Film > Brokeback Mountain
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Autore: Kiki75    07/04/2008    9 recensioni
La proposta di Jack si è rivelata un disastro, e riorganizzare la propria vita non è semplice per lui ed Ennis. Ma con qualche aiuto inaspettato... (da "I segreti di Brokeback Mountain", seguito di "Before it's too late").
Genere: Romantico, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alma Beers Del Bar, Altro personaggio, Ennis Del Mar , Jack Twist, Quasi tutti
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'e'
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Come sei veramente
Somewhere

There's a place for us
A time and place for us
Hold my hand and we're half way there
Hold my hand and I'll take you there
Somehow
Someday
Somewhere

1 - Lightning Flat

Ennis salì di corsa le scale, furioso, paonazzo in viso, facendo i gradini a due a due. Sapeva che il giorno dopo avrebbe avuto un bell'occhio nero, in ricordo di quella serata; anche John Twist, però, aveva avuto quello che si meritava: Ennis non gliel'aveva potuta lasciar passare liscia. Un uomo che picchiava in quel modo la moglie e il figlio non poteva passarla liscia.
"Ennis..." Jack lo stava seguendo, zoppicante, tenendosi la schiena. Anche lui aveva avuto la sua parte di percosse, per avere rovesciato inavvertitamente la brocca dell'acqua mentre apparecchiava la tavola. Suo padre l'aveva atterrato con un pugno in pieno viso, poi aveva preso l'attizzatoio di ferro appoggiato alla stufa, ed era riuscito a sferrargli due violenti colpi sulle reni, prima che Ennis lo bloccasse da dietro. Era seguita una colluttazione fra i due, mentre Ada Twist soccorreva Jack, boccheggiante sul pavimento. Quando Jack era riuscito a rialzarsi, con l'aiuto della madre aveva diviso i due uomini, che ormai se le stavano dando di santa ragione, con le mani e con la lingua:
"Chi sei tu per intrometterti, la sua fottuta guardia del corpo?"
"E lei chi si crede di essere, per picchiare suo figlio in quel modo?"
"Se tuo padre te le avesse suonate come si deve, avresti imparato anche tu la buona educazione!"
"Se mio padre avesse osato picchiarmi così, mia madre l'avrebbe impallinato!"
"Tuo padre avrebbe dovuto suonarle anche a lei!"
"Un uomo che picchia la moglie e i figli è un uomo davvero da poco!"
"Cos'hai detto?"
Ennis raggiunse la camera di Jack, dove avevano depositato le proprie sacche senza ancora avere avuto il tempo di disfarle: erano arrivati a Lightning Flat da due ore, il tempo di salutare i genitori di Jack e fare le presentazioni, fare una doccia ed aiutare la signora Twist con la cena, e accapigliarsi con il signor Twist.
"Ennis, ascolta... non puoi andartene adesso... di notte..."
"Eccome che posso", ribatté Ennis. "E tu verrai con me."
"Ma mia madre..."
"Da quant'è che dura questa storia? Da sempre, suppongo."
Jack annuì, lo sguardo basso, come se si vergognasse.
"Da quanto sono sposati i tuoi? Venti, venticinque anni?"
"Ventuno."
"Se tua madre ha avuto voglia di sopportare le percosse di tuo padre per ventun anni, sono fatti suoi. Tu non hai potuto scegliere."
"Ma se me ne vado, mio padre..." Jack esitò, scosse la testa. "Mio padre si sfogherà solo su di lei, e nessuno..."
Ennis lo prese per le spalle e terminò la frase: "Nessuno potrà proteggerla. E' così?"
Jack annuì di nuovo.
Ennis gli carezzò una guancia. "Ascolta, hai quasi vent'anni, è ora che te ne vai da questa gabbia di matti, o tuo padre finirà per ammazzarti. Anche tua madre farebbe bene ad andarsene, avrebbe dovuto farlo quando eri piccolo, e se non l'ha mai fatto, è perché non ha abbastanza palle. Anche mio padre ogni tanto alzava le mani, ma se avesse picchiato in quel modo me e i miei fratelli, mia madre sarebbe davvero corsa a prendere il fucile, e lui lo sapeva bene."
"Ma..."
"Niente ma. Una donna che lascia la famiglia viene un pò considerata come due uomini che stanno insieme... ma se c'è una buona ragione dietro, non ci sono regole che tengano. Non sei stato tu a insegnarmelo? Seguire il cuore e l'istinto, e al diavolo la fottuta società."
Jack si strofinò gli occhi.  
Ennis lo strinse forte.
Ada Twist li osservava, dietro la porta socchiusa.

Jack riempì una sacca di abiti invernali, maglioni e camicie di flanella, tutto quello che non si era portato alla Brokeback: armadio e cassetti rimasero vuoti, eccetto per due camicie troppo vecchie e rattoppate per essere utilizzabili, un paio di jeans tanto sdruciti da cadere a pezzi, un maglione marrone, vecchio e infeltrito, che gli stava troppo piccolo.
"C'è qualcos'altro che vuoi portare con te?" domandò Ennis, augurandosi che Jack non avrebbe messo più piede in quella stanza. Non che avesse molto da portarsi dietro, oltre ai vestiti: c'erano solo pochi vecchi libri sulla piccola scrivania, e qualche coppa e fibbia per cintura che Jack aveva vinto partecipando ai rodei sulla mensola sopra al letto.
"No. Possiamo andare."
I genitori di Jack erano in cucina, John stava mangiando, Ada trafficava ai fornelli. Quando sentì i ragazzi scendere le scale, si affrettò verso la porta.
"Torna qui", disse John, con calma, nel tono di chi sa che non serve gridare, perché verrà obbedito.
Ada tornò ai fornelli, lo sguardo rivolto alla porta.
Jack si affacciò. "Vado via", disse, con voce ferma, ma Ennis notò il tremito al labbro inferiore. "Non so quando tornerò... non tanto presto, credo. Vi chiamo quando posso."
John non lo degnò di un'occhiata. Portò alla bocca un cucchiaio di zuppa, inghiottì. "Non prenderti il disturbo."
Ada aveva le lacrime agli occhi, ma non si mosse. Teneva lo sguardo puntato sul figlio, e mescolava meccanicamente lo stufato.
Jack non resistette. Lasciò cadere il bagaglio, entrò nella cucina, abbracciò la madre senza una parola, un abbraccio forte ma troppo breve, poi si staccò e tornò sulla soglia, raccolse la sacca e si avviò verso la porta d'ingresso.
"Signora", fece Ennis, accennandole con il cappello, e lo seguì.
Fuori era quieto, buio e caldo; non un alito di vento rompeva l'afa della notte. Caricarono i bagagli in silenzio. "Dammi le chiavi", disse Ennis. "Tu hai guidato fin qui, adesso guido io."
Jack prese le chiavi dalla tasca dei jeans e gliele passò. Stavano per entrare nel furgone, quando Ada uscì dalla fattoria e si precipitò da loro: "Jack!"
Si tuffò fra le braccia del figlio, lo strinse. Era più piccola di lui, molto più esile, ma lo stringeva con la forza di una pantera. Jack ricambiò l'abbraccio.
"Mamma..."
"In bocca al lupo, Jacky."
"Mi dispiace..."
"Non deve dispiacerti, è la cosa migliore che puoi fare. Avresti dovuto farlo prima."
"Ma tu..."
"Io baderò a me stessa."
Lei si staccò, si tolse un borsello dalla tasca del grembiule. "Prendi questo. Non sono molti, ma vi saranno d'aiuto. E' tutto quello che ho potuto mettere da parte in questi anni."
"Ma no, non posso, io..." Jack esitò.
"Avanti. Non li ho rubati. Me li sono guadagnati tutti, se vogliamo metterla così. Stare con tuo padre non è una passeggiata, lo sai."
Jack prese il borsello. Era pieno, e sembrava pesante. L'abbracciò di nuovo, brevemente. "Grazie, mamma."
Ada annuì, poi si voltò verso Ennis. L'abbracciò, sussurrandogli all'orecchio: "Hai ragione, sai? Avrei dovuto andarmene molto tempo fa, o almeno difendere mio figlio, ma non ho mai avuto il coraggio. Ed ora, non posso pretendere che mio figlio continui a difendere me."
"Signora..." Ennis non si era aspettato quell'abbraccio, né credeva che la madre di Jack avesse sentito la loro conversazione di poco prima.
"In bocca al lupo anche a te. Non ho potuto conoscerti, ma sembri un bravo ragazzo, Ennis."
"Bè, veramente..."
"Tu e Jack, vi volete bene." non era una domanda.
"Sì. Sissignora. Molto."
Lei sorrise, ed Ennis pensò che doveva essere stata una bella donna, prima che la vita le rovinasse addosso. Aveva gli stessi occhi di Jack, gli stessi lineamenti dolci e arrotondati, da bambina, gli stessi capelli neri come le ali di un corvo, con solo qualche filo bianco. "Ne sono felice. Jack ha bisogno di qualcuno che gli voglia bene."
Tutti ne abbiamo bisogno, signora, pensò Ennis, ma si limitò ad annuire.
"Ada! Dannazione, vieni o no?" la voce di John. Era in piedi sulla soglia, sembrava arrabbiato. Certo, aveva tutti i motivi per esserlo: quella serpe dell'amico di suo figlio gli aveva dato una bella battuta, e la cena, servita in ritardo, gli si stava raffreddando; ovviamente, non era in grado di servirsi da sé, senza l'aiuto della moglie. Dire che sei un uomo da poco è già troppo, signor Twist, pensò Ennis, mentre Ada si staccava da lui.
"Mamma", disse Jack.
"Niente paura", fece lei, avviandosi. "Buon viaggio, ragazzi." 

Lightning Flat era un piccolo borgo, niente più che un agglomerato di case su una strada principale, dalla quale partivano delle carraie sterrate e ghiaiose che portavano alle varie fattorie sparse nella zona, fra cui quella dei Twist. Quando si lasciarono alle spalle il paese, la strada che lo collegava agli altri centri abitati era buia, circondata da campi coltivati a grano, da poco mietuti e punteggiati da balle di fieno, pascoli, e qualche fattoria solitaria in lontananza.
Era dall'una del pomeriggio che non avevano mangiato, e dopo mezz'ora di viaggio, lo stomaco di Ennis iniziò a brontolare come un coyote in amore.
"Sai se c'è un locale qui intorno dove potersi fermare?" domandò a Jack, che da quando erano partiti se ne stava voltato verso il finestrino, lo sguardo assente. "Ho una fame..."
"Ce n'è quanti ne vuoi quando arriviamo a Deaver, ma ci vuole ancora un'oretta. Altrimenti, c'è la pompa di benzina dove ci siamo fermati prima. Ha uno spaccio sempre aperto."
"Okay per lo spaccio. Tu che ne dici?"
"Okay."
La voce di Jack era asciutta quanto il suo sguardo era spento. Ennis poteva capirlo, e decise di tacere. Quale parola di conforto sarebbe mai stata d'aiuto a Jack in un momento come questo? Se avesse parlato, era sicuro che avrebbe peggiorato la situazione.
Dopo un quarto d'ora raggiunsero il distributore. "Si mangia", esclamò Ennis, e fece per scendere, ma Jack gli prese un braccio: "Aspetta."
Ennis richiuse lo sportello, si riaccomodò sul sedile. Nella luce arancione dei lampioni, lo sguardo di Jack era mortificato e abbattuto. "Che c'è?"
"Non sei arrabbiato?"
"Che domande, certo che no. Perché dovrei?"
"Perché ti ho fatto delle promesse che non ho mantenuto, e adesso ci ritroviamo in strada per colpa mia. Tanto per dirne una."
"Non è colpa tua."
"Sono stato io a proporti di venire dai miei. Avrei dovuto immaginare che mio padre..." Jack si era trattenuto fino a quel momento, e non avrebbe potuto resistere oltre: le lacrime stavano per traboccare. "Ogni volta che sono andato via, credevo che al ritorno sarebbe stato diverso... che sarebbe cambiato... lo speravo sinceramente, sai? Ma..."
Ennis gettò un rapido sguardo nel parcheggio, che era deserto. Passò una mano fra i capelli di Jack, fermandosi sulla nuca e stringendola leggermente. "Le persone come lui non cambiano. Ma è normale, e forse anche lecito, che un figlio, e una moglie, lo sperino."
"Mi dispiace di averti messo in mezzo", disse Jack. Si strofinò gli occhi con il palmo delle mani. "Mi dispiace per quella scenata. Mi dispiace che abbia picchiato anche te. Mi dispiace per averti fatto promesse che..."
Ennis gli passò il braccio intorno alle spalle. "Ehi, basta... non c'è niente di cui dispiacersi. Anzi, io sono contento che tu abbia avuto il coraggio di venire via."
Jack si prese la faccia fra le mani. Piangeva in silenzio, tradito solo dal tremito nelle spalle, ed Ennis ne rimase sbalordito e insieme intenerito: non avrebbe mai creduto Jack, così estroverso e chiassoso nel manifestare i propri sentimenti, capace di piangere in quel modo.
L'abbracciò, al diavolo se qualcuno li poteva vedere. Si rese conto che, da quando erano scesi dalla Brokeback, aveva iniziato a sentirsi un sacco di sguardi puntati addosso. Se non fosse riuscito a scrollarsi via quella sensazione, sarebbe uscito matto; e se voleva stare con Jack, non aveva alternative. In fondo, il problema era solo nella sua mente. Due amici possono benissimo abbracciarsi: chi lo sa se sono anche amanti?
Strinse ancor più a sé Jack, quasi in un gesto di sfida: contro se stesso più che contro eventuali spettatori nel parcheggio. Perché era di se stesso che aveva paura, di quello che provava verso il ragazzo che teneva fra le braccia: più gli stava vicino, più quel sentimento cresceva, ed Ennis temeva che prima o poi ne sarebbe stato travolto.
Ma non era già successo, già da qualche settimana a questa parte?
"Ascolta", sussurrò. "Adesso ti faccio io una proposta, anche se non è granché. Innanzitutto ti calmi, poi mangiamo qualcosa, ritorniamo in auto e quando siamo stanchi ci facciamo una bella dormita. Poi, domattina, andiamo a Sage, dove abita mio fratello K.E. con sua moglie Katherine, e dove in teoria abiterei anch'io, se non fosse che Kat mi odia a morte."
"Perché ti odia?" la voce di Jack stava tornando quella di sempre.
Ennis ridacchiò. "Dice che sono un maledetto parassita, e che mangio e dormo in casa loro a sbafo. In realtà, ho sempre lavorato e contribuito alle spese di casa, e quello che le scoccia di più è che quello che per lei in fondo è un estraneo dorma nella stanza accanto a quella in cui lei dorme con suo marito. Se capisci cosa intendo."
"Afferrato."
"Quindi, domani andremo a Sage, già che ci sono sistemerò le cose con Alma, e chiederò a mio fratello se sa che ci sia lavoro nei dintorni. Se non c'è niente di buono, prenderò le mie cose e libererò la stanza che Kat vorrebbe tenere per i suoi eredi, e ripartiremo. Per dove, francamente, non lo so. Tanto varrebbe prendere una cartina, chiudere gli occhi e puntare il dito. Magari funziona." si strinse nelle spalle. "Te l'avevo detto che il mio programma non era granché."
Ma Jack era preoccupato per qualcosa di diverso dal programma. Si sciolse dall'abbraccio, asciugandosi gli occhi col dorso di una mano. "Senti... questa Alma..."
"Non ti preoccupare per lei", minimizzò Ennis. "Dal momento che andiamo a Sage, mi pare giusto parlarle di persona. Siamo stati insieme due anni, e ci dovevamo sposare... insomma, qualcosa c'era. Ma adesso, è tutto cambiato. Non potrei sposarla nemmeno se tu non fossi tornato indietro, e io fossi tornato direttamente a casa."
"Cosa pensi di dirle?"
"Non lo so. Credo che starò sul vago. Le dirò che mi sono innamorato di un'altra persona, comunque è la verità, e che pensi quello che vuole."
"Tu sei innamorato di me?"
Ennis avvampò. Le parole gli erano sfuggite di bocca. "Cosa credi che starei a fare, qui con te, se non lo fossi?"
Jack sorrise. "Non l'avevi mai detto. E' bello sentirselo dire, qualche volta."
Quella notte dormirono nel furgone, parcheggiato sotto una vecchia quercia nel mezzo di un pascolo incustodito, sdraiati in diagonale nel bagagliaio, dividendo il sacco a pelo di Jack, con Ennis girato sul fianco destro, e Jack appiccicato contro di lui come un cucchiaio, stomaco contro schiena, un braccio intorno al suo fianco, le gambe attorcigliate con le sue. Sulla Brokeback avevano sempre avuto l'incubo di tornare dal gregge, e avevano dormito insieme solo in un'occasione, quella in cui avevano fatto sesso per la prima volta - Ennis non aveva mai rivelato a Jack della pecora che aveva trovato sbranata dopo quella notte, quasi una punizione per ciò che avevano fatto, e temeva che la faccenda si potesse ripetere. Di frequente si erano rifugiati nella tenda, dentro allo stesso sacco a pelo, spesso senza neanche scambiarsi molto più di qualche bacio o qualche carezza: avevano semplicemente chiacchierato, abbracciati, scambiandosi le esperienze passate quando ancora non si conoscevano e il calore dei rispettivi corpi, come antidoto alla solitudine e al freddo della notte, e talvolta si erano appisolati per qualche ora.
Ma prima di mezzanotte, come la Cenerentola della favola, Ennis si alzava, si rivestiva, e se ne andava. A malincuore, certo: ma se il mattino successivo avesse trovato un'altra pecora sbranata? Un ulteriore avvertimento che quello che stava combinando era follemente giusto per lui, ma sbagliato per il resto del mondo, persino per gli animali selvatici?
Questa notte invece, malgrado la cena frugale (ma dopo avere mangiato scatolame per mesi, ad Ennis quel sandwich al pollo e quella fetta di torta di ciliegie erano sembrati degni della mensa di un re), malgrado il letto scomodo, malgrado la situazione precaria, malgrado il futuro incerto, malgrado quello che era successo a casa dei genitori di Jack, si addormentarono tranquilli, con la consapevolezza che il mattino dopo si sarebbero risvegliati nuovamente insieme, l'uno fra le braccia dell'altro.

2 - Sage

Siamo ancora sulla Brokeback? fu il primo pensiero di Jack, il mattino dopo, quando si svegliò. Sempre lo stesso sacco a pelo, sempre lo stesso terreno duro come materasso.
Ma l'aria era più calda. E c'era qualcuno dietro di lui, che gli respirava sul collo e gli teneva un braccio intorno alle spalle.
Ennis.
Jack ricordò tutto.
Aprì gli occhi, e la luce che filtrava dai finestrini gli disse che era un'altra giornata di sole e stava albeggiando. Avrebbero potuto concedersi un'altra ora di sonno: non c'erano pecore da sorvegliare, lì.
Richiuse gli occhi, si rannicchiò beatamente nell'abbraccio di Ennis, prese la mano che gli teneva intorno alle spalle. Durante la notte doveva essersi girato, ed Ennis l'aveva seguito, adattandosi alla nuova posizione. Forse Ennis non era ancora convinto, mentalmente, di quello che stava facendo, delle decisioni che aveva preso. Il suo corpo invece sembrava sapere bene cosa voleva.
Com'era stato bello potersi addormentare insieme. E com'era stato bello svegliarsi fra le sue braccia, accoccolato nel suo calore. L'unica volta che avevano dormito insieme, si era risvegliato dopo Ennis, per trovarlo a rivestirsi in fretta, sellare nervosamente Cigar Butt che nitriva e sgroppava in protesta alle manovre brusche del padrone, e galoppare via senza una parola. Jack si era allacciato i jeans e buttato addosso il giubbotto sbottonato, e aveva tentato di fermarlo, ma era stato inutile.
Aveva provato un'umiliazione, una vergogna senza pari.
Anzi, pari solo a quelle della sera precedente. Come aveva potuto anche solo pensare che suo padre sarebbe cambiato, in tre mesi scarsi, quando non era cambiato in più di vent'anni?
Come gli aveva detto Ennis, le persone come suo padre non cambiano, però è normale che un figlio, e una moglie, lo sperino. Certe cose, forse, può riconoscerle solo una persona estranea e sentimentalmente slegata alla famiglia.
Ennis però era cambiato, in quei tre mesi. Quando l'aveva conosciuto sembrava un animale selvatico, braccato e impaurito, talmente terrorizzato da tutto e tutti da essere pronto a reagire con le unghie e con i denti al minimo segno di pericolo, che poteva essere una parola, o un'occhiata, da lui considerate di troppo. Ora non sembrava nemmeno la stessa persona. Aveva deciso di stare con lui, e l'aveva consolato con le parole giuste al momento del bisogno... anche se a ben vedere, era Ennis a trovarsi nella situazione peggiore: Jack gli aveva fatto promesse che non poteva mantenere (o meglio, che sperava sinceramente di poter mantenere, ma questo non cambiava le carte in tavola), lui gli aveva creduto, e ora si trovava in mezzo alla strada.
L'Ennis del Mar che aveva conosciuto all'inizio di giugno l'avrebbe forse picchiato, certamente insultato, e gli avrebbe voltato le spalle. Senza contare che non avrebbe mai e poi mai accettato di stare con lui, nemmeno se in cambio gli avesse promesso il tesoro delle mille e una notte. Due uomini che stanno insieme? Tu ed io? Ma figuriamoci!
Confrontò la mano di Ennis con la propria: era più grande, altrettanto segnata dal lavoro, con le dita lunghe, le unghie rosicchiate: Ennis cercava di non farsi vedere, ma quando era nervoso si mangiava le unghie come un bimbetto. Vene e tendini erano bene in rilievo sul dorso glabro; Ennis aveva poco pelo dappertutto, di una tonalità più chiara di quella color sabbia bagnata dei capelli. A quel pensiero, Jack sentì la pancia in fiamme e si strinse ancora di più a lui, con un brivido di desiderio, allungando la mano all'indietro fino a raggiungere il suo fianco destro.
Ennis brontolò qualcosa di incomprensibile e distese le gambe. Jack tolse la mano e s'immobilizzò, temendo che si stesse svegliando: non voleva ancora abbandonare quel nido caldo e confortevole.
"Cheoressono", biascicò Ennis, ancora troppo addormentato per riuscire a formulare una vera domanda.
Jack si arrese. Avrebbero avuto altre mattine come quella. Buttò un'occhiata all'orologio del cruscotto: "Le cinque e venti."
"'giorno", fece Ennis, strofinandogli i capelli.
"Buongiorno", rispose Jack, girandosi verso di lui per baciarlo, come ringraziamento per il giorno precedente e per quell'estate. Invece, rimase a bocca aperta. La palpebra destra di Ennis era tanto gonfia da essere semichiusa, e la pelle tutto intorno era una tavolozza di colori degna del miglior Picasso: grigio canna di fucile, marrone terra bruciata, viola, indaco, blu oltremare, verde oliva. La sera precedente era un pò gonfia e un tantino arrossata, ma niente lasciava immaginare un risultato del genere.
Ed era stato suo padre.
"Sai che hai una faccia da far paura?" l'apostrofò Ennis, prima che Jack riuscisse a spiccicare le proprie scuse. "Forse avremmo dovuto comprare del ghiaccio, oltre che da mangiare."
"Di cosa parli?"
Ennis levò il dito. "Di questo", disse, cerchiando il vecchio livido sulla mascella sinistra, quello che lui gli aveva provocato due giorni prima, "E di questo", ripeté, delineando il livido nuovo sullo zigomo destro, quello che gli aveva lasciato il pugno di John Twist. "E scommetto che se ti guardo la schiena..."
"Prima c'è questo", l'interruppe Jack, cerchiandogli l'occhio destro con la punta dell'indice. Non voleva che Ennis gli guardasse i lividi sulla schiena, che sentiva dolorante ora che aveva iniziato a muoversi: uno dei tanti marchi che suo padre aveva lasciato, a lui e a sua madre, senza che nessuno dei due avesse mai avuto il coraggio di ribellarsi in qualche modo - anzi, c'era qualcosa di comico, di ridicolo, di patetico, nella loro assurda speranza che un giorno John sarebbe cambiato e le cose si sarebbero sistemate. Baciò Ennis sul sopracciglio contuso. "Mi dispiace."
"Lascia stare", fece Ennis, toccandosi cautamente l'ematoma. "Tuo padre ha le mani pesanti, ma io non sono da meno. Ti garantisco che anche lui stamattina si è svegliato con qualche bel ricordino."

Sage era dall'altra parte del Wyoming, e riuscirono ad arrivarci entro le quattro del pomeriggio, dopo una breve sosta per colazione, una per pranzo in cui avevano fatto il pieno al furgone e si erano dati il cambio alla guida, e un'altra due ore dopo, per sgranchirsi le gambe indolenzite dal lungo viaggio.
K.E. e Katherine abitavano in un piccolo appartamento al primo e ultimo piano sopra una lavanderia, due camere da letto, cucina salotto bagno e ripostiglio, con un giardinetto davanti, allestito con scivolo e altalene per i bambini che ancora non c'erano e due panchine. Quando Ennis e Jack arrivarono, erano entrambi ancora al lavoro: K.E. era capocantiere ai servizi stradali, mentre Kat, spiegò Ennis, fingeva di lavorare come commessa nell'unica profumeria del paese, e non sarebbero tornati prima delle sei e mezzo di sera. Che bella sorpresa avrebbe trovato quella lingua biforcuta di Kat: due piccoli maledetti parassiti al prezzo di uno, a mangiare e dormire a sbafo, e ascoltare le sue sgroppate notturne con il marito. "Come se mi potesse interessare quello che lei fa con mio fratello", soggiunse Ennis.
"Potremo fargli trovare la cena pronta", suggerì Jack, scaricando le sue due sacche da viaggio. Non gli piaceva sentirsi un parassita, né che qualcuno pensasse che lo era, soprattutto non dopo quello che era successo la sera precedente.
Ennis alzò le spalle. "Hai presente come cucino io? E tu sei anche peggio: sarebbe come far loro un dispetto. Piuttosto, facciamoci una doccia." lanciò a Jack uno sguardo furbo. "E poi, possiamo approfittare della casa vuota. Non credo avremo molte altre occasioni, qui... a meno che non vogliamo proporre a Kat una bella ammucchata tutti insieme."
L'appartamento era terribilmente caldo: quando andavano al lavoro, K.E. e Kat sigillavano tutte le finestre. Ennis e Jack le spalancarono, per fare corrente e lasciar entrare un pò d'aria. Il tempo era cambiato, grosse nuvole nere stavano arrivando da ovest, minacciando un temporale che forse avrebbe spezzato l'afa, o forse, come succedeva la maggior parte delle volte, avrebbe fatto ribollire il terreno provocando ancora più umidità. 
In bagno, Ennis si precipitò al water, e orinò con un sospiro di sollievo. Jack si tolse la camicia, e si stava slacciando la cintura, quando Ennis si girò dopo avere tirato lo sciacquone, ed esclamò: "Cazzo, Jack."
"Mmm?"
Ennis gli fu dietro, accarezzandogli leggermente la pelle intorno ai lividi a cui Jack non aveva più pensato, se non ogni tanto durante il viaggio, quando la pressione contro il sedile si faceva così dolorosa da costringerlo a cambiare posizione. "Cristo, piccolo, ma non ti fa male?"
Jack lesse una profonda preoccupazione nei suoi occhi. Non pena, non commiserazione. "Hai a che fare con un cowboy da rodeo", minimizzò, con un ghigno. "Questo è niente in confronto a..."
A quello che mi ha fatto altre volte. E a quello che ha fatto a mia madre, e probabilmente le farà ancora.
Le parole gli morirono sulle labbra insieme al sorriso, ma Ennis sembrò capire. Si chinò e lo baciò sulla schiena, due volte, una per ogni ematoma. Poi si rialzò, e malgrado la dolcezza dei suoi baci, Jack si accorse che i suoi occhi scuri erano colmi dell'antica rabbia, e pregò di non dover mai essere l'oggetto di quel rancore. Ennis era cambiato, ma non abbastanza da superare la propria aggressività, e forse non ci sarebbe mai riuscito, come nessun animale selvatico può essere del tutto addomesticato.
"Gente come tuo padre dovrebbe essere messa in galera e riempita di botte ogni giorno, dall'alba al tramonto", disse Ennis, con voce rotta dalla collera, "E dal tramonto all'alba."
"Calma", replicò Jack. "Adesso è tutto a posto. Io ne sono fuori."
"Quando ci saremo sistemati, ne verrà fuori anche tua madre."
"Vieni qui", Jack l'attirò a sé e lo strinse. Sua madre non avrebbe mai avuto il coraggio di venirne fuori. Forse era per non seguire il suo esempio, intrappolata da un marito che picchiava lei e il figlio e terrorizzata dall'ignoto che avrebbe avuto davanti abbandonando il tetto coniugale, che aveva rivelato i propri sentimenti al ragazzo biondo che stava abbracciando.
Sua madre non riusciva a rompere le regole, e in questo modo gli aveva insegnato che c'erano regole che andavano addirittura fatte a pezzi.
Si staccò da Ennis e lo baciò piano, sulle labbra e poi sul collo salato di sudore, facendogli scivolare via la camicia già sbottonata, sentendo la sua tensione sciogliersi a poco a poco. Ormai sapeva come sciogliere Ennis.

Sotto il getto dell'acqua, Ennis si lamentò del box doccia troppo piccolo: era impossibile fare sesso decentemente, pigiati lì dentro. Jack l'accusò di scarsa esperienza: lui invece aveva fatto pratica nei bagni delle stanze di motel di ragazze conosciute ai rodei - un buon modo per non passare la notte nel furgone, passarla in modo gradevole, e non spendere un centesimo per la camera. Ennis ribatté che lui, con quella santarella di Alma, in quasi due anni non era riuscito a far altro che allungare le mani sotto la gonna, far allungare le mani di lei sotto i suoi calzoni, ma guai che si andasse troppo in là, lei gli avrebbe tagliato le mani e anche qualcos'altro.
"Vuoi dire che sei ancora... eri... vergine?" domandò Jack, che in realtà l'aveva immaginato. Buffo, però: Ennis, che ci teneva tanto a sottolineare che lui-non-era-un-maledetto-finocchio, non aveva mai avuto rapporti completi con delle donne, bensì solo con un altro uomo. Decise però di tenere per sé questa riflessione: in caso contrario, Ennis si sarebbe arrabbiato seriamente.
"Perché, c'è qualche problema?" sbottò Ennis, avvampando.
"Assolutamente", ribatté Jack, alzando le mani.
"Assolutamente no, o assolutamente ?" Ennis era ormai paonazzo dalla base del collo all'attaccatura dei capelli, l'espressione comicamente vergognosa, e Jack non poté trattenere una risata. In certi momenti, come quando si rosicchiava le unghie, Ennis perdeva il controllo tanto da somigliare al bambino che era stato, e che aveva dovuto diventare adulto troppo presto. Jack apprezzava quelle occasioni, in cui poteva vedere un Ennis diverso, quasi indifeso, privo del solito contegno. Un altro lato della sua personalità, non meno autentico di quello solito.
"Cos'hai da ridere, Twist?" l'apostrofò Ennis, con un sorriso storto, spingendolo contro la parete piastrellata della doccia e riprendendo quello che aveva interrotto. "Adesso ti faccio smettere io..."
Jack smise di ridere, e presto iniziò a sospirare, poi a gemere. La cabina della doccia, in fondo, non era poi così piccola.
Erano le sei passate quando decisero di uscire, asciugarsi e vestirsi, e fuori le nuvole erano venute e passate, senza portare pioggia. Il cielo, di nuovo terso e sereno, si preparava al tramonto.
Ennis si sdraiò sul letto, i capelli umidi, il telo da bagno avvolto sui fianchi. Chiuse gli occhi per un momento, li riaprì. "Bisogna che chiami Alma. Vorrei vederla dopo cena, se può."
"Così, subito?" Jack si sedette accanto a lui, in mutande, strofinandosi i capelli con un asciugamano.
"Prima lo faccio e meglio è." Ennis raggiunse il pacchetto di sigarette che aveva lasciato sul comodino, ne mise in bocca una, l'accese, prese un tiro. "La vuoi?"
"Grazie", fece Jack e prese la sigaretta che Ennis gli porgeva. Non gli piaceva questa storia di Alma, era come un fantasma costantemente fra di loro. Ennis gli aveva detto che l'avrebbe lasciata ed era sicuro che l'avrebbe fatto, ma temeva che non sarebbe stato tanto facile quanto Ennis sembrava aspettarsi. "Vuoi che... venga con te? Non so..."
Ennis si stava accendendo un'altra sigaretta. Scosse la testa. "Meglio di no. Non ti conosce, chissà cosa va a pensare."
"Hai paura che pensi che sei un..."
"Non è quello", Ennis si alzò a sedere. "Te l'ho detto, pensi quello che vuole, non m'importa. Solo, non voglio che pensi che per mollarla mi serve la balia."
"Finocchio va bene, moccioso no." Jack batté la sigaretta nel posacenere sul comodino.
Ennis sorrise. "Mettiamola così."
Jack non era convinto: se questa Alma ci teneva davvero ad Ennis, anche solo la metà di quanto ci teneva lui, non si sarebbe accontentata di spiegazioni evasive. Lui non si sarebbe accontentato: gli avrebbe fatto un sacco di domande, avrebbe voluto sapere l'esatto motivo, e conoscere, o almeno vedere, la persona per la quale Ennis lo stava abbandonando.
Decise però di chiudere il discorso. Quello che stava facendo Ennis era già molto: due giorni prima, gli sarebbe sembrato impossibile.
Appoggiò la sigaretta nel portacenere, si alzò e prese una maglietta pulita dal borsone, l'infilò. "C'è qualcosa da bere in frigo?"
"Sicuramente tutta la birra che vuoi. K.E. va matto per quella tedesca, Kat per quella scura."
"Vado a prenderne una."
"Fai due, grazie. Per me una Guinness."
Jack si diresse verso la cucina, con la sigaretta fra le labbra. Il frigorifero era praticamente vuoto, ma Ennis aveva ragione: le Beck's e le Guinness non mancavano. Ne prese una per marca, cercò l'apribottiglie nei cassetti, lo trovò. Intanto, ascoltava Ennis, che era andato al mobiletto del telefono in corridoio.
"Alma, sei tu?... Ciao... Sono qui a casa... Sì, sono tornato prima perché c'erano delle tempeste che si avvicinavano, stare al pascolo diventava pericoloso... Senti, non è che stasera sei libera?... Certo, sì... Allora, dopo cena... sì, verso le otto e mezzo... mi passi a prendere tu?... Sì, prima o poi la comprerò, un'auto... Va bene, ciao, a dopo."
Jack stappò le bottiglie.

La prima a rincasare, un quarto d'ora dopo, fu Kat, che aveva subodorato qualcosa notando il furgone nero parcheggiato di fronte al giardino e le finestre spalancate. Aprì la porta d'ingresso, gridando: "Ennis! E' il tuo quel furgone? Già che c'eri, potevi comprarne uno che non cadesse a pezzi!"
Ennis era in cucina con Jack, che l'aveva convinto ad apparecchiare almeno la tavola. Dalla penuria che c'era nel frigorifero e nella dispensa, si era reso conto che sarebbe stato difficile tirare fuori una cena. "Non avete un take away qui a Sage?" aveva chiesto. "Potremmo ordinare qualcosa..."
"Proprio non ti va di fare l'ospite", aveva sospirato Ennis. "Ma sì, c'è una pizzeria da asporto che non è male. Ce ne serviamo spesso quando nessuno ha voglia di cucinare. Telefoni, e in mezz'ora ti arriva tutto a casa." 
"Ciao, Kat", replicò Ennis, affacciandosi dalla porta della cucina, seguito da Jack. "Questo è Jack Twist. Il furgone è il suo."
"Salve", disse Jack. Dalla descrizione di Ennis, aveva immaginato Katherine come un'arpia magra e segaligna, magari con il naso a becco e gli occhiali dalle lenti spesse quanto fondi di bottiglia. Invece era una bella donna, bionda e minuta, i riccioli alle spalle, truccata con cura, con unghie lunghissime laccate di rosso vino. Aveva anche creduto che li avrebbe accolti con freddezza, o addirittura a male parole, visto il mese di stipendio perso da Ennis, invece spalancò la bocca ed esclamò: "Gesù, ragazzi, vi siete scontrati con un tir?"
Jack si toccò il livido sullo zigomo, imbarazzato, ma Ennis intervenne: "Ci siamo scontrati con uno che aveva bisogno di una lezione."
"Ma ci avete messo sopra qualcosa?" Kat era corsa all'armadietto dei medicinali e stava rovistando all'interno. "Scommetto di no. Ormai per del ghiaccio è tardi, ma un pò di crema..." passò il tubetto ad Ennis: "Fai da solo o hai bisogno dell'infermiera?"
"Spiritosa."
Lei si rivolse a Jack, gli porse la mano: "Jack, giusto? Piacere, sono Katherine. Kat. Sei un amico di Ennis?"
Lui le strinse la mano: "Abbiamo lavorato insieme quest'estate. Siamo stati licenziati in anticipo, perché stava arrivando il maltempo..."
"Jack non può tornare a casa dai suoi", spiegò Ennis. "Anzi, se ci prova, se la vedrà con me."
Jack gli diede un pizzicotto sulla schiena, sulla pelle sottile sopra alla cintura: Sta' zitto, idiota.
Ennis lo guardò brevemente: Ho capito, non c'è bisogno di scaldarsi. Poi, rivolto a Kat: "Comunque, non abbiamo intenzione di restare per molto."
"Già, a novembre tu ti sposi", ricordò lei.
"Non mi sposo più", disse Ennis.
Lei inarcò le sopracciglia. "Cos'è, finalmente Alma ha trovato uno pieno di soldi e ti ha mollato?"
"A dire la verità, lei non lo sa ancora. Glielo dirò stasera."
Jack stava iniziando a sentirsi a disagio, ma vide che Ennis era perfettamente calmo.
"Che storia", Kat fischiò tra i denti. "E cos'è che ti ha fatto cambiare idea? A giugno, sembravi follemente innamorato."
"Tante cose", ribatté Ennis. 
"Bè, meglio adesso che fra un anno", sentenziò Kat. "Su, datevi quella crema. Io intanto vedo di preparare qualcosa da mangiare, anche se in dispensa non c'è molto. Domani è giorno di spesa..."
"Possiamo ordinare delle pizze", propose Jack. "Ennis mi ha detto che c'è un buon take away... offro io, ovviamente."
"Non preoccuparti, sei un ospite", rispose Kat. "Non c'è alcun bisogno che tu offra la cena."
"Appunto perché sono un ospite, offrirvi una cena mi sembra il minimo."
"Allora, grazie", fece lei. Poi si rivolse ad Ennis: "Il tuo amico qui conosce le buone maniere. Vedi di assimilarne un pò, se ti riesce."

Si stesero la crema nel bagno, davanti alla specchiera.
"L'hai colpita al cuore", ghignò Ennis, sgomitandolo leggermente. "Di solito è una vipera, con te invece fa tutta la gentile."
"A me non è sembrata così un mostro", ribatté Jack. "Anzi, l'ho trovata carina."
"Perché l'hai colpita al cuore, ti dico. E' completamente partita per i tuoi occhioni blu... potremmo approfittarne."
"Dai, stupido", Jack gli schiaffeggiò un braccio, poi si sollevò la maglietta. "Aiutami sulla schiena, piuttosto."
Ennis si spremette sulla mano una lunga striscia di unguento e gli massaggiò i lividi. "Ahi, vacci piano", protestò Jack.
"Scusa. Sto facendo più piano che posso. E' tuo padre che ti ha preso bene."
"Possiamo non parlarne più? Specialmente con altre persone?"
"Certo, stai tranquillo. L'avevo capito."
"Grazie."

Dopo poco, tornò a casa anche K.E., che stritolò Ennis in un abbraccio interminabile, come se non l'avesse visto da secoli. Fra loro c'erano tre anni di differenza, e la somiglianza stava solo nella corporatura, alta e slanciata: K.E. era scuro di pelle e di capelli, pieno testimone delle origini portoghesi del padre. Fecero le presentazioni, e mentre K.E. faceva la doccia, Kat ordinò le pizze, poi anche lei andò in bagno per una rinfrescata. Durante la cena, Ennis domandò al fratello se sapeva che ci fosse lavoro nei dintorni, e questi rispose che l'unico posto che sapeva disponibile era alla fattoria dei Parker, dove cercavano un mandriano in sostituzione a George Jones, che aveva preso un calcio da un cavallo e ne avrebbe avuto per due mesi.
"E' solo un posto precario", precisò K.E. "Potrebbe andare bene per Jack. Suppongo che tu stia cercando qualcosa di più stabile, dal momento che a novembre..."
"A novembre non succede niente", disse Ennis. "Ho deciso di non sposarmi."
"Oh cavolo. E come mai?"
"Ho iniziato a pensare che sarebbe uno sbaglio."
"Anche noi prima di sposarci eravamo..." K.E. lanciò uno sguardo alla moglie, come a cercarne l'approvazione, "terrorizzati. Ma se ami davvero una persona..."
"E' proprio questo il punto. Voglio bene ad Alma, ma credo di avere capito che l'amore sia un'altra cosa. Non posso più sposarla, né stare con lei."
Alle parole di Ennis, Jack si sentì avvampare e abbassò lo sguardo sul piatto, dove ormai restava solo il contorno della pizza.
La risposta sembrò essere sufficiente a K.E., che ridacchiò: "Accidenti, senti che discorsi fa il mio fratellino."
"Io credo che abbia ragione", intervenne Kat. "E' talmente giovane, per sposarsi ha tutto il tempo che vuole. E se non vuole sposarsi, va bene lo stesso."
Il rumore di un'automobile che parcheggiava sul marciapiede davanti al giardino. Poi, poco dopo, qualcuno suonò il campanello, e Jack quasi trasalì: doveva essere Alma.
Ennis s'affacciò alla finestra ed esclamò: "Ciao, arrivo subito." poi si rivolse ai tre seduti al tavolo, e Jack poté leggere il nervosismo nei suoi occhi. "E' Alma, io vado. Ci vediamo dopo."
"A dopo", dissero all'unisono K.E. e Kat, mentre Ennis si dirigeva verso la porta e prendeva il cappello dall'attaccapanni.
Jack si alzò, quasi rovesciando la sedia, e lo seguì fino alla soglia. Il muro li nascondeva alla vista dei due sposi, ma di fronte ad Ennis, Jack si trovò all'improvviso a corto di azioni e di parole. "A dopo", riuscì a mormorare.
Ennis gli carezzò la nuca, baciandolo sulla fronte. "Andrà tutto bene."

Partito Ennis, Jack aiutò Kat a rigovernare, e lei accettò l'aiuto, non senza averlo abbondantemente ringraziato. K.E., nel frattempo, si stava dedicando al suo sport preferito: fumare leggendo il Cheyenne Gazette sul divano del salotto, davanti alla televisione: "Dal momento che ti aiuta lui..."
Parlarono di molte cose, dei precedenti lavori di Jack, dei rodei ai quali aveva partecipato, del lavoro alla Brokeback, del lavoro di Kat, del lavoro di K.E., ma non una parola su Ennis, sul perché Ennis avesse deciso di lasciare Alma, o su cosa effettivamente ci facesse Jack lì con lui. Del resto, K.E. sembrava avere accettato le parole del fratello; era Kat quella da cui Jack si aspettava qualche domanda, presto o tardi. Forse l'aveva colpita al cuore, ma era sicuro che non gli avrebbe risparmiato un piccolo interrogatorio, magari minacciandolo con quei tacchi altissimi su cui, chissà come, riusciva a camminare, se si fosse rifiutato di risponderle.
Sulle nove e mezzo di sera, quando ormai era buio, Jack scese in giardino e si sedette su una delle due panchine. Era presto per aspettare Ennis, ma in casa non c'era altro da fare. Aveva bisogno di una sigaretta. Prese il pacchetto dalla tasca dei jeans e ne mise una in bocca, poi ricordò che aveva lasciato l'accendino nella camera di Ennis.
Non aveva voglia di tornare su a prenderlo.
La porta dell'appartamento si aprì, si richiuse. Dei passi per le scale. Jack si voltò, era Katherine. "Ti serve da accendere?" domandò, sedendoglisi accanto.
"Sì, grazie. Ho dimenticato l'accendino in camera."
Lei gli accese la sigaretta che lui teneva ancora in bocca, poi ne prese una dal pacchetto che aveva in mano e se l'accese. Jack pensò che era ora delle domande, invece Kat fece tutto da sola: "Tu devi essere una delle ragioni per cui Ennis non vuole più sposare Alma", disse. "Anzi, oserei dire l'unica."
Jack sentì lo stomaco ghiacciarsi di colpo, come quando a scuola veniva chiamato per un'interrogazione. "Scusa?" biascicò.
"Si vede da come lo guardi. Gesù, te lo mangi con gli occhi, come se te lo volessi scopare ad ogni minuto... se qualcuno guardasse me in quel modo, andrei giù di testa."
"Io..." Jack deglutì.
Kat ridacchiò: "Ennis invece mi fa morire dal ridere. Cerca di far finta di niente, ma è come se avesse scritto in faccia, Sono pazzamente innamorato di questo ragazzo, e guai a chi ha qualcosa in contrario."
Jack abbassò la testa, sentiva la pelle del viso arrossata e bollente. Non si era mai reso conto di nulla.
Lei gli batté un braccio. "Tranquillo, K.E. non se n'è accorto. Come tutti i maschi, quello non si accorgerebbe di passare sopra ad un cadavere." Poi, come ricordando di avere a che fare con un rappresentante della specie: "Senza offesa."
"Figurati. Forse è meglio che la gente sia distratta, se si vede così bene."
Lei prese una boccata dalla sigaretta. "Ennis è cambiato. Ha parlato di più questa sera che da quando lo conosco, e sono ormai tre anni. Ha persino riso. Se credo che sia merito tuo, dici che mi sbaglio?"
"Non lo so", Jack ricordò che sulla Brokeback anche Ennis aveva detto qualcosa di molto simile, a proposito di sé stesso. "Posso solo dire che quando l'ho conosciuto, tre mesi fa, era molto diverso. Sembrava... un animale selvatico braccato."
"Hai reso l'idea", convenne Kat. "Tu sei riuscito ad addomesticarlo... anche se non so come tu abbia fatto, perché avere a che fare con Ennis davvero non è una cosa facile. O almeno, non lo era. Adesso, grazie al cielo, si riesce a parlargli senza avere paura che ti salti addosso per sbranarti."
"All'inizio, io l'ho trovato solamente molto triste. E molto solo. Per questo era così arrabbiato."
"Doveva trovare qualcuno che lo capisse, insomma."
"Forse. Non so perché ci siamo trovati così bene... forse perché eravamo isolati su quella montagna. Hai ragione, non ha un carattere facile, e se l'avessi conosciuto in un'altra situazione, non so se..." Jack aspirò una boccata. Trattenne il fumo un secondo, poi esalò, pensieroso. Perché poi stesse facendo quei discorsi con una perfetta estranea, usciva dalla sua comprensione. Forse aveva solo bisogno di parlare con qualcuno di ciò che era successo fra lui ed Ennis, e Kat era la prima persona con la quale poterlo fare. "Che diamine, non ero mai stato con un uomo... non credevo nemmeno che fosse possibile. Sapevo che certe cose succedono, ma non credevo potesse succedere a me. Però è successo, e ormai, credo che non potrei più stare con nessun altro. Né uomo, né donna."
"E' bello che vi amiate così."
"Tu non sei contraria?"
"E perché dovrei? Se Ennis è cambiato in questo modo grazie a te, non vedo proprio che male possa esserci se state insieme."
"Anche lui mi ha aiutato. Mi ha tirato fuori da una brutta situazione."
"Ha dato una lezione alla persona che ne aveva bisogno, e credo di sapere chi è questa persona."
Jack le scoccò un'occhiata interrogativa.
"Sono una donna, se passo sopra un cadavere, me ne accorgo eccome. Solo una cosa, mi raccomando... state attenti." lo sguardo di Kat si rabbuiò. "La legge non può farvi niente, a meno che non vi mettiate a esibirvi in pubblico, e immagino abbiate abbastanza testa da non farlo... ma la gente è cattiva. Bacchettona, ipocrita, stronza, e cattiva."
"Ennis mi ha raccontato di quello che è successo a quel cowboy, qui a Sage", disse Jack. "Ne è rimasto sconvolto."
"Credo che tutti qui ne siano rimasti sconvolti." l'intero viso di Katherine si era fatto tetro. Prese un'ultima boccata, gettò la sigaretta per terra e la schiacciò con il tacco. "E chi l'ha ammazzato, ha fatto finta di essere sconvolto al pari degli altri. Questa secondo me è la cosa peggiore."
"Ennis crede che suo padre possa c'entrarci qualcosa. Quando ha portato lui e K.E. a vedere il cadavere..."
"So cos'ha fatto il signor Antonio", disse Kat, accendendosi un'altra sigaretta. "Gli mancava solo di mettersi a ballare sopra a quel corpo straziato. Anche K.E. ci è rimasto di merda, ha continuato a sognarselo per anni, sia il cadavere, sia l'atteggiamento del padre. Ma Tony del Mar non c'entra, l'ho detto a K.E. e lo posso garantire a te, e puoi tranquillamente dirlo anche ad Ennis. Anzi, digli pure che se ha voglia di parlarne con me, ne sarei ben lieta. Non gliel'ho mai detto, perché... bè, parlare con lui, te l'ho detto, era come entrare in una gabbia piena di leoni. Figurati entrare in un discorso come questo."
"Parli come se sapessi chi è stato", si lasciò sfuggire Jack, e si morse la lingua un attimo dopo. Come poteva sapere Kat una cosa del genere? Aveva la stessa età di K.E.: quindi, nove anni al momento dell'omicidio. E anche se avesse saputo la verità, un praticamente sconosciuto Jack Twist non aveva alcun diritto di chiederle spiegazioni.
Ma lei rimase calma. La sua espressione era addolorata, ma pacata, come se avesse fatto già molte volte i conti con quello che stava per dire: "Lo so, infatti. E' stato mio padre, insieme a due suoi compagni di bevute. In tre, armati di cacciacopertoni, contro uno, disarmato. Un gran bel coraggio, vero? Il giorno dopo, mia madre ha preso me e mia sorella, ed è tornata dai suoi."
"Accidenti, Kat, mi dispiace... io..." Jack era mortificato. Era felice di sapere che il padre di Ennis non aveva partecipato all'impresa, benché l'avesse approvata, tuttavia era sinceramente dispiaciuto per Katherine, che gli aveva fatto una gran buona impressione, e con la quale aveva appena scoperto di avere molto in comune.
"Non ti preoccupare", ribatté lei. "A me non dispiace affatto. Anche mio padre era un violento, un ubriacone violento, e non ho mai capito come mia madre abbia potuto resistere con lui per dieci anni." lanciò a Jack uno sguardo d'intesa, aggiungendo: "Non credo che avrebbe avuto il coraggio di andarsene, se non avesse avuto l'appoggio dei suoi genitori... ma comunque, da quando ce ne siamo andate da quella casa, la nostra vita è migliorata alla grande."
Jack sospirò, sperando che anche la sua vita sarebbe migliorata.
Come se gli avesse letto nella mente, lei gli passò un braccio intorno alle spalle e lo strinse: "Anche voi due starete bene. Ne sono sicura."
K.E. si affacciò alla finestra e gridò: "Jack! Ennis ti vuole al telefono!"
Jack sobbalzò sulla panchina; non fu lo stomaco a congelarsi, questa volta, ma il cervello. "Arrivo", rispose, con una voce che non gli sembrò uscire dalla propria bocca, si alzò e corse verso le scale, su gambe che non gli sembravano appartenere al proprio corpo. La sua mente iniziò a turbinare, mentre saliva le scale, entrava in casa e raggiungeva il telefono: Farà tardi. Sta avendo dei problemi. Lei si è arrabbiata. Hanno litigato. Non c'è riuscito. Non ce l'ha fatta. Non ha potuto. Ha cambiato idea. Passerà la notte con lei.
Dio, passerà la notte con lei. 
Se Ennis gli avesse detto questo, l'avrebbe raggiunto anche in capo al mondo e l'avrebbe trascinato via.
Si portò la cornetta all'orecchio: "Ennis?"
"Jack, sei tu? Senti... io..." già da queste poche parole, Jack capì che qualcosa non andava. La voce di Ennis era un bisbiglio roco, come se stesse trattenendo le lacrime, o la collera, o tutte e due. "Ci sono stati dei problemi... Alma si è arrabbiata, abbiamo litigato... e di brutto, anche..."
Quello che Ennis gli stava dicendo era quello che Jack aveva immaginato, con qualche insignificante variazione. Conosceva l'espressione avere il cuore spezzato, e questo era ciò che sentiva in quel momento: il suo cuore che stava iniziando a frantumarsi in mille pezzi, come la specchiera nella camera dei suoi genitori quella volta che suo padre vi aveva sbattuto contro la testa di sua madre per non ricordava quale irrimediabile delitto. Jack era intervenuto in difesa di Ada, temendo che suo padre avrebbe preso uno dei frammenti dello specchio e avrebbe tentato di sgozzarli entrambi.
"Cosa posso fare?" chiese.
Se posso fare qualcosa, chiaro. Perché so già che quello che mi dirai sarà, Credo che farò molto tardi, non aspettatemi, stanotte.
Invece, Ennis rispose: "Io... bè, mi ha mollato qui, se n'è tornata a casa." tentò una risatina. "Dovevo mollarla io, e invece mi ha mollato lei."
Jack tirò un sospiro di sollievo. "Ti vengo a prendere, se vuoi."
"Sì... a dire il vero, ho telefonato per questo... mi sono incamminato a piedi, ma sono dall'altra parte del paese... non ho voglia di fare l'autostop, e sinceramente, ho una voglia matta di vederti..."
Jack sorrise fra sé. Il suo cuore si stava ricomponendo. Gli dispiaceva per Ennis, si rendeva conto che non si sarebbe mai lasciato sfuggire un'affermazione del genere se non avesse avuto il morale sotto ai piedi, ma era felice che avesse voglia di vederlo. Aveva temuto che, se fosse riuscito a lasciare Alma, per un giorno o due sarebbe stato impossibile da avvicinare.
Avrebbe potuto, e decisamente dovuto, fidarsi di più di lui, in futuro. Ennis era cambiato, e ogni giorno che passava lo sbalordiva con nuovi cambiamenti.
"Dove sei adesso?" domandò.
"Sulla strada principale. In pratica, la stessa che abbiamo fatto per arrivare a casa. La percorri sempre nello stesso senso, fino a uscire dal centro abitato, poi c'è una piccola zona industriale, e dopo poco, questo locale che si chiama Tequila. Fra questi c'è una cabina telefonica... è da qui che ti sto chiamando."
"Aspettami lì, arrivo subito."

Ennis era appoggiato alla porta della cabina telefonica, le gambe incrociate, fumando una sigaretta: la stessa posizione in cui l'aveva visto per la prima volta, a Signal. Quella volta, Jack era sceso dal furgone, e stava per dirigersi verso di lui per presentarsi, e magari scambiare due chiacchiere prima che arrivasse Aguirre, ma l'occhiata timorosa e gelida che gli aveva lanciato Ennis, senza muoversi, l'aveva fatto desistere.
Jack accostò, e quando scese, questa volta Ennis l'aveva già raggiunto. Come sulla soglia quando era passata Alma, rimasero per qualche secondo immobili, a fissarsi. Ennis gettò la sigaretta e la schiacciò. Aveva gli occhi cerchiati, il viso stravolto; doveva essere stata davvero brutta.
Fu lui a parlare per primo: "Ha iniziato a scaldarsi e fare domande, non si beveva nemmeno che mi fossi invaghito di un'altra, e alla fine ho dovuto dirle tutto. Mi spiace."
"Cosa sarebbe, tutto?"
"Cos'è successo, quando è successo, dove, perché, chi è questa persona, nome, età, aspetto fisico, credenziali..."
"Credevi davvero che accettasse solo qualche vaga spiegazione?"
"No. Però me lo auguravo." Ennis sospirò. "Subito credeva che la prendessi in giro, che le stessi dicendo che mi ero innamorato di un uomo per nasconderle chissà quale altra mascalzonata. Pensa, ha persino sospettato che avessi messo incinta un'altra. Poi, quando ha visto che insistevo, e che non mi stavo inventando niente, ha iniziato a credermi, e si è talmente incazzata che ha iniziato a gridarmi contro come una matta, piangendo e dicendomene di tutti i colori. Per fortuna eravamo già usciti dal locale, c'era troppa gente e non si riusciva a parlare, ed eravamo tornati in macchina."
"E tu che hai fatto?"
"Ho cercato di calmarla... te l'ho detto, due anni sono due anni, e comunque le voglio bene." Ennis si appoggiò al muso del furgone, stringendosi le braccia intorno al corpo. La sua voce era tornata rauca e tremante. "Non l'avevo mai vista in quello stato... non avevo mai visto una persona in quello stato... e Dio solo sa quanto mi faceva male vederla così..."
D'istinto, Jack lo trasse a sé. Dalla sera precedente, Ennis l'aveva abbracciato e sostenuto, ma ora era Ennis ad avere bisogno di abbracci e sostegno. Per un attimo temette che l'avrebbe respinto, invece Ennis si aggrappò alla sua maglietta e appoggiò la testa contro la sua spalla. Il cappello gli scivolò a terra. "Lei non si calmava. Qualsiasi cosa io dicessi, gridava e piangeva di più. Poi ha detto che non voleva più vedermi, campasse mille anni, e mi ha ordinato di scendere dall'automobile. Io sono sceso, lei è partita a tutto gas... ed è finita lì."
Jack gli carezzò la schiena, le spalle e la testa, senza parlare. Sì, era stata davvero brutta. Aveva Ennis tutto per sé, ora, e avrebbe dovuto gioire, invece la gioia era oscurata dall'amarezza. Non avrebbe voluto vedere Ennis soffrire così, proprio come Ennis non avrebbe voluto vedere Alma in quello stato.
E Alma? Aveva amato Ennis, questo era certo. Forse non quanto l'amava Jack, ma chi poteva saperlo?
E chi poteva sapere se Ennis non sarebbe stato meglio sposandola, conducendo una vita normale, accanto a una donna che lo amava, magari con dei figli, anziché rasentare l'illegalità e doversi guardare le spalle da questo mondo bacchettone, ipocrita, stronzo e cattivo?
"Andiamo a casa", disse Ennis.

Quella notte dormirono nel letto di Ennis: piccolo, ma finalmente un letto vero, con un materasso confortevole, un cuscino morbido e lenzuola fresche e pulite. Non appena si furono svestiti e sdraiati, fu Ennis ad accoccolarsi vicino a Jack, girato a pancia in su, appoggiandogli la testa sul torace nudo e passandogli un braccio intorno allo stomaco. Jack gli circondò le spalle con il braccio destro.
"Tutto bene?" domandò. Era un pò come chiedere Ti è piaciuto? dopo il sesso, il tabù dei tabù, ma non era riuscito a trattenersi.
"No", rispose Ennis. "Ma meglio di prima."
"Non sei... pentito?"
Ennis si alzò, per guardarlo in viso. "Cosa ti salta in mente?"
"Eri tu a dire che due uomini non possono stare insieme, ad avere tutti i dubbi di questo mondo", spiegò Jack. "Sulla Brokeback, una volta, hai persino messo in chiaro che tu non eri un finocchio, e che fra di noi sarebbe iniziata e finita lassù."
"Se ti fa piacere saperlo, mi sono sentito di merda subito dopo. E quando tu mi hai dato ragione, è stato anche peggio."
"Buono a sapersi", Jack gli diede una lieve scrollata, sorridendo fra sé. Ricordava bene quella conversazione, quanto anche lui ne avesse sofferto.
"Ma il peggio è stato quando mi sono reso conto che quello che c'eravamo appena detti mi aveva fatto sentire così male. Mi ha spaventato a morte." Ennis riprese la stessa posizione che aveva abbandonato poco prima e gli accarezzò la pancia con la punta delle dita, giocando con la striscia di peli che usciva dagli slip per arrivare, assottigliandosi, all'ombelico. "Tu invece, sembravi così tranquillo... sembrava che quello che stava succedendo per te fosse la cosa più normale del mondo."
Jack chiuse gli occhi, il naso nei capelli di Ennis, che sapevano di shampoo alla camomilla. Era la prima volta che parlavano così apertamente di quello che era successo fra loro. "Avevo paura anch'io, forse più di te. Di certo non pensavo che fosse normale. Ma mi sembrava anche... troppo giusto. E troppo bello. Troppo bello per far finta di niente, troppo bello per lasciarti perdere."
Tacquero per qualche minuto, come digerendo e assimilando le loro parole. Poi Jack bisbigliò: "La vecchia Brokeback deve averci marchiati."
"No", disse Ennis. "Tu mi hai marchiato. Mi hai cambiato... e tutto il mio vecchio mondo è finito sottosopra. Niente può più tornare come prima."
"Ti dispiace?"
"Non lo so. Una volta avevo delle certezze, adesso ho una gran confusione... ma chi può dire che le certezze che avevo prima  fossero giuste?"
Jack tacque. Era quello che anche lui aveva provato, quando si era reso conto di essere attratto da quel suo collega riservato e scostante.
"E poi", soggiunse Ennis, "Ormai è capitato. Mi hai colpito al cuore, Twist, peggio di come hai colpito Kat, e dal momento che ho avuto il coraggio di ammetterlo, non cambierò più idea, dovessi affrontare le fiamme dell'inferno."

Jack si svegliò all'improvviso. Qualcosa, o qualcuno, stava gemendo. Anzi, guaiva, come un animale preso alla tagliola.
Era Ennis, tremante, girato con la schiena contro la sua, in posizione fetale, avvolto nel lenzuolo fino alle orecchie.
"Ennis..." Jack gli scosse una spalla, ancora intontito dal brusco risveglio.
Ennis non si accorse di nulla, i suoi gemiti diventarono lamenti, e pronunciò chiaramente, con la voce che si alzava fino a diventare un grido: "No, lasciatelo in pace, no, no, no..."
Jack ne fu spaventato, e lo scosse con più forza: "Ehi, Ennis... forza, svegliati!"
Ennis si svegliò, e il grido gli morì in gola. Si voltò verso di lui, e per un attimo, nei suoi occhi Jack vide davvero il terrore di una lepre in trappola. "Ennis..."
Ennis lo riconobbe, i suoi occhi tornarono quelli di sempre. Prese un profondo respiro. Si tirò a sedere, lentamente, come un vecchio, strofinandosi la fronte. "Dio, Jack..."
"Stavi gridando. Hai fatto un brutto sogno?" anche Jack si sedette, gli mise una mano sulle spalle sudate.
"Sì. Tremendo."
"Vuoi un bicchiere d'acqua?"
"Grazie, ma ci vado io. Devo andare in bagno." Ennis lo scavalcò, scese dal letto, si diresse verso la porta e uscì dalla stanza lasciando la porta semiaperta. Jack udì la porta del bagno che si apriva, che si richiudeva, lo sciacquone che veniva tirato, poi il flusso del rubinetto per almeno qualche minuto. Guardò la sveglia, ed erano le tre di notte. Poi Ennis tornò in camera, i capelli umidi e tirati indietro. Chiuse la porta.
"Tutto a posto?" domandò Jack.
Ennis annuì, tornando a letto. Rigirò il cuscino, si sdraiò sul fianco destro, dandogli la schiena, e chiese: "Mi tieni stretto? Come fai di solito?"
"Ma certo." chissà che incubi doveva avere avuto: Ennis non gli aveva mai chiesto di tenerlo stretto, malgrado fosse chiaro che l'apprezzava. Ma Jack decise di non domandargli niente. Forse aveva sognato Alma, forse qualcosa di ancora peggiore, ma se avesse voluto parlargliene, Ennis l'avrebbe fatto di sua volontà.
Si strinse a lui, carezzandogli la testa. Ennis gli prese la mano, la baciò sul palmo e la tenne fra le sue.
Dopo poco, Jack si addormentò.

3 - Casper

Il mattino seguente, un sabato, stavano tutti e quattro facendo colazione in cucina. Ennis si sentiva stanco e pesto: non aveva dormito molto, quella notte, a causa di un incubo orribile: la madre di tutti gli incubi che avesse mai avuto. John Twist ed Alma stavano picchiando Jack a sangue, nella stessa carraia isolata in cui era stato ritrovato il corpo di Earl Bowers, e lui non poteva fare niente, perché suo padre lo tratteneva, e rideva: "Se lo merita. Ed è quello che ti meriti anche tu."
Per fortuna, Jack l'aveva sentito lamentarsi e l'aveva svegliato: se il sogno fosse continuato, era certo che il signor Twist e Alma avrebbero abbassato a Jack jeans e slip, gli avrebbero legato una corda all'uccello, e l'avrebbero trascinato finché non si fosse staccato. Poi, insieme a suo padre, avrebbero riservato lo stesso trattamento a lui, mentre Jack rantolava, annegando nel proprio sangue.
Era andato in bagno, si era buttato dell'acqua fredda su viso, testa e collo e aveva bevuto dalle mani a coppa, grato a Jack per non avergli fatto domande: non voleva turbarlo raccontandogli quello che in fondo era stato solo un maledetto incubo. Era ritornato in camera e si era rannicchiato sul fianco destro, domandando a Jack di tenerlo stretto come di solito. Non sarebbe riuscito a chiedergli una cosa del genere guardandolo in faccia.
Jack l'aveva tenuto stretto, e dopo poco si era riaddormentato. Ennis, invece, no: appena chiudeva gli occhi, l'incubo gli tornava davanti, pronto a riprendere da dove si era interrotto.
Stupido, si era rimproverato. Jack è qui con me, al sicuro. E se qualcuno prova anche solo a guardarlo in un modo che a me non piace, gliela farò pagare cara.
Ma nonostante questo pensiero, e nonostante il corpo caldo di Jack e il suo respiro placido dietro di sé, non era più riuscito a prendere sonno.
Squillò il telefono.
"Vado io", fece Kat, ancora in camicia da notte, e andò a rispondere. "Pronto, del Mar... oh, ciao, Jan..."
Janice era la sorella maggiore di K.E. ed Ennis: aveva due anni più di K.E., cinque più di Ennis, e si era presa cura di loro quando i genitori erano morti, nel 1951. Ennis era molto affezionato a lei, esattamente come lo era stato a sua madre: era una donna forte, nel modo in cui possono esserlo le donne che si sono trovate in grosse difficoltà e sono riuscite a superarle. Nel '58 era diventata la signora Hamilton e, con il marito Matthew, si era trasferita a Casper nella fattoria dei suoceri, che ne avevano approfittato per traslocare in centro: erano avanti con gli anni, e avevano iniziato ad averne abbastanza di quella fattoria isolata. Nel '60 era nata Hope, e due anni dopo Kenneth; Ennis, K.E. e Kat avevano fatto loro visita per il battesimo dei bambini, ed entrambe le volte avevano trovato una Janice raggiante, in ottima forma, innamorata del marito e dei figli. Anche il ranch funzionava bene: gli Hamilton non navigavano nell'oro, ma non si poteva certo dire che fossero dei poveracci.
Janice era riuscita a superare le ristrettezze e le difficoltà del passato, ed Ennis era felice e orgoglioso di lei.
Kat intanto era in ascolto. Poi esclamò: "Oh. Oh, accidenti. Cazzo, Janice, mi dispiace... mi dispiace veramente... vedrai che si sistemerà tutto... Sì, c'è anche Ennis, qui... ti passo uno dei due... Ciao, ci risentiamo presto. In bocca al lupo."
Brutte notizie in arrivo.
Kat raggiunse la cucina, dove i tre uomini l'aspettavano, tutt'orecchi, i due fratelli già in piedi, pronti a correre al telefono. "Matt ha avuto un incidente, ieri sera", spiegò lei. "E' caduto dal granaio, una trave si è spezzata mentre la stava aggiustando, o qualcosa del genere."
K.E. aprì la bocca per parlare, ma la moglie lo prevenne: "E' in ospedale, non è in pericolo di vita ma ne avrà per un pezzo, ha delle costole fratturate, una gamba rotta... qualcuno vada al telefono."
"Vado io", disse Ennis, più rapido di K.E., correndo al telefono. Era molto affezionato a Jan, voleva accertarsi del suo stato d'animo. Prese la cornetta. "Jan? Sono io, sono Ennis."
"Ciao, Ennie. Come stai?" la solita voce, calda e sicura. Jan doveva essere sconvolta, ma era una tosta, raramente si lasciava andare alle lacrime.
"Io benone. Come stai tu, piuttosto. E Matt."
"Ho sentito che Kat ve l'ha detto. Ha avuto un incidente, ieri sera, e deve considerarsi fortunato ad essere ancora vivo. I dottori dicono che tornerà tutto a posto, ma qui intanto siamo nei casini, e belli grossi." sospirò, poi continuò, con la voce che le si rompeva a poco a poco: "Abbiamo delle giumente e delle vacche che devono partorire... per il terreno abbiamo due operai fissi, ma agli animali era Matt che badava... il problema è che siamo a corto di soldi, quest'anno c'è stata tempesta e il frutteto è andato alla malora, con il grano non abbiamo guadagnato quasi niente, e non possiamo permetterci di assumere nessun altro... abbiamo già venduto una decina di vacche, dovremo venderne delle altre... e io ho i due marmocchi da badare, e a Katherine non l'ho detto, ma sono incinta di nuovo..."
Quando a Jan s'incrinava la voce e iniziava a sputare le parole in quel modo, come pallottole sparate da una mitragliatrice, era davvero disperata. Ad Ennis si strinse il cuore.
"Calma, Jan. Buona. Ascolta, stai tranquilla, andrà tutto bene." cercò Jack con lo sguardo, gli fece segno di raggiungerlo. Jack lo raggiunse.
"Non lo so", mormorò Jan. "Dovrei essere felice, perché Matt è vivo e non ha niente di irrimediabile, e aspettiamo un altro bimbo, ma proprio non ci riesco. Questa volta... questa volta ho paura, Ennis."
"Tranquilla. Aspetta un secondo." Ennis coprì la cornetta e si rivolse a Jack: "Che ne diresti di andare a Casper ad aiutare mia sorella con la fattoria?"
"Perché no. A Casper non fanno quel torneo di rodeo, a fine settembre?"
Ennis lo sgomitò: "Già. Ma questa volta puoi scordarti il sesso nelle docce dei motel, cowboy."
"Dovrai darti da fare tu dopo, a casa, allora", gli sussurrò Jack all'orecchio, ridendo.
Ennis scoprì la cornetta. "Jan? Ho una proposta da farti. Io e il mio amico Jack Twist ti aiutiamo con le bestie, in cambio di vitto e alloggio."
"Stai scherzando."
"Mai stato più serio. Non fare niente, non vendere neanche una vacca, se qualcosa va male sarai sempre in tempo."
"Io... io..."
"Se accetti, entro sera saremo lì da te."
Janice era commossa. "Sei molto gentile, ma non posso accettare... tu devi sposarti, e..."
"Non preoccuparti per questo. Non mi sposo più."
"E questa che storia è?"
"Te la racconto quando arrivo, promesso. Ma tu adesso stai tranquilla. Devi badare a tuo marito, oltre che ai due marmocchi, e pensare a quello che ti sta crescendo nella pancia."
"Ennie, grazie, davvero..."
"Non ringraziarmi. Sono senza lavoro, al momento, e la tua ospitalità mi fa un gran comodo... sicuramente più che a te il mio aiuto."
"Non serve che fai il duro, con me. Ti voglio bene, Ennie." la voce di Jan era tornata quella di sempre, calda e dolce e sicura: anche Ennis si sentì sollevato, e replicò: "Anch'io ti voglio bene, Jan, hai fatto tanto per me e non potrò mai sdebitarmi a sufficienza. Ma smettila di chiamarmi Ennie, è un nome da checca."
"Sei sempre il solito", l'apostrofò lei, ridendo, mentre Jack soffocava a sua volta una risatina dietro ad una mano.
"E piantala, Twist", grugnì Ennis, sgomitandolo.

K.E. e Kat avevano sentito la conversazione, e capito tutto per filo e per segno: quello che era successo, e quello che stava per succedere. K.E. si dichiarò orgoglioso della scelta di Ennis: lui, del resto, non avrebbe potuto fare molto per Jan. Non poteva permettersi di prendere un mese di ferie, o forse di più, per andare ad aiutarla: l'unica cosa che poteva fare era mandarle un prestito tramite Ennis, e magari andarla a trovare qualche giorno, la settimana seguente.
"E' un semplice scambio", minimizzò Ennis. "Io l'aiuto, e lei mi ospita."
K.E. gli strofinò la testa: "E' un bel gesto lo stesso. So che vuoi molto bene a Jan, ma non mi sarei mai aspettato da te una cosa del genere."
"Cosa vorresti dire?" domandò Ennis, imbarazzato.
"Quello che ho detto. Da quando sei tornato da quella montagna, sei cambiato. In meglio, per fortuna."
Jack e Kat si scambiarono un'occhiata complice.
Ennis non possedeva un'altra sacca da viaggio, e iniziò a radunare le proprie poche cose in due sporte di cellophan del supermercato. Non che avesse molto da radunare: i suoi averi erano ancora più miseri di quelli di Jack.
"Sai, se non ti dispiace, credo che presterò a Jan lo stipendio di quest'estate", disse, rovistando nei cassetti alla ricerca di qualche paio di calzini che non fosse troppo rammendato. Aveva usato il verbo prestare, ma se Jan non fosse stata in grado di restituirgli quei millecinquecento dollari, né in un anno né in una vita intera, non se ne sarebbe fatto un problema. "Lei... è la mia seconda mamma, mi ha praticamente allevato, e adesso che ha bisogno, mi pare il minimo che io possa fare. Del resto, mangeremo alla sua tavola e dormiremo in casa sua, e mi pare giusto contribuire alle spese." poi ripeté, guardando Jack direttamente: "Sempre se tu sei d'accordo, s'intende."
"Perché non dovrei esserlo? Se ti va, quei soldi puoi anche regalarglieli. Sono tuoi, li hai guadagnati tu."
"Non è proprio così. Credo che dal momento che abbiamo deciso di stare insieme, quei soldi sono anche tuoi. E' come se avessimo una cassa comune."
Jack sorrise, rassicurante. "Non ti preoccupare. Io farei lo stesso, per mia madre."
"Per le emergenze, terremo i tuoi soldi, e quel poco che avevo messo da parte io per il matrimonio. Non si sa mai cosa possa succedere." Ennis esaminò un paio di calzini, uno era bucato sul tallone, e li buttò nuovamente nel cassetto. Poi passò a quello delle mutande. "Conosco Jan, e credo che se le dico quello che c'è fra di noi, non le farà né caldo né freddo, dal momento che la cosa sta bene a me. Il problema è Matthew, suo marito. Non sono riuscito a inquadrarlo, e non vorrei che sia lui ad avere... uhm, qualcosa in contrario, anche se gli mandiamo avanti la fattoria."
"Hai pensato di dire tutto a tua sorella?"
"Non ne sono sicuro, ma credo che sia la cosa giusta da fare. E' mia sorella, staremo in casa sua per almeno un mese, e non mi va di tenerle nascosta una cosa del genere."
"Anche perché se ne accorgerebbe."
Ennis lo guardò, un paio di boxer in mano, sospesi a mezz'aria. "Non mi sembra che siamo così..."
"Non sembrava neanche a me. Ma se se n'è accorta Kat, vuoi che non se ne accorga tua sorella?"
"Kat cosa?"
Jack sorrise, ricordando le parole di Katherine. "Dice che ce l'abbiamo scritto in faccia."
"E' una maledetta lingua biforcuta, ecco cosa", ribatté Ennis. Stava iniziando a sentirsi nervoso. Possibile che fosse così evidente? Dunque, la sensazione di essere osservato che cercava disperatamente di scacciare non era poi tanto sbagliata. Avrebbero dovuto fare ancora più attenzione, ma come? Come, per la miseria, se non si erano mai scambiati gesti ambigui in pubblico, e la loro colpa era solo quella di averlo scritto in faccia? Non era una scritta in gesso sulla lavagna, che puoi cancellare con uno straccio.
Jack gli mise una mano su una coscia. Si era accorto del suo disagio. "Più che altro, se n'è accorta perché tu sei molto cambiato, e vedendo come ci guardavamo, ha pensato che la ragione fossi io."
"E ha fatto due più due."
"Esatto. Ma dice che K.E. non si è accorto di niente."
Ennis tirò un sospiro tremolante. "Ho una paura matta. Te l'ho già detto, se qualcuno prova a farti qualcosa, io..."
Jack abbassò la voce: "Kat mi ha anche detto un'altra cosa. Che puoi stare tranquillo riguardo a tuo padre. Non è stato lui a fare la festa a quel cowboy."
Ennis non poteva credere alle proprie orecchie: aveva sempre pensato che suo padre fosse stato uno degli autori del gesto, ormai lo considerava un dato di fatto, una questione scontata. "E lei come lo sa?"
"Senti, mi ha detto che se vuoi puoi parlarne direttamente con lei, non so se sia giusto che te lo dica io. E' una cosa un pò grossa."
"Jack."
"Okay. Però poi parla anche con lei. O fa' finta che io non te l'abbia detto. E' stato suo padre, con due suoi amici. Quella è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso, e sua madre l'ha piantato ed è tornata dai suoi genitori con lei e sua sorella."
Ennis sapeva cos'aveva fatto la madre di Katherine: l'abbandono del tetto coniugale da parte di Dolores Jackson per un pò era stato il pettegolezzo all'ordine del giorno, a Sage, insieme al ritrovamento del corpo di Earl Bowers, il giorno precedente. Sapeva anche che Randy Jackson era un violento, talvolta i suoi genitori ne avevano parlato (e sua madre aveva detto a suo padre, Se tu provi a comportarti così con me e i tuoi figli, lo sai cosa ti succede), ma non l'aveva mai associato a quello che era capitato a Bowers. Era stato talmente convinto che la colpa fosse di suo padre... perché l'aveva portato con suo fratello a vedere il cadavere, altrimenti? Perché quei discorsi di approvazione?
Era stata solo approvazione, appunto. Non una cosa di cui Ennis si sarebbe mai vantato coi nipoti, se avessero voluto ascoltare qualche aneddoto su nonno Tony, ma non c'era stata azione.
Suo padre non aveva ammazzato Earl Bowers.
Fu come se il cuore gli venisse sollevato da un grosso peso, un peso a cui era talmente abituato da non rendersene più conto, ma che gli gravava quanto un vagone pieno di lastre di marmo, soprattutto da quando suo padre era morto. Ai morti non si può domandare niente, e non gliene importa un fico né secco né fresco se ce l'hai con loro perché credi che abbiano massacrato un innocente, anche se non ne hai mai avuto la conferma.
Sentì gli occhi riempirsi di lacrime, tentò di scacciarle prendendo un respiro, ma fu solo peggio: quando esalò, traboccarono come un fiume in piena, insieme ad un singhiozzo strozzato.
Allarmato, Jack gli carezzò la testa: "Ennis..."
"Non è niente... n-non... Dio, che stupido..."
Ma non c'era niente da fare. Ennis appoggiò la testa sulla spalla di Jack, proprio come aveva fatto la sera prima, e questa volta si lasciò andare al pianto. Jack lo strinse e lo cullò, sussurrandogli parole di conforto.
Come avrebbe fatto, senza Jack che lo cullava e lo confortava, e lo accoglieva fra le sue braccia ogni volta che aveva bisogno?
E come aveva fatto, prima di conoscere Jack, a tirare avanti senza mai ammettere di avere bisogno di niente e nessuno, contando solo sulle proprie forze, e sbattendo la testa contro il muro infinite volte, a causa della propria testardaggine, del proprio orgoglio, della propria timidezza, della propria malfidenza verso l'intero genere umano? Come aveva fatto senza qualcuno con cui scambiare opinioni e battute, qualcuno che lo teneva stretto, di notte, quando aveva avuto un incubo, e anche quando non ne aveva avuti, qualcuno con cui poteva essere sé stesso, lasciandosi anche andare al pianto o a una risata, con la certezza che non sarebbe stato giudicato, qualcuno che lo amava incondizionatamente, quanto l'amava lui?
Quando si fu calmato, e ci volle un pò, Ennis andò a darsi una risciacquata in bagno. Si guardò allo specchio, e riconobbe che il suo viso era un disastro: un occhio nero, tutti e due cerchiati per la mancanza di sonno, gonfi e arrossati dalle lacrime, il naso rosso e intasato per esserselo soffiato più volte nel fazzoletto che Jack gli aveva prestato, la pelle lucida e tirata. Però si sentiva meglio. Sapere che suo padre non era entrato in quella brutta storia non avrebbe protetto lui e Jack da eventuali aggressioni, ma lo faceva sentire infinitamente meglio.
Tornò in camera, per terminare di far le valigie - quali valigie? - e quando trovò Kat, seduta sul letto insieme a Jack, si sentì come un bambino colto con le dita nella marmellata. In faccia, ora aveva scritto un romanzo intero, vergato con lacrime e singhiozzi. Abbassò la testa, per non lasciar leggere a Kat troppo di quel romanzo, ma lei gli chiese: "Va meglio?"
Jack doveva averle detto che era andato a sciacquarsi il viso dopo quell'inondazione di lacrime, e certamente anche il motivo dell'inondazione: anche lui era un maledetto linguacciuto, non era capace di stare zitto. Era uno dei comportamenti di Jack che più lo infastidivano.
"Sì, meglio, grazie", farfugliò, sempre a testa bassa. Poi la rialzò e li guardò entrambi, sentendosi furioso. Odiava sentirsi così, e odiava che qualcuno lo vedesse in quello stato. E cos'era quella gelosia che iniziava a sentire, come la musica di sottofondo nella scena di un film? "Immagino che Jack ti abbia raccontato quello che è successo. Sembrate molto intimi, voi due."
"Ennis..." fece Jack, ma Kat lo prevenne: "Vedi di ammosciarti. Ti ho sentito piangere, ti si poteva sentire dall'altra parte della strada, mi sono preoccupata e ho chiesto a Jack cosa fosse successo. Se tu non fossi stato in bagno, l'avrei chiesto a te."
Ennis sospirò. Katherine forse aveva ragione. No, senza forse.
"Non vedo cosa ci sia da vergognarsi o arrabbiarsi", disse lei. "Anzi, mi chiedo come tu abbia fatto a tenerti dentro un rospo del genere per tanti anni."
"Cos'altro potevo fare?"
"Diosanto, a volte sei proprio ottuso", Kat allargò le braccia. "Parlarne, aprirti, sfogarti, come fanno tutti a questo mondo. Se non con me, con tuo fratello o tua sorella. E' da un pezzo che loro sanno tutto."
"Non potevo. Io..."
"Mister Lungo e Duro non poteva far vedere a nessuno che stava male da cani, vero?"
Ennis arrossì, senza però stupirsi: malgrado l'aspetto perfettino, Kat avrebbe potuto mettere in imbarazzo senza alcuno sforzo anche il più rude dei mandriani. Si era chiesto più volte come facesse in negozio, ma aveva concluso che non era affar suo.
Lei si alzò, gli strofinò una spalla. "Eri un ragazzino. E anche adesso, sei lontano dall'essere un adulto. E anche gli adulti, comunque, non possono sempre fare da soli, e hanno bisogno... di tante, troppe cose. E delle altre persone."
"Credo di averlo capito."
"Ci voleva lui, per fartelo capire", accennò a Jack, seduto sul letto.
Jack fece un mezzo sorriso. Ennis annuì.
"Sei cambiato, e si vede. Ma sei molto meglio così, almeno si riesce ad avvicinarti. Se avessi potuto farlo prima, ti avrei detto tutto già da un pezzo." lei lo strinse improvvisamente. Era soda e profumata. "In culo alla balena, Ennis. Vedrai che starete bene."
"Speriamo che non scoreggi", ribatté lui.
Kat si staccò. "A proposito... di là ho una valigia nuova, l'ho usata solo due volte. Prendila, io ne comprerò un'altra."
"Ma no, non c'è bisogno... quei sacchetti vanno benissimo."
"Sei una maledetta testa dura, ma io lo sono più di te. Non lascerò che mio cognato metta le sue cose dentro a delle sporte per la spesa, come un barbone."

Partirono alle undici passate, la valigia di Kat nel baule, il denaro di K.E. nel portafogli, ed arrivarono a Casper alle cinque del pomeriggio, con una breve sosta per il pranzo e il rifornimento al furgone. In confronto a tutte le miglia macinate nei due giorni precedenti, il viaggio fu una passeggiata.
La fattoria di Jan e Matt era piuttosto isolata, sulla strada che da Casper andava verso Edgerton. Parcheggiarono davanti al ranch, un grande fabbricato bianco con le strutture in legno, e appena furono scesi venne loro incontro un incrocio di pastore tedesco alto e grosso quanto un alano, abbaiando come un forsennato. Jack fece per risalire sul furgone, ma Ennis esclamò: "Buck! Vieni qui, vecchio sacco di pulci!" e il cane gli saltò addosso, le enormi zampe sulle sue spalle, facendolo barcollare e leccandolo sul viso. "Dove hai messo la tua padrona, eh Buck?"
Janice uscì di casa. Non era cambiata: aveva lo stesso portamento fiero, gli stessi occhi scuri e franchi, gli stessi capelli biondi raccolti a coda di cavallo che Ennis ricordava dall'anno prima. Se era di nuovo incinta doveva averlo scoperto da poco, perché la sua pancia, sotto alla camicetta senza maniche e ai jeans, era perfettamente piatta. Si precipitò da Ennis, ed Ennis lasciò Buck ad annusare e ispezionare Jack e corse da lei. Era la sua mamma, anche se aveva solo cinque anni più di lui e non l'aveva generato né partorito, ed entrambi lo sapevano.
Quasi si scontrarono, e si abbracciarono stretti. "Grazie... grazie di essere venuto, Ennie." "Figurati, era il minimo che potessi fare..." "Guarda qui... sei cresciuto ancora. Scommetto che sei alto come K.E." "Ancora no, ma mi do da fare. Tu invece sei sempre bellissima..." "Finiscila, ruffiano. Lo sai che l'adulazione con me non attacca."
Poi Ennis domandò: "Come stai, Janice? Davvero. E i marmocchi? E Matthew?"
Lei sospirò. "I marmocchi sono in casa, li ho messi un pò a letto. Matt dovrebbe essere dimesso dopodomani, lo sono andata a trovare questa mattina, ma ne avrà per un mese e mezzo, se non due. Se non c'eri tu..."
"Smettila. Te l'ho detto, per me è un piacere. Anzi... insieme a K.E., abbiamo deciso di farti un prestito. Siamo riusciti a mettere insieme duemilacinquecento dollari."
Lei aprì la bocca per protestare, ma Ennis fu più veloce e le mise l'indice sulle labbra: "Sst. Tu hai fatto tanto per noi. Adesso è giusto che ci sdebitiamo. E poi, ho detto prestito." sapeva che per Jan, un prestito era una cosa ben diversa da una semplice offerta di denaro, che lei avrebbe considerato alla stregua di elemosina, anche se proveniva dai fratelli. "Ce li restituirai quando le cose andranno meglio."
Janice lo strinse di nuovo, con ancora più forza di prima. Non avevano in comune solo l'aspetto fisico: anche lei, come Ennis, era di poche parole. Ma diavolo, sapeva essere lo stesso eloquente.
Ennis ricambiò l'abbraccio, gettando un breve sguardo verso Jack, che era rimasto accanto al furgone, come intuendo che quell'abbraccio, quella riunione, era un evento privato, solo fra lui e Jan. Sembrava piacere a Buck: il cane si era seduto vicino a lui, e si stava facendo accarezzare la testa, ansando con la lingua penzoloni. "Vorrei presentarti Jack Twist. Abbiamo lavorato insieme sulla Brokeback, quest'estate."
Lei si staccò, senza lasciare completamente la presa sulle sue braccia. "E' stato carino, il tuo amico, a venire con te. In fondo, io per lui non sono niente."
Forse non era il momento giusto, ma ormai che erano entrati nel discorso, tanto valeva mettere le cose in chiaro. "Ma io sì. Lui ed io... bè, è successo qualcosa, su quella montagna."
Se voleva mettere le cose in chiaro, ecco: Kat, in uno dei suoi momenti di migliore ispirazione, avrebbe potuto dire che le sue parole erano state chiare quanto una grotta piena di buchi del culo. Ma Ennis non era riuscito a trovare niente di meglio da dire, e sperò nella perspicacia di Jan.
Lei lo guardò, con le sopracciglia aggrottate, poi guardò Jack, che attendeva di essere chiamato, poi di nuovo Ennis. "Mi stai dicendo che tu e lui..."
Lui annuì, guardandola negli occhi. "Stiamo insieme, sì, ed è per questo che ho deciso di non sposare Alma."
"Tu e lui... state insieme", ripeté Janice, come se non avesse afferrato il concetto. Il colore del suo viso stava passando dal rosato al grigio, come una giornata di sole sulla quale sta calando la nebbia.
Ennis annuì di nuovo. Non farmelo ripetere, Jan, ti prego. Per oggi ho esaurito il coraggio.
"E tu... credi di sapere cosa significa, vero?"
"Sì... credo di sì."
"No, io non credo che tu lo sappia. E neanche lui."
Ennis deglutì, disorientato. Jack era lontano, non poteva aiutarlo, intervenendo con la propria loquacità.
Al diavolo, non è il momento di fottersi dalla paura. Hai deciso di restare con Jack, e se hai le palle, affrontane le conseguenze e sostieni le tue ragioni.
Altrimenti torna indietro. Mollalo, fai finta di non averlo mai conosciuto, fai finta che non sia mai successo niente.
Allora, cosa scegli?

"Io... gli voglio bene", disse. "Questo lo so."
"A volte l'amore non basta", replicò lei. "Anzi, in casi come questi..."
"Lo so", l'interruppe lui. "So che sarà difficile. Ma vogliamo provarci."
Janice tacque, pensierosa. Poi  sospirò: "Ti vedo deciso, Ennis. Forse per la prima volta nella tua vita."
"Lo sono", confermò lui.
"Francamente, non so se esserne felice o disperata."
Ennis desiderava chiudere la questione in fretta. Avrebbe voluto restare e aiutare Jan, ma voleva anche stare con Jack, e se le due cose fossero state incompatibili, sapeva già quale sarebbe stata la sua scelta, seppur a malincuore. "Senti, se la cosa non ti piace, pensi che non possa piacere a Matt, e non ci vuoi in casa, non hai che da dirmelo, ti lascio i soldi e ce ne andiamo."
"Matt non farà storie", rispose lei, ed Ennis sapeva di potersi fidare: chi reggeva le redini, in quella casa, non era certo Matthew Hamilton. "Quanto a me... sei riuscito a sbalordirmi, questa volta. Mi serve un goccio di quello buono, quando andiamo in casa, anche se ultimamente solo l'odore mi fa vomitare."
"Saremo discreti", dichiarò Ennis: Jan aveva detto Quando andiamo in casa, aveva parlato al plurale. "Non c'è bisogno che te lo dica. Non siamo stupidi. Nessuno ci vedrà a fare niente, né i bambini... né voi."
"Perché, credi che se avessi portato Alma, avreste potuto far finta di essere in un harem?"
"Certo che no. Però mi rendo conto che con un altro maschio può essere... imbarazzante."
"Forse. No, anzi, certamente. Ma ti conosco, e credo che finché starete qui, nessuno si troverà mai in imbarazzo." Jan fece un mezzo sorriso e fissò il fratello, in una muta richiesta di conferma. Erano abituati a parlarsi in quel modo, con gli occhi, senza alcun bisogno di usare la voce.
"Puoi stare tranquilla", disse Ennis.
"Guarda un pò cosa mi combina il mio Ennie", finì lei, sorridendo apertamente. "Su, vai a chiamare il tuo compagno... non avrai intenzione di lasciarlo lì tutta la sera."


Nota: Alla fine, non ho potuto trattenermi, e ho scritto un seguito per "Before it's too late", sempre alternando i POV di Ennis e Jack. Uno è contorto e cervellotico, l'altro dolce e positivo, e mi sembra si bilancino bene.
Il personaggio di John Twist è solo abbozzato, sia nel racconto della Proulx sia nel film, ma mi pareva si prestasse a ciò che ho scritto. Ada è il nome che ho usato per la moglie, che nel racconto (e anche nel film, mi pare) non viene mai nominata: ho scelto il nome della protagonista di uno dei miei film preferiti, "Lezioni di piano".
Il personaggio di Kat l'ho inventato, come pure la sorella di Ennis: nel libro e nel film è appena ricordata e non se ne sa il nome. Io l'ho immaginata così.
Onestamente, non so se negli anni '60 un rapporto omosessuale avrebbe potuto essere accettato con la tranquillità che mostrano Katherine, Ada Twist e (un pò meno) Janice nel mio racconto. Ma Kat ha i suoi buoni motivi, e Ada è talmente affezionata a Jack che l'unica cosa che le interessa è la felicità del figlio - più o meno, la stessa cosa che ho fatto provare a Janice verso Ennis.
Tutte e tre sono donne... in questo racconto, gli uomini ci fanno una figura decisamente peggiore.

Credits: "Somewhere (A place for us)" è di Leonard Bernstein e Stephen Sondheim, tratta dal musical "West Side Story".  

Disclaimer: I personaggi di Ennis del Mar, Jack Twist e i suoi genitori, K.E. del Mar, Alma Beers, Joe Aguirre, Earl (Bowers; mi serviva un cognome e l'ho inventato) e Cigar Butt appartengono ad Annie Proulx.
Se qualcuno riconoscesse nella mia storia idee che ritiene di sua proprietà, mi creda se gli dico che non l’ho fatto apposta, e spero non si offenda.
Infine, preciso che questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.
   
 
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