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Autore: _Ella_    12/10/2013    2 recensioni
Lea non sarebbe mai arrivato in ritardo finché ci sarebbe stato Isa ad aspettare, non avrebbe mai tardato finché ci fosse stato qualcuno disposto ad attendere il suo ritorno in ogni caso.
Genere: Fluff, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Axel, Saix
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Love, all alike, no season knows, nor clime,
nor hours, days, months, which are the rags of time.
[The Sun Rising, John Donne]
 
Il sole è tiepido, bacia le loro guance come la più dolce delle mamme. C’è solo un po’ di vento di tanto in tanto, che porta con sé l’odore intenso dei fiori di Radiant Garden – è la classica giornata primaverile, e Lea se ne sta appollaiato sul tettuccio spiovente di casa sua come un grassoccio gatto malinconico e freddoloso, che vuole prendersi tutto il tepore che il sole gli mette a disposizione.
Isa lo scruta dal basso, fermo nel vialetto di casa sua. Non è per niente stupito che non abbia notato la sua presenza, visto quanto è impegnato a dare da mangiare a degli uccellini che hanno fatto il nido contro la canna fumaria del camino; ne sta tenendo uno nel palmo, riacchiappandolo subito quando fa un salto per non farlo cadere giù. Isa pensa che è quello che dovrebbe succedere (è normale che l’uccellino cada, con la testa o il becco o le zampe e muoia perché non è in grado di volare, oppure che batta forte le ali e riesca a salvarsi prima di precipitare per terra) ma è impossibile far capire a Lea che la natura è crudele solo perché fa il suo corso, solo perché alla fine restino i più forti in grado di sopravvivere da soli. Quando quei passerotti voleranno via non saranno in grado di trovare autonomamente del cibo e moriranno nel giro di qualche giorno.
Si abbassa a raccogliere un sassolino, lanciandoglielo dietro per richiamare la sua attenzione – Lea sobbalza e si gira di scatto, lui tiene il naso alzato e continua a guardarlo, in attesa.
«Oh, cavolo!» Lea finalmente realizza e sospira spiaciuto, grattandosi la nuca mentre gli rivolge un sorriso cristallino che dovrebbe aiutarlo a farsi perdonare, crede.
«Dovevamo vederci un’ora fa» Isa sbuffa, avvicinandosi di più alla parete per aggrapparsi alla rampicante, cominciando a salire per raggiungerlo sul tetto. Quando riesce finalmente ad arrivare in cima, cercando di ignorare che sono in alto e che se scivolassero di sotto si spaccherebbero la testa – e loro non hanno un bel paio di ali da poter usare –, lo raggiunge e si sistema al suo fianco, infilando le mani nelle tasche della felpa.
«Stavano imparando a volare» dice Lea per giustificarsi, acciuffando un passerotto tra le mani e facendoglielo vedere. «Però ho pensato che se fossero caduti si sarebbero fatti seriamente male, quindi non potevo perderli d’occhio proprio oggi, li controllo da quando si sono schiuse le uova».
Isa arriccia le labbra, annuendo. Ormai ha perso speranze che Lea ricordi l’orario preciso dei loro appuntamenti, o magari che li ricordi e basta. «Avresti potuto avvisarmi, Lea» dice e neppure lo guarda, scrollando le spalle e tenendo gli occhi fissi su una nuvola di passaggio per ignorarlo meglio.
«Poi non saresti venuto qui».
Lo sa che sta sogghignando, anche se non sta guardando. Sa che sogghigna ed anche molto soddisfatto, come se avesse appena vinto, ma Isa non ha intenzione di cedere come ha fatto altre volte.
«Non ti parlerò più se tarderai di nuovo» questa volta si premura di guardarlo, e quando lo vede gonfiare le guance ed imbronciarsi deve davvero impegnarsi per non baciarlo.
Lea sospira, ed alza le mani per avvicinare il viso del passerotto alla sua guancia – Isa arretra, aggrottando le sopracciglia. «Dai, guardalo» mormora, lamentoso. «È bellissimo».
«È spelacchiato» ribatte, cominciando a sentire il sedere intorpidito per la durezza delle tegole. «E non mi va di stare qui altri cinque minuti per vedere come fai loro da mammina» sbotta infine, decidendo di alzarsi per andare via prima che Lea dica un’altra delle sue stupidaggini.
Solo che stavolta Lea non dice niente. Si limita ad afferrargli il braccio e stringere la presa, ed Isa lo fissa un momento dall’alto prima di decidere di ritornare a sedersi, sospirando perché ammette di aver esagerato.
L’altro gli sorride sfrontato, senza lasciargli il braccio. «Cercherò di essere puntuale, allora» fa scivolare le dita sulla sua mano, disegnando coi polpastrelli sul suo dorso. Isa ingoia aria e coraggio ed intreccia le dita alle sue, e questa volta non lo guarda perché si vergogna, molto.
Percepisce il sorriso sinceramente sorpreso di Lea e darebbe di tutto per vederlo, ma ha paura che facendolo arrossirebbe più di quanto è consentito ad un ragazzo della sua età. Non si muove quando si ritrova la sua guancia premuta sulla spalla, continua solo a stringergli la mano e sospira, perché almeno quello gli è concesso.
«Idiota» dice.
Lea non sarebbe mai arrivato in ritardo finché ci sarebbe stato Isa ad aspettare, non avrebbe mai tardato finché ci fosse stato qualcuno disposto ad attendere il suo ritorno in ogni caso.
Poggia la guancia tra i suoi capelli, stringendo più forte la presa e puntando gli occhi sul passerotto quando volò via dalla sua mano, sfrecciando verso il cielo.
«Grazie per avermi aspettato» lo sente mormorare prima che gli stringa le braccia alla vita, lasciandogli un bacio sulla guancia che Isa sente scottare. Accenna un sorriso che tenta goffamente di nascondere, e prima che Lea se ne accorga gira il viso per ricambiare il bacio, premendo il naso contro il suo e guardandolo negli occhi – poi ride, perché Lea cerca di fare lo sfrontato per qualche secondo, poi va nel panico e distoglie lo sguardo, arrossendo più di lui.
«Idiota» questa volta è lui ad apostrofarlo, però poi socchiude gli occhi verdi e lo bacia, ed Isa non sa neanche più com’era la rabbia provata mentre lo aspettava.
 
«Ti credevamo morto, numero VIII».
Ti credevo morto, Lea.
Saïx lo dice come se gli mancasse il fiato, come se ammetterlo potesse renderlo reale. Sa che quello stato d’animo ha un nome, non vuole darglielo perché tanto non è reale (ansia, inquietudine, preoccupazione, paura). Adesso però Axel è lì, ammaccato e ferito e introverso come un animale che per curarsi ha intenzione di leccarsi le ferite e non farsi aiutare da nessun altro.
Vede il suo viso contrarsi in una smorfia, mentre sbuffa una risata che non potrebbe essere più forzata di così. «Beh, mi spiace deludervi, ma a quanto pare sono vivo».
«Idiota» non riesce a non dirglielo, ma almeno riesce a strappargli dalla faccia quell’espressione ironica senza squartargli il volto, quindi pensa che vada bene.
Axel lo guarda, seduto sul bordo del letto con le spalle tese ed il collo chino come uno dei più inquietanti avvoltoi. Rimane in silenzio per un po’, fasciandosi per bene le mani – ha i palmi che sembrano ustionati e probabilmente gli fanno davvero male se sta ignorando i tagli sul volto che continuano a sanguinare. «Strano» commenta poco dopo, alzandosi con fatica e zoppicando fin l’altro lato della stanza – si sfila il cappotto e comincia a curare le ferite sul petto, con delle lievi smorfie di dolore. «Avevi detto che non mi avresti più parlato se ti avessi fatto aspettare, Isa».
Saïx rimane impassibile, almeno cerca di farlo. «Riprenditi al più presto, ci servi per le altre missioni» gli volta le spalle e cerca di allontanarsi più in fretta possibile, poi glielo sente dire («Grazie per avermi aspettato») e tutto quello che vorrebbe è solo tornare vivi e non essere mutilato di qualcosa di così importante (quando non hai una mano puoi imparare ad usare l’altra, quando non le hai entrambe puoi imparare a superare il limite umano, quando non hai più un cuore non c’è niente che possa sostituirlo) tutto quello che fa è chiudere la porta.
Non sa neppure più quante lui e Lea ne hanno sbarrate dietro di loro e tra di loro, sa solo che non saranno mai in grado di riaprirle assieme – non è lui quello in possesso della chiave.







 
 

Che tipo ho anche il coraggio di presentarmi qui dopo un mese e passa con questa cagata epocale che ho scritto e riscritto e sistemato e risistemato per circa due settimane, il fatto è che è colpa di John Donne e queste sue frasi molto ad effetto da tizio che se lo crede che mi hanno subito ispirato una Isa/Lea - insomma, "L'amore, sempre uguale, non conosce stagioni, non conosce clima, non conosce ore, giorni, mesi, che sono gli stracci del tempo" è una frase che mi ha colpito e che mi ha fatta sentire in obbligo di scrivere qualcosa che facesse capire che sono le persone a cambiare, non il resto.
A dire la verità non so neanche se ne sono soddisfatta del tutto, ma dopo essermela portata dietro per tutto questo tempo (sempre, citazione necessaria) ed essere riuscita a finirla proprio stasera (sì è evidente che ho una vita sociale molto attiva insomma) ho davvero, ma davvero sentito il bisogno di pubblicarla e toglierla di mezzo, insomma.
Non l'ho neppure fatta betare, so già che me ne pentirò da MORIRE XD
Dopo tutto questo blablablabla infinito, colgo l'occasione per ringraziare quelle sciagurate 103 persone che mi hanno aggiunta tra gli autori preferiti e, seriamente, non ha senso. Aggiungete gente seria, ve ne prego XD
E adesso vado e basta, ho blatereggiato abbastanza ed a vuoto, spero che la fic abbia almeno un senso e che non ci siano errori improponibili.
Alla prossima! :333

   
 
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