Conteggio parole: 612 [di 112 parole sopra una flashfic, ma troppo corta per essere definita one-shot, per i miei gusti]
Holding hands
“Ma immagina che,” – John farfugliò – “immagina che quella nuvola sia un vero drago. Bianco, etereo, che svolazza sulle nostre teste. Io penso che quella nuvola assomigli al drago fortuna. Tu invece? No, in effetti non gli assomiglia. Dicevo, immagina che sia un drago vero; dici che ci attaccherebbe? Beh, non lo farebbe. Guarda come sembra felice”. Sherlock assisteva al suo monologo senza dire una parola, perché qualunque cosa avrebbe detto, John non l’avrebbe capita, essendo terribilmente ubriaco. Non sapeva come John facesse a vederle, le nuvole, quando il cielo era chiaramente sgombro. Forse si era fatto anche una canna, ma non ci avrebbe messo la mano sul fuoco: non lo aveva controllato tutta la sera, se non si pensa a quando era andato a cercarlo. Era sabato sera, Sherlock e John erano sdraiati su un prato bagnato, e probabilmente i loro cappotti si erano sporcati irrimediabilmente di fango. Ma diamine se Sherlock non sarebbe stato sdraiato su quella collinetta con il suo ‘compagno’ per tutta la vita. “Che bella mattina. Il sole splende alto nel cielo limpido! Ascolta Sherlock, gli uccellini cantano! Salve signora” – John si era alzato: stava barcollando giù dalla collinetta dove per la precedente ora e mezza aveva commentato nuvole, e stava attraversando il parco del college salutando persone immaginarie e credendo fosse giorno. Forse era ora di tornare in stanza.Sherlock gli corse dietro fino a quando non furono vicini. Gli prese un braccio e se lo mise sulle spalle: doveva reggerlo o sarebbe andato per terra, e al dormitorio non avevano disinfettante per un ginocchio sbucciato. “John, ti prego, cerca almeno di non rendere il mio compito di amico-che-non-beve più duro: non lasciarti andare così” tentava di convincerlo Sherlock mentre le gambe di John cedevano sotto il suo peso, e lo trascinava sulle scale come se fosse un sacco di patate. “John, Dio, ti prego, mancano ancora due piani, cerca di tenerti in piedi su quelle gambe da atleta che hai”. Dopo circa 120 gradini, erano arrivati entrambi sani e salvi, ma soprattutto sudati. Sherlock aveva faticato molto a tirare il suo compagno, e quello aveva probabilmente preso la febbre. Quando finalmente furono al loro piano, Sherlock decretò che John non aveva più bisogno di un vero e proprio sostegno: poteva benissimo essere trainato fino alla loro camera – e se ci fossero stati problemi, avrebbe chiesto aiuto a Gregory; lui non ce l’avrebbe fatta comunque.
Allacciò la mano fredda quale era la sua a quella sudaticcia e sporca di fango di John, e lui sorrise sornione. Sherlock lo guardo scettico. “Sei bellissimo, Sherlock” – per ogni parola che pronunciava, dal suo alito deduceva ogni tipo drink che aveva bevuto durante la festa, e poteva benissimo dire che erano almeno tre, se non di più. Ignorò ciò che disse e cominciò a tirarlo verso la stanza numero 562. “Questo cappotto ti sta benissimo, dovresti metterlo più spesso” – birra, l’odore che percepiva era decisamente birra. “O forse lo fai. Sono troppo ubriaco per ricordarmi cosa metti ogni giorno” – Bloodless Mary; tipico, John odiava il pomodoro. “Mi vuoi in stanza anche se non mi ricordo il tuo cognome?” – Hair Raiser, questo glielo aveva sicuramente consigliato quel coglione di Anderson. Chi poteva consigliare un cocktail così forte a John? Solo qualcuno che non lo aveva mai dovuto sopportare nel suo stato di ebbrezza, e chi non lo aveva mai visto ubriaco? Anderson. Sicuro come l’oro che gliel’avrebbe fatta pagare. “Ha… Hans? No, era più lungo…”. Quanto Cristo erano lontani dai loro letti? Avevano assolutamente bisogno entrambi di una dormita. Forse anche di una doccia, ma prima di una notte di sonno. “Hi… no… He… Ho… Holmes? Sì, sì, Holmes. Sherlock Holmes”.