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Autore: Defiance    13/10/2013    0 recensioni
Seguito della mia fan fiction, 'Halfblood'.
Scoppiarono tutti a ridere, ma Hermione si fece subito seria e disse piano:
“Magari invece, immagino solo di dover colpire a morte la vecchia me, anche se ormai non esiste più. Credo di essere invidiosa, lei almeno sapeva chi fosse” chiuse gli occhi e sospirò. (Dal prologo).
Un nuovo mestiere per i protagonisti della precedente storia, il loro incontro con un altro mondo e una nuova battaglia che incombe su di loro e sul mondo umano. Si troveranno ad affrontare cose che non avevano mai visto in precedenza e si interrogheranno su quante cose ancora ignorano della Terra.
Faranno nuove conoscenze, avranno delle rivelazioni, segreti e bugie verranno svelati e apprenderanno un nuovo tipo di 'magia'. Correranno rischi e pericoli, ma alla fine, la vita di alcuni dei protagonisti cambierà per sempre.
Halfblood 2 - Città dei Demoni
Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
Capitoli:
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Capitolo 15
 
 
 
Cominciò a diluviare, l’acqua veniva giù pesantemente.
“Ma qui non fa altro che piovere?” domandò Jace, scuotendo la testa per far sgocciolare in capelli. Era  evidentemente seccato.
Si trovavano sotto il porticato di casa Granger.
Hermione estrasse le chiavi dalla sua collana-borsa che portava appesa al collo e aprì la porta, ricoprendo di acqua l’entrata.
Ci mise un attimo ad asciugare il pavimento, con la magia.
“Vieni, i miei dovrebbero tornare tra.. qualcosa non va” esclamò la ragazza, osservando il soggiorno.
La casa era troppo… immobile, come se non vi mettesse piede nessuno da un po’ di tempo.
Afferrò il telefono e compose il numero del cellulare di suo padre, che rispose al terzo squillo.
“Pronto?”
“Papà! Dove siete?” domandò sospirando di sollievo.
“A Parigi, ci siamo presi una breve vacanza.. dovremmo tornare a casa giovedì prossimo. C’è qualche problema piccola? Stai bene?” le chiese l’uomo, preoccupato.
“Sisi, è tutto a posto… volevo solo assicurarmi che voi steste bene” lo rassicurò Hermione “Scusami, ma ora devo andare…” e riagganciò.
“Sarà meglio asciugarsi… di sopra c’è il bagno di mio padre, puoi usare quello… io vado in camera mia, seconda porta a destra del piano di sopra, se hai bisogno” annunciò poi, correndo via senza neppure guardarlo.
Jace rimase per un momento immobile, a fissare perplesso il punto in cui lei era sparita: cosa stava succedendo dentro sua sorella? Come si sentiva? Come stava reagendo a tutto ciò che aveva scoperto?
Si fece una doccia veloce e indossò i vestiti che la ragazza aveva messo a sua disposizione… sicuramente erano del padre, doveva aver eseguito qualche incantesimo per rimpicciolirli.
Uscì dalla stanza e cercò quella di Hermione.
Nello stesso istante in cui aprì la porta, lei uscì dal bagno, con indosso solo l’asciugamano, i capelli bagnati che le cingevano il viso. La vide arrossire.
Jace si portò il braccio dietro la nuca, lo faceva sempre quando era a disagio.
“Io… mi dispiace, non pensavo…” provò a scusarsi, ma la sorella lo zittì.
“Mi aspettavo almeno un ‘toc,toc’, ma non fa niente”.
Hermione si diresse verso l’armadio, prendendo degli abiti e fece per tornare in bagno, ma il ragazzo la bloccò, prendendole un braccio.
“Hai pianto” constatò.
Era vero. Aveva gli occhi arrossati e gonfi.
Lei scosse la testa. “Sto bene” tentò di rassicurarlo.
Erano molto vicini, Jace riusciva a percepire il calore del suo corpo.
Aveva le braccia scoperte, e l’asciugamano, attorcigliato attorno al petto, la copriva solo fino a metà cosce.
L’abbracciò. No, non stava bene e lui lo capiva.
Le sue mani scivolarono sulla schiena della ragazza e il suo viso affondò nell’incavo del suo collo.
Lei era immobile. Che diavolo gli salta in testa? Pensò.
Le parole di Tessa riecheggiavano imponenti nella mente del Nephilim. “Ho visto come la guardi. Stai attento. I sentimenti degli Herondale non sono mai stati semplici, né mai lo saranno. E se cominci a provare qualcosa per tua sorella, potrebbe distruggerti”
Come poteva pensare qualcosa del genere? Insomma, era sua sorella.
E lui lo capì in quel momento, che la sua - bis-bis-bis-bisnonna?! - si sbagliava di grosso.
Lui amava Hermione, ma come si può amare una sorella. Voleva proteggerla. Non desiderava minimamente toglierle l’asciugamano da dosso o baciarla, ma desiderava che non lo facesse nessuno, anche se probabilmente, Percy ci aveva già pensato.
Forse era così strano per la gente vedere Jace che manifestava i suoi sentimenti verso una persona diversa da Clary, che tutti avevano pensato il peggio.
Sorrise.
“Ti aspetto di sotto” le sussurrò.
 
“Si chiama telecomando” disse Hermione, varcando la soglia del salotto.
Si era sistemata. Indossava un paio di jeans lunghi e una maglia rosso e oro e i aveva raccolto i capelli indietro, con un fermaglio.
Jace pensò che la faceva sembrare più piccola e più vulnerabile, quel look.
“serve a…”
“Ehi, lo so cos’è un televisore” borbottò lui.
La ragazza ridacchiò.
“Bella maglietta” aggiunse poi, facendole l’occhiolino.
“Oh. Sono i colori del Grifondoro… era la mia Casa, a Hogwarts. La culla dei coraggiosi di cuore. Ah quanto mi manca” citò lei, sospirando con aria trasognata e malinconica.
Il ragazzo posò la sua mano su quella della sorella, come se quel gesto fosse sufficiente a trasmetterle la sua forza.
“Comunque, forse dovremmo andare, se vogliamo raggiungere l’Istituto prima..”
“Sembri pallida” la interruppe il fratello, scrutandola con circospezione.
Hermione scrollò le spalle.
“Sono solo stanca” si giustificò.
“Allora forse dovremmo restare qui, e partire domani. Sei stata dimessa stamattina dall’infermeria, eri già molto debole di tuo, prima di…” gli si infuocarono le guance.
“Mi dispiace aver preso i tuoi capelli okay? Non pensavo di riuscirci!” si scusò lei.
Jace scosse la testa.
“Non preoccuparti” mormorò.
Non era il fatto che Hermione avesse assunto il suo corpo a dargli fastidio, ma la consapevolezza che in lui, sebbene in quantità minime, scorresse del sangue di demone, di ciò che dovrebbe combattere.. il motivo per cui anni prima aveva intrapreso una missione suicida, il motivo per cui credeva di aver amato Clary… ma aveva anche sangue d’angelo, dentro di lui… c’era la possibilità che questo avesse neutralizzato quello demoniaco? O era destinato ad odiarsi e a identificarsi in un mostro per sempre?
Ma anche Tessa aveva sangue di demone nelle sue vene. E lei era buona, non gli ci era voluto molto tempo per capirlo… forse, non tutti erano come Sebastian…
“C’è qualcosa di cui vuoi parlare, Jace?” domandò Hermione dopo vari minuti di silenzio.
“No, è tutto okay” rispose lui.
Lei lo guardò di sottecchi, per svariati secondi, poi lo abbracciò, capendo che era una bugia e ripagandolo così con lo stesso gesto che lui le aveva rivolto solo poche ore prima e per lo stesso motivo.
“Allora, vado a riposare.. partiremo domani mattina, va bene?” disse  infine la ragazza.
Jace acconsentì e, una volta rimasto solo, si appisolò sul divano, troppo stanco per tenere gli occhi aperti, troppo stanco per raggiungere la camera degli ospiti e crollare su un comodo letto.
 
 
Percy se ne stava seduto su una sedia, osservando la vita fuori dalla finestra.
Erano solo i primi di Ottobre, ma i negozi avevano già cominciato ad esporre i loro prodotti e addobbi per Halloween.
Si era sempre chiesto, negli ultimi anni, come potessero i mortali celebrare una festa del genere, che raffigurava tutto il mondo in cui non credevano.
“Percy?”
Il semidio si voltò. Hermione era lì, di fronte a lui e sorrideva.
Sì, sorrideva, ed era da tanto tempo che non la vedeva allegra, che non la sentiva viva.. questo rianimò il suo cuore, inondandolo di gioia; forse, tutta quell’attesa, non era stata vana. Forse, poteva riavere indietro la sua Hermione.
Le fece un cenno con la mano, invitandola ad entrare e lei si precipitò all’interno della stanza quasi saltellando, gettandosi con poca delicatezza sul letto.
“Pensavo…” cominciò la ragazza, guardando il soffitto con aria sognante.
“Oh no!” mormorò Percy, alzando gli occhi al cielo e le mani per aria, molto teatralmente.
Hermione puntò gli occhi su di lui.
Oh, no?!” ribattè, irritata, inarcando un sopracciglio.
“Beh, è solo.. che ultimamente non viene fuori niente di buono quando tu pronunci una frase che comincia con ‘pensavo’. Di solito, si tratta di qualcosa di avventato e pericoloso e…” fece per giustificarsi il semidio, subito sulla difensiva, ma lei storse il naso, in un’espressione riluttante e poi scoppiò a ridere.
“E io che volevo chiederti se volessi venire a cena con me… vabbè, credo che andrò a proporlo a qualcun altro allora” lo schernì Hermione, alzandosi e incamminandosi verso la porta.
Due secondi, e il ragazzo era già in piedi, davanti a lei, sbarrandole l’uscita.  
“Fai sul serio?” le chiese, con gli occhi sgranati.
Lei annuì.
“Ascolta, Percy… lo so che sono stata un po’ distante in questo periodo… ma sapevi cosa stavo passando, non che questo mi giustifichi certo.. è solo che..” niente da fare, non riuscì a scusarsi, perché lui le fu subito contro e la strinse a sé.
La baciò, prima molto lentamente, dolcemente; poi, i loro baci divennero più intensi, passionali, pieni di desiderio e disperazione insieme.
Hermione capì in quel momento quanto si era comportata da stupida nell’ultimo periodo della sua vita: lei aveva bisogno di Percy, ne aveva sempre avuto, e se solo avesse provato a parlagli, ne era sicura, lui le sarebbe stato d’aiuto. O quanto meno di conforto. E invece, lo aveva tagliato completamente fuori da tutto.
Aveva rischiato di perderlo.
Si strinse ancora di più a lui, desiderosa di sentire che ancora le apparteneva, con i corpi che aderivano perfettamente e studiavano il modo migliore per incastrarsi.
Il semidio la spinse verso la scrivania, la prese in braccio e la issò sul tavolo; lei chiuse le sue gambe attorno alla vita del ragazzo.
Le loro mani, freneticamente, esploravano ogni zona dell’altro, guidate dal desiderio e dalla gioia di essersi ritrovati.
Gli sfilò la maglietta e la gettò sul pavimento, poi fece scorrere le dita sul petto di lui.. al solo tocco riusciva a percepirne la forza, a sentire i muscoli che ricoprivano quel corpo ben fatto che gli anni di addestramento avevano modellato.
Percy infilò le mani nella maglietta di Hermione, che ansimava…
Poi la porta si aprì e i due si staccarono di colpo l’uno dall’altra.
Avevano l’aria di due persone che erano appena state strappate da un bellissimo sogno… o dalla propria vita stessa.
Era Jace, che li fissava immobile dalla soglia della stanza, la rabbia ben percepibile nei suoi occhi.
Con che diritto provava tanto fastidio? Stavano insieme da prima che si conoscessero ed erano fratelli da così poco tempo…  no, non era una questione di mesi, giorni, ore o anni: lei era sua sorella, ed era normale che non volesse che nessuno la toccasse in quel modo.
La ragazza arrossì violentemente.
“Jace” sussurrò con voce roca. Si schiarì la gola.
Il Nephilim si costrinse a riprendere il controllo delle proprie emozioni, a non mollare un pugno in faccia a quel ragazzo che stava sicuramente per portarsi a letto la sua sorellina…
“Dovete scendere di sotto. È un’urgenza” annunciò, e andò via senza proferire altra parola.
 
 
“Alec, mi piace. Credo che.. che sia quello giusto. Lo sai che non sono il tipo che fa questi discorsi.. ma.. non mi sono mai sentita così.. felice, così presa da qualcuno in vita mia” confessò Isabelle.
“Basta che tu non gli spezzi il cuore per poi mangiartelo a colazione, come hai fatto con, vediamo…” il fratello fece finta di contare sulle dita un numero di ragazzi, senza nemmeno tenerne veramente il conto, e poi si portò una mano sulla bocca, fingendo stupore, una volta aperto tutte le dita di entrambe le mani.
La sorella gli lanciò contro il cuscino e arricciò il naso.
Non c’era nessuno nel ‘salotto’ dell’Istituto, adesso lo chiamavano così, a parte loro.
“Alec, smettila!” sbottò lei “ti sto dicendo che penso di essermi innamorata di Ron e tu che fai? Mi prendi in giro! Sarò pure una grandissima stronza, ma sai, purtroppo non sono immune ai sentimenti, o ti avrei già tagliato via la testa con la mia frusta”.
“Non l’avresti mai fatto” la contraddisse lui con un sorriso tronfio dipinto sul volto.
“E perché mai?” lo schernì la Cacciatrice, assumendo un’espressione accigliata.
“Sono il tuo fratellone adorato” la beffeggiò lui, scompigliandole i capelli, per poi cominciare a tirarsi cuscinate a destra e manca, finchè non ressero più la sensazione che cresceva nel loro stomaco da diversi minuti e scoppiarono a ridere.
Fu il suono del campanello dell’Istituto a riportarli alla realtà.
“Sono tutti nelle loro stanze” osservò Isabelle, con la fronte aggrottata.
“Andiamo a vedere chi è” le rispose il fratello.
Ci misero un attimo a raggiungere la porta d’ingresso, qualche secondo per aprirla.
Vedere la persona che si trovarono davanti li fece impietrire; lentamente, si voltarono l’uno verso l’altra, guardandosi con gli occhi sgranati e la bocca spalancata.
Chi gli stava di fronte, presentava numerose ferite lungo tutto il corpo, ben visibili dagli abiti strappati, sanguinava copiosamente e aveva l’aria di riuscire a malapena a reggersi in piedi; un grosso e profondo taglio spiccava sulla tempia sinistra.
“Sono Clarissa Morgenstern e nel nome dell’Angelo Raziel, chiedo di essere ospitata in questo Istituto” disse la ragazza, con voce tremante, per poi svenire ed essere afferrata appena in tempo da un Alec del tutto sgomento.
  
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