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Autore: Pink_    12/10/2013    1 recensioni
"Siamo su una spiaggia. Non una vera spiaggia, in realtà; quelle spiagge lì adesso sono tutte sott'acqua.
Siamo al porto e la carneficina sta per iniziare. Devono scegliere solo tre nomi, tre.
Tre nomi, tre giovani e poi l'Abisso potrà mangiare. L'Abisso ha sempre fame, chiederà altro cibo. Ed altri tre nomi, tre ragazzi, le enorme fauci dell'oceano dovranno affrontare."
Genere: Avventura, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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ABYSS


 
1.
La pioggia picchiava sul vetro appannato della finestra quando mi svegliai. Fuori era buio; la trapunta che mi ero messa sulle spalle era scivolata sul pavimento. Brividi di freddo mi percorrevano il corpo ed i piedi erano completamente congelati. Tossii e mi alzai dal misero mucchietto di paglia posto sul pavimento e gettai uno sguardo verso il letto matrimoniale dei miei genitori. Mia madre dormiva tranquilla, una lieve smorfia di dolore le spuntava sullle labbra. Il volto scavato, le guance umide: capii aveva pianto per tutta la notte. Sul cuscino accanto a lei vi era un portafoto. 
Il sorriso di mio padre, lucente e bellissimo, spiccava nella foto in bianco e nero. Mi mordicchiai un labbro, furiosa con me stessa per non avere il coraggio di gettare via quella foto. Mamma aveva sofferto tanto per lui, non meritava di essere ricordato.
Nè come marito, nè come padre.
Getto un'occhiata all'orologio: le cinque del mattino, troppo presto per andare al mercato. 
<< Leona? >> sento sussurrare. Mi volto: mia madre ha gli occhi spalancati. Le iridi azzurre sono un mare di tristezza e solitudine: << Ho fatto un brutto sogno >> mormora.
La guardo con dolcezza e mi siedo sul letto, prendendole la mano: << Appunto, era solo un incubo >> le sussurro, accarezzandole i capelli. 
E' così fragile.
<< Ma sembrava...così reale >> 
<< A volte gli incubi lo sono >>. Mi guarda ed io guardo lei. I suoi occhi si riempiono velocemente di lacrime e so che sta facendo appello a tutte le sue forze per non crollare. 
<< Vado a prenderti le medicine >> le dico. Lei annuisce e chiude gli occhi, mentre io mi alzo e mi dirigo verso la cucina. Una stanza piccola e spoglia come la camera da letto. Apro lo sportello di una mensola, prendo le pillole e le riempio un bicchiere d'acqua. Torno in camera da letto e mi risiedo accanto a mia madre: << Non dovresti stare qui ad accudirmi Leona. Sei giovane, dovresti divertirti con quelli della tua età >> dice, con la sua solita voce flebile. Scuoto la testa, facendo ondeggiare i capelli rossi, raccolti in un'altissima coda di cavallo spettinata. 
<< Se tu muori, la tristezza sarebbe talmente tanta che non riuscirei a divertirmi con quelli della mia età. E poi sai che nessuno esce mai di casa. Hanno troppa paura dell'Abisso >>. Mamma borbotta qualcosa ed ingoia le pillole, prendendo un sorso d'acqua. Poso il bicchiere sul comodino accanto al letto e mi alzo, dirigendomi alla finestra. La pioggia continuava a scendere ed enormi pozzanghere continuano ad allargarsi sul suolo. Il terreno tra poco sarà ricco di vermi. Osservo l'Oceano, a pochi passi dalla nostra casa e da quelle degli altri. Un'enorme distesa d'acqua che come uno specchio riflette il grigio del cielo.  
<< Che giorno è oggi, Leona? >> chiede mia madre, poggiando la testa contro il cuscino. Sospiro.
<< Il primo di Gennaio >> rispondo, facendo scendere il nodo che mi si era fermato in gola. Sento un singhiozzo strozzato di mia madre e respingo l'impulso di girarmi. 
E così era passato un altro anno. Era il momento di ritornare al porto. 
La urla strazianti dei genitori angosciati e dei parenti disperati mi rieccheggiava nella testa, come un eco infinito. Tutto era successo molti anni fa, quando i miei genitori erano ancora in fasce. I poveri pescatori che non avevano trovato fortuna nelle grandi città, decisero di creare un villaggio tutto per loro e quale posto migliore, se non la spiaggia? 
Costruirono casette, tutte in fila, rivolte verso il mare e nominarono sindaco mio nonno, che aveva diretto l'operazione. I primi anni furono fantastici, la gente prosperava e quel piccolo villaggio presto divenne una piccola città. Eravamo i primi a negoziare sul pesce e la gente veniva spesso a visitare la nostra pittoresca cittadina, che fu chiamata Sea.
Ma ogni medaglia ha un'altra faccia. 
Il Popolo Dell' Oceano, dalle mille mani cruente, non era stato molto contento della nostra intrusione nel loro territorio. Ci chiesero l'affitto.
Ogni anno, al primo del mese di Gennaio tutti i ragazzi compresi tra i sei ed i diciannove anni dovevano presentarsi al molo. Tre ragazzi, tre innocenti giovani venivano scelti e consegnati al carnefice: l'Abisso. Ognuno di noi ha una targhetta al collo, da portare sempre. 
Ogni primo Gennaio vengono messe in una boccia di vetro e da lì parte il sorteggio. Ho diciassette anni, ho quasi raggiunto l'età che mi permetterà di sfuggire all'insaziabile fame dell'Abisso. 
Ma oggi, ho ancora un'altra selezione d'affrontare. Col tempo anche la nostra economia è andata a farsi friggere. Nessuno vuole più pescare, hanno tutti paura di uscire e la nostra bella città è presto diventata spoglia e triste. 
Poggio la fronte contro la finestra, ha smesso di piovere. Fa decisamente più freddo. Afferro un vaso di terracotta e ne tiro fuori un pacco di fiammiferi. Ne accendo uno e lo getto nel camino, tra i rametti secchi che mi ero procurata ieri sera. La fiamma si accende quasi subito ed io mi siedo a terra, appoggiando la schiena contro il muro, i piedi nudi rivolti verso il fuoco.
<< Potresti non andare >> mormorò mia madre. 
<< Sai che non esiterebbero a venire qui, mamma >> ribatto, seccata. Avevo molta fame dato che non mangiavo da ieri sera. Mamma poggiò la schiena sullo schienale del letto, gli occhi rivolti verso il soffitto: << Tuo padre non vorrebbe.. >>
<< Non m'importa di quello che pensa quello stronzo, mamma. Ci ha abbandonate. E' scappato con un'altra. Ha deciso di non fregarsene nulla di noi due! >>
<< Non parlare così di tuo padre, Leona. E' pur sempre colui che ti ha permesso di venire al mondo! >>. Sbuffai, sciogliendomi i capelli. La discussione finì lì. Un'imbarazzante silenzio, interrotto solamente dallo scoppiettio del fuoco scese nella stanza. Puntai le iridi fredde come il ghiaccio, verso l'orologio. Le sei e trenta. 
<< Vado al mercato >> brontolai, alzandomi in piedi. Mamma mi squadrò da capo a piedi: << Ti sei fatta veramente troppo bella, tesoro. Prima o poi lascerai un'importanta indelebile nel cuore di qualche ragazzo >>. 
Le sorrido timidamente, indecisa su cosa fare. Mi infilo gli stivaletti, un paio di leggins ed un maglione verde petrolio. Indosso, prima di uscire, una vecchia giacca a vento.
<< Hai bisogno di qualcosa?! >> urlo, aprendo la porta. L'aria fredda mi pungeva il viso e sentii le dita delle mani intorpidirsi. 
Mia madre non rispose: segno che si era addormentata o che non aveva bisogno di nulla. 
Annuisco ed esco, sbattendomi la porta alle spalle.




Il mercato è l'unica zona di Sea ancora intatta. 
La gente compra e vende lì, per poi tornare a casa, nella propria solitudine. Come al solito, la piazza nella quale aveva luogo il mercato era già strapiena. L'odore inconfondibile del pesce fresco mi arrivò al naso quasi subito. 
Ignorando le bancarelle che mostravano caldarroste ancora calde, mi diressi verso La Guaritrice, per far rifornimento di medicine per mia madre. Mi fermo davanti alla tendina che fungeva da porta e la scosto con le dita, infilando la testa nella fessura che mi ero aperta:
<< Ehm..è permesso? >> chiedo, entrando completamente nella capanna. 
La Guaritrice era la persona più vecchia di tutta Sea e ne sapeva una più del diavolo. E si diceva fosse riuscita a sopravvivere all'Abisso. Nessuno conosceva il suo nome, nessuno conosceva il luogo in cui era nata.
Era semplicemente "La Guaritrice". 
Anche la capanna era piuttosto vecchiotta: le pareti in legno incrostato, i mobili ai quali mancava un piede e la branda coperta da spesse pelli d'orso al posto del letto. La Guaritrice era seduta dietro un tavolino di legno sul quale erano poggiati vari utensili che non avevo mai visto prima ed anche una manciata di erbe misteriose. L'anziana donna dal volto rugoso mi rivolse un'occhiata fugace. Gli occhi erano grigi e velati. Sulle braccia e le dita vi erano lunghe cicatrici, segni di battaglie contro Il Popolo Del Mare. Un'altra di queste le deturpava il volto. Una lunga e bianca cicatrice le partiva dalla fronte fino alla guancia, comprendendo l'occhio. 
Tossicchiai un po' prima di parlare: << Guaritrice, non è che potrebbe darmi ancora le pillole di ninfea? >> 
<< Sono proprio lì, sul mobile accanto a te. Prendine quante te ne servono >>. La sua voce era seria e dura ma allo stesso tempo molto confortevole. Annuii e mi voltai verso il mobile. 
La medicina, grazie alla Guaritrice è notevolmente migliorata. Ha scoperto cure per varie malattie e continua a regalarle alla gente, senza pretendere alcun compenso. 
Presi alcuni scatolini di pillole e le infilai in tasca. La Guaritrice cominciò a schiacciare varie erbe e vi versò dell'acqua bollente. 
L'odore di quella roba era davvero buono.
<< Hai bisogno di qualcos'altro, Leona? >> mi chiese. Mi morsi l'interno della guancia: << Oggi è il Primo di Gennaio, Guaritrice. Come ogni ragazza o ragazzo sono preoccupata >>. 
Un ombra scura attraversò il volto della Guaritrice: << La vita è la cosa più bella del mondo quando si sa che la si può perdere >> brontolò, continuando a girare la strana pozione che stava diventando una gelatina mollosa e appiccicosa.
Annuii. 
Lei rimase in silenzio per qualche secondo, poi mi guardò e sorrise: << Bambina mia, siamo nel territorio dell'Abisso. Lui è crudele e molto difficilmente risparmierà una vita >>. 
Annuii ancora una volta. 
Mi congedai poco dopo ed uscii dalla capanna. Avevo bisogno di mangiare e di portare qualcosa anche a mia madre. Mi avvicinai alla bancarella della carne e comprai carne di cervo essiccata, sufficente per una settimana. 
Per le vie vi erano già appesi tutti i cartelli che segnavano la nominazione di quella sera, come se nessuno sapesse che tre persone sarebbero morte. Vagai per le bancarelle ancora qualche secondo, poi ripresi la strada verso casa. Avevo bisogno di mangiare qualcosa e di riposare. 
Dovevo, ancora una volta respingere incubi nascosti nel mio cervello, che uscivano solo in quel periodo. Dovevo essere forte.
La pioggia riprese a scendere veloce, accompagnandomi nel mio cammino fino a casa.
  
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