Lo sapevamo che da questa guerra non ne saremmo usciti vincitori. Pur appartenendo alla stessa schiera, i nostri animi erano agitati da desideri diversi e contrastanti. I nostri cuori non batterono all’unisono e il sangue nelle nostre vene non pulsò con la stessa intensità. Fu questa, la causa della nostra sconfitta. Perché poco importa se siano caduti più uomini dalla nostra fazione o da quella avversaria. Vi è sempre una sconfitta lì dove vi è una salma da compiangere. Ma, dopotutto, a che servirebbero ora le vostre lacrime, compagni. Ciò che è stato fatto non può esser cambiato, chi è caduto non può esser risvegliato. Non vi ho mai chiesto di vincere la guerra, perché di questa vittoria non ne riesco a gustare il sapore. Perché è il sangue di questo mio compagno, di questo mio fratello, di questo mio figlio, di questo mio padre, a bagnarmi le labbra. Ciò che vi avevo chiesto era di essere uniti, compatti. Un unico organismo, una coesione di sensi e sentimenti. Ma voi avete preferito l’orgoglio dell’eroe solitario, l’egoismo del soldato errante, la bramosia dell’avido ricco. Arricchitevi, dunque, di questi futili beni. Andate! Saccheggiate pure la città. Così sordi da non udire la risata della dea bendata, così ciechi da non vedere il ghigno di questa terra. Correte, dunque. Arricchitevi di quell’oro. Poveri stolti, così annebbiati dalla prospettiva di una vita agiata, da non accorgervi che, su questo campo, l’unica vincitrice è questa terra umida che calpestiamo. Perché è a lei, che ora, appartengono il sangue e le spoglie dei nostri amici.