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Autore: EdAl    06/04/2008    2 recensioni
Scritta a due mani. Per sfuggire a pregiudizi, la novella allenatrice Alena Elric decide di fingersi un ragazzo per partire alla volta delle palestre; Nel mentre, la vita dello svogliatissimo Mickael Cross cambia di punto in bianco a causa di uno "sfortunato incidente". Storia incrociata di due allenatori alle prime armi.
Genere: Romantico, Avventura, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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E' un tonfo violento a svegliarmi, facendomi alzare in piedi di scatto sul letto. Mi guardo attorno, cercando di tranquillizzarmi: libri sparsi sul pavimento della mia stanza; devono essere caduti dalla scrivania. Sono stata proprio brava a lasciarli lì in bilico, in precario equilibrio tra la lampada decorata ad ambiente marino e un astuccio color giallo canarino. Un fruscio alle mie spalle mi fa trasalire, ma è solo il Persian di mamma: non si è mai dimostrato aggressivo, nulla di terrorizzante, quindi. -cattivo Persian, cattivo!...- lo rimprovero, rendendomi immediatamente conto del fatto che dev'essere stato lui a far cadere i libri dalla scrivania. -E dire che sono solo...- un’occhiata alla sveglia sul comodino -le sei e mezzo?! Oh,maledizione!- sbotto, lasciando ricadere bruscamente le braccia lungo il corpo, avvilita. Non riuscirò mai a riaddormentarmi, questo è poco ma sicuro. -bah, tanto vale alzarsi…- brontolo parlando a me stessa, un po’ stupidamente. Se qualcuno mi vedesse ora penserebbe che sono matta, ma quando si trascorre molto tempo da soli, sentire una voce è qualcosa di assolutamente confortante. I miei genitori lavorano molto; mia madre è una giornalista, da lei ho ereditato l’amore per la scrittura; è costantemente indaffarata con il suo lavoro, e anche quando è a casa spende tutte le sue energie nei lavoretti domestici, nei quali, purtroppo, io sono abbastanza negata. Papà invece è un uomo d’affari, il lavoro è tutta la sua vita, tanto che non è quasi mai a casa. Forse per questo motivo –non era possibile lasciare la casa incustodita-, forse perché mia madre è incredibilmente ansiosa, all’età di dieci anni io, a differenza di quasi tutti i miei compagni di classe non ho avuto la possibilità di ricevere il mio primo pokèmon e partire, per andare di città in città a raccattare quante più medaglie possibili. Dico quasi perché alcuni non sono potuti partire a causa di problemi economici; d’altronde non tutti possono permettersi di spendere tanto per un viaggio così lungo e rischioso. Ma quest’anno, dato che mamma sarà molto più presente a casa e io ho finalmente compiuto –in autunno- i quindici anni (età che mi rende, agli occhi di mia madre, sufficientemente grande e responsabile per viaggiare da sola), potrò finalmente lasciare questa minuscola città tra le colline e diventare qualcuno. Che grande visione di me stessa ho, vincitrice della lega del pokèmon nazionale! Mi crogiolo nei miei pensieri per qualche secondo, poi decido che è ora di scendere in cucina a riempirsi lo stomaco: ieri ho comprato una torta niente male…

Venti minuti più tardi, sono pronta per vestirmi. L’appuntamento al laboratorio del professor Rowan. è alle otto, ragion per cui ho ancora un’ora a disposizione. Dopotutto alzarsi prima non è stata una cattiva idea, ho potuto fare colazione con calma. Quando rientro nella mia stanza, trovo Persian acciambellato sul letto che fa le fusa. –Grazie, Persian- gli dico, mentre attraverso la camera in pochi passi e mi fiondo davanti allo specchio. La solita ragazzina bionda mi guarda un po’ stralunata, con gli occhi stanchi. “Che giornata importante è oggi”, mi dico, mentre un sorriso raggiante compare sulle sue labbra “Una giornata davvero importante…mi chiedo come sarà il mio primo pokèmon”. Indosso un paio di pantaloni neri, una maglietta a maniche corte acquistata recentemente e la mia inseparabile felpa nera col cappuccio. Ai piedi, scarpe da ginnastica nere con la punta bianca. A completare il tutto, una cintura borchiata. –pronta!- urlo alla mia immagine riflessa nello specchio, e lei fa lo stesso. Forse è ancora presto per uscire, ma non importa. Dopo poco, sono già in strada. Quando arrivo allo studio del professor Rowan. Non trovo nessuno fuori ad aspettare di entrare; forse è davvero troppo presto. Invece, il professore è già dentro, intento a gironzolare qua e là con uno strano apparecchio stretto in una mano. Non ho mai visto nulla di simile. –arrivo, arrivo..- lo sento borbottare tra se e se quando mi nota, guardando fuori dalla finestra socchiusa. –sei la prima ad arrivare? Molto bene- Io sorrido facendomi coraggio quando lui mi invita ad entrare, ma il mio cuore batte all’impazzata. Sono troppo nervosa. Mi guardo attorno per non pensare: l’ambiente è piccolo, e ingombro di strani macchinari. Un Persian molto simile a quello di mia madre ronfa beatamente sdraiato su un cuscino in un angolo. –allora, siccome sei la prima, hai diritto ad un pokèmon speciale…- sento il professore dire, e subito riporto l’attenzione sulla sua figura. –come?- domando, un po’ stupita. Mannaggia, mi ero già preparata a scegliere tra i tre pokèmon starter, ma evidentemente sono stata sfortunata. O fortunata? –di che pokèmon si tratta?- domando a bruciapelo, sperando che lui mi risponda senza troppe cerimonie, cosa che, ovviamente, non accade. –oh, lo vedrai tra poco…sai, è un pochino irrequieto, ma sono sicuro che andrete d’accordo…- Perfetto, un pokèmon con dei problemi. Ci mancava. Lo seguo fin dentro un’altra piccola saletta. Al centro di questa, su un tavolo, è stato sistemato un altro cuscino del tutto identico a quello sul quale sta riposando il Persian del professore e sul suddetto cuscino, un batuffolino color giallo acceso con delle strane rigature marroni sulla schiena sta riposando. Ha una coda curiosa, a forma di saetta, metà gialla e metà marrone, e lunghe orecchie dalla punta nero inchiostro. Le guance del piccolo pokèmon, invece, sono paffute e tinte di rosso. Un roditore incredibilmente colorato. –ti presento Pikachu- esclama il professore, -l’ho catturato io stesso nel bosco stamane. Sembrava ferito, ma mi sbagliavo, è in ottima forma!- mi spiega, con un sorriso. -E ora ha bisogno di un allenatore!- aggiunge, mentre il pokèmon, destato dalla sua voce, apre gli occhi e si rizza in piedi. È davvero carino, con quei suoi grandi occhioni scuri! –è tenerissimo- dico a mezza voce, sorridendo. –vero? Vieni a presentarti a lui- mi invita il professore, facendosi da parte. –ciao piccolino- lo saluto, avvicinandomi. –sono la tua nuova allenatrice. Mi chiamo Alena.-

Avvicino timida una mano al pokèmon, lascio che l’annusi, poi, provo ad accarezzarne la testolina morbida. Pikachu mi lascia fare, senza fiatare né muoversi. All’inizio avverto solo la morbidezza del pelo della bestiolina, poi un anomalo crepitio elettrico e un intenso calore sulle dita. -..ma che?!..- esclamo, allarmata, ritraendo la mano all’istante. Mi volto verso il professore; non dico nulla, ma sono sicura che la mia espressione parli da sola. –oh,non preoccuparti, non preoccuparti!- mi rassicura lui, tornando nuovamente al mio fianco. –Pikachu è un pokèmon di tipo elettro, l’elettricità è la sua arma di difesa e d’attacco. Scorre nel suo corpo, è dentro di lui, capisci. Ora sarà un po’ nervoso, è normale…- Normale o no, spero che Pikachu si calmi un po’, non mi va di venire fulminata. –prova…prova a fargli capire che sei sua amica, vedrai che si tranquillizzerà…- Annuisco poco convinta, tornando a posare lo sguardo sul piccolo pokèmon elettrico. –sta’ buono, Pikachu- gli dico, con un sorriso –sono tua amica, sai? Da oggi saremo inseparabili…beh, dovremo esserlo, viaggeremo insieme…- Pikachu inclina un poco il capo a sinistra, emettendo un debole “pikà”. Che verso carino. –si, si, hai capito piccolino? Mi ripresento, mi chiamo Alena, sarò la tua allenatrice da oggi in avanti. Se Pikachu non ti piace, ti troverò un soprannome, potrai aiutarmi tu stesso a scegliere, basta farmi capire quale ti piace e quale no..- Un altro “pikà”; Pikachu sembra più sereno, ora. –molto bene- si intromette il professore, -questo è per te- Mi volto in sua direzione proprio per vedermi consegnare lo strano apparecchio del quale non conoscevo il nome. Fino ad ora. –questo è un pokèdex- mi spiega l’esperto di pokèmon, -i dati di ogni pokèmon che catturerai o anche solo incrocerai sul tuo cammino verranno registrati su questo apparecchio. Puoi utilizzarlo per avere delle informazioni preziose sull’esemplare che hai davanti.- Soddisfatta della spiegazione, punto il pokèdex in direzione di Pikachu, subito sul piccolo display dell’apparecchio compare una descrizione del pokèmon e una voce metallica si spande nell’aria, declamando:

Numero 25, Pikachu. Pokèmon elettrotopo. Comune in molte foreste, vive in gruppo. Se l'elettricità contenuta nelle sacche sulle sue guance scoppietta, significa che è diffidente. Con la coda ritta sonda i dintorni. Se gliela si tira si innervosisce, si gira e cerca di mordere. Quando vari Pokémon di questa specie si radunano, la loro energia può causare forti tempeste.

Al termine della spiegazione, ripongo il pokèdex in tasca alla bell’e meglio e torno a guardare Pikachu che, muovendo appena le orecchie, mi sta fissando incuriosito. –si, parlavo di te- sorrido, accarezzandogli nuovamente la testolina, coraggiosamente. Questa volta, non avverto alcun crepitio sospetto. –bravo, piccolino- gli dico, prendendolo in braccio. Straordinariamente, il piccolo pokèmon non fa storie. –dov’è la sua sfera?- chiedo poi al professore, continuando ad accarezzare il mio primo pokèmon sulla testa. –da questa parte- mi dice lui. Ritorniamo nella prima sala, dove il professore corre a recuperare una pokèball vuota da uno scaffale. –ecco qui- E’ con grande emozione che stringo la mia prima sfera pokè in mano, prima di poggiare delicatamente Pikachu sul grande tavolo al centro della stanza e gridare: -Pikachu, ritorna!- In pochi secondi, Pikachu è nella sfera e il suo dolce musino è scomparso dalla mia vista. Cavolo, che bella sensazione. –Ecco fatto- dico, più rivolta a me che al professor Rowan.. –tu sei… Alena Elric, giusto?- mi domanda lui, controllando sullo schermo su un computer. –di anni 15, compiuti il 5 novembre dell'anno scorso- Annuisco, infilandomi la sfera con Pikachu nell’altra tasca. –Benissimo, Alena Elric. Puoi andare, ora sei a tutti gli effetti un’allenatrice di pokèmon.- Sorrido raggiante, mentre ringrazio il professore, poi mi dirigo verso l’uscita. –torna quando tu e Pikachu avrete fatto progressi!- mi urla dietro il professore, mentre esco dal laboratorio. –e dagli da mangiare delle mele, i Pikachu ne vanno matti!-

All’esterno, una folla di ragazzi e ragazze vocianti di tutte le età in attesa di ricevere il loro primo pokèmon. Velocemente mi faccio largo tra di loro, raggiungendo la strada principale. Prossima tappa? Il pokèmon market più vicino!


Una melodia incredibilmente familiare ed allo stesso tempo irritante; senza apparente motivo la mia mano si dirige svogliatamente verso il comodino ed afferra qualcosa. Apro lentamente gli occhi, mentre mi rendo conto di quello che stringo, il mio cellulare. Una leggera pressione ed ecco che si apre mentre lo accosto all’orecchio; affondo il viso nel cuscino, le mie labbra si dischiudono in un naturale e scontato rituale. -…si?-. –Mickael, stavi dormendo?!- la voce di mio padre provenire dall’apparecchio mi fa sfuggire un rantolo; qualche secondo e mi degno di rispondere mentre mi rigiro nel letto, il soffitto sembra così interessante se paragonato alla conversazione che sto per avere –Si, perché…?-. La risposta non tarda ad arrivare, forse era meglio continuare a fare finta di dormire –Perché ho bisogno di una mano, oggi arrivano i nuovi pokedex ed i nuovi allenatori sono passati a fare razzia di sfere…devi andare a Giubilopoli a prenderle, ho già telefonato per l’ordine-. Lancio un’occhiata all’orario indicato sul display, sono le 8 –Devo?...Ora?- Domando seccato e per niente intenzionato ad alzarmi; eppure il mio atteggiamento non sembra sortire alcun effetto –Si, ora...muoviti- “click”. Rimango qualche secondo immobile, preso dall’interessantissima vista del soffitto dalla mia stanza; poi, lentamente, porto davanti al mio viso il cellulare. Un respiro profondo mentre assottiglio lo sguardo sulla scritta “chiamata terminata”; inconsciamente stringo la mano attorno alla sagoma del telefono, l’istinto di lanciarlo contro il muro è incredibilmente forte ma mi limito semplicemente a buttarlo senza troppa cura sul materasso. Mi tiro a sedere buttando all’aria la coperta e sbuffo irritato mentre mi do un’occhiata nello specchio fissato alla parete davanti a me. Trovo che l’aria di qualcuno che sta per commettere un omicidio mi stia benissimo, un lieve sorrisetto divertito mi nasce spontaneo mentre mi mordo il labbro inferiore; con una passata di mano sollevo i ciuffi castano ramato che mi ricadono davanti al viso. Le mie iridi, d’un marrone così chiaro da sembrare oro, si sollevano assorte ad osservare il mio taglio di capelli; per qualche strano motivo stanno su senza l’utilizzo di cosmetici, vento permettendo ovviamente. Sbadiglio senza preoccuparmi di coprire la bocca; il ragazzo nello specchio ora mi guarda con compassione, senza accorgermene probabilmente lo sto ricambiando con la stessa moneta. Entrambi ci alziamo, io mi dirigo verso l’armadio mentre lui scompare oltre il limite della cornice; spalanco le ante lasciando che il mio sguardo si perda fra svariati capi d’abbigliamento, il pensiero nel frattempo va al mio alter ego dello specchio…chissà cosa starà facendo lui in questo momento?.

Una semplice t-shirt nera col colletto, il giubbotto grigio scuro del negozio ed un paio di pantaloni bianchi coi tasconi; mi infilo le sportive grigio scuro ai piedi, e sono pronto. Torno un attimo davanti allo specchio per constatare che, il ragazzo dall’altra parte, si è vestito esattamente come me; gli ammicco con fare complice mentre lo indico con l’indice tenendo sollevato il pollice, tipo pistola. –Niente male il tuo stile…- sistemo il colletto della giacca ed esco dalla stanza. Mentre mi vengono incontro i pokémon di casa mi soffermo a pensare che, forse, è meglio smettere di parlare con la mia immagine riflessa; va bene essere associali, ma alla decenza c’è un limite. –Giù, state buoni idioti…- domo le belve con rapide carezze sul capo mentre mi faccio strada fra loro cercando di non inciampare; un Poochyena sovrappeso che quando si arrabbia fa davvero paura ed un Growlithe così tonto ed appiccicoso che, quando abbaia, non intimorirebbe nemmeno uno Starly. Sul divano, appallottolato come al solito, il Meowth di casa; opportunista e menefreghista riesce sempre a farsi volere bene da tutti. –Mamma, esco per una consegna…- esordisco mentre passo una mano sul testone del gatto, in risposta ricevo solo un confuso mormorio proveniente dalla camera dei miei; com’era prevedibile dorme, il market è aperto 24 ore su 24 ed i miei genitori sono costretti a fare i turni per mantenere attivo il servizio. Afferro il mio lettore mp3 infilandomelo al collo, non mi trattengo oltre ed esco chiudendo dietro di me la porta di casa. Il venticello fresco della prima mattina mi sveglia completamente mentre inforco la bicicletta, mi guardo attorno e senza troppa fretta mi porto gli auricolari alle orecchie; una pratica sconsigliata ma irrinunciabile. Un piccolo bip ed ecco che la musica Metal mi raggiunge i timpani; ora con rinnovato vigore afferro le due estremità del manubrio per poi cominciare a pedalare energicamente verso Sabbiafine. Il percorso 201 è incredibilmente corto, non me ne accorgo nemmeno e sono già in città. Rapidamente passo davanti al laboratorio, al di fuori di quest’ultimo una fila non trascurabile di aspiranti allenatori. Accenno un sorrisetto divertito valutando l’idea di prolungare la consegna il più possibile, così molti di loro dovranno farsi la strada fino alla prossima città; solo per quelle stupide sfere. Tiro i freni solo quando arrivo davanti alla porta del market, tranquillamente scendo e la appoggio la bicicletta al muro; niente lucchetto, ci vorranno pochi secondi…spero. Un purtroppo prematuro bip segnala lo spegnimento del mio mp3; a malincuore tolgo gli auricolari dalle orecchie per poi scollegarli dall’hardwere, infine li ripongo al sicuro in tasca. Sono a qualche metro dalle porte scorrevoli quando queste si aprono facendo strada a 3 ragazzini, poco più che bambini, che escono imbronciati dal negozio –Niente sfere! Bàh! Perché non lo chiudono? Se non sanno nemmeno gestirlo!-. Non si curano nemmeno di allontanarsi lanciandosi in svariati commenti al riguardo; dal canto mio, mi limito solo a passare fra di loro urtandoli volontariamente. Quello che pare il “leader” del gruppetto quasi perde l’equilibrio, un attimo di smarrimento e poi si volta contrariato verso di me. Non ha neanche il tempo di aprire bocca prima che il mio sguardo gelido lo raggiunga, giusto lanciato con la coda dell’occhio basta ad intimorirlo. Pochi passi prima che le porte si richiudano dietro di me celando, con i brillanti riflessi dei loro vetri, la mia figura ed il marchio del pokemarket che porto sul retro del giubbotto. –Cosa ci fai qui?- la voce di mio padre mi raggiunge ed io mi limito semplicemente a lanciargli un’occhiata di sufficienza. –Sono venuto a prendere la fattura- mi giustifico con un velo di retorica a coprire le mie parole; ricordo perfettamente la telefonata, ma non voglio correre rischi.- Ma sei scemo? Ti conosce da una vita, sa che dopo passo a pagare io!- sbotta improvvisamente suscitando in me giusto una vaga sensazione di fastidio; sollevo le spalle lasciando vagare la mia attenzione all’interno del locale, credo capisca da solo che la sua argomentazione non mi interessa. –Senti, non voglio rischiare di farmi la strada per niente, sgancia la fattura così vado…- rivolgo nuovamente le iridi dorate verso di lui mentre mi avvicino al bancone; un solo eloquente gesto, gli tendo la mano ed aspetto il fantomatico foglio. Mio padre sbuffa irritato, ma comunque trascorrono solo pochi secondi prima che sul mio palmo venga posato un pezzo di carta accuratamente ripiegato. –Ora muoviti e vedi di stare attento…- si raccomanda il mio vecchio come fa sempre; eppure ho 16 anni, credo di saper badare a me stesso! –Si si…lo so- mi limito a rispondere seccato mentre mi volto verso l’uscita; allontanandomi sollevo giusto la destra in segno di saluto mentre infilo la fattura al sicuro in una tasca del giubbotto. Appena varco la soglia del negozio lancio un rapido sguardo al laboratorio dove sono in fila numerosi aspiranti allenatori, fra di loro ci sono anche i responsabili della mia scomoda consegna; a quel pensiero le mani vanno a stringersi con forza al manubrio della bici, giusto il tempo di scostarla dal muro e montarvi sopra. Un ultima occhiata in direzione dell’edificio assediato per notare distaccarsi dal gruppo una biondina; dalla distanza non sembra per niente male, ma il pensiero che sia un’allenatrice mi trattiene dall’indugiare ancora fuori dal pokemarket. Attenzione che ora si riporta sul mio lavoro; in piedi sui pedali riprendo a pedalare rapidamente verso Giubilopoli.
  
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