coccole, quelle che solo Harry sapeva dargli – “andrà tutto bene, lo prometto.”
“Mh… mh… stringimi.” – mormorò con il viso premuto contro il suo petto, ed Harry pensò che non avesse mai avuto a che fare con un ragazzo così. Lo adorava, forse lo amava. Continuò a coccolarlo, fino a che il riccio non solleticò il ventre magrissimo di Louis e il ragazzo non alzò di scatto il viso verso il suo, ritrovandosi ad un palmo dal suo naso, dentro ai suoi occhi color della speranza, la sua. Dannazione, gli occhi di Harry erano la cosa più bella mai vista.
E perché i loro nasi erano così vicini?
Perché sentiva le farfalle nello stomaco?
Perché le sue labbra erano così chiuse?
Era un gesto così nuovo, inaspettato.
Delicato.
Harry lo aveva baciato? Davvero? Era meraviglioso, davvero. Era la sensazione più bella che avesse mai provato, ma finì subito. Il riccio si staccò da lui immediatamente. Non poteva, non prima di aver parlato con Nick.
Era ovvio che fosse cotto di Louis, ormai.
Restarono in quella posizione per molto tempo, fino a che non fu l’ora per Louis di tornare a casa. Harry non voleva che tornasse, ma per un po’ avrebbe dovuto accontentarsi. Non voleva che quelle persone lo trattassero in quel modo, non voleva che quel meraviglioso ragazzo subisse altro dolore, ma per il momento, non poteva fare nulla.
Si trattava di aspettare altri nove mesi, ed anche lui avrebbe compiuto diciotto anni. Ricordava ancora quando avevano festeggiato insieme i diciannove anni di Louis, e i suoi diciassette, e nello stesso modo avrebbero festeggiato insieme i suoi diciotto e i venti di Louis. Voleva prendersi cura di lui per tutto il tempo necessario, e anche quando sarebbero arrivati all’ultimo anno insieme, nonostante fossero stati bocciati in precedenza, ce l’avrebbero fatta, insieme.
Ed era a questo che pensava il giorno dopo, andando all’appuntamento con Nick. Forse era vero che si fosse innamorato di lui, ed era per questo che non provava più nulla per il suo ragazzo, doveva conviverci con questa realtà, Nick era stato il passato, Louis era il presente. Era molto più legato al castano che al suo ragazzo storico.
Appena giunse al bar, vide la sua figura alta, i capelli corvini e il suo naso pronunciato.
Un sorriso istantaneo gli spuntò sul viso, ci teneva ancora a lui e gli faceva piacere che fosse lì, ma non lo amava.
“Ehi, Nick!” – esclamò raggiungendolo. Il moro lo vide e sorrise, abbracciandolo di getto. Anche a lui era mancato davvero tanto il riccio, nonostante anche lui non avesse notizie proprio positive per lui.
“Ciao, Haz.” – disse baciandogli la guancia. Lo invitò ad accomodarsi ad un tavolino, e gli sorrise incerto. Non sapeva da dove cominciare, e nemmeno Harry. Erano a disagio, non sapevano come comportarsi.
“Credo di essermi innamorato di un altro” – disse Harry, diretto e freddo. Come diceva il detto, il dente era meglio estirparlo velocemente, per non soffrire troppo, e non restare in agonia.
“Davvero?” – chiese Nick, alzando lo sguardo dalla sua bibita, guardando Harry che sorseggiava tranquillo la sua, e annuì velocemente.
“E’ un mio compagno di scuola, Louis, te ne ho parlato.”
“Il depresso?”
Harry lo fulminò con lo sguardo. Nessuno doveva permettersi di rivolgersi a lui in quel modo.
Anche se aveva lo stomaco in subbuglio per l’ansia, riusciva ad essere tranquillo, cercando di ignorare l’ansia che arrivava da Nick.
“Non è depresso. Ha dei problemi.”
“Uno che si taglia, e non mangia, è depresso.”
“Smettila di parlare male di lui, sono io che ti sto lasciando, lui lascialo fuori.”
“Oh per fortuna!” – esclamò Nick, rilassandosi contro la sedia. Come? Era rilassato perché si stavano lasciando?
“Per fortuna…?” – chiese Harry stralunato.
“Beh, sì. Sono… insomma, stato con un altro. Greg, è nel mio corso.” – confessò sollevato.
Harry sbatté le palpebre velocemente. L’aveva tradito, mentre lui si era astenuto dal baciare Louis per tutto il tempo in cui erano stati insieme? Era davvero a stato a letto con un altro?
Non poteva crederci. Nick era sempre stato un tipo a posto, locali notturni a parte, era fedele, era… improvvisamente tutte le sue convinzioni su di lui caddero, e ringraziò il cielo di aver incontrato Louis, prima di finire con il cuore spezzato e una vaschetta di gelato davanti ad un film strappalacrime sul divano di casa sua.  Decisamente meglio così.
“Oh.” – disse solamente – “va bene.” – disse freddamente alzandosi. Doveva tornare da Louis e raccontargli che fosse andata benissimo, e che Nick non avrebbe più fatto parte della sua vita, e nessuno sarebbe stato male.
“Aspetta, dai. Non ci vediamo da tanto.” – disse Nick afferrandogli un polso costringendolo a rimanere.
Avrebbe solo finito la bibita, e poi sarebbe andato via. Non voleva più scambiare nemmeno una parola con lui.
“Quando è successo?”
“Mh… più o meno a Natale…” – iniziò, lasciando per un attimo la frase in sospeso.
“Quando non sei tornato.”  - completò Harry, sorridendo acidamente. E lui che credeva che avesse degli esami extra. Doveva solo tradirlo con comodità.
Lo scorrere dei suoi pensieri fu interrotto dal cellulare, che squillò insistentemente, lo prese subito, sperando che non fosse successo niente di grave a Louis, doveva essere urgente erano circa sei messaggi di seguito dalla stessa persona.
 
Da Louis:
Ti prego, vieni a casa mia, ti prego.
 
Da Louis:
Aiuto, Harry, ho paura…

Da Louis:
Non tornare con lui, ho bisogno di te…
 
Da Louis:
Sta entrando, Harry mi picchierà, ti prego…
 
Da Louis:
Haz… non voglio caderci di nuovo, salvami
 
Da Louis:
Ti prego, aiutami…
 
Harry spalancò gli occhi. Cosa diavolo stava succedendo? L’unico pensiero che la sua mente riusciva a formulare era che Louis fosse in pericolo di nuovo. Si alzò di scatto, e salutò Nick con un cenno della mano. Doveva essere successo qualcosa di grave, i messaggi di Louis erano stati insistenti e veloci, mandati uno dietro l’altro, a parte gli ultimi due.
Era sabato pomeriggio quindi… oh no, se fosse stato il padre? Non voleva nemmeno pensarci. In quel momento, l’unica cosa che fece fu correre velocemente, sempre più veloce, fino a giungere davanti alla casa di Louis, dalla quale provenivano delle urla strazianti. Le urla di Louis.
Arrivò alla porta, e le urla erano sempre più forti. Bussò ripetutamente il campanello, fino a che una ragazzina bionda di circa tredici anni non gli aprì. Lui la scansò, sapendo che fosse la sorellina minore di Louis, e corse al piano di sopra, da cui provenivano le urla. Aveva il cuore in gola, sentiva i polmoni bruciare a causa della corsa, ma non poteva fermarsi, non poteva prendere fiato, doveva aiutarlo.
Irruppe nella stanza e il sangue gli si ghiacciò nelle vene. Louis era rannicchiato per terra, in un angolo, ed era sovrastato da una figura imponente, tre volte più grande di lui, armata di cintura di cuoio.
“Sei un maledettissimo frocio!” – urlò l’uomo, mentre colpiva di nuovo il ragazzo violentemente, che urlava. – “mi fai schifo, hai capito?! SCHIFO!” – urlò ancora, ed Harry non ci pensò due volte, placcò l’uomo atterrandolo e gli rifilò un pugno sulla mascella, stordendolo per qualche minuto.
“Lei fa schifo, lei è ripugnante, schifoso omofobo!” – urlò e con un calcio lo spostò più in là, si avvicinò a Louis, prendendolo delicatamente tra le sue braccia. Il castano piangeva fortissimo, era pieno di lividi, ematomi e graffi, tremava come una foglia e urlava ancora. – “shh, Lou, Lou, ci sono io. Sono Harry, calmati, sono io…” – sussurrò per tranquillizzarlo.
“P-portami v-via, n-non voglio… non voglio più stare qui, t-ti prego, s-salvami…” – singhiozzò avvolgendo le braccia attorno al suo collo, stringendosi forte a lui. Certo, doveva portarlo via, medicarlo e salvarlo. Non poteva più lasciare che rimasse lì, non in quella casa dove era torturato a tutte le ore del giorno e della notte.
Quella fu l’ultima volta che Louis stette in casa sua.
Infatti, dopo aver raccontato a sua madre, Anne, cosa fosse accaduto al ragazzo in casa sua, e cosa gli accadesse ormai da anni, la donna aveva acconsentito ad ospitare in casa il ragazzo. Avrebbe dormito con Harry, fino a che non si sarebbe liberata la camera degli ospiti, momentaneamente occupata dalla nonna di Harry, giunta in visita quella mattina stessa. E mentre Louis dormiva, dopo essere stato medicato; dopo aver parlato con sua madre, Harry si diresse a casa del castano, per prendere le sue cose. La camera di Louis era devastata, riuscì solo a prendere lo stretto necessario. Probabilmente dopo la loro fuga di quel pomeriggio, si erano divertiti a metterla a soqquadro.
“Tu sei il famoso Harry?” – chiese una donna sulla porta. – “sento Louis parlare spesso di te.”
“Sì.” – disse Harry, mettendosi in spalla il borsone contenente le cose di Louis.
“Io sono sua madre. Mi fa piacere se viene a stare da te, per un po’.”
“Per un po’?” – chiese sarcastico – “sua madre?” – rise ironicamente – “mi sta prendendo per il culo, vero signora?”
“Perché dovrei, giovanotto?”
“Io so tutto.” – disse Harry, inorridito – “so delle brutte parole, delle botte, delle offese, dell’odio che lei, suo marito e le sue figlie avete gettato su Louis.” – disse schifato – “sa una cosa? Forse è un bene che sia entrato io nella vita di Louis, almeno a casa mia non finirà in un bagno a tagliarsi le vene o a vomitare l’anima.” – disse ancora – “ma lei non lo sapeva, giusto?” – chiese ironicamente – “come poteva saperlo? Lei odia suo figlio, e ha ignorato tutto, anche il bullismo che era costretto a subire a scuola.” – scosse la testa, guardandola – “mi dica, è davvero un ragazzo omosessuale a fare schifo? O è lei, con i suoi pregiudizi e la sua omofobia a farlo?” – la superò uscendo dalla camera – “oh, io sono gay, e suo marito ha un occhio gonfio, il labbro spaccato e il naso rotto, a causa di un mio pugno. Chi è il debole, ora?” – la superò del tutto, andando via, lasciandola dietro di sé, piena di dubbi, di sé e di ma, di domande senza risposta, di insicurezza e una domanda nella mente: se avessi accettato la sua natura?
Quella fu l’ultima volta anche per Harry. Non avrebbe mai più messo piede in quella casa.
 
Non appena giunse nella sua camera, con il borsone sulle spalle, vide Louis seduto al centro del letto, con qualche cerotto qui e lì, e un piatto di minestra tra le mani, la nonna accanto a lui. Una risata sommessa uscì dalle sue labbra.
“Harry, caro, questo giovanotto è troppo sciupato. Gli ho fatto il brodo di pollo, e sembra gradire.”
“Grazie nonna, con te qui, sono sicuro che Louis recupererà peso.”
La nonna rise, andando al piano di sotto, lasciando i due giovani da soli, e Louis guardò Harry sorridendo, ringraziandolo con quello. Aveva fatto davvero tanto per lui, non lo meritava, ma Harry c’era stato, in qualsiasi momento era stato lì al suo fianco, pezzo dopo pezzo, lo stava salvando, lo stava ricostruendo.
“Com’è andata con Nick?” – chiese in un sussurro.
Harry si avvicinò a lui, e si sedette sul letto, togliendo il piatto dalle mani, appoggiandolo sul comodino, poi gli prese il viso tra le mani, e avvicinò i loro visi, in modo che i nasi si sfiorassero.
“Diciamo che…” – sussurrò – “ora sono libero di fare questo.”
Appoggiò le labbra su quelle di Louis, sfiorandole prima delicatamente, poi sempre più intensamente.
Era un bacio pieno di sentimenti, pieno di domande, pieno d’amore.
Delicato come il petalo di un fiore, dolce come il miele, leggero come una piuma, puro come il primo raggio di sole al mattino, che scalda e non brucia, morbido come un pupazzo regalato ad un bambino, innocente come l’espressione stupida di un bambino appena nato, felice come i due ragazzi in quel momento.
Louis non conosceva la felicità, ma se avesse dovuto descriverla, avrebbe sicuramente parlato di quel bacio dolce.
Avvolse le braccia intorno al collo di Harry, sorridendo contro le sue labbra.
“E’ questo che si prova…?”
“Quando?”
“Quando si ama qualcuno.” – sussurrò, strofinando il naso contro quello di Harry, imbarazzato.
“Sì, credo di sì.” – sussurrò Harry, sorridendo – “io lo provo con te.” – gli baciò nuovamente a stampo le labbra, mentre il castano sorrideva e gioiva. Harry lo amava, lo amava davvero. Non l’aveva detto direttamente, ma l’aveva fatto intendere, e mai cosa più bella fu sentita dalle orecchie di Louis.
Forse ce l’avrebbe fatta, stavolta. Sarebbe uscito dalla depressione, grazie ad Harry, specialmente ora che si era trasferito a casa sua e nessuno poteva più fargli del male, forse davvero, stavolta era arrivato qualcuno a salvarlo, qualcuno che gli volesse bene, che lo aiutasse sempre. Aveva trovato qualcuno che lo aveva salvato e lo stava piano pian piano riportando alla vita. Aveva trovato la sua persona speciale.
Quel bacio ne era la prova.
Forse un giorno, grazie al riccio, sarebbe riuscito a diventare un medico.
“Allora ti amo, Harry.”
 

 



Nooo, ma quando mi mancavate, people?
Mi mancava il mio fandom.
Ew, ed eccomi con l'ennesima tristissima storia.
Ringraziate Lu, se l'ho scritta, perchè l'abbiamo plottata insieme. Quindi è anche colpa sua.
Tra una storia angst e una role angst dei fake, noi andiamo avanti e ci divertiamo, che dobbiamo fare?
Anyway, io vi saluto, sono breve oggi, perchè il mio pc sta misteriosamente funzionando e non so per quanto durerà.
Oggi mi odia.

Bye bye, Pond <3 (DW è una malattia, sorry.)

P.s sì, Louis è la nostra vittima preferita.
Aw. <3 
   
 
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