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Autore: MadAka    14/10/2013    1 recensioni
Dopo essersi risvegliato in un letto di ospedale, Sean Darren si rende conto di non ricordare più niente di quello che gli è accaduto, né per quale motivo si trovi in quel posto.
Ma nella sua confusa situazione si rifiuterà di credere a coloro che dicono di poterlo aiutare ed inizierà ad inseguire la sua memoria da solo.
Genere: Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Salve a tutti!
Faccio una piccola premessa perché questa storia ne ha bisogno:
si tratta di un racconto a capitoli che avevo cominciato a scrivere per partecipare ad un contest a pacchetti in cui il protagonista/la protagonista doveva ritrovare la sua memoria dopo averla persa per qualche motivo.
L’ idea mi piaceva un sacco così avevo deciso di partecipare, ma ogni volta rientravo in sezioni che la promotrice del contest non voleva…
Ho deciso però di continuare e pubblicare il mio lavoro perché ormai mi ero buttata a capofitto nello scrivere una storia con un tema incentrato su qualcosa di inconsueto come un’amnesia.
Premetto anche che si tratta di un omaggio al mondo del rugby, sport che personalmente apprezzo tantissimo!
Buona lettura a tutti. 
 ;)

 
 
Riaprì gli occhi lentamente, ma richiudendoli più volte nella speranza di riuscire ad abituarsi all’ intensa luce bianca. Intorno a lui il silenzio regnava sovrano, interrotto solo dal suono regolare della macchina alla sua sinistra, che misurava il suo battito cardiaco.
Sean Darren cercò di mettere a fuoco gli oggetti intorno a lui, di interpretare i rumori che lo circondavano, ma non riuscì a distinguere nulla di famigliare.
Non aveva idea di dove fosse, non sapeva come fosse arrivato lì; sentiva un forte dolore alla testa e male in ogni punto del suo corpo. Quando finalmente capì di trovarsi in una stanza d’ospedale il monitor accelerò i suoni.
Riuscì a fatica a mettersi seduto e a passarsi una mano sulla fronte umida. Proprio non capiva cosa ci facesse nel letto di quella stanza, anche se il dolore poteva in qualche modo aiutarlo ad averne un’ idea.
Ma non ricordava nulla. Guardandosi non riusciva a capire a cosa fossero dovuti i graffi sulle sue mani, le macchie di sangue rappreso sul braccio; non sapeva a cosa fosse dovuto tutto il male che sentiva in quel momento alla testa, fasciata con della garza.
Non appena si stancò di continuare a guardarsi intorno decise di scendere dal letto ed avviarsi per cercare qualcuno, convinto che tutto fosse solo un grande sbaglio, ma venne preceduto dall’infermiera, che entrò nella stanza con la sua cartella clinica in mano:
-Signor Darren, vedo che si è svegliato- esordì lei.
-Che cosa?- chiese lui con voce impastata.
-Dovrebbe restare seduto, ha subito un trauma cranico che sarebbe meglio non sottovalutare-
-Un trauma cranico?- ripeté, sempre più confuso.
La donna si voltò a guardarlo, leggermente sorpresa.
-Sì, durante la partita-
-Quale partita?-
Una risata nervosa anticipò la risposta di lei: -Come sarebbe? Davvero non ricorda nulla?-
Lui rimase a guardarla, inebetito. No, non ricordava niente, non aveva idea di che partita stesse parlando l’infermiera ed era sempre più convinto che tutto fosse solo un madornale errore.
Fece per alzarsi mentre diceva:
-Senta, dev’esserci uno sbaglio…-
La donna lo fermò con un cenno e uno sguardo serio:
-Lei deve rimanere qui. Se non ricorda niente di quello che è successo vuol dire che è più grave di quanto si possa immaginare. Vado a chiamare il medico-
Scomparve dalla porta prima che Sean potesse fare qualcosa.
L’uomo sbuffò, si staccò gli elettrodi dal petto e si avviò verso l’uscita, esasperato. Si sentiva confuso, preso in giro, c’era qualcosa di assurdo in quello che gli stava accadendo e non voleva sapere come sarebbe andata a finire.
Percorse i corridoi dell’ospedale imboccandoli a caso, incapace di sapere dove stesse andando; le persone si voltavano a guardarlo incuriosite, alcuni si sussurravano cose al suo passaggio, altre lo indicavano e lui non riusciva assolutamente a capire perché.
Dopo l’ennesimo corridoio preso per caso si trovò nuovamente davanti all’infermiera, stavolta con accanto il medico:
-Dove crede di andare?- gli urlò contro la donna.
Lui alzò le mani in segno di resa, consapevole che da solo non sarebbe mai potuto uscire da quel labirinto e acconsentì a seguire il dottore nella speranza di riuscire a capire qualcosa di quello che gli stava succedendo.
 
-La TAC non rileva niente di anomalo- disse il medico abbassando la lastra su cui era raffigurata la testa di Sean.
-Eppure, lei deve avere per forza subito un trauma che le ha causato questa amnesia- concluse infine, guardando il suo paziente.
Quest’ultimo si mosse nervosamente sul lettino su cui era seduto:
-Mi sta dicendo che ho perso la memoria?-
-Devo per forza dirglielo? Credo che lo abbia capito anche da solo dato che ricorda solo il suo nome-
Sean sospirò passandosi le mani sul viso:
-Non ha senso- disse esasperato.
Il dottore lo guardò seriamente:
-Lo ha eccome, signor Darren. Lei è un giocatore di rugby ed è stato portato qui dopo un placcaggio, durante la partita, che l’ha lasciata svenuto sul campo da gioco-
L’altro alzò gli occhi, sorpreso e incredulo:
-Io sono cosa?-
-Ha capito benissimo, lei gioca a rugby-
A Sean venne da ridere prima di rispondere:
-No, questo è impossibile-
Il medico alzò un sopracciglio:
-Lei trova?-
L’altro non rispose, incapace di trovare le parole appropriate per esprimersi. Non sapeva cosa stava succedendo, anche se ora cominciava a capire per quale motivo non ricordasse niente. Tuttavia, anche nella sua amnesia, lui era certo che ci fosse un equivoco, che lui non potesse essere uno sportivo, soprattutto un giocatore di rugby.
-Devo parlare con qualcuno- disse alla fine il paziente, rimettendosi in piedi.
-Con chi, se posso chiederglielo?-
L’uomo sospirò, passandosi una mano fra i corti capelli castano chiaro. Non sapeva a chi rivolgersi, non ne aveva idea. Avrebbe potuto parlare con chiunque, sentire la versione di milioni di persone ed era certo che non sarebbe servito a niente.
-Senta- chiese poi al dottore: -Crede che mi tornerà prima o poi la memoria?-
Il medico annuì con la testa:
-È plausibile. Ma ovviamente deve farsi aiutare. Abbiamo avvisato uno dei medici del vostro staff del suo risveglio e sta arrivando-
-Staff? Ma di cosa sta parlando?-
-Suvvia, la smetta. Lei è un rugbista, che ci creda o no e quando arriverà il suo medico forse si deciderà a darmi ragione-
Detto questo l’uomo uscì dalla stanza, lasciando Sean solo con i suoi caotici e interrotti pensieri.
 
-Lui è qui?- la voce arrivò da dietro al porta della stanza in cui Sean si era da poco appisolato. Dopo che gli avevano detto che aveva perso la memoria si era trovato più confuso che mai e la testa aveva cominciato a girargli in maniera impressionate. Si era disteso sul letto e aveva preso sonno immediatamente, sperando di svegliarsi e rendersi conto che aveva sognato tutto, ma così non era stato.
Quando la porta si aprì, insieme al medico che ormai era l’unico di cui Sean si ricordava, comparve una ragazza. Aveva capelli neri lunghi fino a metà della schiena, mossi e leggeri. Quando lei si fu avvicinata abbastanza al paziente e lui poté guardarla negli occhi rimase spaesato un momento. Conosceva quello sguardo, non aveva assolutamente idea del nome di quella donna, né perché le sembrasse famigliare, eppure nei suoi occhi c’era una luce che lui conosceva fin troppo bene.
Lei lo analizzò dalla testa ai piedi, per poi sorridergli e salutarlo:
-Vedo che sei vivo- disse.
Lui inclinò la testa leggermente di lato prima di chiederle:
-Ci conosciamo?-
-Certo che ci conosciamo- il suo tono era deciso, indubbiamente sapeva come comportarsi con quell’uomo.
Sean rimase ad osservarla per un po’, cercando di decifrarne lo sguardo nella speranza di ricordarsi di lei; sapeva di averla già incontrata, se lo sentiva, ma non riusciva assolutamente a ricordarsi in che circostanze.
Il medico dell’ospedale uscì lasciando i due soli nella stanza.
-Siediti pure- lo invitò lei e lui eseguì senza fare domande, accomodandosi sul lettino.
Lei gli si sedette accanto e lo guardò negli occhi mentre si spostava indietro alcuni ciuffi scuri.
-Come ti chiami?- le chiese lui quasi subito, sperando di ricordare.
-Samantha Barkley-
L’uomo ripeté il suo nome muovendo solamente le labbra, pesando le sue parole. Quel nome gli suonava famigliare, anche se non riusciva bene ad inserirlo in un punto preciso della sua vita.
-Quindi noi due ci conosciamo?- domandò nuovamente, come in cerca di conferme.
Lei annuì:
-Lavoro nello staff medico per la nazionale neozelandese di rugby, di cui tu sei un giocatore- lo disse con tono dolce e pacato, come se stesse parlando ad un bambino.
-La nazionale? Aspetta un secondo, anche tu vorresti farmi credere che sono un giocatore di rugby?!-
Si alzò di scattò dal lettino e guardò Samantha incredulo:
-Si può sapere che vi prende a tutti? Avrò anche perso la memoria ma sono sicuro di non essere un giocatore!- esclamò esasperato.
Anche la donna si alzò e indicò l’uomo con un gesto:
-Spiegami cosa ti può far credere una cosa del genere? Basta guardare la tua stazza per capire che sei un rugbista. Sei alto un metro e ottantotto e pesi centoquattro chili, tutti di muscoli-
Lui assunse un’espressione sorpresa, come se non si fosse mai guardato allo specchio:
-E tu come le sai tutte queste cose?- le chiese sperando di metterla alle strette, convinto che si stesse inventando tutto.
-Te l’ho detto, lavoro per gli All Blacks, la squadra per cui giochi-
-Io… io non gioco-
Samantha sbuffò, senza neanche tentare di attenuare la sua esasperazione.  Anche se sapeva che Sean era confuso non riusciva a capire la sua testardaggine.
-Spiegami perché nei sei così convinto allora- lo spronò lei.
L’uomo si guardò intorno, spaesato. Non lo sapeva, non aveva idea del perché fosse così sicuro di quello che andava dicendo dal momento in cui si era risvegliato, semplicemente sentiva di avere ragione.
Non riuscì a dire nulla e lei si avvicinò per guardarlo meglio in viso.
-Tu sei Sean Darren, terza linea degli All Blacks. Sei un vanto per la nazionale e sei considerato uno dei migliori dieci giocatori al mondo- gli diede quelle informazioni guardandolo negli occhi, anche se era notevolmente più bassa e minuta di lui. Sean si perse nello sguardo acquamarina della ragazza finché non riuscì ad assimilare le parole, in ritardo.
-Ci deve essere uno sbaglio- le sussurrò e lei, di tutta risposta sbottò sonoramente.
-Non c’è nessuno sbaglio Sean! Perché non mi vuoi credere?!-
-Perché no, fine. Sono sicuro che mi avete scambiato per qualcun altro. O forse è tutto una gran messinscena; chi mi dice che non mi avete colpito in testa e poi mi avete portato qui per farmi credere che sono il miglior giocatore di rugby del mondo?-
-Non ho detto che sei il migliore-
-Sì invece, prima-
Lei rimase a guardarlo perplessa. Conosceva perfettamente Sean, sapeva quanto fosse testardo, soprattutto se si convinceva di qualcosa; tuttavia non riusciva proprio a capirlo in quel momento, non riusciva a spiegarsi perché si stesse comportando così. Sospettò che la botta che aveva preso alla testa gli avesse provocato un’ inspiegabile ed involontaria paura per lo sport che tanto amava.
Respirò a fondo un paio di volte, si ricompose e abbassò il tono della voce:
-Credo che tu abbia bisogno di un po’ di tempo per pensarci su. Leggi i giornali, guarda la televisione, informati. Ma sappi che nessuno qui sta cercando di fregarti, ti sto dicendo la verità e tu ti sei sempre fidato di me, proprio come io mi sono sempre fidata di te…- lasciò cadere la frase e alzò lo sguardo per guardare l’uomo negli occhi:
-Appena ti dimetteranno vieni alla sede degli All Blacks, poi mi dirai se non sei un rugbista-
Cercò nella borsa un biglietto e lo allungò a Sean, per poi avviarsi all’uscita dopo averlo salutato con un “Ci vediamo”.
L’uomo rimase ad osservare il biglietto per un po’, soffermandosi maggiormente sulla felce argentata che vi era impressa sopra. Ancora stentava a credere a quello che gli stava accadendo. Non solo aveva perso la memoria, ma l’unica persona incontrata fino a quel momento che credeva di conoscere gli aveva garantito che il suo ruolo nella vita fosse giocare a rugby. Scosse la testa e abbandonò il pezzo di carta sul lettino, senza dargli importanza. Avrebbe cercato le risposte da solo, avrebbe scoperto lui come aveva perso la memoria e avrebbe ricostruito tutto, senza l’aiuto di nessuno. Nonostante la sua corporatura, in quel momento, si sentiva debole e vulnerabile, perché chiunque avrebbe potuto fargli credere quello che voleva. 
  
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