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Autore: _Hikari    13/10/2013    3 recensioni
È questo il problema, ti correggi, accarezzando con lo sguardo il fodero di una spada.
È quel ricordo che non riesci a scacciare che ti pervade la mente, è quella stretta allo stomaco che sembra essere sul punto di soffocarti. È quella sensazione a cui non riesci a dare un nome; quella massiccia figura che cade a terra; quel giorno in cui le tue mani affusolate hanno stretto una prima lettera, poi un’altra ancora.
E fa male.
Fa più male di quel che pensavi.

{Post Trent’anni dopo; accenni ai Tre moschettieri e a Vent’anni dopo; Aramis. ♥}
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Let go.
 
The echoes are gone in the hall
But I still remember, the pain of december
 
Oh, there isn’t one thing left you could say
I’m sorry it’s too late
(…)
I’m breaking free from these memories
Gotta let it go, just let it go
 
 
La penna scivola sul foglio, mentre le parole si susseguono l’un l’altra.
Poi ti interrompi, lisciandoti i baffi e socchiudendo gli occhi; versi che prima sembravano tanto chiari, tanto melodiosi, adesso sono confusi, come se l’inchiostro con cui parevano essere stati vergati, sia improvvisamente sbiadito.
Sospiri, sono questi i dilemmi di un poeta, ti dici; eppure non è più l’amore di una dama a dover essere cantato, è solo un urlo sordo a cui devi dare voce, mentre le immagini di spade che fendono l’aria ti sovvengono malinconiche.
Sono questi i dilemmi della vecchiaia, ti dici, rivolgendo uno sguardo allo specchio appeso al muro.
Eppure il rumore di una pallottola, uno schizzo d’acqua, le grida, le imprecazioni e la consapevolezza di far parte di un qualcosa sono ancora lì; annidati infondo al petto, che bruciano come il fuoco d’uno di quei bivacchi che ti perdevi a osservare, catturato dalla luce riverberante nella notte scura.
Anche il sapore del vino condiviso con gli amici è lì, come se stia ancora imperlando le tue labbra; come se quei capelli a cui avevi eroicamente rinunciato non siano ancora ricresciuti.
È questo il problema, ti correggi, accarezzando con lo sguardo il fodero di una spada.
È quel ricordo che non riesci a scacciare che ti pervade la mente, è quella stretta allo stomaco che sembra essere sul punto di soffocarti. È quella sensazione a cui non riesci a dare un nome; quella massiccia figura che cade a terra; quel giorno in cui le tue mani affusolate hanno stretto una prima lettera, poi un’altra ancora.
E fa male.
Fa più male di quel che pensavi.
Le preghiere diventano mere frasi pronunciate in sequenza; il rammarico un compagno troppo invadente per riuscire a proclamarti nuovamente eroe, una figura pittoresca con alle spalle un passato maestoso e amaro.
Adesso sono rimaste solo delle membra appoggiate a un seggiolo di legno, una persona ricurva su se stessa, in una casa troppo vuota e un servizio che pensavi sarebbe stato la tua consolazione.
 
Osservi l’inchiostro macchiare la pergamena immacolata e spandersi lungo la superficie, scuro, denso, esattamente come il fiotto di sangue che tante volte ha sporcato le tue mani.
Eppure, adesso, le risate sono scomparse, le lacrime terminate. Anche il cuore spezzato è ormai sottoterra, pervaso da quella pace celeste a cui tanto aspiravi.
Adesso, Aramis, ogni volta che chiudi gli occhi ci sono dei volti che non rivedrai mai più, parole del quale distante eco ti risuona nelle orecchie. Un eco appartenente a un passato troppo lontano per poter essere sfiorato a sufficienza.
Adesso, Aramis, ripetersi ch’era per una nobile causa è semplicemente ipocrita e, in fondo lo sai, in fondo l’hai sempre saputo, questi dilemmi che ti ripeti costantemente sono i dilemmi d’un gentiluomo ormai scomparso, perito nello stesso istante in cui l’elsa della spada è stata appesa al muro.
Adesso, Aramis – non lo ammetterai, non potresti, semplicemente farebbe troppo male – è rimasto solo un vecchio dai capelli bianchi, attorniato da una nube di malinconia che lo distrugge ogni giorno di più, come quella stessa armatura che il gentiluomo ha indossato viene lentamente arrugginendosi.
Adesso, Aramis, dopo tutti questi anni, sei conscio che non riuscirai a lasciarli andare, quei ricordi.
Ma neghi, perché negare è più semplice, perché ammetterlo equivarrebbe a dire addio al gentiluomo, ad affermare di fronte a te stesso e a Dio le tue colpe.
Perché, adesso lo sai, i dilemmi delle membra sono proprio quelle voci che le ricchezze e gli onori di un cardinale non possono soffocare.
Adesso, le senti, quelle lacrime non stanno scivolando sulle guance d’un moschettiere o d’un ecclesiastico: stanno bagnando le gote d’un uomo che ha compreso, ha compreso che la notte in cui dovette salutare per sempre un amico fu colpa sua.
 
Ma lo nega, e continua a non lasciar andare.
 



 
 

Note: ciao a tutti. ^-^
Era da tanto che volevo scrivere qualcosa su questo fandom e finalmente, ieri sera, ho trovato la giusta ispirazione.
È da decisamente troppo tempo che non rileggo “Vent’anni” e “Trent’anni dopo”, quindi sono conscia che potrebbero esserci delle incongruenze, così come la caratterizzazione potrebbe risultare inesatta.
Ho cercato di mantenere quell’Aramis presentatoci da Dumas, facendolo risultare lievemente mutato dalla vecchiaia e dalla solitudine che, immagino, lo opprima così come i ricordi.
Lungo il testo ho sparso qualche riferimento ai libri sopracitati, i più importanti sono:
  • Il cuore spezzato ormai sottoterra rimanda alla vicenda di Constance e D’Artagnan.
  • L’amico e i sensi di colpa sono dovuti al fatto che sia stato proprio Aramis a coinvolgere Porthos nella vicenda a seguito di cui, quest’ultimo, perse la vita.
  • Non rammento con precisione come Aramis avesse saputo della morte di Athos e d’Artagnan. Anzi, mi sembra che la morte di quest’ultimo fosse trattata nella pagina finale del libro; in ogni caso la prima e la seconda lettera sono le comunicazioni di questi fatti, ecco.
  • Lo schizzo d’acqua è un riferimento allo scontro avuto tra Athos e il figlio di Milady.
Non mi sembra che ci sia altro da aggiungere.
Anzi, sì. Dimenticavo: la citazione in alto a destra, i vari riferimenti a essa sono stati presi da “Let me go”, canzone di Avril Lavigne ft. Chad Kroager che consiglio.
Ammetto che il testo non c’entra quasi per niente con questa OS, ma la mia mente ha fatto il resto, creando una specie di analogia tra il “lasciar andare” del componimento musicale e il lasciar andare inteso come lasciar andare i ricordi.
Quindi è sempre a questa canzone che è ispirato il titolo della One Shot, ed essa nel suo complesso.
Naturalmente vi ringrazio di essere giunti fin qui e vi invito a recensire! :)
Un abbraccio,
Dream.
   
 
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