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Autore: Sylphs    14/10/2013    7 recensioni
Apparve come una visione o il delirio di una febbre, correndo disperata sulla strada che conduceva da Lannisport a Castel Granito. Due uomini simili a bestie spaventose la inseguivano, urlandole minacce e oscenità.
Tyrion Lannister non aveva mai visto qualcosa di così perfetto.
...
Si asciugò sudore e lacrime dal viso e mormorò: "Che canzone è?"
Tysha si girò e lo baciò sulle labbra, appoggiandogli la testa sul petto: "Viene da Myr. Si chiama Le stagioni del mio amore".
"è bella" disse il Folletto.
La storia di Tyrion e Tysha suddivisa in due capitoli, la nascita del loro amore e la crudeltà con cui viene infranto per il diletto del vecchio leone, Tywin Lannister.
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jaime Lannister, Tyrion Lannister, Tysha, Tywin Lannister
Note: Lemon, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Il risveglio
 
 
 
 
 
 
Tyrion Lannister non poteva vivere senza Tysha. Questo era un dato di fatto. Ma non voleva neanche trattarla come una puttana, andando da lei solo per soddisfare il proprio desiderio e lasciandola nuovamente sola. No, non le avrebbe mai fatto una cosa del genere dopo che si era fidata di lui, dopo che gli aveva donato la sua verginità e lo aveva fatto sentire, per la prima volta, normale, e alto tanto, se non più di tutti gli altri. Quando i suoi dolci occhi nocciola si posavano su di lui, gli sembrava di essere un gigante.
La amava, come un pazzo e con la foga della sua giovane età e iniziava a farsi strada nella sua mente l’ipotesi che anche lei, forse, lo amava. Possibile? Era un piccolo mostro e i piccoli mostri non trovano l’amore, se non quello a pagamento, eppure non aveva colto neppure un briciolo di repulsione sul volto gentile di Tysha, non un’ombra nel suo sguardo. Dopotutto, perché avrebbe dovuto darsi ad un nano poco dopo essere stata assalita da due uomini?
Per i tuoi soldi. Perché sei un Lannister e i Lannister hanno l’oro che gli esce dal buco del culo.
Sarebbe stato il motivo più logico. Ma Tyrion non riusciva ad accettarlo. Tyrion non voleva accettarlo. Posto anche che Tysha fosse andata nel suo talamo per le ricchezze di cui avrebbe potuto ricoprirla: come mai all’inizio, quando le aveva proposto di trovarle una sistemazione, si era opposta e aveva rifiutato di giungere a compromessi? E come poteva una fanciulla reduce da una violenta aggressione, e per giunta intontita dal vino, decidere in una sola volta di sedurlo, portarselo a letto e diventare la sua amante? Era troppo giovane, troppo ingenua…una vergine, fino al giorno prima…no, non avrebbe avuto senso. Nel ricordare i suoi baci, la tenerezza con cui l’aveva toccato e la canzone che aveva sussurrato dopo il rapporto, brividi di piacere attraversavano la schiena del Folletto. Oh, Tysha, Tysha, Tysha!
Io la amo…e anche lei mi ama.
I raggi di sole che penetravano dalle finestre colpivano il pavimento dove la paglia era stata ammassata alla meglio e si arrampicavano sul letto angusto che avevano condiviso, stretti l’uno all’altra come un’unica scultura. Tysha dormiva ancora, con il seno nudo che si alzava e si abbassava dolcemente e un’espressione serena, rilassata sul viso. Tyrion si sollevò sui gomiti, allungandosi ad annusare il suo profumo, e le accarezzò i capelli scuri, passando poi a sfiorarle la pelle perfetta, la curva sensuale del fianco. Lei rabbrividì appena e si mosse sotto le coperte, con un fievole mugolio. Quando socchiuse le palpebre, lui fu la prima cosa che vide. Ebbe un sussulto, ma poi, ricollegando gli eventi della notte prima, si rilassò, arrossendo e sorridendogli con una punta di timidezza che Tyrion trovò adorabile: “Buongiorno”.
“Buongiorno” la baciò, schiacciando con foga le labbra contro le sue, e Tysha le aprì subito, permettendogli di approfondire quel contatto deliziosamente intimo. Mentre esplorava la sua bocca tiepida e dal sapore di vino, il Folletto sentì il proprio membro muoversi in mezzo alle gambe, ma per quanto desiderasse fare l’amore con lei con tutto se stesso, s’impose di aspettare, interrompendo il bacio e allontanandosi di qualche centimetro. La delusione che lampeggiò sul volto di Tysha gli fece venire voglia di ricominciare immediatamente, invece scese dal letto con un salto e prelevò dal tavolino il vassoio con la colazione che era andato a prendere nelle cucine poco dopo essersi svegliato, e su cui davano bella mostra di sé un bricco di latte caldo, biscotti fatti in casa, soffice pane bianco, uova e salsicce fumanti.
Gli occhi di Tysha si dilatarono osservando quelle pietanze: “Miei dèi! È tutto per noi?”
Tyrion sorrise, intenerito, arrampicandosi di nuovo sul letto e appoggiando il vassoio nel mezzo: “Proprio così. Tutto per noi”.
Un sorriso raggiante si aprì sulle labbra della fanciulla: “Oh, Tyrion! Potrei sposarti!” si chinò su di lui e lo ricoprì di baci dolci e avidi, facendogli il solletico con i riccioli scarmigliati e ridendo della sua risata di bambina che incomincia a diventare donna.
Tyrion si sciolse sotto quella pioggia di baci: “Sarà quello che faremo” rispose, soddisfatto come non era mai stato in vita sua.
Tysha si interruppe, confusa, aggrottando le sopracciglia: “Come?”
“Sposarci” spiegò il Folletto, prendendo un biscotto e mangiandolo con gusto: “Stasera stessa!”
La fanciulla si ritrasse un poco, disorientata: “Sposarci?” ripeté in un soffio.
“Sì!” Tyrion le prese entrambe le mani, stringendole forte: “È quello che si fa in questi casi, giusto? Quando saremo sposati, potremo fare l’amore quanto vorremo e nessun septon ci scomunicherà per questo” era la visione che, dal basso dei suoi tredici anni, aveva del matrimonio; una visione stupenda: “Mi prenderò cura di te, Tysha. Sono piccolo, ma intelligente, e l’intelligenza conta qualcosa. Me la so cavare. E sono…” arrossì leggermente nel dirlo: “… gentile, per essere un Lannister”.
La guardò, speranzoso. Sapeva bene che era una follia, che chiunque lo avrebbe preso per pazzo: un Lannister di Castel Granito che sposava la figlia di un contadino…se suo padre lo fosse venuto a sapere, probabilmente lo avrebbe rinchiuso in un sotterraneo, evirato e spellato vivo, del resto aspettava un’occasione per farlo fin da quando era nato, senza contare che il disonore sarebbe ricaduto sulla sua “nobile” casata per i secoli dei secoli.
Oh…ma alla fin fine che importava? Non sarebbe stato terribilmente triste se si fosse fatto fermare da una questione così futile? Lord Tywin e i suoi parenti potevano andare a farsi fottere, non l’avevano mai accettato veramente in famiglia, perché mai avrebbe dovuto attenersi alle loro regole? Aveva imparato da tempo che un nano, se voleva sopravvivere, doveva contare solo su se stesso e sulla sua furbizia. E questo avrebbe fatto. Al momento non gliene fregava niente né dei Lannister, né di suo padre, né di Cersei e perfino di Jaime…Tysha era diventata il suo fulcro, il centro assoluto del suo mondo. Quell’adorabile, sensibile e bellissima ragazza che avrebbe voluto rendere felice per l’eternità.
Non gli aveva ancora risposto; anzi, era divenuta completamente immobile, come se la sua proposta l’avesse pietrificata, il viso pallido congelato in un’espressione di indecifrabile, muto sgomento, e lo fissava con occhi sgranati e lucidi. All’improvviso, Tyrion ebbe paura.
“Potrei…potrei essere un buon marito per te” soggiunse, frenetico, andando alla ricerca delle parole adatte, terrorizzato all’idea che lei potesse rifiutarlo, che passato lo shock della notte prima, alla luce del giorno, lo avesse visto per com’era in realtà, deforme, minuscolo e con quei maliziosi occhi asimmetrici, un mostriciattolo rivoltante che solo una puttana avrebbe accolto nel suo letto: “Sono…sono generoso. E leale verso chi è leale con me. Sono più astuto di molti, a modo mio potrei proteggerti. Non ti tratterei mai con rudezza, non ti imporrei di fare ciò che non vuoi. Avrai sempre il mio rispetto, la mia stima…e il mio amore” lo ammise a fatica, agitato e impaurito, e ripeté, quasi implorante: “Potrei andare bene per te”.
Tysha continuava a fissarlo, pallidissima. Un pallore probabilmente dovuto all’orrore che le provocava la proposta di matrimonio del Folletto. Gli parve che le viscere, il cuore e gli organi interni gli precipitassero fino ai piedi, e che tutto quanto andasse in pezzi, in migliaia di piccoli, orribili pezzi crepati. Distolse lo sguardo, torcendo la bocca come se lo avesse schiaffeggiato, e sussurrò, quasi tra sé: “Appunto…”
“Mi stai prendendo in giro?”
Viscere, cuore e organi interni risalirono alla velocità della luce mentre rialzava il capo su Tysha, ancora immobile, ma con una luminescenza sempre più abbagliante nello sguardo, un rossore che iniziava ad affiorarle sulle gote. Gli occhi nocciola erano sempre sbarrati, ma fremevano di un brulicare di emozioni che diventava via via più selvaggio e incontenibile.
“Certo che no…” soffiò Tyrion. Si ridiede un tono, o almeno tentò di farlo: “Voglio dire, è raro che sia serio, ma stavolta lo sono”.
“Tu…” ansimò lei. Riprese fiato a fatica, la voce esile e quasi strozzata: “Tu mi stai chiedendo di sposarti?”
Di norma Tyrion era un abile lettore di menti, ma in questo caso non riusciva a capire dove volesse andare a parare e la cosa lo agitava terribilmente: “Sì…”
“Stai chiedendo a me di sposarti?” domandò ancora la fanciulla; aveva le labbra strette e bianchissime: “A me?”
Nonostante lo stato di assoluta tensione in cui si trovava, il Folletto riuscì a produrre un ghigno: “Vedi qualcun altro in giro?”
Tysha ridacchiò, incredula, le iridi ormai sfavillanti, il corpo snello che prendeva a tremare sempre più forte, sempre più convulsamente. Sembrava quasi che si sentisse male.
Mosso da un repentino, potente istinto Tyrion scese di nuovo dal letto, lo aggirò e raggiunse il lato su cui lei aveva dormito, quindi si inginocchiò sul pavimento sudicio (il che lo rese ancora più minuscolo) e le domandò, con voce tremante: “Lady Tysha, mi concederai l’onore di diventare mia moglie?”
Ostentava una sicurezza che in realtà non gli apparteneva; il cuore gli stava galoppando nel petto come il corsiero bianco di Jaime nei suoi periodi più neri e le sue budella si torcevano come serpenti, mentre aspettava, trepidante, la risposta che avrebbe potuto cambiare il suo futuro e il suo mondo, accoglierlo nel più celestiale paradiso o precipitarlo nel peggiore degli inferni. Faticava a respirare regolarmente, tanto forte era la sua ansia. In quell’istante, più che mai, per lui non esisteva che Tysha.
Le lacrime le traboccarono dagli occhi come se non avessero aspettato altro, scendendo come torrenti impetuosi sulle guance paonazze e roventi, e un sorriso come Tyrion non ne aveva mai visti, così pieno di gioia, incredulità, contentezza da illuminarla tutta quanta, un sorriso che avrebbe reso bellissimo anche il volto più ripugnante e di cui avrebbe serbato il ricordo per tutta la vita le si allargò come un sole levante sulla faccia mentre gli gettava le braccia al collo, con tanta foga da rompere il suo equilibrio già precario e farlo cadere all’indietro, e gridava, le corde vocali frantumate dall’emozione e dalla commozione: “Sì, dieci, cento, mille volte sì! Sì, sì, sì!”
Travolto da quell’assalto e stordito come se avesse preso una botta in testa Tyrion atterrò di schiena sul pavimento con un tonfo sonoro, gravato dal peso della ragazza che gli si era appesa al collo e lo stringeva fin quasi a soffocarlo, macchiandogli gli abiti di lacrime e ridendo e singhiozzando al tempo stesso, ma non avvertì il minimo dolore. Se anche uno sciame d’api l’avesse assalito, non avrebbe sentito un bel niente. In un primo momento rimase a corto di parole e di pensieri, consapevole solo del corpo morbido e caldo che lo abbracciava, delle risate cristalline di Tysha, dei “Sì” che continuava a farneticare come una cantilena, poi realizzò cos’era successo e gli parve che altofuoco allo stato puro gli esplodesse nelle vene, che tutt’intorno a lui i colori schizzassero con improvvisa potenza e una luce abbagliante inondasse la misera stanzetta.
Sì. Ha detto di sì! Ci sposeremo! Diventerà mia moglie!
Tysha si scostò di qualche centimetro, guardandolo con occhi lucidi di lacrime gioiose e luminosissimi: “Mi sposerai davvero? Davvero?”
“Purtroppo per te, sì” rise Tyrion sentendosi leggero come mai prima, leggero e privo di ogni tipo di preoccupazioni, baciandola sulla bella bocca sorridente e mischiando le lacrime di entrambi che aggiunsero un sapore salato, intenso all’effusione. Non era più un nano, il figlio deforme e non voluto di Lord Tywin, non il Folletto, era un uomo comune, e le sue credenze erano sbagliate, i piccoli mostri come lui non avevano diritto solo all’amore fittizio delle puttane, esistevano persone diverse, persone come Tysha, persone che rendevano la vita degna di essere vissuta. E lui ne aveva incontrata una, e a breve sarebbero stati marito e moglie e nessuno, tantomeno suo padre, avrebbe potuto separarli.
Perché persino un piccolo mostro come lui poteva essere amato.
Nella foga di abbracciarlo, Tysha aveva urtato il vassoio in equilibrio precario sul letto e il latte era piovuto tutto sulle lenzuola, infradiciandole completamente. Quando tornò in sé abbastanza da accorgersene, la ragazzina si mortificò: “Miei dèi, che disastro…”
Tyrion le prese il viso fra le mani e ristabilì un contatto visivo: “Sai che ti dico?” esclamò: “Chi se ne importa! Ce ne faremo dare dell’altro! Berremo litri e litri di latte e mangeremo fino a scoppiare!”
Tysha scoppiò a ridere e i baci ripresero, teneri e appassionati, baci che Tyrion avrebbe voluto assaporare fino alla morte e ancor oltre. Quando si staccarono per riprendere fiato, sentì che era il momento giusto, che non ci sarebbero state altre occasioni altrettanto perfette.
“Ti amo, Tysha” sussurrò. Avrebbe voluto aggiungere tante altre cose, che l’avrebbe difesa e protetta, che sarebbe stato degno della fiducia che aveva riposto in lui, scegliendolo tra tanti uomini alti e avvenenti, ma quelle due semplici parole lo avevano lasciato senza fiato e si limitò ad esprimere ogni cosa con lo sguardo.
Le mani tiepide della fanciulla gli accarezzarono dolcemente le guance: “Ti amo anch’io, Tyrion”.
Il Folletto chiuse gli occhi. Per tutto il resto della sua esistenza avrebbe rammentato l’esatta sfumatura della voce di Tysha mentre pronunciava quella breve frase, proprio come la canzone che aveva canticchiato subito dopo essersi data a lui, così come nella sua mente sarebbe rimasta impressa a fuoco l’espressione di lei, felice, spensierata, ma così sincera, così sincera…e anche se nel giro di poco tempo il ricordo avrebbe assunto un retrogusto dolceamaro, un sottofondo di dolore, amarezza, malinconia, quel momento, il momento in cui la fanciulla aveva detto di ricambiarlo, avrebbe sempre conservato la sua magia…giacché, sebbene mendace, quella sarebbe stata l’unica, e preziosissima dichiarazione che un piccolo mostro come lui non si sarebbe mai più sentito rivolgere.
“Ti prego”  mormorò Tysha, arrossendo: “Dillo ancora una volta…”
Tyrion capì al volo. Atteggiandosi a compunto, ma con un sorriso non molto dissimile a quello di lei stampato sulle labbra, ripeté: “Lady Tysha, mi concederai l’onore di diventare la mia sposa?”
“Oh!” esalò lei tra le lacrime, seppellendo il capo sul suo petto: “È una follia!” si smentì usando un tono tremante di euforia.
“Lo so” ammise Tyrion, cullandola: “Ma è proprio questo il bello, vero?”
Tysha rispose con un bacio.
 
Molti sarebbero caduti dalle nuvole a sapere cosa riesce a combinare un ragazzino con un po’ di balle, cinquanta pezzi d’argento e un septon ubriaco.
Tyrion voleva che il suo matrimonio fosse fatto per bene e organizzò la faccenda con tanta astuzia che nessuno, a Castel Granito, né Jaime, né la cara Cersei, né tantomeno il grande Lord Tywin, quello “a cui nulla sfuggiva”, si accorse di alcunché. Al contrario, proprio per la loro abitudine di non considerarlo non fecero il minimo caso alle sue lunghe assenze né diedero ad intendere di aver captato qualcosa di diverso in lui (niente di strano, comunque, si era solo innamorato pazzamente, una cosa che si notava e non si notava). Fece in modo di non incontrarli, passeggiando in un paio di corridoi affinché qualche servitore lo vedesse e rassicurasse suo padre, nella remota ipotesi che avesse chiesto di lui, sulla sua presenza a Castel Granito, e incaricò un’ancella di riferire che era indisposto e che avrebbe consumato la cena in camera.
Naturalmente i suoi parenti accettarono questa spiegazione. Del resto non avevano mai smaniato di incontrarlo. Jaime stesso non pose domande e non venne ad informarsi circa la sua salute come invece faceva di consueto; se sospettava qualcosa, in ogni caso, non lo diede a vedere. E per Tyrion non era che un sollievo. Meno interferenze riceveva dalla sua famiglia, meglio era.
Aveva stabilito di sposarsi in un porcile, con un branco di maiali da latte come testimoni e il septon più macilento e rimbambito possibile ad officiare alla cerimonia, di modo che non andasse a fare la spia a suo padre. Non molto romantico, in effetti, ma un tempio avrebbe attirato attenzione e a lui e a Tysha delle apparenze non importava: che le nozze si svolgessero in paradiso o in una topaia non faceva alcuna differenza, per loro ogni luogo sarebbe sembrato un pergolato di rose, l’importante era solo scambiarsi giuramenti di amore e fiducia e avere il permesso di amarsi come due persone oneste. Per cui Tyrion aveva trovato una casetta comoda e confortevole al limitare del bosco, attualmente disabitata, con tanto di stalla, granaio e, appunto, porcile, e aveva deciso che lì avrebbe sistemato la sua sposa, rimettendo ogni cosa a nuovo e donandole tutte le comodità di cui aveva bisogno. Certo non era il caso di portarla a Castel Granito: troppo rischioso, e se suo padre avesse sospettato un legame tra di loro le avrebbe sicuramente fatto del male, cosa che Tyrion non poteva permettere. No, quella graziosa casupola con le tegole e il lucido portoncino era la sistemazione migliore, e grazie al bestiame Tysha avrebbe potuto procurarsi di che vivere anche da sé, giacché desiderava avere una sua indipendenza.
Scovò septon Gwindeg in una delle bettole più malfamate di Lannisport, lercio come un animale e puzzolente come una carcassa, il raziocinio annegato nel decimo boccale di idromele e un alito che avrebbe allontanato persino la più sboccata delle sentinelle di Castel Granito. Lo spinse fuori dalla taverna, lo caricò sul carretto datogli dalla locandiera conosciuta la notte prima e nel quale Tysha era rimasta nascosta tutto il giorno, ben rannicchiata sotto un telo, e alla vista dei cinquanta pezzi d’argento che gli sventolò davanti quello ritornò sobrio abbastanza da pronunciare le quattro battute che avrebbero celebrato il loro matrimonio appena ebbero raggiunto il posto stabilito.
Un matrimonio ben strano, ma indubbiamente il momento più felice della vita di Tyrion Lannister subito dopo quello in cui Tysha lo aveva abbracciato e sfiorato con quella dolcezza quasi insopportabile e quello in cui aveva accettato di sposarlo, dicendo di amarlo a sua volta. Intorno a loro non vi erano la magnificenza di un tempio e i volti giusti e severi dei dodici dèi a fissarli con cipiglio, ma un pavimento coperto di paglia, pareti e soffitto di catrame e una serie di recinti da cui ammiccavano grugnendo i “testimoni”, con i musi rosei che grufolavano avidi in cerca di mangime e le zampe che ticchettavano sul suolo. Niente Alto Septon con la tunica decorata e la voce tonante, ma un vecchio ubriacone maleodorante senza denti ridotto ad un rottame che biascicava le domande rituali in mezzo ai rutti, e niente stupida cerimonia dei mantelli con i colori della casata da togliere e infilare, ma solo due decisi “Con questo bacio io ti prometto il mio amore, e ti prendo come mio signore e marito” e “Con questo bacio io ti prometto il mio amore, e ti prendo come mia signora e moglie” suggellati da un tenero, intenso congiungimento di labbra che durò parecchio tempo e in cui passarono tutte le cose che ancora non si erano giurati ma che a breve sarebbero state dette. A parere di Tyrion, le nozze più sincere e meno ipocrite mai celebrate, quelle adatte a lui, le uniche che desiderava. In quella cerimonia officiata in un porcile tra i maiali c’era più amore che in tanti matrimoni combinati tra suoi parigrado. Sì, era stato di gran lunga più fortunato di loro. E la sua sposa, imbarazzata e felice nel suo semplice abito rosso scuro, con i capelli raccolti in una treccia morbida e gli occhi scintillanti, era la compagna migliore che mai potesse ambire a trovare. Ancora faticava a credere che fosse reale, che un piccolo mostro come lui meritasse tanto.
Spedì via il septon col suo argento e lui e Tysha rimasero soli nella loro nuova casa di marito e moglie, due ragazzini inconsapevoli e gioiosi fermamente convinti, in quel momento, che adesso che si erano giurati eterno amore nulla avrebbe potuto separarli o andare storto, che ogni cosa era stata risolta e lo scambio delle frasi di rito li avrebbe uniti per l’eternità. Era un momento senza inizio e senza fine e Tyrion non intendeva lasciarselo scappare, per nessuna ragione al mondo.
“E ora?” chiese Tysha con un timido sorriso che voleva essere malizioso.
Tyrion lo ricambiò: “E ora ci godremo il banchetto di nozze, moglie mia”.
Il “banchetto di nozze” consistette in uno dei testimoni, che la fanciulla fece ben rosolare sul fuoco, nella modesta ma confortevole stanza principale della sua nuova casa, e trasformò in costolette croccanti e insaporite da una salsa che emanava un profumo irresistibile. Tyrion, seduto al piccolo tavolo coperto da una tovaglia bianca e pulita, sentì brontolare lo stomaco e quando la fanciulla posò davanti a lui la magnifica pietanza, versando ad entrambi lo stesso rosso di Myr che avevano bevuto la notte prima, disse quasi tra sé: “Sono il nano più felice del mondo”.
Tysha rise e gli si accomodò sulle ginocchia con naturalezza, un gesto che gli piacque moltissimo poiché nessuno, neanche i bambini, osava farlo, nel timore di schiacciarlo; lei invece si comportava come se non fosse un nano ma un ragazzo normale, e il suo dolce peso era quasi inesistente, tale era l’estasi del Folletto. Con un dito affusolato, la ragazzina seguì il contorno delle sue sopracciglia cespugliose e della fronte prominente: “Io sono la popolana più felice del mondo” replicò.
Divenuto serio di colpo, lui le prese la mano con cui gli accarezzava il viso e la bloccò, stringendola forte: “Non sei pentita di avermi sposato?” le domandò con tono calmo, ma vibrante di tensione. Prima di abbandonarsi del tutto alla gioia, prima di dire addio per sempre alla paura, l’amarezza, e tutte le difese di cui si era bardato negli anni, aveva bisogno di un’ultima conferma, della certezza che era vero, e non un’illusione, un castello di carta che aveva costruito senza fornirgli solide fondamenta e che sarebbe crollato da un momento all’altro: “Non l’hai fatto solo perché…” esitò, ma alla fine lo disse: “Perché avevo preso la tua verginità?”
Tysha rimase in silenzio per un po’, guardandolo con i suoi profondi occhi scuri. Si udiva solo il crepitare delle fiamme nel camino e qualche goccia di pioggia all’esterno, un connubio strano. Tyrion non riusciva a distogliere lo sguardo da quello di lei ed era teso come la corda di un arco, con ogni nervo e muscolo contratto.
“Sei uno sciocco, Tyrion Lannister” sbottò la fanciulla: “Se credi che abbia giurato di volerti davanti ai dodici dèi solo per salvare il mio onore. Mio padre mi ha insegnato ad avere rispetto delle divinità e non mentirei mai a loro. Circa la mia verginità…” arrossì lievemente, ma non perse il tono risoluto: “L’ho donata a te perché eri tu quello giusto, conoscevo le conseguenze. Se avessi desiderato andarmene, non lo avrei fatto, nemmeno ubriaca fradicia”.
Tyrion le strinse la mano ancora più forte, perso nei suoi occhi splendenti e decisi: “Ma io sono un n…”
“Tu sei un uomo” lo interruppe lei: “E io ti amo” poi lo baciò e tutta la sua ansia evaporò come neve al sole, mentre un immenso peso volava via dalle sue spalle, lasciandolo meravigliosamente libero.
Fu una prima notte di nozze indimenticabile: Tysha lo imboccò di costolette e lui le leccò via l’unto dalle dita, suscitando un coro di risate leggere e spensierate in entrambi, che li portarono a finire a letto ridendo, tra le coperte calde e profumate, tutti sporchi di salsa ma completamente incuranti delle condizioni in cui versavano.
Fu diverso dalla prima volta, più lento, più dolce, più consapevole. Si presero il loro tempo, un tempo a cui ormai avevano diritto e che nessuno avrebbe potuto togliergli, e si esplorarono a vicenda, sussurrandosi tutte le cose dette e non dette e giocando come vecchi amanti, tra carezze, baci e sospiri veloci tra i cuscini, pieni del loro ardore giovanile mitigato però da un sentimento che sì, Tyrion si permise di chiamare amore, quello vero, quello che mai aveva visto prima. Si conoscevano da un giorno, ma era amore. Perché non avrebbe dovuto esserlo? Avrebbe fatto qualsiasi cosa per sua moglie, sarebbe diventato qualsiasi cosa. Lei lo aveva mandato in pezzi e poi lo aveva rimesso insieme nel modo giusto, nel modo perfetto, non più come nano, ma come uomo.
Quando ebbero soddisfatto la loro passione (avevano fatto l’amore quattro volte, e ognuna era stata migliore della precedente), Tyrion mormorò, con lo sguardo perso alla stanza illuminata fiocamente dalla luce tremolante delle candele: “Persino un piccolo mostro come me…ha diritto a questo”.
Tysha, mezzo addormentata con la testa abbandonata sul suo addome e i capelli sparsi su di lui, chiese con voce impastata: “Cosa?”
“Niente, amore” il Folletto sorrise e posò un bacio sui suoi riccioli castani: “Dormi, adesso”.
Invece lei si mise a canticchiare Le stagioni del mio amore, con intonazione dolce e soffusa, e fu Tyrion a scivolare per primo nel sonno, cullato dalle note tristi e romantiche della melodia.
 
Per due settimane giocarono a marito e moglie, e furono le due settimane più belle nella vita di Tyrion Lannister. Improvvisamente, non gli importava nulla: che suo padre lo odiava, che sua sorella aveva repulsione di lui, che guardandolo passare con la sua andatura dondolante spesso la gente tratteneva il riso, che era un nano. Tutte queste cose, le quali prima lo avevano ferito nel profondo, obbligandolo a costruirsi una maschera cinica e ironica per proteggersi, erano svanite come se non ci fossero mai state, non lasciando alcuna traccia in lui, ed era capace di abbozzare inchini a suo padre se lo incrociava, di sorridere maliziosamente a Cersei, infischiandosene dei suoi sguardi disgustati, e di ridere con sincerità ad ogni battuta, che provenisse dal siniscalco o dal carceriere di Castel Granito. Si sentiva alto, forte e sfrontato, e solo perché sapeva che arrivata la sera sarebbe corso nella confortevole casetta al limitare del bosco e avrebbe trovato Tysha seduta ad aspettarlo alla tavola imbandita, sorridente e bellissima, che avrebbero parlato, riso, fatto l’amore fino all’alba.
E finché c’era lei, Tyrion poteva sopportare di tutto. Anzi, di più: non si risentiva affatto verso coloro che lo discriminavano per la sua deformità. Anzi, gli facevano compassione. Perché, era evidente, quelle persone non erano felici, non avevano una moglie dolce e perfetta che li attendeva e li amava, altrimenti perché avrebbero dovuto dare fastidio a lui? Ora che aveva trovato Tysha, era in pace col mondo intero. Quindi la sua sorellina, Lord Tywin e tutti gli altri ministri gli facevano solo pena, così frustrati e incattiviti da avere bisogno di sfogarsi su di lui per calmarsi un poco. Gli veniva da ridere a guardarli, e questo, per il suo divertimento, mandava Cersei su tutte le furie.
“Cos’avrà tanto da sghignazzare quel mostriciattolo, proprio non lo so” l’aveva sentita dire a Jaime una volta a pranzo.
Oh, non lo immagini neanche, sorellina. Non lo immagini neanche.
In qualche occasione sorprese Jaime con lo sguardo fisso su di lui e una luce strana nelle pupille. Forse sospettava qualcosa. Del resto, sapeva che aveva accompagnato Tysha alla locanda e questo, sommato al suo improvviso e palese buonumore, poteva averlo spinto a fare due più due. Magari non era arrivato a capire che l’aveva sposata – parecchi avrebbero giudicato il suo matrimonio una totale follia – ma sicuramente doveva aver pensato che lui e la ragazza fossero diventati amanti. Tyrion non lo smentiva, ma neanche dava seguito alle sue occhiate indagatrici. Che il fratello credesse quel che credesse. Non si sarebbe confidato con lui, sapeva quant’era succube del padre e forse si sarebbe sentito in dovere di raccontargli tutto (e poi, non avrebbe certamente capito, avrebbe interpretato male), ma non temeva nemmeno che andasse a denunciarlo con così pochi elementi per le mani. Lui e Jaime erano legati, non lo avrebbe mai ferito volontariamente, per giunta senza alcuna prova.
In ogni caso tutte le sue energie, tutti i suoi pensieri erano dedicati a Tysha, gli sembrava di vedere e sentire solo lei e il suo profumo gli rimaneva sugli abiti anche a Castel Granito, dandogli la dolce illusione che fosse accanto a lui persino in quei momenti. Appena riusciva a liberarsi, si avvolgeva in un anonimo mantello di tela, celava il viso sotto il cappuccio e partiva al galoppo verso la casupola, smontando come un forsennato e precipitandosi ad abbracciare e baciare la sua sposa. La faccia di lei si illuminava come un sole appena lo vedeva e abbandonava subito l’occupazione di turno, che fosse una rigovernatura, la preparazione della cena, o il mangime dato a galline, polli e maiali, per corrergli incontro con la gonna svolazzante e i capelli al vento. A Tyrion pareva di respirare solo quando era in sua compagnia, il suo cuore si risvegliava al richiamo gioioso della fanciulla e al suo sorriso spontaneo. La amava ogni giorno di più. Era la sua ragione di vita, proprio come nelle mielose ballate come Florian e Jonquil o Le piogge di Castamere che spesso i menestrelli cantavano durante i banchetti. Già, era diventato terribilmente sdolcinato ultimamente. Ma che importava?
Era incredibile come lui e sua moglie si fossero trovati: discutevano anche per delle ore, di ogni genere di argomenti, fermi nelle loro opinioni finché non la prendevano con una risata e cadevano a letto avvinti l’uno all’altra, e Tyrion non soppesava neanche una parola, lasciava che scorressero con totale sincerità. Era sempre stato un tipo diretto (forse per questo parecchi tendevano a trovarlo un piccolo essere insopportabile), ma con Tysha lo era ancora di più. Essendo figlia di un contadino, la ragazza era ignorante e analfabeta, ma dotata di una spiccata intelligenza che le permetteva di tenergli testa nel corso di una conversazione, cosa non facile, e ansiosa di apprendere ogni giorno qualcosa di diverso. Quando gli chiese di insegnarle a leggere e a scrivere, si dimostrò un’allieva sorprendentemente attenta e capace e nel giro di pochi giorni imparò a memoria le lettere dell’alfabeto e a leggere alcune delle frasi più semplici.
“Diventerai più brava di me, e allora sì che sarò fottuto” aveva scherzato Tyrion una volta, facendola ridere deliziata e compiaciuta.
Facevano l’amore tutte le notti e Tyrion avrebbe voluto continuare per l’eternità, rinunciarci anche solo per dodici ore era una tortura. Conosceva ormai ogni neo e poro della pelle di Tysha, sapeva in che modo eccitarla e farla gridare di piacere o sospirare con languore e soddisfazione, il suo profumo gli era entrato dentro, saldandoglisi alle vene, e avrebbe potuto descrivere a occhi chiusi tutti i suoi sottili cambiamenti di espressione, i suoi sguardi, i cipigli e i sorrisi. Quei momenti di passione non perdevano affatto il loro valore, anzi, acquisivano nuova consapevolezza. Il Folletto adorava vedere la fanciulla che perdeva il controllo e si abbandonava a lui, e a lei, dal canto suo, bastava un tocco per farlo totalmente proprio. Ma la cosa che più gli piaceva era che, malgrado i loro giochi erotici fossero diventati sempre più passionali ed elaborati, Tysha non perdeva mai il suo candore, la sua sincerità, era come se ciascuna volta fosse la prima. E questo, questo lo faceva impazzire.
Via via che i giorni passavano le riserve che aveva avuto all’inizio, i timori, le paure svanivano a poco a poco, annegando nell’entusiasmo, nella gioia, nella serenità, e la breve favola in cui era precipitato lo catturava, lo avvinceva a sé, convincendolo d’essere reale e infrangibile, rendendolo inconsapevole della campana di vetro, bellissima e scintillante, che circondava la loro casupola…e che qualcuno avrebbe potuto mandare in frantumi. Sentiva che il loro amore era più forte di ogni cosa, eterno, poiché tutte le cose belle sono eterne, per un tredicenne, e capace di abbattere differenze e difficoltà. Tempo dopo avrebbe ricordato con dolorosa amarezza il proprio entusiasmo, la propria ingenuità, si sarebbe rimproverato di non aver mai sospettato nulla, di aver vissuto nella beata inconsapevolezza, lui che cercava sempre di considerare ogni implicazione, si sarebbe odiato per non aver colto i segnali, per aver voluto credere che la Tysha che amava, una Tysha troppo perfetta per essere vera, fosse reale.
Avrei dovuto capirlo. Avrei dovuto aspettarmelo.
Due settimane dopo la celebrazione del suo matrimonio, al septon che lo aveva officiato passò la sbornia e andò a spiattellare tutto al lord suo padre.
Era una serata limpida e gelida proprio come quella in cui aveva conosciuto sua moglie: nel cielo c’erano stelle sopra le stelle e una luna piena e bianca come il volto perfetto di sua sorella. Le fronde degli alberi, annerite dal buio, frusciavano dolcemente, sferzate da un vento freddo che Tyrion e Tysha, al sicuro nella loro casupola, scaldati dal tepore del fuoco, non soffrivano. La fanciulla aveva preparato stufato di vitello e prugne e, quando Tyrion era arrivato, l’aveva trovata all’esterno dell’abitazione, china su una tinozza piena d’acqua saponata e intenta a sciacquare panni sporchi, con un’espressione assorta sul viso. Aveva sorriso quando l’aveva chiamata, ma l’ombra non aveva abbandonato il suo sguardo e persisteva tuttora mentre mangiavano. Era, inoltre, insolitamente silenziosa, e mancava di appetito, il che era sorprendente, vista la quantità di cibo che faceva fuori di solito: anziché servirsi, era intenta a rammendare una calza, e dalla crocchia con cui aveva raccolto i capelli sfuggivano ciocche ribelli.
Tyrion era sempre stato un bravo osservatore e non aveva tardato a cogliere tutte queste novità. Dopo un po’, stanco di udire solo il clangore delle posate urtate contro i piatti e il ticchettio dei ferri da maglia, domandò: “Qualcosa non va, Tysha?”
La ragazzina depose sul tavolo la calza rammendata a metà e, esitante, alzò gli occhi su di lui: “Oggi sei arrivato più tardi del solito”.
“Lo so” ammise il Folletto, dispiaciuto: “Non ho potuto fare altrimenti. Avevo una lezione di scherma. Non vedo come uno come me possa mettere al tappeto un guerriero possente come Gregor Clegane, ad esempio, anche con tutti gli insegnamenti del mondo, ma mio padre non ha voluto sentire ragioni. Quel ridicolo maestro mi ha tenuto impegnato fino a sera”.
Tysha si morse un labbro, fissando il suo piatto pieno: “Oh”.
Tyrion la scrutò in silenzio, con il capo piegato di lato. La fanciulla piluccò la carne e mordicchiò senza troppo entusiasmo una prugna, scostandosi i riccioli che le ricadevano ostinatamente in avanti. Aveva il viso teso. E le mani non la smettevano di giocherellare con i ferri da maglia.
“Tysha”.
Sua moglie ebbe un lieve sussulto, come se fosse stata scoperta a rubare: “Sì?”
“Dimmi che c’è che non va” la esortò dolcemente, prendendole una mano: “Questo vitello è talmente buono che non riesco a credere che tu lo stia rifiutando solo perché non hai fame”.
Lei avvampò, ma riuscì a strapparle un sorriso che gli riscaldò il cuore: “È solo che…”
“Sì?” la incoraggiò, ansioso di porre rimedio al suo malumore.
Tysha prese un profondo respiro e incominciò: “So che hai fatto per me più di quanto dovessi. Io sono solo la figlia di un contadino, e tu un Lannister di Castel Granito…e, nonostante questo, mi hai sposata. Io…non puoi immaginare la mia gratitudine, davvero…”
“Tysha” la interruppe, guardandola intensamente: “Non devi essermi grata. Sono io ad essere grato a te. Averti sposata è stata la cosa più bella della mia vita. Non me ne importa niente di chi era tuo padre, forse aveva meno conio del mio, ma era certo un uomo migliore. Sei la moglie che ogni uomo con un minimo di sale in zucca vorrebbe, la compagna più intelligente e gentile, e tanti idioti sposati con certe oche altolocate mi invidierebbero come dannati, se sapessero del nostro matrimonio. Per cui non parlare così. Non ti ho fatto un regalo. È stato il contrario”.
Gli occhi nocciola di Tysha brillavano: “Lo pensi sul serio?”
“Stai scherzando?” Tyrion tirò fuori il suo ghigno sghembo: “Certo che sì!”
La fanciulla abbassò lo sguardo sulle propria ginocchia, con le guance rosee e un luccicore nell’espressione che dissipò un poco l’ombra che l’aveva oscurata fino a quel momento. Tyrion le accarezzò le nocche con il pollice, godendo del contatto con la sua pelle tiepida e soffice: “Adesso dimmi, qual era il ma che ti ho impedito di spiegare poco fa?”
Lei ridacchiò, non poté farne a meno: “È che…io sono felice, non sono mai stata così felice, ma…vorrei tanto che tu…”
“Che io?”
“…dormissi qui” ammise. Sembrò sollevata, come se si fosse tolta un peso dal cuore: “Sì, vorrei vederti di più, Tyrion, sentirti vicino…so che non dovrei, che ho già avuto troppo, ma l’idea che tu debba andare a Castel Granito ogni giorno, lontano da me…”
Il Folletto tacque per qualche istante, assimilando quelle parole. Tysha lo guardava spaventata, quasi avesse osato troppo e temesse una sua reazione, un suo scatto d’ira alla libertà che si era presa. Aveva cercato giorno dopo giorno di farle capire che la considerava uguale, se non migliore di lui, ma ancora lei non aveva abbandonato le sue insicurezze. Ci sarebbe voluto del tempo. Rendendosi conto che anche a lui era passato l’appetito, spinse lontano il suo piatto e serrò a pugno la mano libera: “Tysha, io…”
Lei si protese subito in avanti: “Sì, Tyrion?”
Il Folletto si passò una mano sul viso, scoprendosi incapace di esprimersi come avrebbe voluto: “Vorrei davvero…vivere con te. Più di ogni altra cosa. Lasciarti per tornare da mio padre e dalla mia sorellina è…” non trovò le parole adatte per descriverlo. Una tortura. Un’azione innaturale. Qualcosa che sentiva di dover fare, ma che aborriva con tutto se stesso.
“E allora non farlo!” esclamò la ragazzina con voce carica di speranza, prendendogli entrambe le mani e baciandole: “Rimani qui con me! Tu non sei come loro…”
“No” le fece eco quasi inconsciamente: “Non sono come loro…”
“Tu sei un brav’uomo, Tyrion” insistette la sua giovane moglie, alzandosi e andandogli incontro in un fruscio di stoffa: “Potresti essere felice qui”.
Il Folletto sorrise debolmente, portandole una ciocca dietro l’orecchio: “Io sono felice”.
Tysha abbandonò il viso nel palmo della sua mano: “Ho paura dei tuoi parenti” confessò con un brivido.
Tyrion aggrottò la fronte: “Non ti toccheranno. Li ucciderò se oseranno provarci”.
Era la verità. Non aveva mai contrastato suo padre e i soprusi che gli aveva inflitto fin dall’infanzia per se stesso, ma per Tysha lo avrebbe fatto. Sì, per lei avrebbe trovato il coraggio. Se le avesse fatto del male…lui avrebbe scoperto se il vecchio leone era davvero fatto di acciaio o se una lama poteva bucargli le viscere come accadeva a tutti i comuni mortali. Al diavolo, sua moglie era tutto ciò che aveva, non gli avrebbe portato via anche lei. Era ancora un ragazzino, e molto piccolo, per giunta, ma il cervello gli aveva sempre funzionato bene. E tra tanti imbecilli più svelti di spada che di mente, uno come lui era come un diamante in una valle di pietre. Un modo di salvarla lo avrebbe trovato.
“Non ti toccheranno” ripeté, digrignando i denti.
Qualcosa, forse una certa malinconia, lampeggiò sul volto di lei: “Ma non abbandonerai Castel Granito, vero?” sussurrò, abbassando le lunghe ciglia sulle guance.
Tyrion ebbe una fitta al cuore e alzò una mano a toccarle il mento morbido, girandole la testa verso di sé: “Tysha…io ti amo con tutto me stesso, te lo giuro. Mi prenderò cura di te e cercherò di esserci sempre, quando avrai bisogno di me. Forse non sarò il più grande marito del mondo…del resto, grande non lo sono mai stato” soggiunse con una risata aspra: “Ma farò tutto quanto è in mio potere per renderti felice”.
Lei lo guardò negli occhi: “Lo so, Tyrion” sussurrò. Poi disse, con molta calma: “Però?”
“Però” sospirò il Folletto: “Io…capisci, non posso andarmene da Castel Granito adesso. Scoprire cosa tramano i miei parenti…mettergli i bastoni tra le ruote…io…io ne ho bisogno. Non so spiegarti perché, Tysha, ma è così, lo è fin da quando ero bambino e mi dilettavo a fare tutti quegli scherzi…devo complicare la vita ai Lannister. Un vaneggiamento, dirai tu, e avresti ragione, ma…”
Tysha gli posò un dito sulle labbra: “Ho capito” gli sorrise: “E non lo trovo affatto un vaneggiamento. Forse un giorno sarai tu a salvare il regno dall’influenza negativa di certe persone…e lo renderai un posto migliore”.
La comprensione che gli aveva dimostrato lo commosse e si allungò ad abbracciarla con foga: “Tysha, io…”
Il rumore assordante della porta della capanna che veniva sfondata, staccandosi dai cardini e piombando sul pavimento con un botto sordo, lo riscosse e il suo cuore diede un brusco e violento soprassalto, mentre si girava di scatto, portando una mano alla cintura e imprecando tra i denti nel constatare di non avere con sé né la daga né il pugnale (non li portava mai, quando andava da sua moglie). Tysha lanciò un grido di terrore, sbiancando e arretrando con tanta frenesia da rovesciare la propria sedia, e lui subito scattò a farle da scudo col proprio corpo insufficiente, girandosi a fronteggiare il gruppo di uomini comparso sulla soglia con il respiro accelerato dalla paura e dalla sorpresa e con un doloroso, umiliante senso di impotenza. Cercò di schiarirsi le idee e mettere a fuoco la situazione, di tornare presente a se stesso.
Gli uomini indossavano armature dorate che scintillavano alla luce debole del fuoco ed elmi abbelliti da vaporose piume variopinte ed erano ovviamente guardie dei Lannister, armate fino ai denti ma non in assetto di guerra: al contrario, spade e alabarde erano infilate nei foderi e archi e faretre appesi sulla schiena. Si riversarono nella casupola come uno sciame d’api, producendo un’orrenda cacofonia di stivali dalla suola chiodata che urtavano sul pavimento, e alla vista del Folletto e della sua giovane sposa parecchi esibirono sogghigni lascivi che scoprirono denti simili e zanne aguzze e berciarono una serie di osceni commenti che spinsero Tysha ad impallidire ancora di più. S’era appiattita alla parete e tremava convulsamente, ancora intontita dallo stupore, con gli occhi che guizzavano terrorizzati da una cappa dorata all’altra; sul suo viso aleggiava il ricordo dell’aggressione subìta solo due settimane prima. A Tyrion si raggrinzì il petto nel vederla così atterrita, e allo shock provato quando gli armigeri avevano fatto irruzione succedette ben presto un totale, nero sconforto. Non ci aveva mai messo molto a capire le cose, e in questo caso la conclusione era inequivocabile.
Quell’idiota di un septon aveva parlato. Suo padre era venuto a sapere del suo matrimonio. E naturalmente non l’aveva presa bene. No, non l’aveva presa bene affatto.
Non perdere la calma, mostriciattolo, non farlo…se perdi la calma sei fottuto, e non solo tu, ma anche tua moglie…
Il pensiero di Tysha e di ciò che avrebbero potuto farle se non se la fosse giocata bene lo svegliò e, mentre le cappe dorate si muovevano ad invadere tutto il perimetro della capanna, si passò la lingua sulle labbra secche e gelide, continuando a difendere la ragazza col proprio minuscolo corpo e lavorando febbrilmente di cervello per riprendere una parvenza di controllo. Inutile tentare di combattere, non era il suo forte, era disarmato e poi anche la Montagna che Cavalca avrebbe avuto difficoltà a destreggiarsi tra tutte quelle guardie, sarebbe stata una battaglia persa in partenza. Doveva usare la sua arma più efficace, l’astuzia. Gli armigeri di suo padre non erano certo dei geni, forse sarebbe riuscito a promettere loro oro a sufficienza per comprarsi la propria libertà e quella di Tysha…e in tal modo sarebbero potuti scappare lontano, in un luogo sufficientemente distante da Castel Granito e da Lord Tywin.
Sì, doveva impiegare il cervello. Come aveva potuto essere così stupido da credere che suo padre non avrebbe mai scoperto del suo matrimonio? Al vecchio leone non sfuggiva niente. E il suo era stato un errore grossolano di cui ora stava pagando le conseguenze.
Ma non avrebbe mai permesso che toccassero sua moglie, una ragazzina priva di colpe.
Ignorò il rivolo di sudore gelido che gli scorreva sulla schiena e riuscì ad esibire il suo sorriso da folletto, sperando che non leggessero l’atavica paura che si agitava al di là di esso: “Buonasera, signori” esordì, in tono tranquillo e vagamente ironico: “Desideravate un po’ di stufato di vitello con le prugne? Ce n’è per tutti! Ma ve l’avremmo dato anche se vi foste accontentati di bussare, sapete…”
“Piantala con i tuoi scherzi, nano” grugnì uno degli armigeri, un gigante barbuto che lo sovrastava: “Non sei certo nella posizione di prenderti gioco di noi”.
Tyrion non perse il suo sorriso beffardo, tenendo contemporaneamente d’occhio tutti gli uomini per assicurarsi che nessuno si avvicinasse a Tysha, tremante e pallidissima alle sue spalle: “Ti ho offeso, buon uomo? Non era mia intenzione, credimi. Ci tenevo solo a precisare che non occorreva sfondare la porta per fare un’amabile conversazione”.
L’armigero scoppiò in una risata grottesca: “Oh, infatti hai ragione…avevamo in mente proprio un’amabile conversazione con te…” i suoi occhi si spostarono su Tysha e la esaminarono con lascivia: “E con la tua graziosa mogliettina”.
La fanciulla si lasciò sfuggire un singhiozzo soffocato, premendosi ancora di più contro la parete di cotto come se desiderasse sparirci dentro, e d’impulso Tyrion le si fece più vicino, reprimendo a stento il fiotto di rabbia ustionante che gli era serpeggiato nello stomaco; non era mai stato un tipo particolarmente violento, ma in quel momento avrebbe voluto affondare una lama nel volto ghignante di quel bastardo e devastarglielo per vedere se avrebbe mantenuto quell’espressione libidinosa anche da morto. Ma inghiottì il proprio furore, fin troppo consapevole del suo scarso fisico, e conservò un accento cortese: “Sarà un piacere conversare con te e con i tuoi compagni. Tysha, mia cara” si volse verso la sua sposa e cercò di comunicarle con lo sguardo di stare tranquilla, mantenendo nel contempo un’espressione neutra: “Perché non vai in cantina a prendere un po’ di rosso di Myr per me e per questi bravi signori?”
Lei aveva gli occhi traboccanti di paura (ma non aveva pianto; era una ragazza forte) ed era così terrea che un reticolo di sottili vene bluastre s’intravedeva sotto il velo di pelle olivastra, ma parve rassicurarsi quando i loro sguardi si incrociarono e riprendere un po’ di coraggio; si staccò dalla parete, tremando appena sotto il leggero abito color verde foglia, e annuì: “C-certo, marito mio” balbettò: “Vado subito…”
“Eh no, non ci provare!” ringhiò l’unico armigero ad aver parlato finora, afferrandola per un braccio prima che potesse raggiungere la porta e stritolandole il polso esile tra le dita massicce: “Non vai da nessuna parte, sgualdrinella!”
Tysha urlò quando si sentì agguantare dall’uomo e Tyrion, impulsivamente, fece un passo verso di lei, incapace di nascondere l’ira: “Non la toccare!” se avesse avuto una spada o una balestra, qualsiasi cosa, lo avrebbe crivellato di frecce, al diavolo la logica e l’astuzia. La vista della sua lurida mano serrata sul polso di sua moglie gli aveva incendiato le vene: “Se vuoi afferrare qualcuno, afferra le tue puttane!” ringhiò: “Ma se ci provi con mia moglie, ti taglierò i coglioni!”
Un coro di risate di scherno accolse la sua minaccia, risate che gli arroventarono la faccia e riempirono gli occhi di umiliazione, e il volto barbuto della cappa dorata che insidiava Tysha si contorse in un ghigno animalesco: “Tremo da capo a piedi!” lo derise: “Il nano vuole castrarmi quando per farlo dovrebbe saltellare! Al limite azzoppami, se proprio vuoi nuocere…”
Non fu tanto la presa in giro a ferire Tyrion, oramai ci aveva fatto il callo da un pezzo. Fu la presenza di Tysha, costretta ad assistere alla vergogna di suo marito, un marito che avrebbe dovuto proteggerla e aiutarla, mentre invece riusciva soltanto a farsi ridere dietro…una smorfia gli contorse i lineamenti e un sorriso raccapricciante andò allargandosi sulle sue labbra: “Hai ragione, buon uomo, sarebbe cosa troppo difficile per me. In effetti, l’ho detto solo per invidia nei confronti della tua virilità. La mia è talmente piccola e monca…”
Ogni sua parola era cortese, garbata, ma trasudava morte.
Come se potessi davvero sconfiggerli…come se potessi davvero salvare Tysha…
La guardò negli occhi, sentendosi straziare delicatamente da artigli adunchi che gli grattavano il petto. Era piccola e atterrita, ma sembrava spaventata per lui, più preoccupata per la sorte di un nano che per la propria. Avrebbe voluto chiederle scusa. Per averla sposata, per essersi preso la sua verginità, per averla coinvolta in tutto questo. Se non lo avesse mai incontrato…o anzi, se le avesse trovato un lavoro e poi l’avesse lasciata andare per la sua strada…non le sarebbe accaduto niente di male. Era riuscito solo a farla soffrire. Era riuscito solo a distruggere la felicità della fanciulla di cui era innamorato.
Con le labbra le sillabò, ricacciando indietro lacrime proibite che premevano per uscire: “Mi dispiace…”
“Oh, ma che commovente!” biascicò la cappa dorata che la teneva per il braccio: “Il nano chiede scusa alla sua puttanella…”
“Basta così!”
L’ordine, pronunciato da una voce fredda e misurata, ma vibrante di autorità, risuonò nella stanza al di sopra delle risate degli armigeri, dell’ansimare convulso di Tysha e del crepitare languido delle fiamme nel camino, e sembrò congelare tutti sul posto, tanto le cappe dorate, che cessarono immediatamente di berciare oscenità e sconcezze, quanto Tyrion, a cui si gelò il sangue nelle vene. Addirittura ebbe la sensazione che gli cedessero le ginocchia e una fitta di terrore gli annodò lo stomaco, dandogli l’esatta dimensione di quanto suo padre lo tenesse in scacco e di quanto ancora fosse influenzato da lui, dal suo giudizio, dalle sue decisioni. Poiché il coraggio con cui aveva fronteggiato gli armigeri gli era venuto meno all’istante appena la sua voce li aveva richiamati all’ordine.
Tywin Lannister, lord di Castel Granito, fece il suo ingresso nella capanna avvolto nella cappa rossa e oro e in un’armatura sobria e priva di ornamento alcuno, a testimoniare il suo carattere marziale e rigoroso, restio a concedersi qualsivoglia sfarzo o lusso. I capelli biondi erano ingrigiti sulle tempie e alcune rughe gli solcavano l’algido viso inespressivo, ma nessuno avrebbe osato chiamarlo vecchio, vedendolo, e gli occhi verdi non erano affatto offuscati, ma limpidi e duri come acciaio ossidato. Dietro di lui, con il capo chino e le labbra strette e pallidissime, avanzava Jaime, strascicando i piedi come se si stesse obbligando a procedere e fissando ostinatamente il suolo con una smorfia indecifrabile; non guardò nessuno, né le guardie, né Tysha, né Tyrion, si fermò solo alle spalle del padre, come se sperasse di non essere notato.
Lord Tywin esaminò, senza mutare espressione, l’aspetto modesto della casupola, le mensole piene di piatti e stoviglie, il camino acceso con il pentolone sopra, i resti del pasto sulla tavola imbandita. Quindi passò a studiare Tysha, ancora immobilizzata dalla cappa dorata, scrutandola con iridi così gelide che lei rabbrividì e distolse il viso, dimenandosi debolmente. Infine, in una lenta, terribile carrellata, i suoi occhi andarono a Tyrion.
Il Folletto percepì il calore che gli si accumulava sulla pelle quando lesse il solito, totale e incurabile disgusto nello sguardo del padre, un disgusto che lo condannava, che gli chiedeva perché fosse sopravvissuto a spese della madre, che avrebbe voluto schiacciarlo come un insetto molesto, e non riuscì a reggere il confronto, non ci sarebbe riuscito a più di vent’anni, figurarsi a tredici. Fissò la catena di zampe di leone intrecciate che teneva il mantello appuntato sulle spalle larghe di Tywin, qualsiasi cosa, eccetto le sue iridi verdi e sferzanti.
“Salute, padre” gracchiò, in una debole eco della sua presenza di spirito: “Non credevo ti saresti scomodato per me. Lo prendo come un onore, normalmente lasci fare ai tuoi galanti e cortesi armigeri…”
“Evitami il tuo umorismo da quattro soldi, Tyrion” lo interruppe seccamente il lord di Castel Granito, con voce gelida quanto la sua espressione: “La tua colpa è così evidente che qualsiasi cosa dirai o farai non avrà la minima influenza”.
Tyrion ghignò senza allegria: “Oh, ma tu sai quanto io ami parlare, padre, non privarmi di quest’ultimo desiderio. Prima che pronunci il verdetto, qualsiasi esso sia, lasciami almeno dire una cosa” prese fiato e si asciugò la fronte zuppa di sudore prima di continuare: “La ragazza non ha nessuna colpa. Non merita di pagare un peccato che è solo mio. Quindi, se davvero sei un uomo giusto come ami affermare, tienila fuori dalla faccenda e punisci solo me. È stata una…vittima, niente di più”.
Si era premurato di assumere un tono neutro nel parlare di Tysha. Se suo padre si fosse accorto di quanto dentro stava urlando a squarciagola, se ne sarebbe approfittato di sicuro. Se voleva salvare sua moglie, doveva fingere assoluta indifferenza. Ormai, non sperava che questo, di salvarla dall’ira del vecchio leone e permetterle di andare al sicuro.
Sei stato davvero così sciocco da credere che sareste stati felici in eterno?
Un sorriso freddo e morto si allargò lentamente sul volto granitico di Tywin, rendendo la sua espressione ancora più spaventosa: “Una vittima, dici. In effetti, è una vittima, o meglio, una delle tante povere vittime che s’aggirano nelle nostre terre patendo la fame e gli stenti. Vittime che è nostro dovere aiutare, laddove sia possibile, ma non certo sposare”.
“Sono un ragazzino” replicò Tyrion: “Non rifletto sulle conseguenze delle mie azioni”.
“Davvero?” suo padre si rabbuiò: “Non mentire, Tyrion, le tue infide menzogne possono convincere i bifolchi con cui ti intrattieni di solito, ma non me. Io ci convivo da anni con le menzogne, sono stato Primo Cavaliere del re e a corte circolano come il vino nelle coppe degli ubriaconi. Ti credi furbo, invece sei solo stupido. Stupido e deforme. Cosa pensavi? Che non lo sarei venuto a sapere? Una cosa del genere?” gli occhi verdi lo trafiggevano come pugnali di giada: “Questo ti rende doppiamente stolto”.
Quelle parole gli facevano male, ma sarebbe morto piuttosto che darlo a vedere: “Perdonami, padre” chinò umilmente il capo: “Perdonami se sono piccolo, brutto e cretino. Non era mia intenzione”.
“Smettila!” l’impassibile compostezza del lord di Castel Granito s’incrinò e i lineamenti si indurirono in una smorfia: “Sei l’ultimo ad avere il potere di farti gioco di me, mostriciattolo, perciò taci!”
“Posso chiedere solo una cosa?” insistette il Folletto: “Quanto ti ha chiesto l’uccellino in cambio della sua canzoncina?”
Questo parve divertire Tywin, ma anche se piegò lievemente gli angoli della bocca verso l’alto, ciò non conferì affatto ai suoi tratti algidi un’espressione più amabile: “Non molto, figlio, non molto. Non vali più oro di quanto pesi, il che è tutto dire, dato che pesi veramente poco”.
Sei sempre così simpatico, pensò Tyrion, simpatico e complimentoso, padre. Come farei ad avere un’autostima senza di te? Per non dover guardare oltre il compiacimento e il ribrezzo del vecchio leone, si concesse di rivolgere lo sguardo a Tysha, e incontrò subito i suoi occhi nocciola, che non si erano distolti da lui neanche un secondo. Qualcosa dentro di lui si sciolse e scricchiolò dolorosamente, ma malgrado il dolore, si sforzò di sorriderle con dolcezza, di farle capire che andava tutto bene, che l’avrebbe tirata fuori dai guai.
Lord Tywin, naturalmente, non si era perso quello scambio di occhiate e sembrava ancora divertito: “Non che mi interessi” esordì: “La mia è una mera curiosità. Dopo che ti sei tolto lo sfizio, perché hai voluto correre un rischio così grande e ti sei sposato una stracciona? Non ti bastava darle una ripassata ogni tanto?” la squadrò da capo a piedi: “Non è neanche bella. Appena passabile, e hai comunque voluto compiere una follia per lei” quelle parole erano così sprezzanti che Tysha arrossì violentemente.
Quanto a Tyrion, strinse i pugni, nascondendoli dietro la schiena per celare la sua rabbia. Riservò il veleno alla sua voce, pericolosamente melodiosa ed insinuante: “Per una ragione molto semplice, padre, la ragione che spinse te ad ammogliarti con la tua consorte”.
I lineamenti di Tywin si contorsero in una maschera ferale e un rossore evidente affiorò sulla sua carnagione candida: “Non nominare tua madre!” ruggì: “Tu, che l’hai uccisa a sangue freddo, non osare nominarla, mi hai capito, scarto umano?!”
Tyrion si sentì sferzato da quelle accuse come se fossero state frustate.
Non l’ho uccisa avrebbe voluto urlare con tutta la sua voce, sarei stato ben felice di conoscerla e amarla, forse lei non mi avrebbe respinto solo perché ero un nano. È morta di parto e non hai fatto altro che attribuirne a me la colpa, fin da quando ero piccolissimo!
Ma non disse nulla. Quando si confrontava con Lord Tywin, le parole non gli venivano in aiuto, sfuggivano disordinatamente e giocavano a nascondino.
Dopo qualche secondo, suo padre recuperò la calma e inspirò a fondo, ricomponendo il suo cipiglio imperscrutabile. Per un attimo, a Tyrion parve di intravedere un lampo di sadismo e di trionfo nelle iridi smeraldine del genitore, ma forse se l’era solo immaginato, perché in mezza frazione di secondo erano tornate algide come schegge di ghiaccio verde e non trasmettevano nulla, solo un odio contenuto. Gli sorrise, quasi gentile, il che lo rese solo più temibile: “Tu paragoni il tuo legame con questa ragazzina a quello che univa me e tua madre” disse lentamente: “Il che forse è un errore persino peggiore di quello che hai commesso sposandola”.
“Io la amo” gli occorse coraggio per confessarlo alla presenza di tutte quelle persone, ma lo trovò, e suonò anche dignitoso, dignitoso e intrepido nella sua esigua statura e nella sua evidente inferiorità: “E un legame forgiato dall’amore è tra i più puri che esistano!”
Gli armigeri risero, deridendolo, ma Tysha sussultò e un sorriso, a dispetto della situazione, le nacque sulle labbra, prima timido, poi sempre più raggiante, un sorriso bellissimo che Tyrion accolse ricambiandolo e sentendosi scaldare dalla gioia della sua sposa che contrastava con la difficoltà della circostanza e con il pericolo che incombeva su di loro. E in quel momento sentì che forse l’amore sarebbe bastato, che se permetteva loro di sorridere alla faccia delle avversità, avrebbero potuto farcela, si sarebbero salvati, proprio come gli stupidi eroi delle ballate che parevano del tutto immuni alla morte.
La risata di Lord Tywin, fredda, pressoché priva di letizia o ilarità, così smorta da mettere i brividi invece di allietare gli animi, si infilò brutalmente tra di loro come la lama di una spada, costringendolo a staccare le pupille da quelle luminose di Tysha per tornare a guardare il nobile volto di suo padre, insensibile, crudele, schernitore: “Credevo sinceramente che fossi più furbo, Tyrion” commentò: “Credevo che la tua deformità ti avesse fatto imparare qualcosa su come va il mondo. Ma ora mi accorgo che il tuo cervello è guasto quanto il tuo corpo. Forse persino di più”.
Il Folletto chinò il capo con un brusco movimento, fissando furiosamente il pavimento della casupola con le retine che gli bruciavano e le mascelle che scricchiolavano per quanto erano contratte. Ma anche se gli insulti di suo padre lo ferivano, non potevano deturpare il suo amore per Tysha, non ci sarebbero riusciti.
“Jaime” ordinò seccamente lord Tywin, rivolgendosi al figlio maggiore: “Avanti, parla”.
Stupito da quell’uscita inaspettata, Tyrion guardò il fratello, che era rimasto in un angolo nel corso dell’intera discussione, senza intervenire o segnalare in alcun modo la sua presenza. Quando il padre lo chiamò in causa, ebbe un sussulto e si osservò attorno a metà tra il disorientato e il combattuto, quasi alla ricerca di un appiglio o di un suggerimento qualsiasi che gli dicesse cosa fare; il Folletto si accorse con sbalordimento che il bel volto di Jaime, normalmente sicuro e quasi arrogante, era curiosamente pallido e che i suoi occhi verdi non riuscivano ad incontrare né quelli del vecchio leone né i suoi, anzi, scattavano di qua e di là per la stanza come biglie impazzite. Il giovane biondo esitò, serrando le dita sulla sontuosa cappa in cui era avvolto.
“Jaime” stavolta nella voce misurata di Tywin Lannister vibrava l’accento di comando del capo e del guerriero che era stato e che era tuttora: “Ti ho detto di raccontare la verità. Non costringermi a ripeterlo ancora”.
Le labbra del figlio erano una linea sottilissima; ansimava come un animale in trappola.
“Che significa tutto questo?” intervenne Tyrion, confuso, guardando ora l’uno ora l’altro con un oscuro, orribile presentimento che iniziava a muoverglisi nello stomaco: “Di che verità state parlando?”
Suo padre gli concesse un breve, affettato sorriso: “Ritengo che debba essere tuo fratello a rivelartela, essendo il principale fautore dell’inganno di cui sei stato fatto oggetto. Avanti, Jaime!”
Il giovane si risolse finalmente a sollevare il capo, e nel rapidissimo istante in cui il suo sguardo da bestia braccata incrociò quello di Tyrion, al Folletto sembrò che gli chiedesse scusa in silenzio, addirittura che supplicasse il suo perdono, probabilmente per avergli mentito e per aver costruito una bugia che aveva avuto conseguenze tanto gravi; e in quell’esatto istante, di colpo, non volle conoscerla affatto, la verità, anzi, si trovò a pregare tutti i maledetti dèi di interrompere suo fratello, di mandare uova roventi di drago dal cielo o far crollare una trave del soffitto, tutto, anche la calamità più terribile, affinché la bocca di Jaime non si schiudesse e le parole che si apprestava a pronunciare non distruggessero il suo unico porto sicuro, quella piccola stilla di felicità che si era conquistato così duramente…
Oh vi prego non ditemelo, non ditemelo, preferisco vivere nelle menzogne, se tacete adesso posso ancora dimenticare, posso far finta che tutto questo non sia mai accaduto!
“Io…” incominciò Jaime a fatica, incapace di sostenere oltre il suo sguardo. Esitò, visibilmente tormentato, ma bastò un’occhiata algida e autoritaria da parte del padre a convincerlo a continuare, e gli spiegò la questione con tono neutro e contratto, come se non vedesse l’ora di concludere, come se si stesse cavando fuori ogni sillaba con le pinze: “Sono…sono stato io a mettere in piedi l’intera faccenda. La strada, i banditi che inseguivano la ragazza, tutto quanto. Ho finto di dar loro la caccia, ne ho fatto la scusa perfetta per lasciarti solo con lei, ma non erano che complici pagati con qualche moneta di bronzo. Non era vero niente” tacque, deglutendo con sforzo, e alzò su di lui una smorfia supplichevole: “Pensavo…che avessi bisogno di una donna. Che ti avrebbe fatto bene. Che ti saresti sentito…meno solo”.
A Tyrion sembrava che il fratello fosse sempre più lontano, che le sue parole gli arrivassero ovattate e distanti, come se, prima di raggiungerlo, dovessero oltrepassare un lunghissimo tunnel. Intorno a lui la baracca era sfocata, fuori fuoco, ed aveva la sensazione di galleggiare nel catrame e che il catrame gli entrasse nella bocca e nelle orecchie, invadendolo col suo sapore e la sua consistenza viscida. Aveva la nausea. E i volti di Jaime e di suo padre erano diventati macchie bianche prive di lineamenti, così come gli armigeri una massa di soldatini in armatura perfettamente identici. Quanto a Tysha… quanto…a…Tysha…
“Per te era la prima volta” soggiunse Jaime, che a quanto pare non aveva compreso di averlo mandato in pezzi e persisteva a calpestare i cocci di lui: “Quindi pensavo che…ecco…sarebbe stato più facile se lo avessi creduto autentico. Così ho pagato il doppio…”
“…per una vergine” completò lord Tywin al suo posto. Il suo cipiglio severo non era mutato di una virgola nel corso del racconto, lo aveva ascoltato a braccia conserte, con un luccichio di godimento nelle pupille che era andato intensificandosi. Indicò Tysha, la quale da qualche attimo non respirava più e aveva l’aria d’essere prossima a svenire tant’era pallida, con un gesto sprezzante: “Tua moglie è una puttana, Tyrion. Hai sposato una sgualdrina che tuo fratello aveva pagato per inscenare quella ridicola pantomima e sedurti. Scommetto che Jaime non credeva che saresti arrivato a tanto…” scoccò al suo primogenito un’occhiata penetrante che egli evitò: “Ma questo certo non lo assolve dalla parte che ha avuto in tutto questo. In ogni modo, era giusto che sapessi la verità, che ti rendessi conto appieno di quanto grave è il tuo errore. Sei contento, adesso? Sei soddisfatto del tuo matrimonio? Oh, può darsi anche che tu sia stato tanto sciocco e folle da innamorarti di una puttana, dopotutto sono le uniche donne a te accessibili, ma credevi veramente che ti avesse sposato perché ricambiava i tuoi sentimenti? C’è una sola cosa che questa ragazza ama in te…ed è il tuo denaro”.
Tyrion Lannister era stupito che le sue corte e patetiche gambette ancora lo reggessero in piedi, che non avessero ceduto molto prima, facendolo crollare a terra come un fiore schiacciato e completando la sua umiliazione e la sua onta, rendendolo definitivamente ridicolo agli occhi del lord di Castel Granito, delle sue guardie e di suo fratello. Non che ne sarebbe rimasto ferito: aveva ricevuto un colpo così forte, così doloroso, così vile che credeva non sarebbe rimasto ferito mai più, da niente e da nessuno. No, se anche cento spade lo avessero fatto a brandelli, la sofferenza patita non sarebbe stata neanche lontanamente paragonabile a quella che gli attanagliava le membra e la mente in quel momento, se lo avessero calpestato, irriso, malmenato, non avrebbe sentito dolore. Nulla poteva equiparare l’orrenda, inaspettata agonia che lo aveva colto, avvincendolo totalmente, il sapore di bile che gli riempiva la bocca, il cuore che quasi non batteva più e se batteva dava atroci fitte, il sangue che pulsava violento nelle vene, rintronandolo e assordandolo. Le parole di Jaime e di suo padre si rincorrevano dentro di lui come il ritornello di una canzone, facevano il girotondo ghignando, brillavano come altofuoco in tutta la loro crudele e spietata verità. Gli veniva da vomitare, ma non aveva la forza di farlo. Gli veniva da piangere, ma le lacrime non c’erano. Se ne stava semplicemente là, immobile, come lo sciocco, ingenuo nanerottolo che era.
E pensavi veramente che un piccolo mostro come te potesse essere amato… che avessi diritto a certe cose…la verità era lì, alla tua portata, e non l’hai voluta vedere, hai preferito cullarti in dolci illusioni: solo le puttane accolgono nel loro letto gli scarti, e lo fanno per l’oro.
Non credeva che ne avrebbe avuto la forza, invece guardò Tysha. La sua cascata di morbidi e profumati riccioli castani in cui aveva immerso il viso tante volte, quel bel corpo che aveva imparato a conoscere e ad adorare in ogni minimo particolare, memorizzandone i nei, la conformazione delle linee sui palmi delle mani e qualche occasionale lentiggine, il timido e dolce visetto che adesso era cereo e stravolto dall’orrore e dalla confusione (probabilmente temeva per la propria sorte, la piccola prostituta, ora che l’inganno era stato svelato), le labbra piene che aveva baciato, e quei profondi occhi nocciola in cui si sentiva totalmente smarrito.
Un camuffamento. La mia Tysha…non era altro che un camuffamento. Forse non si chiama nemmeno così. Le sue parole, i suoi sorrisi, i suoi baci e le sue carezze...non le venivano dal cuore. Erano imparati a regola d’arte in qualche bordello, in attesa di essere sperimentati, e io sono stato il primo ad avere quest’onore.
La fanciulla dovette leggergli i pensieri dal viso, poiché si animò di colpo, riemergendo dallo stato di shock in cui pareva essere caduta nel corso degli avvenimenti, e provò a corrergli incontro: “No! Tyrion, non è vero!” appena accennò un movimento nella sua direzione, tuttavia, l’armigero che la teneva per il braccio aumentò la stretta su di lei, serrandola al petto senza fatica, e la immobilizzò, ma la ragazzina non si diede per vinta; prendendo a divincolarsi come una pazza, fissò il Folletto con occhi enormi di dolore e pieni di lacrime, invocandolo con voce spezzata: “Te lo giuro, Tyrion, non è vero! Io ti ho detto la verità!”
Lui distolse il viso di scatto, sentendosi ustionato da quelle grida come se fossero state lingue di fiamma. C’erano così tante cose da dire, a lei, a suo padre, a suo fratello…ma per la prima volta in vita sua, il Folletto era a corto di parole, incapace di spiccicare un suono che fosse uno, troppo abbattuto, troppo disperato per ordinarsi di parlare, e non poteva fare altro che tacere, tacere e subire passivamente ciò che succedeva come una statua, una piccola e grottesca statuina. Troppo stanca per arrabbiarsi. Troppo morta dentro per piangere.
“Tyrion!” gemette sua moglie: “Tyrion, ti prego, guardami!”
Tyrion chiuse gli occhi. Anche se avesse voluto, non ce l’avrebbe fatta a incontrare ancora una volta quelle dolci iridi nocciola, avrebbe potuto realmente morirne. Voleva solo andare via, da quella casa improvvisamente estranea, da suo padre e il suo compiacimento, da Jaime e il suo senso di colpa, dalle cappe dorate e il loro scherno, ma soprattutto da lei. Malgrado tutto, l’amava ancora, esattamente come prima, ed era questa la cosa peggiore. Non riuscire ad odiarla, o quantomeno a scaricarle addosso parte della colpa egoisticamente; no, da bravo idiota ingenuo, persisteva ad amarla pur sapendosi respinto. A vedere le cose con la solita chiarezza, quel raziocinio che lo avrebbe sempre contraddistinto. Tysha non era responsabile di quanto successo, aveva solo svolto il suo lavoro e colto l’occasione al volo di trovarsi dei soldi e una sistemazione per la vita, come chiunque altro al suo posto avrebbe fatto. Semmai, era stato Jaime ad ingannarlo, ma non provava rancore nemmeno per lui. Non provava niente, solo nausea e un dolore lancinante dentro.
Eccomi qui, un nano che si è preso una sbandata folle per una puttana e l’ha addirittura presa in moglie, prendendo per oro colato ogni complimento o lusinga che le usciva di bocca…troppo cieco e stupido per guardarsi allo specchio e capire…e anche se adesso so, la amo ancora…si può essere più idioti? Si può adorare una donna che ha giurato eterna fedeltà non a me, ma al mio oro di Lannister?
Eppure gli era sembrata così sincera…così sincera…l’unico essere umano puro e diretto che avesse mai conosciuto, l’unico capace di guardare le cose in faccia e chiamarle col loro nome. Ma si era sbagliato. Pensava di essere astuto, di fiutare le menzogne e svelarle, invece era il re degli stupidi. Ci era cascato come tutti gli altri.
“Tyrion!” invocò ancora una volta Tysha, disperata, e si permise di osservarla per qualche secondo, di soffrire per le sue guance rigate di lacrime: “Io ti amo davvero, Tyrion, ero…”
“Sta zitta, troia!” l’armigero che la immobilizzava le vibrò un manrovescio in piena faccia e le sue implorazioni sfumarono in un grido di dolore mentre crollava sul pavimento con le mani pressate sul labbro spaccato e sanguinante. Il corpo di Tyrion si tese allorché il pugno dell’uomo colpì sua moglie, gli parve di avvertire il dolore della percossa nella sua stessa carne e provò l’impulso di avventarsi su di lui e ucciderlo, di mangiargli il naso a morsi solo perché aveva osato picchiare Tysha, la sua Tysha, che era una puttana, sì, ma pur sempre…la donna che amava.
Ma non fece niente. Non si mosse neanche. Trattenne semplicemente il respiro e scoprì che una parte di lui voleva disperatamente accorrere dalla fanciulla e aiutarla, premerle un fazzoletto sul labbro insanguinato e sussurrarle parole di conforto, stringerla in un abbraccio e calmarla con i baci e le carezze.
Stupido, stupido, stupido…
“Tyrion”.
La voce di suo padre non aveva mutato inflessione. Era gelida e monocorde come sempre. Lentamente, il Folletto sollevò gli occhi offuscati su di lui e trovò sul suo volto granitico un’espressione difficile da decifrare, severa, ma al tempo stesso sofferente e bonaria…come se Lord Tywin si apprestasse a fare qualcosa di spiacevole ma necessario. Nonostante tutto, rabbrividì, incapace, ora più che mai, di opporsi all’autorità del genitore. Incapace persino di utilizzare la sua arma più potente, il sarcasmo.
“So cosa stai pensando, Tyrion” esordì suo padre, sorridendogli con una gentilezza che non gli aveva mai mostrato prima e che il figlio trovò repellente quanto la crudele bellezza di Cersei: “Quella puttana ti ispira ancora compassione. Non la vedi per ciò che è, perché ormai hai tracciato un’immagine di lei che non corrisponde a verità”.
Il Folletto non rispose. Si sentiva apatico, inerte come un cadavere.
“Ma questo non può accadere” continuò il lord di Castel Granito, tranquillo: “Devi smetterla di vivere nelle favole, Tyrion, un nobile, e un Lannister soprattutto, non porterà mai gloria al suo nome se si ostinerà a vedere una principessa in una prostituta e un cavaliere in un rivoltante piccolo nano” sorrise appena nel lanciargli l’ennesimo insulto, ma il sorriso svanì all’istante: “Portare gloria al nome della propria casata è l’unica cosa che conta. Io, tu, Jaime, nessuno si ricorderà di noi quando moriremo, tutto quello che ricorderanno sarà la nostra stirpe e le gesta che abbiamo compiuto per glorificarla o, nel tuo caso, per ricoprirla di fango. E io non te lo permetterò. Mi hai già portato via mia moglie, non ti permetterò di portarmi via il mio onore”.
Si chinò su di lui e lo agguantò per le spalle, conficcandogli le unghie nella carne e spingendolo all’indietro finché Tyrion non urtò con la schiena contro la parete della capanna; non s’oppose, lasciò che il padre lo toccasse con assoluta, vacua indifferenza, e quando lo costrinse a mettersi seduto in un angolo, si sedette. Se Tywin avesse dato ad intendere di volerlo frustare o picchiare a sangue, avrebbe continuato a rimanere immobile. Non gliene fregava più un cazzo. Che lo ammazzasse, se così credeva. Non aveva niente da perdere.
Anziché gettarsi contro di lui, tuttavia, il lord di Castel Granito si rivolse alle sue guardie, imperioso e fermo come se stesse ordinando loro di scendere in battaglia o svolgere una nobile impresa: “È tempo che mio figlio paghi per la sua ingenuità e la puttana per aver osato farsi beffe di un Lannister. Che la veda per quello che è. È vostra. E che le sia dato un pezzo d’argento per ciascuno di voi: un Lannister paga sempre i propri debiti”.
Tyrion e Tysha trattennero il respiro quasi all’unisono, mentre i loro cuori perdevano un battito e i loro volti, così diversi, impallidivano, rispecchiando lo stesso, sgomento orrore. Il Folletto era convinto d’aver perso ogni slancio, ogni sentimento nel momento in cui suo fratello aveva distrutto la magnifica illusione in cui aveva raggiunto la felicità suprema, eppure l’orrido quadro che suo padre aveva prospettato, l’idea di cosa voleva che i suoi armigeri facessero a sua moglie gli strappò un fremito di terrore e di repulsione: “No!” soffiò, piano, troppo piano. C’era sempre qualcosa che lo frenava, un dolore eccessivamente forte, una delusione che lo rendeva inerte. Gli occhi nocciola di Tysha, sbarrati nel viso terreo, lo fissarono, sconvolti e smarriti, mentre la prima guardia la gettava a terra con violenza, a faccia in avanti, con le mani stese di fronte a sé.
“Sì, Tyrion” ribatté lord Tywin, implacabile, afferrandogli la mascella e tenendogli fermo il capo, di modo che fosse costretto a guardare: “E ricorda, lo faccio solo per il tuo bene”.
“Padre” provò a intervenire Jaime, esitante: “Non c’è bisogno di…”
“Taci, tu!” ringhiò il vecchio leone, fulminandolo con lo sguardo: “Sei colpevole tanto quanto lui e non sei neanche un nano, quindi doppiamente sciocco!”
Il giovane arrossì di vergogna, fissando con lacerante indecisione il fratello trattenuto nell’angolo dalla forza del padre e la ragazza prona sul pavimento che aveva incominciato a gridare d’una serie di grida da spezzare il cuore e a contorcersi follemente tra le braccia possenti dell’armigero. Alla fine chiuse gli occhi, come per negare quanto stava accadendo, aprì la porta e uscì dalla capanna. Lord Tywin lo lasciò fare e annuì in direzione delle sue guardie: “Procedete”.
Quando il primo uomo allungò una mano verso di lei, Tysha gliela morse e lo respinse con pugni e calci: “No! No! No!” la sua esile voce era spezzata e frantumata dal terrore e ognuno dei suoi urli si piantava come un marchio di fuoco nel cuore di Tyrion, ma non c’era nulla che potesse fare, nulla contro suo padre e le sue guardie, poteva solo guardare, seduto impotente in quell’angolo, con la mandibola intrappolata tra le dita d’acciaio del genitore, e comprendere quanto patetico e inutile fosse, quanto sarebbe stato meglio non nascere affatto. Aveva voglia di straziarsi ogni volta che sua moglie urlava, e nel momento in cui quei mostri iniziarono a stuprarla gli sembrò di impazzire, che la sua mente stesse vacillando sull’orlo di un baratro profondo e che ci sarebbe voluto un nonnulla a perderla per sempre, ogni cosa andò sottosopra e, mentre l’armigero si muoveva selvaggiamente sopra Tysha e lei piangeva e farneticava, Tyrion si ritrovò a urlare suoni inarticolati e incoerenti, implorando suo padre di ucciderlo, implorando gli dèi di intervenire, maledicendoli, riversando un flusso di assurdità che non smossero di un millimetro il grande, imperturbabile lord Tywin Lannister.
Non posso sopravvivere a questo, non posso, morirò….
Era una tortura che lo lacerava con tenaglie invisibili e ferri arroventati privi di consistenza, lasciando croste, cicatrici e ferite purulente nella sua anima e non nella sua carne, e non finiva mai, ogni volta si incarnava in un nuovo carnefice che, sotto i suoi occhi sbarrati, folli e iniettati di sangue, roteanti come biglie, avanzava verso la figura tremante e insanguinata di Tysha e prendeva il posto del precedente; le proteste, le grida e i contorcimenti di lei divenivano di volta in volta più stanchi e rassegnati, una pozza rosso scuro si allargava sul pavimento intorno a lei e Tyrion, nel suo angolo, delirava, quasi stesse subendo violenze a sua volta, violenze che gli distruggevano la mente. Parole prive di senso schizzavano dalle sue labbra farfuglianti e ad un certo punto attaccò a cantare Le stagioni del mio amore, quindi a recitare i giuramenti che aveva pronunciato nel corso del matrimonio: “Ti difenderò dalle avversità, ti starò accanto nella buona e nella cattiva sorte, in salute e in malattia. Ti difenderò dalle avversità, ti starò accanto nella buona e nella cattiva sorte…”
Ogni volta che una guardia finiva di approfittarsi di sua moglie, le consegnava una moneta d’argento proprio come lord Tywin aveva comandato. E ad un certo punto, i pezzi d’argento furono così tanti, così spropositati tra le mani di Tysha che non riuscì più a reggerli. Le scivolavano tra le dita, rotolando sulle assi del pavimento, e Tyrion li seguiva con lo sguardo allucinato, quel denaro che aveva lordato ogni cosa, che aveva mandato in pezzi il suo amore. E la sua sposa, con la faccia schiacciata a terra, lo guardava con le sue pupille spente e ormai vacue, ma accese ancora da un lieve e fioco brillio, la traccia di un sentimento che la spingeva ad invocare, di tanto in tanto: “Tyrion!”
E Tyrion avrebbe voluto rispondere alla sua richiesta, con tutto se stesso, anche se era solo una puttana, non gli importava; avrebbe voluto uccidere suo padre e i suoi armigeri, coprirle la faccia e le mani di baci, avvolgerla nella sua cappa e tenerla al sicuro, parlarle finché non si fosse calmata, raccontarle aneddoti divertenti finché non fosse riuscita a ridere di nuovo. Ma lord Tywin aveva ragione, era solo un nano che nessuno avrebbe mai amato, un essere inutile, impotente. Un essere a cui l’amore era precluso, che ricadesse su una nobildonna o una prostituta. Non c’era niente che potesse fare.
Quando finalmente la tortura cessò, il Folletto non provò sollievo. Era stato troppo. Se anche lui e Tysha avrebbero potuto sopravvivere all’inganno che aveva cementato il loro matrimonio, con questo suo padre si era assicurato di aver eliminato ogni possibilità di riconciliazione. La ragazzina giaceva sul pavimento con la gonna sporca di sangue e i capelli scarmigliati sparsi addosso come un sudario, respirando appena, senza più né piangere né gridare, e intorno a lei scintillavano macabri i pezzi d’argento, spaventosa ricompensa per ciò che le era stato fatto.
Lord Tywin, in piedi accanto a Tyrion, la fissava con occhi duri e impassibili. Quanto al Folletto, era morto da tempo, più o meno al terzo o al quarto armigero.
Non reagì nemmeno quando sua padre gli schiuse il pugno a forza e gli depositò sul palmo una moneta d’oro: “Ora va da lei” gli ordinò, rimettendolo in piedi e spingendolo con violenza verso sua moglie: “E dille addio per l’ultima volta. Con l’oro, s’intende. Un Lannister vale molto più di una guardia”.
Tyrion, la mente annebbiata dall’agonia, strinse nel pugno la gelida moneta mentre Tysha alzava con estrema fatica il capo dal suolo e posava su di lui i grandi occhi nocciola. Non brillavano più, né di lacrime né di allegria. Erano spenti e velati. Eppure, nonostante tutto, riuscì a sollevarsi sui gomiti e a tendere una piccola mano verso di lui, bisbigliando, in una flebile richiesta di aiuto: “Tyrion…”
Decine d’uomini avevano abusato di lei, eppure ancora sperava che la salvasse, che la tirasse fuori dall’abisso, che smontasse dal suo pony e l’avvolgesse nel suo mantello, sorridendole e parlandole con dolcezza.
Se solo un giorno…potessi farlo davvero.
Ma non era quel giorno. E lui era solo un nano, un nano morto nell’animo e indegno nell’aspetto.
Si chinò su di lei, sfiorandola appena con la punta delle dita, le mani che tremavano orribilmente, e ansimò: “Tysha…”
La ragazzina si aggrappò a lui: “Tyrion…aiutami…”
C’era un solo modo in cui poteva aiutarla, soddisfare suo padre e impedire che la uccidesse. Inspirò a fondo e le bisbigliò all’orecchio: “Chiudi gli occhi…”
Lei obbedì.
E Tyrion fece ciò che il vecchio leone aveva ordinato loro di fare.
 
“Tredici anni, trent’anni, tre anni” disse Bronn molti anni dopo, quando il Folletto ebbe finito di raccontare: “All’uomo che avesse fatto a me una cosa del genere, gli avrei staccato la testa dal collo”.
“Potrebbe accadere, un giorno” Tyrion si voltò verso di lui: “Ricorda ciò che ti ho detto: un Lannister paga sempre i propri debiti”.
Era passato tanto, troppo tempo, eppure quelle memorie continuavano ad essere dolorose come allora. Così com’era doloroso il ricordo di Tysha, quella ragazzina che era stata un inganno ma che aveva amato più di ogni cosa o persona al mondo.
Che amava tuttora.
Mentre si coricava per dormire, una lacrima macchiò il suo volto deforme e gli parve di udire, in sottofondo, Le stagioni del mio amore che lo accompagnava dolcemente nel sonno.
 
Angolo autrice: Questo capitolo è una valle di lacrime, lo so. Purtroppo, però, così Martin ha fatto finire la loro storia, e non potevo che attenermi ai fatti… per quanto una parte di me continui a sperare segretamente che prima o poi si ritroveranno e vivranno “per sempre felici e contenti”. Voglio dire, quel Tywin è un mostro, ha fatto una cosa che non riesco nemmeno a descrivere… e che ho descritto malissimo, volevo giustappunto dirvi che non sono affatto soddisfatta del mio lavoro, mi pare una schifezza totale…la scena finale è stata un parto, chissà che ne è venuto fuori…per le prime scene ho lasciato emergere il mio lato più fluffloso, e poi ho dovuto convertirmi ad una tragedia straziante…beh, mi piacerebbe sapere che ne pensate, pareri/critiche sono sempre bene accetti : ) intanto ringrazio di cuore Aule per aver recensito e Beauty e Euridice100 per aver aggiunto la storia alle preferite : ) confesso che mi piacerebbe dedicare una shot a questi due dai toni più allegri, magari un ritrovamento avvenuto anni dopo…cioè, la loro storia è bellissima, come Titanic, Romeo e Giulietta e tante altre tragedie, ma ci sono rimasta troppo male! Alzi la mano chi vuole vedere Tywin pappato dai draghi di Dany, muahaha XD Okay, fine sclero, grazie ancora e buona giornata a tutti!
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