Disclaimer: I personaggi contenuti in questa storia non mi
appartengono, e non scrivo a scopo di lucro.
Buonasera fandom *_*
Questa si è scritta da sola, mentre ascoltavo “Time of our lives”,
davvero, io non ho colpa *si nasconde*
E sì, si è pure pubblicata sola u_u
Se vi lascia un qualcosina anche di piccolo piccolo, fatemelo sapere, mi raccomando <3
We’re still here
But if it has to end
I’m glad you have been my friend
In the time of our lives
[Time of our lives,
Tyrone Wells]
Ti stringi di
più nel plaid, avvicinandoti ancora un po’ a Sherlock.
Entrambi guardate le stelle.
Lo fate quando è possibile, quando il clima decide di
essere magnanimo e vi concede una serata tiepida ma non umida – l’umidità non
fa bene alle ossa. Il cielo, lì nelle campagne del Sussex,
è quasi sempre sgombro da nuvole altresì onnipresenti, in Inghilterra.
Non avete più la forza e la salute di quando eravate
soliti inseguire criminali per le strade di Londra, e non potete permettervi di
restare seduti sul dondolo in veranda in una serata fresca o umidiccia. Ne
sentite poi l’effetto per giorni.
Ma non vi dispiace.
Le stelle sono sempre affascinanti, ma l’interno della
grande villa Holmes è caldo, accogliente e rappresenta, per quanto possibile,
l’interno di quella che era la vostra casa a Londra – la carta da parati
marrone e beige ricopre l’intera muratura interna, laddove le grandi vetrate ne
permettono l’utilizzo, e persino uno smile giallo sorride loro quando vi girate
per guardarlo. È stato difficile, ma alla fine siete riusciti a ricreare molto
del soggiorno del 221b di Baker Street – persino Billy [1] è sul camino, e a
volte sembra guardarvi.
Sono ormai sette anni che vi siete ritirati dalla
caotica Londra e che abitate qui, l’uno necessario all’altro, e null’altro di
cui potreste aver bisogno.
Sherlock appoggia la testa sulla tua spalla. È diventato
un gesto così abitudinario che tu non ci fai più caso. Ma ti piace, vero, John?
Se così non fosse l’avresti imposto nei limiti da non oltrepassare molto, molto
tempo addietro.
Il suo respirare lento e regolare ti ricorda le prime
volte che lo faceva con la testa sulla tua spalla, a chilometri di distanza,
nella penombra del soggiorno di Baker Street, l’unica luce proveniente dalla tv
che donava al tutto una parvenza di irrealtà. Eri solito irrigidirti, le prime
volte. Ma poi, col passare dei mesi – specie dopo l’episodio del Barts – hai iniziato a passargli il braccio attorno le
spalle e una mano tra i ricci arruffati, e hai iniziato ad aspettare le sere
per quel piccolo momento di intimità – l’unico che ti concedeva.
Adesso le tue articolazioni non ti permettono di
ripetere il movimento, così ti limiti ad appoggiare la tua testa sulla sua e a
sospirare, sereno.
“Vorrei poterlo fare ancora”, ti decidi infine a
parlare. “Vorrei poterti passare la mano attorno alle spalle e stringerti forte
a me per non lasciarti andare mai”.
Sherlock sposta lo sguardo dalle stelle su di te. Tu non
riesci ad incontrare i suoi ancora impossibili occhi cangianti, un po’ per
vergogna, un po’ per malinconia. Ma lui ti sta continuando a fissare con il suo
sguardo alla – ci potresti mettere la mano sul fuoco – ‘non parlo finché non ti volti’. E siccome lo conosci troppo bene,
sospiri e ti arrendi all’inevitabile, facendo vagare i tuoi occhi prima sulla
campagna illuminata dalla luna che si staglia davanti a voi, poi sull’orto alla
vostra destra, sull’arnia ormai vuota di Sherlock, e infine ti decidi a mettere
a fuoco lui, seduto accanto a te.
“Va benissimo così” mormora Sherlock, e tu sai che lo
pensa davvero, ma non puoi fare a meno di distogliere lo sguardo, triste.
Senti il braccio destro di Sherlock liberarsi dall’abbraccio
caldo del plaid in lana, e non hai tempo di chiedergli cosa – o anche solo preoccuparti di cosa stia facendo perché
una sua mano soffice si posa sulla tua guancia, facendoti sollevare il viso e
lo sguardo. Obbligandoti a guardarlo ancora.
“John”. È fermo e autoritario, come lo è sempre stato,
e a te fa piacere sentirlo parlare in quel tono – nel suo tono. Sherlock sembra leggerti nella mente come al solito. “È il
ciclo naturale della vita. Non serve che te lo ricordi io, John, eri un medico,
se la memoria non mi inganna” dice Sherlock, e l’angolo destro delle labbra si
alza spontaneamente verso l’alto, in un sorrisetto.
Tu gli regali un sorriso e rotei gli occhi al cielo, ma
non puoi impedirti di pensare alla sua frase: ‘È il ciclo naturale della vita’.
È vero, pensi. Eppure, quella
nostalgia è ancora lì, a farsi sentire, come un peso che non vuole scostarsi
dallo stomaco.
Sherlock, vedendoti distogliere ancora lo sguardo,
continua. “Le persone nascono, crescono, muoiono. Per qualche motivo certe vite
sono più piene, più belle di altre, e sta a te e a te soltanto il decidere come
trascorrere la tua. Ma una volta che questa volge al termine, non devi rammaricarti.
Guarda indietro a tutto ciò che hai avuto, ciò che hai fatto, e se ti ritieni
soddisfatto, se c’è almeno una persona al mondo alla quale mancherai, allora
non essere triste: il tuo ricordo vivrà in essa”.
Ti sente irrigidirsi un poco, perciò distoglie lo sguardo
da te e lo posa di nuovo sulle stelle, concedendoti un attimo di privacy – sa quel
che sta per accadere, ti conosce troppo bene. Tu volti la testa verso sinistra
appena in tempo, perché il pizzicore acuto negli occhi si trasforma presto in
due lacrime solitarie, che scendono con lentezza sul tuo viso.
Sherlock si limita a stringerti il braccio destro con
la sua mano, da sotto il plaid. È un’occasione rara ottenere da Sherlock l’essere
lasciato da solo per qualche istante, in momenti come quello, e tu lo ringrazi
mentalmente.
Ma dura poco: non sono passati ancora quindici secondi,
che già la sua mano destra ti reclama ancora per sé, facendoti voltare di nuovo
verso di lui.
Lo guardi negli occhi quasi senza vergogna ora, perché sebbene
quelle occasioni di malinconia siano diventate sempre più frequenti, passano
relativamente in fretta – e non vuoi pensare che vuoi solo osservare il suo
viso il più possibile, imprimertelo sempre più a fondo nella memoria, perché quei
giorni sembrano essere l’ultima occasione per farlo.
“Hai ragione”, sussurri, avvicinandoti un poco ancora a
Sherlock.
“Come sempre”, è tutto ciò che ottieni come risposta,
prima che Sherlock ti si avvicini e accarezzi le tue labbra con le sue, gentilmente,
e tu rispondi premendole con più forza su quelle di Sherlock.
È solo un bacio a stampo, non diverso da tutti quelli
che vi siete scambiati finora, e a te va benissimo così.
Il sentimento che provate l’uno per l’altro trascende
la banalità del corpo e dell’amore, le stupide convenzioni sociali e le
etichette inutili. Non c’è mai stato nulla di più, ma davvero non potrebbe
essere più perfetto.
Vi allontanate di qualche centimetro dopo pochi
istanti, e gli sorridi. “Hai ragione. Conoscerti è stato ciò che ha reso la mia
una vita degna di essere vissuta. Grazie” sussurri.
Sherlock scuote la testa e basta, sorridendo. “Torniamo
dentro, John. Sta diventando più fresco, e il fuoco del camino ci attende”.
Alcuni istanti di silenzio precedono le tue parole. “Potremmo
andare a letto e basta questa sera, Sherlock?” gli chiedi. Non hai altra voglia
che stenderti sul letto e rimanere abbracciato a Sherlock, e addormentarti con
la certezza di averlo a fianco –una volta ancora.
“Ma certo”, è tutto ciò che risponde.
Gli sorridi ancora, iniziando a togliere il plaid da sopra
di voi e piegandolo, senza l’aiuto di Sherlock.
Non lo fa mai, e va bene così.
[1] È il teschio di Sherlock.