Storie originali > Soprannaturale
Segui la storia  |       
Autore: L_aura_grey    13/10/2013    5 recensioni
Tanto, tanto tempo fa, questa terra era ricca di bestie di ogni tipo: spaventose, pericolose, mortali. Vivevano di sangue e pianto, dolore e paura.
Gli uomini erano soli e indifesi, contro quella natura che li aveva creati ma che non li voleva più, perché non erano più Puri. Si erano sporcati con la loro voglia di conoscenza e sapere, perdendo mano a mano la loro parte animale, e divenendo sempre più umani.
Ma erano soli, pochi e indifesi, contro qualcosa di molto più grande e potente di loro.
Fu quando vide morire sotto ai propri occhi una giovane coppia, sbranata viva da una di quelle bestie che Lilith, la dea dei venti che era stata esiliata, si rivide in noi e ci riconobbe come proprie creature.
Da quel momento fu per noi la Grande Madre, e infuse in alcuni di noi il suo spirito. Ci distinse; a coloro che usavano la mente donò il Genio, e a chi ancora rimpiangeva quella libertà dettata dalla Purezza, donò il suo sangue bianco, il Volo affinché potessero librasi in cielo con lei, sfidando apertamente quella natura selvaggia e crudele, che ci aveva ripudiato.
Genere: Avventura, Guerra, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

1

Primo volo






 

“Se resterai qui, morirai.”

“Cosa significa?”
“Morire?”

“Sì.”

“Vuol dire… che… sei morto. Basta. Non ti muovi più.”
“Fine del gioco?”
“Game over.”

“Per sempre?”

“Per sempre.”



 

-§§§-



 

La madre era Dolore e Rosso.
Il rosso delle pareti, il rosso delle candele, il rosso del Dolore.
Il dolore dell’urlo, il dolore del pianto, il dolore del parto.
Fu lunga, fu dolorosa, e fu con uno sforzo che solo una madre poteva compiere, che la donna si strinse quel fagotto urlante e vivo fra le braccia. E pianse rosso. Pianse di dolore. Per gli occhi bianchi del Puro. Per i quattro peletti bianchi che avrebbero portato via da lei il Puro quando ancora non lo aveva ancora stretto realmente a sè.
“Signora…” si avvicinò la giovane levatrice, anche lei in dolce attesa, fiera di sé e certa che l’aver aiutato a far venire al mondo un Angelo avrebbe dato lustro alla sua storia “La prego… me lo dia.”
La madre pianse più dolore e urlò più rosso di quanto avesse appena fatto, perché il parto portava vita. La Purezza portava via.
“Vi prego, vi prego” singhiozzò “Dategli il suo nome. Era l’unica cosa che mi potrebbe ricordare suo padre. Lasciatemi almeno il nome. Vi prego! Vi prego!”


 

-§§§-


 

“Djbril.”

“Sì?”

“Domani è il giorno.”

“Lo dici tutte le notti.”

“Lo so, ma domani… domani è il giorno. Me lo sento.”

“Va bene Mika. Domani è il gran giorno. Ma torna a dormire, ti prego.”

“Domani volerò Djbril. Lo so.”

 

A otto anni già compiuti, Mika era l’unico Angelo della classe che non aveva ancora imparato a librarsi in aria. E questo perché non era abbastanza puro, il ciuffetto nero ben visibile in mezzo ai corti capelli bianchi ne era la prova. Il ragazzino osservava invidioso gli altri bambini svolazzare per due, tre metri, per poi cadere rovinosamente a terra, fra risate entusiaste e grida di incitamento.
Se ne stava lí, seduto nel suo angolino, con Djbril al fianco. Tanto lui non aveva bisogno di esercitarsi o di esibirsi in quegli stupidi spettacolini. Era bravissimo a non pensare e a sentire. Gli bastava sorridere per arrivare i tre metri da terra. Era il genere di cose che i Maestri adoravano.
“Avanti” gli battè un gomito nel fianco “Ovvio che non volerai mai se non provi.”
“Non ho intenzione di rendermi ulteriormente ridicolo. Martha oggi me ne ha già dette abbastanza da farmi passare la voglia” si strinse ancor più le ginocchia ossute al petto ed entrambi osservarono la bambina sfoggiare la propria capacità di librarsi in aria; era uno dei pochi momenti in cui né tentava di fare a botte né di schernire un povero malcapitato. E ovviamente Mika era la sua preda favorita.
“Ti aiuto io. Magari se ti sollevo ti viene l’ispirazione”
“Mi verrebbero solo le vertigini. Abbiamo già tentato, non ricordi?” sbuffò, poggiando la testa alla parete e chiudendo gli occhi. Ma anche con le palpebre abbassate poteva percepire l’aura buona di Djbril. Non che gli desse fastidio, ma non faceva che ricordargli quanto fosse inferiore al confronto. Sapeva che li avevano affiancati solo nella speranza che Djbril lo influenzasse, ma fino ad allora non si erano visti risultati, e ne era fin troppo conscio.
Ma nonostante tutto, Mika amava Djbril. Avrebbe rinunciato a tutto per lui e non poteva sopportare di esserene separato per più di poche ore e, da quando li avevano affiancati, anni ed anni prima,era accaduto raramente. Era questo che significava avere un Compagno, e lui possedeva il migliore. Si rammaricava solo di non poter essere lo stesso.
“Eddaiiii” gli sibilò all’orecchio Djbril, e il bambino non riuscii a rispondergli per le rime solo a causa dell’entrata di Mss Butterfly nell’area di ricreazione. Il semplice scorrere della porta fece zittire i dodici Angeli, che portarono gli occhi bianchi sulla giovane donna che aveva appena fatto il suo ingresso.
“Buon giorno piccoli miei!”
“Buon giorno Mss Butterfly” risposero in coro, ora tutti coi piedi per terra. Tutti tranne Djbril, che come suo solito le volò letteralmente incontro, causando una fitta di gelosia in Mika che, come tutti gli altri, rimase in un rispettoso e immobile silenzio. Nessuno osava arrivare a tanto, perché Mss Butterfly era alta, era grande e, per quanto sul suo volto fosse presente un eterno, rassicurante sorriso, faceva paura. Era estranea. Non apparteneva alla Classe.
Solo Djbril provava abbastanta amore per il mondo da non provare quella sensazione di disagio che li teneva tutti fermi, e come suo solito la donna ricambiò l’abbraccio, stampandogli un bel bacio sulla guancia paffuta.
Se Mika avesse avuto un poco di coraggio in più gliele avrebbe strappate quelle labbra. Tutte le volte. A nessuno era concesso di toccare le sue cose.
Nessuno toccava Djbril.
“Dunque. Come vanno le esercitazioni? Vi state divertendo?” domandò. Una domanda inutile, dato che ogni gesto dei bambini veniva controllato, registrato e catalogato. Questo loro ovviamente non lo sapevano, e si limitarono ad annuire, di fronte a quella routine.
“July ha tenuto il mio tempo” si fece avanti Martha, passandosi una nervosamente mano fra i ricci nivei “Ho volato per più di tre minuti!” sorrise, ricevendo un buffetto da parte della Maestra.
“Molto brava, piccola! Così ti voglio. Ormai è ora che impariate a volare, perché i giochi si faranno sempre più difficili, e noi vogliamo che siate pronti” i piccoli rabbrividirono a quel noi.
“Mika allora li perderà tutti” ridacchiò strafottente Martha, osservando il chiamato in causa che, ancora seduto nel suo angolino, si irrigidì “Non riesce nemmeno ad attutire le cadute…”
Il bambino ricambiò con odio quello sguardo di superiorità, ma non proferì parola, limitandosi a stringere i pugni. In presenza di Mss Butterfly non avrebbe mai osato fare a botte con qualcuno, in particolar modo con Martha; lei era era furia pura e, più si faceva male, più diveniva forte. Nessuno ingaggiava con lei battaglia se poteva, perché la sconfitta era inevitabile. L’unico a cui la bambina non aveva ancora fatto un occhio nero era Djbril, ma in fondo nessuno lo avrebbe mai toccato per alcun motivo al mondo.
Lo stesso Djbril lasciò il collo della Maestra per affiancare Mika. Gli strinse la mano, sorridendogli caloroso, per poi rivolgersi agli altri “Lui volerà e sarà il più veloce, il più bravo e il più bello fra noi” e l’istante dopo tutti annuirono, entusiasti e certi della cosa. Solo Martha, dentro a sè, ringhiò.
“Bene!” batté le mani poi Mss Butterfly, per riportare l’attenzione su di se “Tutti in cerchio. Ho da raccontarvi una storia” Nel giro di poco non vi era un bambino che non fosse seduto, con il naso all’aria, in trepida attesa di quel regalo prezioso che poche volte veniva concesso, ma che sarebbe per sempre rimasto impresso a fuoco nella loro memoria, e successivamente se lo sarebbero raccontato, e raccontato ancora, consumandolo come si faceva con quei doni che non si faceva che toccare, anche solo per vedere se fosse ancora al suo posto, fino a quando non sarebbe scomparso definitivamente. Allora sarebbe stato sostituito con una nuova storia, e così avrebbero voluto continuare, fino a quando non le avessero consumate tutte. Per poi riascoltare la prima storia con orecchie nuove e cuore aperto.

 

“Tanto, tanto tempo fa, questa terra era ricca di bestie di ogni tipo: spaventose, pericolose, mortali. Vivevano di sangue e pianto, dolore e paura.
Gli uomini erano soli e indifesi, contro quella natura che li aveva creati ma che non li voleva più, perché non erano più Puri. Si erano sporcati con la loro voglia di conoscenza e sapere, perdendo mano a mano la loro parte animale, e divenendo sempre più umani.
Ma erano soli, pochi e indifesi, contro qualcosa di molto più grande e potente di loro.
Fu quando vide morire sotto ai propri occhi una giovane coppia, sbranata viva da una di quelle bestie che Lilith, la dea dei venti che era stata esiliata, si rivide in noi e ci riconobbe come proprie creature.
Da quel momento fu per noi la Grande Madre, e infuse in alcuni di noi il suo spirito. Ci distinse; a coloro che usavano la mente donò il Genio, e a chi ancora rimpiangeva quella libertà dettata dalla Purezza, donò il suo sangue bianco, il Volo affinché potessero librasi in cielo con lei, sfidando apertamente quella natura selvaggia e crudele, che ci aveva ripudiato. Allora ci prendemmo la nostra vendetta, e mentre i Puri combattevano in prima linea, i Geni costruivano… paesi prima, città poi. Macchinari in grado di penetrare le montagne, ingabbiare gli animali, sconfiggere il tempo, e alla fine l’uomo si voltò in cerca di nuovi nemici e nuovo sangue da versare, ma si ritrovò solo che circondato dai suoi fratelli…”

 

I piccoli rimasero incantati ancora per qualche istante, rapiti dalle incredibili immagini che si erano disegnate nelle loro menti, dove erano i protagonisti, i primi uomini, i Puri e i Geni, fino a quando la voce seria di Mika non fece scoppiare quelle bolle: “E poi?”
Mss Butterfly sorrise, comprensiva “Ciò che accadde dopo ve lo racconterò prossimamente” si rialzò da terra, dando qualche patta alla gonna “Per ora voglio che continuiate ad allenarvi. Perché voi siete i doni di Lilith, e non andate sprecati. Nessuno di voi, per quanto apparentemente inutile” posò i propri occhi su Mika qualche istante di troppo, cosa che lo fece sentire un fallimento e uno scarto, fino a quando la mano di Djbril non prese la sua, e allora la strinse. La strinse fino a fargli male, ma questo il Compagno non glielo fece notare.
Continuò invece a sorridergli, con la speranza di infondergli un poco della sua consapevolezza.
Che sarebbe andato tutto bene.
Che nessuno sarebbe stato triste alla fine.
E che avrebbero volato.
Insieme.

 

-§§§-

 

Vi era una cosa in cui Mika era bravissimo, e Djvril rimaneva ad ammirarlo per ore, sdraiato a terra affianco a lui, mentre disegnava.
Difficilmente gli angeli si dilettavano nel disegno, presi da passatempi più fisici, o comunque più degni, come il combattimento nell’arena o anche solo l’allenarsi col lancio dei coltelli. Quello, invece, era più adatto ai Geni, e tutti sapevano che l’unico motivo per cui non solo era così appasionato, ma anche così bravo, era la sua impurezza. Per questo nessuno osava avvicinarglisi quando lo vedeva con un pastello in mano, quasi avessero paura di essere contagiati.
Nessuno tranne Djbril, che non staccava gli occhi dal foglio neppure per un istante, rapito dai movimenti rapidi e sicuri con cui Mika ritraeva tutto ciò che aveva davanti. Ovviamente il soggetto più ricorrente era il Compagno stesso, nelle varie posizioni: seduto, incuriosito, entusiasta. Una volta lo aveva ritratto addirittura mentre dormiva. Era semplicemente, per lui, bellissimo.
Aveva cassetti pieni con i disegni di Djbril, e li costudiva tutti, dal primo all’ultimo, come i più preziosi dei tesori.
Quella volta però si trovavano su una delle terrazze della Scuola, dove li lasciavano andare una volta a settimana. La città di Babilonia si stendeva sotto di loro, placida e splendente come suo solito e il bambino, concentrato, non perdeva un tetto o un’albero, ma si dedicava con più passione e attenzione alla pianura che li circondava, ed alle montagne che si impegnavano, lontanissime ed altissime, a fare da contorno al mondo.
Al contrario di Mika, però, Djbril non amava stare sulla terrazza e per un semplice motivo: lì non era concesso volare. I Maestri avevano paura che per sbaglio non riuscissero a calibrare bene i balzi, col rischio di finire nel vuoto e fare un’orrenda fine. Persino lui era obbligato a rimanere coi piedi per terra, e ciò lo creava in lui malumore che contagiava quasi tutti quelli che gli erano vicino. Tranne Mika, ovviamente, che in momenti come quelli era così concentrato sul suo disegno, che neppure si accorse dell’avvicinarsi di Martha, almeno fino a quando lei non gli strappò il foglio da sotto il naso, causando una lunga linea verde che sfregiò l’opera.
“Ehi!” protestò iroso il bambino, che in un attimo fu in piedi, più basso di lei di quasi una mano, ma comunque borioso “Perché l’hai fatto?!”
Lei ridacchiò strafottente di fronte a quella reazione, posando poi gli occhi sul disegno “Fai proprio senso, impuro. Solo gli quelli come te posso fare una cosa del genere” disse, idietreggiando verso il bordo della terrazza. Mika strinse i denti, preferendo non rispondere a quel tipo di insulto che Martha non lesinava mai dal fargli.
“Ridammelo” soffiò.
“Prova a prenderlo” lo sfidò lei, e l’Angelo saltò inutilmente una, due volte, prima di sentire le risate degli altri, che si erano resi subito conto del trambusto, e che erano accorsi a deriderlo, come loro solito. Divenne paonazzo, sia per la vergogna, che per la rabbia.
Avrebbe voluto strapparle il disegno dalle mani e sputarle in faccia. Riempirla di botte fino a farla sanguinare. Strapparle quell’odioso sorriso dal volto fino a lasciarla senza pelle.
“Avanti impuro” rincarò la dose lei “Che ti ci vuole a prenderlo? Ti basterebbe alzarti in aria anche di pochi centimetri, e sarebbe di nuovo tuo, così potrai anche finirlo” rise, prima di lasciarlo al vento, che lo sospinse verso la città; se non si fosse sbrigato sarebbe caduto di sotto e non avrebbe potuto più recuperarlo. Era una questione di principio.
Si lanciò, afferrando il foglio con le punte delle dita, ma comunque rischiando di cadere; riuscì ad aggrapparsi alla ringhiera abbastanza forte da non volare di sotto, e si voltò quindi verso la bambina con sguardo trionfante.
Non si aspettava certo il pugno rivolto al suo viso. Ne conosceva bene la forza devastante, ed era conscio del fatto che lo avrebbe sbilanciato a tal punto da fargli superare la ringhiera. Sarebbe caduto. Quello che non sapeva era cosa lo avrebbe aspettato alla fine.
Chiuse gli occhi istintivamente, in attesa del colpo. Quando arrivò, però, lo fece di fianco, e lo spinse di lato, lontano dal rischio.
Schiuse in tempo le palpebre per vedere Martha colpire in pieno viso Djbril, con un pugno così folte che ci mise un attimo, il piccolo, a superare la ringhiera.
Mika sgranò gli occhi per l’orrore, e visse quella scena quasi al rallentatore: lo stupore di lei, ma ancor di più il dolore di Djbril.
Lo chiamò a gran voce, prima di seguirlo, nel vuoto. E fu pieno…
Di paura.
Della paura di perderlo.
Djbril avrebbe volato, se avesse potuto, ma il pugno doveva averlo colpito così forte da fargli perdere i sensi. Mika, frustato dal vento e dalla paura. Se solo fosse stato più veloce… se solo non si fosse fatto prendere alla sprovvista…
Riuscì a sfiorargli una mano, e la afferrò, stringendo a sé Djbil. Non voleva perderlo.
Non voleva sapere cosa ci fosse in fondo alla caduta.
Quindi fece l’unica cosa che avrebbe potuto salvarli: volò.

 

-§§§-

 

Fu un respirare pesante vicino al suo orecchio che lo costrinse a lasciare l’oblio in cui era caduto. Mika sollevò le palpebre pesanti come l’acciaio, per ritrovasi a osservare il familiare soffitto della sua stanza.
Mugnugnò mentre tentava di capire se tutto fosse ancora al suo posto. Pareva che non avesse nulla di rotto, solo un po’ di dolore muscolare, come se avesse fatto uno sforzo improvviso, mai compiuto prima.
Piano, voltò la testa alla sua destra, ritrovandosi il viso di Djbril a pochi centrimetri. Il bambino possedeva la sua solita espressione dolce e pacata, che quando dormiva addirittura si accentuava. La guancia su cui Matha lo aveva colpito non portava il minimo segno, e per qualche secondo pensò di aver sognato tutto.
Quando però Djbril aprì gli occhi e gli sorrise, capì che non era affato così.
“Hai volato Mika. Ce l’hai fatta. Oggi ce l’hai fatta!”



 

“L’importante è che tu stia bene.”






 

   
 
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale / Vai alla pagina dell'autore: L_aura_grey