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Autore: MaryKei_Hishi    13/10/2013    0 recensioni
Aveva dimenticato per un attimo che non era stato per proprio volere che si era ritrovato senza un tetto sopra la testa e ricordandoselo aveva rivissuto quel senso di rifiuto che aveva provato giorni prima.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: Introduzione ad uno stato di distacco dal reale

Sottotitolo: it's a goodlife whit you.

Autore: MaryKei-Hishi

Genere: mini fic; Yaoi.

Riassunto: Aveva dimenticato per un attimo che non era stato per proprio volere che si era ritrovato senza un tetto sopra la testa e ricordandoselo aveva rivissuto quel senso di rifiuto che aveva provato giorni prima.

 

Note:questa shot è nata come è nata da un sogno che ho fatto e dalla semplice voglia di dare voce al passato di un paio di personaggi che ho immaginato e amato e che hanno dato nome alle mie cavie -che poi hanno prolificato in un amore da favola XD, ed è successo tutto così, immediato, un flash improvviso che ha aperto un mondo, un mondo che è iniziato in un sogno e che ho continuat ad immaginare nella testa fin quando mi sono detta che volevo metterla nero su bianco.

È divisa come se fossero dei mini capitoli, l'idea iniziale era quella di creare una shot divisa in due grandi blocchi (che mi sto rendendo conto sono tre, comunque) ma sarebbero diventati troppo lunghi. Indi per cui ci sono delle suddivisioni (1.1; 1.2; 2.1 ecc) l'ultima parte, la terza è unica e conclusiva anche se, a tutto dire non è una reale chiusura, in fondo la sua vita è continuata anche dopo questo lasso di tempo raccontato!

bientò buona lettura!!

**

 

1.1

 

All'alba dei suoi sedici anni Andreas Rice non aveva alcun pretesto per lamentarsi;viveva in una discreta villetta nella provincia berlinese, non aveva problematiche irrisolvibili nell'ambito scolaresco come nell'ambito della vita di tutti i giorni. Qualche discussione ogni tanto con i suoi genitori come era normale per un ragazzo della sua età; da poco aveva iniziato a frequentarsi con un ragazzo che sembrava proprio essere quello per la vita: bello, intelligente e simpatico, proprio come lo era lui.

Avevano iniziato a frequentarsi quando un sette* a matematica aveva innestato una delle solite discussioni “genitori-figli”e Andreas per non sentirli ciarlare troppo per un recuperabilissimo sette aveva chiesto ad un suo compagno di classe di aiutarlo con le lezioni che, era evidente, non avesse capito.

Un giorno, un giovedì, il suo compagno di classe non poté andare a casa sua per aiutarlo nell'ardua impresa di comprendere quelle fastidiose funzioni di secondo grado; chiamò Andreas dicendogli che, se per lui andava bene, poteva andare suo cugino ad aiutarlo; evidentemente capire la matematica era un dono di famiglia, per loro.

Attese il campanello suonare e quando gli aprì, vedendolo, sentì quasi una ventata accarezzargli la pelle: bello, bellissimo; intelligente, anche più del cugino disertore; simpatico: era perfetto sogno ogni punto di vista.

 

I giorni che seguirono informò il suo compagno di classe che se per loro non era un problema preferiva recuperare le sue carenze numeriche con Stefan, il cugino; tanto perché con lui si trovava meglio e riusciva a comprendere più in fretta; con le gare di nuoto in avvicinamento il suo compagno non poté che accettare: gli allenamenti iniziavano a farsi molto più frequenti.

Conosciuti dapprima in appuntamenti organizzati a casa di Andreas iniziarono poi a vedersi anche al di fuori dell'ambio scolastico; un pomeriggio al centro commerciale, una serata al bowling,e via discorrendo. Ben presto si ritrovarono a piacersi a vicenda e a condividere molto di più rispetto a due semplici amici.

 

Era pomeriggio inoltrato quando portò il suo ragazzo in casa sua sicuro che per almeno un paio d'ore gli unici abitanti della sua casa sarebbero stati loro due.

Gli aveva sorriso prendendogli la mano tirandolo lievemente affinché il suo ragazzo lo seguisse in cucina, dove gli aveva offerto una succulenta merenda.

Avevano scherzato e avevano riso, tanto ed era quella la cosa che gli piaceva di più di Stefan: sapeva farlo ridere, era spiritoso e il tempo con lui volava, e quella era una dote che, doveva ammetterlo, aveva sempre avuto con lui, fin dal loro primo incontro.

 

Erano andati a rifugiarsi sul divano, davanti alla televisione accesa intenti a non guardare nulla in particolare.

 

Una carezza, poi un bacio: sembravano scandire lo scorrere del tempo.

 

Un tic-tac ritardato, purtroppo.

 

Udirono appena la serratura scattare e si bloccarono immobili sperando di aver sentito male, dei passi di velluto si avvicinarono e furono loro a scattare in piedi, stizziti e semi svestiti.

 

-Andreas sei tu?-

 

Sentirono la voce maschia del padre di Andreas sempre più vicina e curiosa e loro, nel panico più totale, cercavano di ritrovare un contegno. Sbrigandosi e sperando che il tempo rallentasse anche in quel frangente senza dar retta ai loro battiti che lo acceleravano.

 

-Cazzo cazzo.-

Bisbigliò il biondo allacciandosi i pantaloni e cercando con lo sguardo la propria maglia: troppo tardi.

Percependo uno sguardo insistente su di sé spostò il proprio alla porta: suo padre, ammutolito, era lì.

-Che cosa stavate facendo?- chiese l'uomo per cercare una menzogna a cui aggrapparsi, era palese quel che stavano facendo.

Il biondo mosse le labbra un paio di volte ma non emise alcun suono. Le parole gli uscivano mute.

Stefan non osava guardare l'uomo che come impazzito gli urlò contro di andarsene da casa loro; Andreas non osò posare lo sguardo sul compagno che, prendendo le sue cose, si diresse verso l'uscita.

Camminò a testa bassa per tutto il tragitto sentendosi uno sguardo severo sulla pelle, non si permise di rivolgerne alcuno di risposta al padre del suo amico e gli passò accanto sprofondando sempre di più con gli occhi nel pavimento.

Uscito da quella casa parve respirare di nuovo; indossò la giacca che teneva nella mano e senza guardarsi indietro se ne andò verso la propria dimora.

 

-Papà..?-

L'uomo avanzò di un passo -Come hai osato fare..quelle cose oscene?-

Andreas andò in contro al padre di qualche passo, sottomesso e impaurito, cercando di calmarlo.

-Sei immorale, quel ragazzo ti ha plagiato.- cercò di giustificare il figlio.

-No, non mi ha plagiato papà! Lui mi pia- l'uomo lo interruppe bruscamente -non dirlo! Per l'amor di Dio stai zitto.

Inveì contro di lui e contro la sua deviata moralità e il biondo incassò ogni colpo senza controbattere cercando di salvare almeno qualcosa di quella brutta situazione.

-Dio ti giudicherà e punirà per le eresie che compi.-

dopo quell'ultimo colpo non ce la fece a non aprirgli gli occhi.

-...allora lascia che sia il tuo Dio a giudicarmi; non prendere il suo posto. Ti ricordo che l'ultimo che ha osato pensarlo è caduto giù negli inferi.-

gli rispose freddamente il ragazzo, tanto per rendergli noto il concetto a modo di suo padre.

-Perdonalo per quel che dice.- si rivolse al cielo.

-Non ho nulla di cui essere perdonato. Io non ho ucciso nessuno, ho solo trovato l'amore in un altro uomo.- ammise serenamente il figlio in un sussurro.

-Hai oltrepassato ogni limite consentito! Fuori da questa casa! Non voglio immorali in casa mia!-

Lo acciuffò per la collottola e con l'altra mano prese la sua giacca, li portò entrambi alla porta facendo uscire il figlio e tirandogli la giacca. Il rumore che ne seguì fu quello della porta che veniva sbattuta.

Andreas indossò il suo cappotto e prese il cellulare. Erano le sei del pomeriggio, un ora e sua madre sarebbe rincasata.

Decise di chiamarla al cellulare, almeno lei sarebbe stata pronta a quel che avrebbe dovuto affrontare.

Ascoltando il discorso della donna si ritrovò a passeggiare nel parco.

-Tesoro, cerca di capire tuo padre.-

-Dovrei capirlo? Io dovrei capire lui? Mi ha buttato fuori di casa!-

-Cercherò di parlargli. Non puoi chiedere ospitalità a qualche tuo ehm, tua amica?-

 

La risposta del biondo tardò ad arrivare. La madre con le sue parole l'aveva ammutolito. Era chiaro che tra i due preferiva suo marito cattolico che non suo figlio gay.

 

-Sì, ok. Non preoccuparti, starò bene; da solo. Non disturbarti, è ok così.-

 

Si affrettò a spingere il tasto rosso del cellulare ritrovandosi solo, senza un tetto e con 15 euro nel portafogli.

 

Con un automatismo involontario si ritrovò a camminare per le strade della sua cittadina che lo avrebbero portato di fronte alla casa del suo ragazzo; citofonò e fu sua madre a rispondere.

 

-Signora sono Andreas, c'è Stefan?- gli disse il ragazzo dal portone.

-Andreas! Ciao! Si c'è.-

sentì la voce della donna chiamare il figlio -ha detto che sta scendendo lui, intanto ti apro il portone che fa freddo!-

sentì il rumore della serratura che scattava e del citofono che veniva riagganciato.

Entrò nell'atrio del portone e attese che il compagno lo raggiunse.

-Che ci fai qui?- chiese il ragazzo e vide il compagno titubare un attimo -Mio padre mi ha buttato fuori..- gli disse poi con un espressione tirata in volto.

-Oh..- fu l'unica cosa che stefan riuscì a dire a quella rivelazione, veramente non se l'aspettava -Puoi ospitarmi?- ripose in lui tutte le sue aspettative, sperando che almeno lui, per quel giorno, non lo abbandonasse.

-No Andi, non posso, mi spiace tanto ma... ho paura che possa dirlo ai miei. Paura capisci? Non voglio... beh finire sbattuto fuori da casa mia come è successo a te, mi dispiace.-

Andreas gli sorrise tristemente -beh si capisco..- fece per voltarsi per andarsene anche da lì -credo sia inutile dirti che è finita, no?- il compagno non ebbe il coraggio di guardarlo in faccia.

 

Girovagò per un paio di ore nelle strade della loro cittadina; aveva senso rimanere lì?

I suoi amici più cari avevano una vita piena, a ritmi vertiginosi, avevano trovato il successo ed erano volati via nei territori delle star, tra abiti sbrilluccicanti e costosi champagne; a Loichte c'era solo loro madre, intenta a fare la vita da sposina novella, di disturbarla non gli andava proprio.

Il suo ragazzo, come suo padre, gli aveva chiuso la porta in faccia e anche sua madre sembrava voltata di schiena mentre lui le chiedeva aiuto.

Perso nei suoi pensieri si ritrovò di fronte alla stazione, che altro aveva da perdere lì? -nulla- si disse entrando in stazione, un paio d'ore di viaggio su un pendolare lo avrebbero portato a Berlino e magari verso una nuova vita.

Almeno per il viaggio la fortuna si volse dalla sua parte, nessun controllore era salito sul treno a costatare che lui non aveva il biglietto, la cosa lo rincuorò, era una nota positiva verso il nuovo da scoprire.

Prese il cellulare che vibrava nella sua tasca, ne guardò il display: era casa.

Lo ripose al suo posto mentre in stazione guardava la planimetria della città; stette lì davanti qualche minuto perdendosi tra i famosi dl passato che donavano i loro nomi alle strade, le guardò attentamente tutte, cercando di trovare qualcosa in qualcuna di quelle.

Non provando nulla, si avviò alla cieca tra le strade proprio mentre il suo cellulare riprendeva a vibrare, lo prese nuovamente, era di nuovo casa. -Sì, dimmi.- sentì la madre, dall'altro capo del telefono sospirare rincuorata -Andi dove sei?- quel che provò il biondo fu un miscuglio di emozioni che non volle definire in quel frangente, conscio che tra tutte quelle avrebbe ritrovato sentimenti come il rancore e la rabbia. Sentì la pelle delle braccia incresparsi tutta in un brivido che gli terminò nella schiena; non gli rispose, che avrebbe dovuto dirgli? Rincuorarla, forse? -Andreas ti prego parlami, sentire il cellulare che squilla a vuoto è la cosa peggiore. Non sai quanto sono preoccupata!- ogni parola della madre gli sembrava una dolce pugnalata che si conficcava nel suo corpo.-allora lo spengo così non squillerà a vuoto. Hai scelto mamma, ora assumiti le tue responsabilità.- la madre negò dall'altro capo del telefono la sua voce era un chiaro segno che stava piangendo. -oggi mi avete fatto morire- le disse in fine prima di riagganciare.

Tenne premuto il tasto rosso del cellulare tanto che si spense. Lo rimise in tasca e si ritrovò al di fuori del suo mondo, privo di collegamenti.

 

Camminando si ritrovò in una via che si ritrovò a definire principale, era grande e illuminata, e i negozio ancora dovevano chiudere; i marciapiedi erano ancora animati da passanti in cerca si shopping dell'ultimo minuto, la percorse per quasi tutta la sua lunghezza rendendosi conto dello scorrere del tempo, man a mano che passava le luci si affievolivano e le persone sciamavano via dirigendosi alle proprie case. Attraversando una vietta interna vide la luce di un negozio in un bagliore fioco ma percettibile. Riusciva a vederlo anche dalla stata principale.

Si affacciò un poco senza sapersi spiegare il motivo, semplicemente seguì il suo istinto.

Vide un gruppo di ragazzi scherzare al di fuori di quell'esercizio vicino ad una colonna termica posizionata in maniera tattica vicino ad un portacenere, li sentì ridere e parlottare di cose che a dirla tutta non gli interessava conoscere.

C'era vita lì e decise di avvicinarsi; vide che era un pub e almeno per scaldarsi un po' per un paio d'ore entrò; non appena varcata la soglia si sentì investito in pieno da un ondata di calore; vide che c'erano molti tavoli la maggior parte dei quali rumorosamente occupati da comitive d'amici. Proseguì verso il bancone e si accaparrò uno sgabello.

Una volta seduto un ragazzo fu subito da lui chiedendogli cosa volesse.

-una birra, grazie- Andreas lo seguì con lo sguardo mentre si allontanava per prendergliela. Ad occhio e croce aveva una trentina d'anni, forse venticinque. Era un tipo strano e attirò la sua attenzione proprio per quello, durante la serata non lasciò mai il bancone e molto spesso era alla cassa quando un gruppo di persone lasciava il locale e andava a saldare il conto, sembrava dirigere i ragazzi che servivano ai tavoli e il biondo ipotizzò potesse essere il proprietario del locale.

La sua barbetta incolta lo fece sorridere, doveva essere una persona un po' sfasata per niente attenta al look, anche i suoi capelli lo confermavano, mossi e lasciati al caso, non erano rare le volte che se li portasse in dietro con un gesto della mano muovendoli un poco affinché rimanessero almeno per un paio di minuti in quel modo.

Gli occhiali che portava erano un po' retrò e si ritrovò a pensare che completavano perfettamente la sua figura. Non avendo null'altro da fare Andreas di perse il tempo a fissare i suoi movimenti, i suoi atteggiamenti; quella ad occhio doveva essere una brava persona.

Il vociare di sottofondo cominciò ad affievolirsi e scomparve totalmente quando arrivate le due del mattino il locale stava per chiudere.

Le birre che Andreas aveva ordinato erano aumentate lasciandolo in un limbo di bollicine che quasi gli rendevano tutto più divertente se pur con la solita nota di tristezza che lo accompagnava ormai da ore.

Guardò al di là del bancone per scorgere la sua vittima di sguardi ma non trovandola si sporse di un poco per vedere se fosse china intenta a prendere qualcosa in basso, guardò lungo tutto il pavimento del bancone senza scorgere nessuno.

-Ehi, attento che cadi!-

Si rimise seduto all'istante colto alla sprovvista

-No non sono dietro al bancone, sto chiudendo, forse dovresti tornare a casa.-

Si voltò verso la voce del suo vicino di sgabello, e sbiancò ritrovandosi il proprietario seduto proprio accanto a lui, che oltretutto aveva capito che era tutta la sera che lo seguiva con lo sguardo.

-E credo che tu non sia nemmeno maggiorenne, vero?-

Andreas allargò gli occhi sorpreso -ti accompagno io a casa, non voglio rischiare qualche denuncia-

-No! Cioè non ce n'è bisogno, niente denunce.-

Il ragazzo gli passo una mano sulla testa scompigliandogli tutti i capelli sorridendogli -non è un disturbo, le due, le due e mezza, che differenza fa?-

Andreas negò -non è questo il punto..-

glielo disse con voce triste. Il punto era che non aveva una casa in cui tornare, e fin quando il mondo girava era tutto ok, il tempo passava era il silenzio della notte a rendere tutto difficile.

Quando l'altro glielo chiese il biondo si lasciò sfuggire qualche lacrima raccontandoglielo. Rendere note le proprie sensazioni era difficile ma iniziato a parlare le parole poi sembrarono sfuggirgli dal controllo e come un fiume in piena volarono via dal suo corpo.

L'altro si trovò spiazzato, non avrebbe mai immaginato nulla del genere; si ritrovò compromesso in una situazione complessa senza averne avuto alcuna volontà.

Sembrò pensarci per un paio di minuti nei quali Andreas lo guardò dal basso.

-Se non hai un posto dove stare puoi venire a dormire da me, domani troveremo una soluzione vedrai-

Andreas si chiese come mai uno sconosciuto si era preso tanto a cuore la sua situazione, non indugiò al suo invito, per quella giornata aveva decisamente bisogno di un posto solido nel quale rifugiarsi.

Annuì e l'altro gli passò una mano sulle spalle facendo una lieve pressione per indurlo ad alzarsi.

-Ora chiudiamo il locale e andiamo.-

Si alzò a sua volta e Andreas andò ad aspettarlo vicino alla porta d'ingresso.

Solo quando salì sull'utilitaria dell'altro comprese che mossa azzardata stesse compiendo: accettare l'ospitalità di uno sconosciuto di cui non sapeva nemmeno il nome.

-Allacciati la cintura- gli disse guardando lo specchietto retrovisore pronto a partire in direzione di casa sua.

-Mia moglie starà probabilmente dormendo, non facciamo tanto baccano appena entriamo in casa ok?- si volse appena verso il biondo mostrandosi in un sorriso.

-Il divano dovrebbe essere perfetto per te, oh a proposito! Come ti chiami? Io mi chiamo Michael, tutti mi chiamano Mika, puoi chiamarmi così anche tu, è più pratico-

Andreas gli rispose con il suo nome mentre nella mente si ripeteva il nomignolo dell'altro; Mika, era un bel nome, gli piaceva.

-Mika.-

Si ritrovò a sussurrarlo pensando che aveva una nota russa.

-Esatto, proprio così-

Il viaggio non durò molto e fu abbastanza silenzioso da parte del biondo che rispondeva a monosillabi al ben più colorito discorso dell'altro: era chiaro che la sua intenzione era riempire il vuoto con le parole e Andreas lo ringraziò mentalmente.

Si avvicinarono ad un condominio ben messo, Mika allungò una mano verso le sue gambe e Andreas la seguì con lo sguardo, respirò più a fondo quando la sua traiettoria deviò alla volta del vano nel cruscotto., lo aprì e prese dal suo interno un telecomando blu elettrico con due tasti rossi sopra, li pigiò entrambi e una lucina brillò due volte. Richiuse lo sportello del cruscotto e voltò verso un cancello che lentamente si stava aprendo. Vi entrò con la macchina parcheggiando poco dopo vicino ad uno dei quattro portoni di quel comprensorio.

Spense le luci e tirò il freno a mano

-Eccoci siamo arrivati-

Gli disse prima di aprire la portiera dell'auto e uscire dall'abitacolo; mentre anche Andreas scendeva dall'auto lo vide dirigersi verso la parte posteriore dell'automobile e lo vide aprire il portabagagli, lo raggiunse e senza chiedergli nulla Mika gli mise tra le mani una busta della spesa; ne prese due a sua volta il ragazzo maggiore e accompagnato con un cenno del capo lo invitò a chiudere il portellone.

-Ecco prendi le chiavi.-

Allungò il dito mostrano le chiavi che penzolavano tenute dall'anello in metallo.

-Fai il favore, chiudi tu, non ho più mani io-

Andreas le afferrò e chiuse, come chiedeva l'altro il porta bagagli, cercò sulle chiavi il tasto di chiusura automatica delle portiere e sentì l'altro ridere.

-Questa macchina avrà 13 anni, credo, non si chiude automaticamente, la tua portiera puoi chiuderla direttamente inserendo la sicura, quello del guidatore devi chiuderlo dall'esterno con la chiave-

Andreas annuì fece il giro delle portiere per assicurarsi di compiere al meglio l'incarico che gli aveva assegnato l'altro.

Quando si voltò per cercare l'altro lo vide sulla soglia del portoncino, intento a tenergli la porta con la schiena, lo richiamò e Andreas lo raggiunse.

 

Entrando in casa notò quanto questa fosse curata, sembrava non appartenere al vecchio stabile, se pur al buio i pavimenti erano lucidi e ogni soprammobile nella penombra era perfetto.

Mika lo precedette guidandolo alla volta della cucina, e, appena entrato accese la luce; posò le due buste sul tavolo e Andreas lo imitò porgendogli poi le chiavi dell'auto.-queste sono tue- l'altro le afferrò andando a poggiarle sul mobile all'ingresso tornando, poco dopo, dal biondo per mettere in ordine la spesa; non appena finito Mika si avviò in soggiorno e Andreas lo seguì; gli parlò a bassa voce mentre prendeva delle coperte per trasformare il divano in un improvvisato letto. - è un divano letto -bisbigliò alla volta di Andreas affinché riuscisse a sentirlo senza dover infastidire il sonno della maglio nell'altra stanza. -ma io non ho idea di come si apra, domani chiediamo a Gretha di montarlo, lei è una maga in queste cose, io sarei capace di rimanerci chiuso dentro- ammise sorridendo con l'intento di strapparne anche uno al ragazzo, di sorriso.

Dopo avergli augurato un minimo di riposo Mika sparì nel corridoio e Andreas si ritrovò ben presto tra le braccia di Morfeo, chiudendo quella giornata più che pesante che sembrava non avere fine.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*sette: è presa in considerazione la scala di valutazione scolastica tedesca che, ad occhio e croce dovrebbe essere pari ad un quattro nel nostro modo di dare giudizi.

 

 

 

   
 
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