Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: Sylphs    11/10/2013    3 recensioni
Apparve come una visione o il delirio di una febbre, correndo disperata sulla strada che conduceva da Lannisport a Castel Granito. Due uomini simili a bestie spaventose la inseguivano, urlandole minacce e oscenità.
Tyrion Lannister non aveva mai visto qualcosa di così perfetto.
...
Si asciugò sudore e lacrime dal viso e mormorò: "Che canzone è?"
Tysha si girò e lo baciò sulle labbra, appoggiandogli la testa sul petto: "Viene da Myr. Si chiama Le stagioni del mio amore".
"è bella" disse il Folletto.
La storia di Tyrion e Tysha suddivisa in due capitoli, la nascita del loro amore e la crudeltà con cui viene infranto per il diletto del vecchio leone, Tywin Lannister.
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jaime Lannister, Tyrion Lannister, Tysha, Tywin Lannister
Note: Lemon, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Il sogno di una notte
 
 
 
 
 
 
 
Apparve come una visione o il delirio di una febbre, sbucando dagli sterminati campi illuminati dalla luna e correndo con un’andatura incerta, barcollante, disperata sulla strada solcata dalle impronte di ruote, zoccoli e calzature che conduceva da Lannisport a Castel Granito, un abito ridotto a stracci, lacero e consunto, che la seguiva in un turbinio di stoffa macchiata di sporco, sangue e lacrime e una nuvola di capelli quasi neri che si confondeva nell’oscurità della notte limpida. Le stelle, sopra di lei, scintillavano lucenti e spietate come la verità. Non doveva avere più di quattordici anni e il visetto olivastro, bagnato dal pianto, lordato dalla terra e sconvolto dal terrore, era così bello da spezzare il cuore.
Tyrion Lannister, il Folletto, non aveva mai posato gli occhi su qualcosa di così perfetto.
Due uomini lerci e spaventosi come bestie la inseguivano, urlandole minacce e oscenità, sempre più vicini, sempre più trionfanti; la ragazzina incespicava, zoppicando leggermente, pallida come un cencio sotto quel cielo gelido e privo di nubi, e aveva gli occhioni color nocciola spalancati e vitrei come polle d’acqua. Quando vide il nano e il suo giovane, prestante fratello biondo immobili davanti a lei sui loro cavalli, il suo sguardo ebbe un guizzo di vitalità e tese una manina piccola e dalle unghie listate di sporco, invocando con voce flebile e spezzata dalle grida emesse: “Aiuto!”
Quella richiesta penetrò nell’animo di Tyrion come un liquore forte o una droga, ricolmandolo di un calore sconosciuto. Sentì che se anche Jaime avesse rifiutato il suo soccorso a quella creatura disperata, sarebbe comunque smontato da cavallo, atterrando sulle sue corte gambette, e l’avrebbe difesa fino alla probabile morte. Un gesto molto idiota, in effetti, e inutilmente cavalleresco – gettarsi in una lotta persa in partenza per poi rimetterci le penne e lasciare la fanciulla nuovamente sguarnita di difensori non era la cosa più intelligente da fare, sebbene in tanti ripiegassero su tale mossa – ma che il cuore gli urlava di compiere, quel cuore che un mostriciattolo come lui, a detta del suo amatissimo padre e della sua adorabile sorellina, non avrebbe neanche dovuto avere. Sì, era comodo credere che i mostri non avessero sentimenti: così ogni futile senso di colpa remotamente provato mentre lo deridevano senza pietà sarebbe stato eliminato in partenza.
Non ci fu bisogno, tuttavia, di tirare le cuoia in un’impresa tanto eroica quanto vana, giacché suo fratello sguainò la spada luccicante, bello e valoroso come un principe, e spronò il destriero al galoppo contro i due manigoldi, urlandogli un frettoloso: “Pensa alla ragazza!”
Affermazione superflua. Tyrion lo avrebbe fatto in ogni caso.
Mentre Jaime raggiungeva gli assalitori, bruscamente arrestatisi di fronte all’imponente corsiero dal pelo bianco latte del giovane Lannister, il Folletto si affannò a scendere dal proprio pony, la cavalcatura più adatta ad un nano tredicenne che era, malgrado la misera stazza, sempre troppo alta per i suoi gusti. Mezzo cadde e mezzo rotolò a terra nella foga di smontare, e anche se era abituato a rendersi ridicolo in quel modo e normalmente avrebbe commentato qualcosa di ironico, premurandosi di essere il primo a ridere tra tutti gli astanti, in questo caso, consapevole in maniera quasi bruciante dello sguardo lucido di lacrime della ragazzina puntato addosso, avvampò con violenza, in preda ad un imbarazzo cocente, lento, che non provava da tempo. Chissà cosa pensava di lui…un mostriciattolo con la statura di un bambino e gambe e braccia innaturalmente corte e tozze, il goffo corpicino sormontato da un testone di capelli biondastri e un viso deforme, con l’arcata sopraccigliare prominente e gli occhi di colore diverso.
Lei, invece…era sporca, scheletrica, mezza morta di fame…e adorabile. La bocca a forma di cuore era dolce ed invitante, i lineamenti, ancora un po’ infantili, delicati e gradevoli. Le lacrime continuavano a scenderle copiosamente sulle guance e ansimava come una bestiola spaventata, con gli occhi sbarrati che guizzavano da Tyrion a Jaime, intento ad inseguire con la spada levata gli aggressori che si erano dati alla fuga. Perlomeno aveva smesso di correre.
Il Folletto le si avvicinò, incerto, con la sua andatura dondolante che percepì dolorosamente come se si stesse osservando dall’esterno, e d’impulso allungò una mano tozza verso di lei: “Stai…stai bene? Sei ferita?” rendendosi conto che di sicuro non avrebbe gradito essere toccata da lui (nessuno amava essere toccato da lui, fuorché Jaime), specialmente dopo l’esperienza traumatica appena vissuta, ritrasse subito le dita, soffocando il desiderio di nascondersi dietro un albero o una roccia, solo per sfuggire allo sguardo profondo e impaurito, ma non raccapricciato, di quella giovanissima popolana.
Vorrebbe che ci fosse un altro al mio posto…un bel cavaliere dalla scintillante armatura. Non un piccolo mostro come me.
Lei continuava ad ansimare per la fatica e la paura, ricoperta da una cascata arruffata di lunghi capelli scuri e ricci. Sotto la luce argentea della luna, era ancora più pallida, quasi spettrale. Rispose alla sua domanda dopo diversi minuti, quasi essa avesse impiegato parecchio tempo a filtrare nella sua mente, e non a parole: scosse il capo in un concitato e isterico cenno di diniego, stringendosi convulsamente le braccia al seno acerbo. Un singhiozzo spezzato parve squassarla dalla testa ai piedi.
È sotto shock.
Attento a non atterrirla ulteriormente – cosa difficile, visto il suo grottesco aspetto – Tyrion le parlò con dolcezza, consapevole che una sola parola sbagliata, una sola mossa avventata, avrebbe potuto provocare una crisi isterica in quella poverina: “Non voglio farti del male. Sono qui per aiutarti. Mi chiamo Tyrion, sono un Lannister di Castel Granito. Quello è mio fratello Jaime” indicò con un gesto vago il punto del bosco in cui il giovane si era dileguato all’inseguimento dei due manigoldi.
Provò ad accennare un cauto passo verso la giovinetta, ma lei si ritrasse all’istante con un rantolo strozzato, rattrappendosi su se stessa, e levò la piccola mano proporzionata come se bastasse questo a trattenerlo, pronunciando un flebile e rauco: “No!”
Persino la voce era melodiosa. Udendola, un lungo brivido attraversò la corta spina dorsale di Tyrion, brivido che lo spaventò e lo travolse al tempo stesso. Si ridiede un tono, o perlomeno ci provò, giacché gli riusciva stranamente difficile. Una parte di lui desiderava soltanto fuggire il più lontano possibile, ma non avrebbe mai fatto una cosa del genere. Quella ragazza aveva bisogno di aiuto, del suo aiuto.
“Non voglio farti del male…” ripeté, sforzandosi di recuperare la sua eloquenza, l’unica dote che Madre Natura gli aveva donato: “Mio fratello ucciderà quegli uomini. Non torneranno, te lo giuro”.
E perché mai dovrebbe fidarsi dei giuramenti di un nano? Solo con l’oro ti puoi comprare la fiducia delle persone.
Scacciò quel pensiero molesto con un secco scuotimento di testa e, rapido, si slacciò la cintura a cui aveva assicurato daga e pugnale, lasciandola cadere sulla strada e calciandola via con la punta dello stivale. Non finì molto lontano. Produsse un lieve sorriso: “Ecco, vedi? Sono disarmato. Anche se volessi non potrei nuocerti in alcun modo. Se vuoi puoi prendere le mie armi”.
Normalmente avrebbe aggiunto che, essendo lei più alta di una spanna abbondante (era sviluppata, per la sua età), non le sarebbe stato difficile avere ragione di un imberbe nanerottolo, ma chissà perché, l’ironia non gli veniva in soccorso. E l’ironia, per lui, era un’arma ben più efficace di qualsiasi lama. Senza si sentiva…smarrito.
La ragazzina passò lo sguardo da lui alle armi finite a terra varie volte, mentre il respiro affannoso si regolarizzava in modo incoraggiante e la luce di terrore nelle pupille sfumava in un sentimento più guardingo che isterico, e si rilassò appena appena. Piegò gli angoli della bella bocca in una smorfia strana, quasi volesse ricambiare il suo sorriso, che si trasformò ben presto in una maschera di pianto; scoppiò in singhiozzi violenti e cristallini, nascondendosi il volto fra le mani e boccheggiando come in cerca d’aria.
Tyrion rimase immobile davanti a lei, mortificato, senza sapere cosa fare. Aveva visto spesso delle donne piangere, specialmente servette che lavoravano a Castel Granito, dato che per un nano era fin troppo facile sgattaiolare non visto in giro, compiendo scherzi di cattivo gusto e nutrendosi di brandelli di vite altrui, ma non si era mai sentito così impotente. Avrebbe voluto abbracciare quella ragazza e mormorarle parole di conforto, ma non aveva dimenticato chi era. Il tocco del Folletto non l’avrebbe rassicurata, solo disgustata. E poi, aveva troppa vergogna. Nei suoi tredici anni di vita, non aveva mai sfiorato una donna in vita sua – sua madre era morta nel darlo alla luce, cosa per cui il grande Lord Tywin non mancava di incolparlo ogni volta che ne aveva occasione, e la sua dolce sorellina Cersei avrebbe probabilmente risposto con morsi e graffi ad una carezza – e non avrebbe saputo come farlo, né in che modo trasmettere solo conforto e non desiderio. Gli piacevano molto, le donne, il loro profumo, i corpi morbidi e voluttuosi, le chiome al vento, le dolci risatine (ne aveva vedute alcune nude, prima tra tutte la servotta a cui aveva rubato i vestiti da piccolo), e ultimamente aveva anche incominciato ad eccitarsi alla vista di una scollatura profonda o di un paio di snelle gambe scoperte, ma sapeva cosa le donne pensavano di lui. E in famiglia non mancavano di ricordaglielo.
Perciò si trovò totalmente disarmato davanti al pianto sonoro di quella fanciulla del popolo, sporca, lacera e piena di graffi.
“No…” mormorò, impotente, osando avvicinarsi ancora di più, fino a sentire il suo profumo, percepibile addirittura sotto al lezzo di sangue e sporcizia. Era così magra che sul collo si era formato un solco evidente. Chissà da quanto tempo non mangiava…
“No…” ripeté, accorgendosi che i banditi le avevano strappato la veste sulla schiena e che la sua soffice carne bianca era del tutto scoperta e vulnerabile: “Non fare così, è passato…” si tolse la cappa dalle spalle, la cappa rossa e oro della sua famiglia che gli era sempre andata larga, e la drappeggiò su quelle della ragazza, attento a non toccarla direttamente. Lei si irrigidì, ma solo per un istante. Poi, approfittando dell’improvvisa vicinanza tra di loro (Tyrion, rosso in volto per la sua stupida pudicizia da ragazzino, aveva dovuto semi abbracciarla per metterle il mantello), si lasciò cadere in ginocchio con un tonfo, alla sua stessa altezza, gli appoggiò la testa sulla spalla e continuò a piangere su di lui, macchiandogli di lacrime il farsetto.
Il cuore del Folletto ebbe un soprassalto così forte da rimbombargli nelle orecchie assieme al sangue che improvvisamente aveva preso a circolare come un fiume in piena nelle vene, quindi attaccò a battere ad un ritmo forsennato, inondandogli di calore il viso. Era la prima volta che qualcuno lo abbracciava, e i capelli scuri della ragazza, morbidi come seta, gli solleticavano la guancia, il dolce peso del suo capo sulla spalla gli provocava una sensazione intensa, indescrivibile. Per un attimo, sentì che sarebbe stato sul punto di piangere per l’emozione.
Riprenditi, mostriciattolo!
Esitante, aspettandosi quasi che da un momento all’altro il sogno sarebbe andato in frantumi e lei sarebbe schizzata via, giustamente disgustata, la circondò con le sue corte braccine che le arrivavano poco oltre i fianchi e le diede dei goffi colpetti sulla schiena, inspirando a fondo il suo profumo, il più buono che mai avesse annusato: “Sta tranquilla…” sussurrò: “Va tutto bene, è finita…penseremo noi a te…”
“Mi dispiace…” singhiozzò lei, senza sembrare schifata dal contatto tra di loro, ma anzi, rilassando a poco a poco tutti i muscoli del corpo: “Mi dispiace…”
“Di cosa?” replicò Tyrion, cullandola. Quello sì che sarebbe stato un bel modo di morire, pensò. Avvinto ad un’adorabile creatura che lo stringeva come se fosse la sua ancora di salvezza (ma aveva messo o no a fuoco la sua statura? Forse era solo troppo sconvolta per guardarlo bene, e una volta ripresasi, le sarebbe preso un terribile spavento all’idea di aver abbracciato un piccolo mostro come lui) e immerso nel suo dolce profumo. Sì, non gli sarebbe dispiaciuto andarsene così. Certo era una sorte molto più augurabile di quella di tanti valorosi cavalieri che andavano a tirare le cuoia in battaglia in mezzo al sangue e ai cadaveri. Avrebbe voluto fermare il tempo.
“Mi dispiace…” ripeté la fanciulla, tirando su con il naso e scostandosi da lui con il capo chino e le guance arrossate di improvviso pudore. Era ancora più bella quando arrossiva. Molto più bella delle dame incipriate ed eleganti che circolavano a Castel Granito e si affollavano intorno alla sua dolce sorella. Era reale, loro no. Si asciugò le lacrime con gesti maldestri, stringendosi nella cappa che le aveva dato. Era ancora in ginocchio, per cui Tyrion poteva parlarle faccia a faccia; un sollievo, dopo una vita passata con il collo che doleva a furia di rimanere sollevato verso il suo interlocutore.
“Come ti chiami?” le chiese con delicatezza.
Lei alzò timidamente gli occhi da cerbiatta su di lui, pieni di una speranza che lo commosse: “Tysha” rispose in un soffio.
“Tysha” le fece eco Tyrion. Aveva un suono magnifico.
“Cosa ci facevi sola in strada di notte, Tysha?” continuò in tono incoraggiante, sorridendole con quanta più gentilezza poteva.
La ragazza ebbe un brivido, girando il viso di lato come se si vergognasse di mostrarsi a lui: “Io…io…”
“Sì?”
“Mio padre è morto” confessò infine, con voce incrinata di pianto: “Era un contadino. Un…un attacco di febbri”.
“Mi dispiace” disse Tyrion. A giudicare dalla smorfia di dolore, Tysha doveva aver amato il genitore. Se Lord Tywin fosse andato all’altro mondo, non sapeva come si sarebbe sentito. A dire la verità, non era neanche sicuro che avrebbe sofferto. Ma che quell’uomo irreprensibile potesse crepare era assurdo: pareva fatto di acciaio anziché di carne e cacava oro invece di merda, dove lo trovavi un altro con meno probabilità di morire?
“Non devi dispiacerti, mio signore” sussurrò la ragazza: “È stata una fatalità”.
Quell’uscita lo lasciò sbalordito per diversi istanti e incapace di ribattere, cosa che non gli succedeva spesso.
“Non chiamarmi mio signore” soffiò: “Chiamami Tyrion”.
Tysha sorrise debolmente e abbassò gli occhi sulla gonna logora, giocherellando con la stoffa strappata: “Avevamo una fattoria, e mucche e pecore e maiali, ma quando mio padre se n’è andato hanno venduto tutto…e i nuovi padroni mi hanno cacciata via. Stavo andando…” s’interruppe, mordendosi convulsamente un labbro, e Tyrion comprese che non lo sapeva nemmeno lei. La sua storia non era molto dissimile da quella dei tanti popolani di cui Lord Tywin non si era mai curato.
Ma io non sono mio padre.
Impulsivamente, le prese la mano morbida e calda, sperando che non la ritraesse con disgusto, o peggio, che accettasse il suo tocco per compassione, la morte di ogni intesa tra due persone.
Ma nei grandi occhi nocciola di Tysha non c’erano né orrore né pietà quando ricambiò la stretta con un’espressione implorante: “Ti supplico, mio…Tyrion” si corresse, arrossendo: “Aiutami!”
“Certo che ti aiuterò” in quel momento era disposto persino a portarla sulla schiena come un cane, se l’avesse chiesto: “Ti darò una casa, ti farò avere tutto ciò che ti serve per vivere. Sono un Lannister, l’oro non mi manca”.
Lei parve stupita e confusa da quell’appassionata offerta di soccorso, e per parecchi istanti rimase in silenzio, guardandolo da sotto le lunghe ciglia brune ancora umide di lacrime versate. Tyrion continuò a tenerle la mano, tremante, cercando di trasmetterle rassicurazione e sicurezza, con il calore che gli bruciava delicatamente le orecchie. Intorno a loro non si muoveva nulla eccetto il pony del Folletto, che strusciava uno zoccolo sul terreno e sbuffava, nervoso, ma il giovanissimo nano neppure ci faceva caso. Aveva l’impressione che solo Tysha, solo quella popolana sporca e sanguinante fosse il mondo.
“Io…ti sono molto grata” mormorò la ragazzina: “Ma…mi dispiace molto, ma…non posso…darti…” avvampò vistosamente: “…qualcosa in cambio”.
Tyrion ci mise qualche secondo ad intendere il senso di quelle parole, e di solito era molto più sveglio. Trasalì, lasciandole andare la mano di scatto. Davvero lo credeva così vile e ributtante da pretendere il suo corpo in cambio di una sistemazione?
Beh, che ti aspettavi? È quello che fanno molti nobili, mio caro.
Ma non lui. Era un Lannister e perverso quanto i suoi parenti, ma non era bastardo come loro. Aveva…qualcosa, in sé, e quel qualcosa…non lo avrebbe mai spinto ad approfittarsi in modo così ignobile della situazione difficile di quella poveretta.
Lei sembrava imbarazzata quanto lui, ma racimolò il coraggio e assunse un tono fermo nel proseguire: “Sono una ragazza onesta, mio signore, Tyrion. E poi…” si torse le mani: “Non credo che potrei…darti ciò che cerchi. So che gli uomini ricchi non fanno mai niente per niente…”
“No!” la interruppe precipitosamente: “Io non voglio niente in cambio! Davvero, non voglio niente!” ribadì, nel tentativo di convincerla fino in fondo, di sradicare quell’insinuazione dalla sua mente: “Lo faccio solo per…”
Pietà umana e gentilezza? Un Lannister? Un nano? Non farmi ridere.
Abbassò gli occhi, inspirando profondamente e cercando le parole giuste per cancellare lo sguardo di incertezza e sospetto dalle pupille di Tysha: “…perché voglio aiutarti. So che probabilmente pensi che un mostriciattolo come me è malvagio oltre che brutto…”
“Io non…” obiettò Tysha, ma non la lasciò finire. L’improvvisa amarezza che gli era montata nel petto pretendeva di essere buttata fuori, così andò avanti, balbettando come il goffo ragazzino che era: “…ma non ti farò del male, in nessun modo. Non sono come quegli uomini” lo disse speranzosamente, pregando che lei notasse la differenza tra lui e i suoi assalitori.
Tysha lo fissò per un lungo momento, le mani sulle ginocchia e la cappa rossa e oro che copriva il suo abito stracciato. Poi si aprì in un pallido sorriso, un sorriso da spezzarti il cuore: “Grazie”.
Tyrion sussultò e alzò la testa di scatto, incontrando gli occhi di lei. Erano occhi buoni. Ma abbastanza buoni da assolverlo dal suo peccato più grande, quello di essere nato storpio? Non c’era condanna in essi, solo gratitudine, un sentimento che pareva essergli precluso, e si sentì sciogliere come burro. Era la donna – anzi, la fanciulla, donna ancora non lo era del tutto – più bella che avesse mai visto. E la sua bellezza non era repellente come quella della sua adorabile sorellina Cersei, glaciale e affilata come la morte, era una bellezza calda, accogliente, piena di gentilezza e di tepore. La bellezza adatta a lui.
Un sonoro rumore di zoccoli che picchiavano sul terreno turbò quel momento magico e infinito, accompagnato da una sfilza di imprecazioni soffocate, e in un primo momento Tyrion lo odiò con tutto se stesso, salvo poi rendersi conto che a provocarlo era stato Jaime, tornato dal bosco in sella al suo corsiero con la spada infilata di nuovo nel fodero e l’espressione più cupa di un temporale. Quando lo vide, Tysha cacciò un urletto spaventato e si nascose dietro Tyrion, quasi lo identificasse col suo salvatore. L’idea lo esaltò come mai prima e, girandosi verso di lei con un sorriso rassicurante, faticò a mascherare l’agitazione: “Tranquilla” le disse dolcemente: “È mio fratello, non ti farà del male”.
Lei si rilassò leggermente, ma non venne allo scoperto, studiando Jaime con sospetto da sotto ai lunghi capelli scarmigliati. Tyrion avrebbe voluto scostarglieli dal viso ciocca dopo ciocca, ma si trattenne. Invece, accolse il fratello con un ghigno sghembo e un tono sarcastico: “Te li sei lasciati scappare, Jaime? Il tuo cavallo era zoppo o hanno chiesto scusa e ti hanno commosso?”
“Piantala, nanerottolo” ribatté il giovane biondo mentre smontava. Lui poteva chiamarlo così; Tyrion sapeva che non lo faceva con malignità o scherno, che era solo un insulto bonario di quelli che ci si scambia tra fratelli. Appena ebbe adagiato gli stivali sul terreno, Jaime si chinò e gli arruffò affettuosamente i capelli, anche se sul suo splendido volto rimaneva un’ombra: “Conoscevano la foresta, io no. Devono essersi infilati in qualche buca o in un nascondiglio di briganti. Ma li troverò, te lo assicuro. E allora rimpiangeranno di essere venuti al mondo”.
Tyrion alzò un sopracciglio: “Agguerrito, vedo”.
“Non possono permettersi di assalire viaggiatori così vicino a Castel Granito” ringhiò Jaime con tipico ardore da ragazzo (lui, al contrario, certe cose non le aveva mai provate e neppure ci teneva): “È un oltraggio alla casa Lannister, e un Lannister…”
“…paga sempre i propri debiti” sospirò Tyrion: “Lo so. Quindi gli darai la caccia?”
“Devo andare a Castel Granito a chiedere rinforzi” spiegò suo fratello, scuro in volto: “Ci vorranno cani e un gruppo consistente di bracconieri. Anche nostro padre farebbe così, Tyrion. Se sorvoliamo su un affronto, ce ne saranno altri cento da gestire nel giro di poco tempo”.
“Sì, nostro padre direbbe questo” ribatté il Folletto con una punta di ironia. Lui lo trovava uno spreco di tempo e di forze e basta. Perché inseguire due tagliagole qualunque che probabilmente sarebbero stati catturati alla prossima malefatta a notte inoltrata invece di godersi una coppa di sidro bollente e un pasticcio d’anatra? Che abitudine idiota, negarsi i migliori piaceri della vita per sciocche questioni sull’onore e l’oltraggio. Lui ne aveva subìti fin troppi di oltraggi e non aveva chiamato cani e cacciatori per punire i responsabili.
Ma era solo un ragazzino, Lord Tywin glielo ripeteva sempre. E un ragazzino di certe cose non sa nulla.
Jaime lanciò uno sguardo a Tysha che era rimasta al fianco del Folletto, tremante e con un’espressione guardinga: “Lei sta bene?”
Tyrion notò che osservava di sottecchi il corpo della fanciulla, rivelato dagli squarci nell’abito logoro, e le si mise davanti come una sorta di insufficiente e malriuscito scudo umano, facendo una smorfia: “Benissimo” rispose: “Sana come un pesce”.
“È ferita?” insistette suo fratello.
“Chiedilo a lei” utilizzò un tono aspro che normalmente non riservava a Jaime: “Si chiama Tysha”.
Il giovane arrossì un poco: “Sei ferita?” domandò quindi, rivolgendosi alla ragazza. Lei lo studiò, soffermandosi sul fisico aitante messo in risalto dal giustacuore ricamato con leoni d’oro, sulla folta chioma color grano che accarezzava il volto glabro e affascinante e sugli occhi verdi come giade. Assistendo a quel muto scambio di occhiate, Tyrion avvertì una sensazione sgradevole nel petto, che non avrebbe saputo definire e che certo non si sarebbe mai aspettato di provare per il fratello, l’unica persona che amava: era come se mani invisibili e adunche gli avessero afferrato il cuore, strizzandolo, e un fiotto di acidi succhi gastrici gli avesse rimescolato lo stomaco, riempiendogli la bocca di un sapore amaro. Non aveva mai invidiato Jaime per la sua avvenenza, quello che non hai mai avuto non lo puoi certo rimpiangere, ma in quel momento divenne consapevole di quanto diversi fossero e di quanto tutte le virtù estetiche di cui Jaime era pieno avessero saltato lui a piè pari.
Forse ora sorriderà dolcemente a lui e gli chiederà di essere condotta in salvo sul suo bianco destriero…
“No” la voce di Tysha era fredda, senza traccia del calore con cui si era rivolta a Tyrion. Si avvicinò al Folletto: “Non sono ferita, mio signore”.
Tyrion spalancò impulsivamente gli occhi, stupefatto. Era forse pazza? Non che Jaime avesse mai rivolto ad una donna che non fosse Cersei più di qualche occhiata, ma tutte si scambiavano bisbigli e gomitate quando passava, sperando (invano) che dedicasse loro attenzione. Invece Tysha non aveva mostrato il minimo apprezzamento. Si era avvicinata a lui.
Il cuore riprese a battergli all’impazzata, salendogli fino in gola.
Frena i cavalli, mostriciattolo, prima o poi finirà, ti accorgerai che non può essere vero…
In ogni caso, come sempre, Jaime smise di interessarsi alla fanciulla e rimontò agilmente in sella: “Vado a Castel Granito a radunare una squadra di ricerca. Tu cosa fai?”
Tyrion esitò, guardando Tysha: era ancora pallida e tremante ed era palese che lo spavento non le fosse passato, sebbene si stesse sforzando di conservare una certa calma. S’era aggrappata al suo mantello come alla prua di una nave e fissava a turno lui e Jaime – lui soprattutto – non osando intervenire, ma temendo per la propria sorte. Un’ondata di tenerezza lo travolse.
“La accompagno alla locanda più vicina” decise, risoluto, indicando la fanciulla: “Ha bisogno di mangiare qualcosa e non è il caso che vada da sola”.
Tysha sussultò: “Ti scomoderesti davvero?” chiese in un soffio.
Tyrion, anche se imbarazzato (aveva solo tredici anni, in fondo!) le accennò una riverenza: “Non è affatto un incomodo, signorina. È un piacere”.
Che idiota.
Lei, però, scoppiò in una risata alta e argentina che aprì il cuore a Tyrion e sembrò alleggerirla da un peso che si era portata appresso per tutto quel tempo. Sulle sue guance affiorò un colorito più roseo.
Il Folletto si aspettava che Jaime protestasse, era sempre stato molto protettivo nei suoi confronti e tendeva a procurargli ciò di cui aveva bisogno prima ancora che lo domandasse e a tenerlo fuori da ogni situazione che definiva “fuori dalla sua portata” (ce n’erano fin troppe di situazioni fuori dalla sua portata, considerata la sua esigua statura), invece, stranamente, non mosse la minima obiezione: “Come vuoi, fratellino” commentò: “Ma torna a Castel Granito entro domani mattina”.
Tyrion alzò gli occhi al cielo, fingendosi esasperato: “Sono troppo piccolo perché qualcuno mi noti e decida di ammazzarmi”.
Jaime sorrise: “Tu però torna entro domani mattina, intesi?”
“Solo se mi coprirai col nostro amatissimo padre” pose un’enfasi particolare su quell’amatissimo che il fratello, come di consueto, finse di non notare.
“Sai che lo farò” gli rispose: “Stanotte te ne sei rimasto a letto”.
“Come un bravo bambino invalido” ghignò Tyrion.
“Esatto” confermò Jaime. Fece un cenno di saluto con la mano: “Ci vediamo domani, nanerottolo” a Tysha dedicò un galante cenno del capo: “Arrivederci, signorina Tysha”.
La ragazza chinò la testa a sua volta, educata, Tyrion gli spedì contro un’ultima battuta mentre galoppava sulla strada per Castel Granito, lasciandosi dietro una nuvola di polvere e sassi: “Attento a non farti tagliare la gola dai briganti, potresti rimpiangere il giorno in cui sei venuto al mondo!”
La risata del fratello giunse fino a lì, trasportata dal vento.
“Siete molto legati, vero, mio signore?” domandò Tysha quando la sagoma dell’imponente corsiero bianco si dileguò nella notte scura.
“Jaime è l’unico a non soffrire di allergia alla mia persona” ribatté Tyrion, il tono a metà tra l’ironia e l’affetto: “Sembra un idiota ma non lo è, te lo assicuro”.
“Ma io non l’ho trovato affatto un idiota”.
Quell’affermazione, chissà perché, provocò in lui la stessa sensazione sgradevole e indefinita che aveva avvertito poco prima. Fece un sorriso aspro: “Sì, so che è molto affascinante”.
“Non l’ho trovato simpatico perché è affascinante” disse Tysha con insospettata determinazione: “Molti uomini affascinanti sono intelligenti quanto potrebbe esserlo una rapa” fece una pausa e poi aggiunse: “E anche tu sei una brava persona, mio signore”.
A questo, Tyrion non seppe come rispondere. Arrossì, invece, scoprendosi incapace di sostenere lo sguardo della ragazza, lui che fissava sfrontatamente tutti quanti.
Il grande Folletto dalla lunga lingua velenosa muto come un pesce in agonia.
“Non…chiamarmi mio signore” pareva essere diventata la sua replica quando rimaneva a corto di parole argute: “Davvero, chiamami Tyrion”.
“Va bene…Tyrion” anche lei era in imbarazzo, lo intuiva dalle macchie rosa acceso che le decoravano le guance scarne. Questo lo rassicurò enormemente.
Le tese la mano atteggiandosi a cavaliere galante: “Vogliamo andare, mia lady?”
La giovinetta ridacchiò e stette al gioco, sollevando la gonna frusta e facendogli una riverenza tra le più goffe e poco riuscite che mai avesse visto, ma che trovò perfetta sotto tutti i punti di vista: “Certamente” accettò la sua mano senza alcuna esitazione, lasciando che la scortasse dal pony in attesa.
“Ti ringrazio per tutto, Tyrion” disse piano: “Sei un ragazzo gentile, e non ho conosciuto molti ragazzi gentili, né poveri né ricchi”.
“Mi hanno chiamato in molti modi” rispose lui, con un tremito nella voce che non riuscì a celare: “Ma gentile mai”.
“Sbagliavano” sbottò Tysha, accigliandosi.
Tyrion la fissò in silenzio mentre si aggrappava al pomolo della sella e saliva in groppa al cavallino con qualche difficoltà. Un altro l’avrebbe presa tra le braccia e l’avrebbe depositata sul dorso del destriero, ma lui non ne era in grado. Si sentiva strano, pesante e leggero al tempo stesso, e l’impeto delle sue emozioni lo spaventava e lo eccitava al tempo stesso.
Tysha si girò verso di lui, sorridendogli con un’ombra di incertezza: “Andiamo?”
Il Folletto si riscosse, accostandosi per montare a sua volta sul pony: “Andiamo”.
 
La locanda più vicina al luogo dove si erano incontrati si chiamava Il leone rampante (prova di quanto i locali ci tenessero a leccare i piedi ai Lannister, pensò Tyrion) ed era una catapecchia piccola e piuttosto malridotta, con vari buchi nel soffitto e un pavimento che scricchiolava sinistro sotto i piedi. La puzza di cipolle, vino rancido e stufato appestava l’aria come una pesante cappa e non c’erano molti avventori, perlopiù ubriaconi rimasti a scolare i boccali fino a tarda notte e puttane che tenevano loro compagnia. Meglio così, avrebbe corso meno rischi di essere riconosciuto, se ci fosse stato qualcuno di sobrio gli sarebbe bastata un’occhiata a indovinare la sua identità. E non voleva…beh, non voleva che suo padre lo venisse a sapere. Non che si pentisse di quanto aveva fatto, assolutamente, ma Lord Tywin avrebbe interpretato tutto a modo proprio e sarebbe riuscito solo a lordare la magia di quella notte.
Quello che non sa non lo danneggia, al leone che caca oro.
Per diminuire ancora di più i rischi aveva nascosto il viso sotto il cappuccio e aveva rivoltato il mantello che aveva dato a Tysha, di modo che il rivestimento esterno con i colori della sua casata fosse ben celato. Con la faccia coperta, sarebbe potuto passare benissimo per un bambino (da un certo punto di vista, quasi lo era ancora) e la fanciulla per sua sorella. Quando fecero il loro ingresso la locandiera, un donnone gargantuesco che masticava vigorosamente foglie aromatiche che le avevano arrossato tutti i denti, li squadrò da capo a piedi, ma bastò che Tyrion le sbattesse sotto il naso un sacchetto pieno di conio perché assegnasse loro la sua camera più “bella” e gli portasse la cena lì. Tysha era ancora scossa e nel vedere gli avventori si era irrigidita, non era il caso di farla stare nel salone principale sotto gli occhi di tutti. Un pasto intimo era ciò che serviva.
La stanza in cui vennero alloggiati era sporca e aveva le pareti scrostate, ma le dimensioni erano ampie e consistevano in un salottino privato con un bel caminetto acceso, un rozzo tavolaccio di legno con due sedie e qualche candela posta ad illuminare l’ambiente e una poltrona scolorita, e una camera con un letto matrimoniale dalle lenzuola ingiallite e un armadio polveroso. Tysha ammirò tutto quanto con gli occhi spalancati; sembrava fosse la prima volta che entrava in un luogo tanto vasto. Tyrion si commosse nel guardarla. Dovette insistere affinché si sistemasse (la ragazza aveva opposto resistenza, dicendo che le sarebbe andata bene una stanzetta tra le più economiche) e quando finalmente la convinse lei sedette al tavolo tutta timorosa, dopo che la figlia della locandiera le aveva fatto un bagno per pulirla dal sangue e dalla sporcizia e le aveva prestato uno dei suoi vestiti, un abito semplice, color vino, che metteva in evidenza la pelle olivastra e i fluenti capelli scuri.
Tyrion, accomodandosi davanti a lei, la osservò con il sangue che gli rimbombava nelle orecchie.
È bellissima…
Ma lui era un nano. E talvolta gli capitava di cogliere un lampo negli occhi delle donne che gli passavano vicino, un lampo che avrebbe preferito di vedere mai più*.
Nei grandi occhi nocciola di Tysha, però, quel lampo non c’era. Studiava, intimidita ma irrimediabilmente vogliosa, l’enorme pollo arrostito che la locandiera aveva portato loro, condito da un contorno di cipolline e patate croccanti. Una grossa caraffa di vino rosso di Myr completava il lauto banchetto. Tyrion sorrise: “Sì, ha un aspetto magnifico” commentò: “È un peccato rovinarlo, ma come tutte le cose belle, non durerebbe. Domani mattina sarebbe già freddo e putrido. Facciamogli la grazia di farlo scomparire ora che è così maestoso!”
Tysha rise ancora della sua risata innocente e cristallina che gli faceva annodare le viscere per il piacere, poi si tagliò un’ala di pollo e Tyrion la imitò, versando un’abbondante dose di vino ad entrambi. Non c’era nulla che amasse quanto bere e mangiare. Bere e mangiare in compagnia di una donna, poi, era forse una delle delizie più grandi e sublimi che un uomo potesse provare.
La fanciulla inizialmente assaggiò la carne con esitazione un po’ timorosa, quindi, sentito il sapore gustoso della pietanza, ci si avventò con la voracità di chi non mangia da giorni, ficcandosi grossi bocconi tra i denti ad una velocità tale che Tyrion neanche distingueva una forchettata dall’altra. Scoppiò a ridere, sentendosi leggero, e lei lo imitò a bocca piena. Gli piaceva, quella sua mancanza di buone maniere, quell’autenticità che la rendeva sempre più vera e reale.
Sollevò il bicchiere di vino, facendosi coraggio, e lo sollevò: “Al nostro incontro!”
Temeva un rifiuto, invece Tysha partecipò subito al brindisi: “Al nostro incontro!” esclamò, entusiasta. Bevvero tutto d’un fiato e il gusto speziato della bevanda andò dritto alla testa del Folletto, che subito riempì per la seconda volta i due calici.
In breve fecero fuori l’intero pollo, innaffiandolo con generosi sorsi di vino, ma bastò che Tyrion chiamasse la locandiera e mostrasse il suo conio perché lei ne portasse un altro, che iniziarono immediatamente a spolpare felici.
“Non voglio che tu spenda tanto denaro per me…” provò a protestare Tysha, con le guance arrossate e gli occhi lucidi su cui si riverberavano le fiammelle delle candele: “Ti sono grata di tutto questo, ma…”
Tyrion levò la mano: “Questo conio me l’ha dato mio padre” spiegò, la lingua sciolta dal calore dell’alcol: “Dovevo comprarmici degli stivali nuovi, a misura di bambino. Ma ne ho fatto un uso molto migliore. Se lo sapesse farebbe una faccia…” l’idea era così esilarante che scoppiò a ridere e Tysha rise con lui, anche se probabilmente non aveva capito del tutto il motivo della sua ilarità.
“Da quanto non mangiavi?” le domandò, più serio.
Lei abbassò gli occhi e fece una spallucciata, impegnata a togliere da un ossicino tutti i rimasugli di carne che riusciva a trovare: “Non lo ricordo”.
“Non soffrirai più la fame” esclamò: “Te lo prometto sul mio onore di Lannister”.
Tysha lo fissò con intensità, senza dire nulla.
Continuarono a bere in abbondanza mentre aggredivano metà del terzo pollo, e via via che il vino andava alla testa di Tyrion i contorni delle cose sfumavano e andavano fuori fuoco, i pensieri si confondevano tra di loro. L’unico punto fermo era la ragazza seduta davanti a lui, rossa in faccia e con gli occhi sempre più scintillanti, e il suo nome gli rimbombava nel cervello come una cantilena, Tysha, Tysha, Tysha, continuamente.
“Da piccolo non facevo che inventare scherzi” le confidò ad un certo punto, ogni genere di vergogna o imbarazzo annegato da tempo nella terza o quarta coppa di rosso di Myr: “Non so perché mi piacesse tanto. Ma non potevo farne a meno. Non passava un giorno senza che facessi tiri mancini a qualcuno. Più di una volta ho rischiato di rimetterci le dita…”
…e la virilità, soggiunse una voce nella sua mente, ma non era ubriaco al punto da lasciarselo sfuggire. Dopotutto, aveva tredici anni, e trovava ancora che fosse imbarazzante dire certe cose ad una ragazza. Tysha, però, lo ascoltava divertita, protendendosi verso di lui, e la cosa lo esaltava, mandava ogni controllo in fumo; sentiva che sarebbe stato capace di uccidere giganti e scalare montagne, e solo perché una giovane popolana trovava divertenti i suoi racconti. Andò avanti, sempre più infervorato, gesticolando con le posate: “Il peggiore fu quello ai danni di una servetta. Le rubai i vestiti mentre faceva il bagno e tornò nuda e con i seni al vento, nell’ilarità generale. All’epoca lo trovai spassosissimo”.
“Credo che lei non si sia divertita altrettanto” rispose Tysha con un tono di rimprovero un po’ troppo accentuato, che ne enfatizzava l’ubriachezza.
Tyrion rise con un sottofondo di amarezza: “Sì, lo credo anch’io. Ma forse mi comportavo così perché volevo che fossero altri a suscitare il riso altrui, e non sempre…io”.
Certo che è proprio azzeccato, nel vino alberga la verità…
“Anche la mia amatissima sorellina amava dilettarsi in simpatiche facezie” sibilò, incapace di porsi un freno, mandando giù un’altra sorsata per mettere a tacere le ultime, fievoli obiezioni che gli risuonavano nella mente: “Una bambina vivace, la dolce Cersei. Tanto angelica all’apparenza, e tanto diabolica dentro. Ricordo ancora quando si fece fabbricare una grossa bambola di porcellana, alta quanto un bimbo piccolo. Le aveva sempre odiate, le bambole, ma per questa insistette finché nostro padre non gliela fece costruire. Aveva tanti completini diversi per ogni occasione. Ce n’era uno in particolare molto elaborato, con tanti ricamini sopra. Un giorno…beh, qualunque, c’era non so quale ricevimento e non avevo niente da mettermi, così lei venne da me con il suo sorriso più smagliante e mi porse proprio quel completo. È della misura perfetta, non credi? Mi disse. Se alla bambola sta starà di sicuro anche a te, mostriciattolo!”
Tyrion tacque, giocherellando con il bicchiere. Tysha era rimasta in silenzio e lo osservava con i suoi immoti occhi nocciola, luminosissimi alla luce delle candele, il viso indecifrabile.
Io, un Lannister di Castel Granito, che confido le mie pene alla figlia di un contadino…che risate si farebbe il grande Lord Tywin!
Scoppiò a ridere gettando indietro la testa e appoggiandosi al tavolo per evitare di crollare sul pavimento come un sacco di patate; la testa gli girava come una trottola impazzita.
“Sai qual è la parte più bella?” continuò: “Che mio padre si disse d’accordo con la cara Cersei. Disse che se ero stato tanto sconsiderato da non procurarmi degli abiti adatti per tempo, tanto valeva che prendessi quel che passava in convento. Così andai al banchetto vestito con il completino della bambola di mia sorella, per la gioia degli altri commensali. Ma un Lannister paga sempre i propri debiti” sogghignò: “Sgattaiolai nelle cucine con la scusa di una capatina alla latrina e sparsi sulla ventiquattresima…era la ventiquattresima? Sulla ventiquattresima portata un’abbondante quantità di una spezia piccante che veniva da Pentos. E mi godetti uno spettacolo impagabile, anche se mio padre, come tu dici, non si divertì altrettanto”.
Gli occhi gli bruciavano. Se li strofinò con i dorsi delle mani, più volte, senza risultato.
Gli parve di udire il rumore di una sedia che grattava contro il legno del pavimento, un lieve spostamento d’aria. Non ebbe il tempo di alzare il capo e capire cosa stesse accadendo perché improvvisamente due braccia morbide, accoglienti, benevole lo avvolsero e un seno acerbo, ma già sodo, fece da cuscino alla sua grossa testa deforme. Lunghi riccioli scuri che profumavano di buono gli piovvero sulla fronte, sfiorandola dolcemente.
Tyrion Lannister sussultò, senza fiato, mentre Tysha lo stringeva a sé come nessuna aveva mai fatto, né la sua defunta madre e l’unica donna che Lord Tywin avesse amato, né sua sorella. Era l’abbraccio goffo e sincero di una ragazzina inesperta e ubriaca, una ragazzina che probabilmente aveva osato tanto solo a causa dell’alcol che le danzava nelle vene, ma anche Tyrion aveva la mente annebbiata e non percepiva che lei, il suo profumo, il suo corpo soffice, confortevole che aderiva a quello di lui, le parole, gentili in maniera quasi insopportabile, che gli sussurrava sulla pelle: “Shh…mio signore, è passato…” e con cui faceva eco a ciò che il Folletto stesso le aveva detto sulla strada per Castel Granito. Erano parole che lo accoglievano e non lo respingevano, era una stretta che voleva fargli capire quanto fosse bello, quanto avesse da offrire, e all’interno di essa Tyrion andò in pezzi, sentendo che in quel momento sarebbe anche potuto morire, non gli sarebbe importato niente.
“No…” sussurrò infine con voce spezzata: “Non mio signore…”
“Tyrion” gli rispose Tysha in un soffio pieno di una dolcezza che mai il Folletto aveva conosciuto e che non riusciva a credere di poter suscitare in una ragazza bella e pura come lei. Il sangue gli si accese e per la prima volta il suo membro reagì alla vicinanza con Tysha, spingendolo ad ansimare in una mescolanza di terrore e di desiderio.
Non seppe come, tutto era confuso, annebbiato, la logica perduta ormai da tempo, ma si ritrovò a letto con lei, tra le lenzuola ingiallite e fragranti di umidità, perso in quel mare di capelli scuri che si era sparso come un cielo notturno sui cuscini. Tysha lo guardava con occhi enormi, ma non c’era orrore nel suo sguardo, non timore di lui, solo attesa e una certa tensione. Lo strinse con le braccia tremanti e Tyrion si rese conto con sgomento di avere paura di lei, e al contempo di non volere che lei.
“Io non…” provò a balbettare, ma la ragazza gli chiuse la bocca con un dito e sorrise.
“Neanch’io” replicò, con una leggera, nervosa risatina.
Tyrion rise a sua volta e le accarezzò i capelli con mani tremanti, ne saggiò la morbidezza e ne annusò il profumo, così intenso da farlo impazzire, versando inconsapevoli lacrime di felicità su di lei e aspettandosi che a breve sarebbe svanita, che sarebbe andata in polvere tra le sue dita come un’illusione o un sogno durato troppo a lungo, che si sarebbe svegliato e avrebbe realizzato come sempre che non era stato reale, sforzandosi di sorriderci sopra con ironia e di andare avanti, ma Tysha non se ne andava, restava sdraiata sotto di lui, solida tra le sue braccia, e rispondeva con sottili gemiti di piacere alle inesperte carezze che le donava. Terrorizzato, ma anche travolto da sentimenti così forti da sentirsene sopraffatto, Tyrion spostò le mani sull’allacciatura della veste della ragazza e la guardò, interrogativo e timoroso, in una muta domanda a cui lei rispose con un deciso cenno di assenso.
E allora il Folletto smise completamente di pensare e lasciò che fossero l’istinto e il calore dell’alcol a guidarlo. Non sapeva cosa fare, lei nemmeno. Ma lo volevano entrambi.
Sciolse i lacci del corpetto con qualche difficoltà, aiutato dalla giovinetta che posò le mani sulle sue e ne accompagnò i movimenti, l’abito venne gettato sul pavimento e lei fu nuda tra le sue braccia, bianca e perfetta con quei piccoli capezzoli rosa, quel ventre piatto e le tenere forme acerbe di ragazzina.
Tyrion la fissò, incantato: “Sei bellissima…”
Tysha arrossì e lo attirò a sé, fece scivolare le dita sotto al suo farsetto e lo accarezzò con una tenerezza che Tyrion non avrebbe conosciuto mai più, una tenerezza che sapeva di amore e non di lussuria. Incapace di resistere ancora a quella dolce agonia, il Folletto la penetrò e lei si inarcò sotto di lui, affondandogli le unghie nella schiena e soffocando un grido di dolore.
“Per gli dèi!” boccheggiò il Folletto, spaventato: “Ti ho fatto male?”
Il viso di Tysha era contratto e sudato, ma gli sorrise con quella gentilezza che gli spezzava il cuore e scosse la testa, baciandolo sulle labbra. Un bacio che sapeva di vino e di buono, di calore e di Tysha, il suo primo bacio e l’unico che avrebbe davvero contato.
Aveva sempre pensato che la sua prima volta sarebbe stata con una puttana scelta per lui da Jaime o da suo padre, che le avrebbe messo tra le mani un sacchetto d’oro e si sarebbe comprato i suoi esperti gridolini di piacere, che avrebbe consumato l’amplesso guidato dall’arte della donna e poi ne avrebbe presa un’altra, e un’altra, e un’altra, per sfogare quella voglia che già si sentiva dentro da un po’.
Invece era lì, in quella locanda, sdraiato su un letto che all’improvviso gli sembrava mille volte più morbido del suo giaciglio di piume a Castel Granito, con una delicata, bellissima vergine che lo aveva accolto di sua volontà, pur dopo l’aggressione da poco subìta, anche se era un mostriciattolo e un nano, e che lo baciava fin nel profondo dell’anima. Mentre affondava in lei e ansimavano, stringendosi spasmodicamente l’uno all’altra, con il naso affondato nei suoi capelli, sussurrava il suo nome, Tysha, Tysha, Tysha, e Tysha rispondeva invocandolo allo stesso modo. La gioia era così forte che avrebbe potuto morirne. Raggiunse l’orgasmo fin troppo presto, squassato da una fitta di piacere acutissimo, e si lasciò cadere ansando accanto a lei, stringendola subito a sé per timore che svanisse. Lei lo strinse a sua volta, accarezzandogli i capelli, incurante del sangue che aveva macchiato il biancore del materasso, e si mise a canticchiare una canzoncina melodica, dolce e triste al tempo stesso, che s’insinuò come una ninnananna nelle orecchie di Tyrion.
Si asciugò sudore e lacrime dal viso e sussurrò: “Che canzone è?”
Tysha si girò e posò le labbra sulle sue, appoggiandogli poi la testa sul petto: “Viene da Myr” rispose, con voce esausta ma felice: “Si chiama Le stagioni del mio amore”.
“È bella” disse il Folletto.
Come te.
Tysha sorrise e chiuse gli occhi, lasciandosi andare al sonno.
Il mattino dopo, Tyrion Lannister era innamorato perdutamente.
 
Angolo autrice: Bene…non ho molto da dire, anche perché vi ho ammorbati abbastanza con il chilometrico capitolo che spero non chiuderete schifati sperando di dimenticare l’esperienza traumatica XD la storia di Tyrion e Tysha la conosciamo tutti, l’ho sempre trovata straziante e bellissima al tempo stesso…chi ha letto i libri poi sa qual era la verità vera, quindi il tutto è ancora più doloroso…ma anche la bellissima serie si avvicina al punto in cui si scopre il mistero, non vedo l’ora ;) coomunque…sentivo il bisogno di raccontarla per bene, visto che appare solo nel breve racconto di Tyrion a cui ho cercato di rifarmi nel modo più fedele possibile. Sarà una two shot perché se era one veniva veramente enorme, suddivisa in due capitoli di simile lunghezza di cui questo è il primo. Tysha non compare mai, ne ho dato la mia interpretazione, una ragazza dolce e timida ma profonda e capace di andare oltre le apparenze : ) quanto a Tyrion, il mio personaggio preferito di GOT…è un tipo complesso e questa è la sua “versione tredicenne”, io me lo immagino più o meno così a quell’età, molto più inesperto in fatto di sesso (ma si capisce che è pronto a darsi da fare XD) ma comunque intelligente e ironico, e con una mente acuta e già adulta perché è dovuto crescere in fretta con tutto quello che ha dovuto passare : ) spero di non aver fatto un disastro! Tengo molto a questa storia, se mi lascerete una recensione mi farete la donna più felice del mondo, in ogni caso vi saluto e ringrazio tutti coloro che passeranno di qui, un bacione grande!
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