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Autore: selene87    07/04/2008    9 recensioni
Ultimo capitolo
Questa è una storia che parla del Destino. Del Caso. Ma da soli non basterebbero. Questa è una vicenda che narra di un attimo. Un baleno che per magia compare, sorprendendoci, e che bisogna afferrare prima che svanisca per sempre. Basta quel battito di ciglia per cambiare la nostra vita. Cercare una cosa, per trovarne un’altra. Avere il coraggio di seguire una sensazione.  “Hermione, tu hai colto l’attimo?”
Genere: Romantico, Triste, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Draco Malfoy, Hermione Granger | Coppie: Draco/Hermione
Note: Alternate Universe (AU), OOC, What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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Chapter Five

Chapter Five

Just A Moment…”

 

 

 

 

 

«A volte basta un attimo per scordare una vita, ma a volte non basta una vita per scordare un attimo.»

Jim Morrison

 

 

 

 

 

C

andide nuvole ovattate screziavano il cielo del tramonto.

Il blu reale si stemperava nel viola inteso, per poi sfumare in macchie vermiglie, lì dove il sole stava calando.

 

Oltre le luci della città.

Oltre l’orizzonte.

Oltre quella nuova realtà.

 

Hermione osservava quel sublime spettacolo seduta sul divano del suo salone.

Quello davanti all’immensa vetrata.

Il sua angolino prediletto, dove amava rifugiarsi quando tuttovivere – diventava insostenibile.

 

Quell’angolo in cui tutto era ricominciato in un momento.

 

Una lettera ritrovata per caso.

Scritta da lei.

Indirizzata a sé stessa.

 

Il calore della casa l’avvolgeva in un appagante abbraccio.

 

Il fuoco scoppiettava allegramente nel camino.

La sua luce si rifletteva nella semioscurità della camera, illuminando con i suoi riverberi le decine e decine di foto che tappezzavano le pareti ed occupavano immensi scaffali.

 

Frammenti di quel tormentato passato che – con lacrime e sorrisi – era riuscita a ricostruire.

Nodo che era riuscita a sciogliere.

 

Manici di scopa che si rincorrevano all’interno delle inquadrature.

Sorrisi che apparivano e scomparivano per magia.

Paesaggi incantati che si illuminavano di spettacolare.

 

Ricordi che non esistevano, ma che con il tempo erano diventati suoi, aggiungendo nuovi tasselli a quel mosaico variopinto.

 

Il suo presente.

Il futuro.

La sua vita.

 

Ed eccolo lì l’ultimo capitolo di quella favola.

Al suo fianco.

 

“Mamma?” – mugugnò il piccolo fagotto di appena cinque anni, avvolto in una coperta verde.

 

Sbatté più volte le palpebre, ancora intorpidita per il sonno o forse per il freddo pungente di metà gennaio inoltrata..

 

Allungò le braccia per scaldarsi nel morbido abbraccio della madre.

 

“Ben svegliata!” – le sussurrò, portando le labbra all’altezza dell’orecchio e rispondendo alla stretta.

 

Per quanto fosse cresciuta, Hermione conservava lo stesso tono di voce che l’aveva piacevolmente inebriata al suo risveglio.

 

Rassicurante in ogni sua sfumatura.

 

“Amore, alzati. La mamma tra un po’ deve andare via.” – la informò allontanandosi dalla piccola.

 

Sua figlia.

La loro bambina.

 

L’avevano chiamata Andrea.

Un nome insolito, ma le piaceva il suono che emanava.

 

Così armonioso nel pronunciarlo.

Così caldo nell’ascoltarlo.

 

La bambina, però, per tutta risposta si era nascosta sotto la coperta, tirandola fin su alla testa.

 

“Andrea!” – l’ammonì la donna con tono di falso rimprovero, scoprendole il volto.

 

 La piccola arricciò le labbra in un buffo broncio, mostrando tutta la sua disapprovazione.

 

La donna stava per rialzarsi, quando la tenera manina tonda andò a stringere la sua, richiamando l’attenzione della madre.

 

“Prima di andare via, mi racconteresti di nuovo la storia?”

Le sue iridi speranzose si specchiavano nelle materne pozze bronzee.

 

Hermione stava per ribattere…

 

Trepidante per l’attesa, Andrea aveva iniziato a mordersi il labbro inferiore.

 

Le guance paffute infondevano un tenero rossore al volto diafano.

I serici capelli castani ricadevano lisci fino alle spalle.

Erano incredibilmente morbidi e sottili.

Setosi al tatto.

Spesso una ciocca più ribelle ricadeva fino sfiorarle fastidiosamente il naso.

 

Si somigliavano molto.

Madre e Figlia.

Come il padre, però, la piccola era oltremodo brava nel trovare tutti i modi migliori per poterle far cambiare idea.

 

Come dire di no a quegli occhi così grandi?

 

…invece, semplicemente le sorrise, tornando a sedersi accanto a lei.

 

“E va bene.” – fece rassegnata.

 

Gettò uno sguardo all’orologio alla parete.

Per fortuna aveva ancora un po’ di tempo.

 

Proprio quel giorno non poteva permettersi di tardare.

Non ancora una volta.

 

La bambina, dal canto suo, in preda all’euforia, si raggomitolò nuovamente sul divano, sprofondando nel racconto della madre.

 

Lentamente – in un attimo – il mondo che le circondava iniziava a svanire, disperdendosi nei meandri di quella vicenda che finalmente prendeva vita.

 

Attraverso le sue parole.

Costruita con le sue decisioni.

Creata da lei stessa.

 

Con una gomma ed una matita – forza d’animo e coraggio – aveva scritto il suo C’era una volta…

 

***

 

Hogwarts.

5 anni prima.

 

Camminava Hermione.

Attraversava vecchie aule, oramai abbandonate.

Si aggirava per bui e disastrati corridoi.

 

Con il fiato sospeso, seguiva quel filo invisibile che l’avrebbe dovuta legare a quei luoghi.

 

Scenari di indimenticabili avventure.

 

Ripercorreva un percorso apparente, all’interno di quel fatiscente castello.

 

Non le risultava difficile vagheggiare ed immaginarsi fiera ragazzina, dai capelli ricci e ribelli, camminare per quegli stessi corridoi con un carico di libri stretto al petto.

 

Oppure affiancata dai suoi amici, mentre si recavano a pranzo.

Harry e Ron.

Fedeli compagni con cui avrà trascorso felici serate, riuniti intorno al fuoco sulla Torre di Griffyndor.

 

Fantasie ed illusioni, tanto vivide da sembrare quasi reali.

 

Certo, la magia di quel luogo faceva sì che le riuscisse complicato scindere la realtà dell’immaginazione, eppure la ragazza avvertiva la differenza.

 

La sentiva quasi palpabile.

C’era sempre un dettaglio – una nota sfocata ed insicura – che sottolineava il divario.

 

A braccia conserte e passo stanco, si era recata verso il parco che circondava la scuola.

Alzò gli occhi verso il cielo.

Nuvole buie e minacciose offuscavano l’orizzonte, preannunciando un’imminente tempesta.

 

Ancora neve.

Morbida ed ovattata, silenziosa come un sogno.

O, forse, qualcosa di peggio.

 

Era giunto il momento di effettuare volontariamente un passo indietro.

 

Di certo quel posto non le sarebbe mancato.

 

Era perfettamente in grado di voltare pagina.

Anzi, poteva chiudere quel libro e riporlo sullo scaffale più alto delle libreria della sua vita.

Il tempo avrebbe risolto ogni cosa, ricoprendolo con un folto strato di polvere.

 

Sicuramente sarebbe stato facile.

Semplice come mentire a sé stessa.

 

La ragazza sorrise mesta.

 

In realtà, avrebbe conservato quel ricordo per sempre.
Gelosamente custodito nella sua mente.

 

Mai come quella volta, però, avrebbe preferito dimenticare ogni cosa.

 

Socchiuse gli occhi e tirò un lungo e profondo respiro, rannicchiandosi nelle spalle.

 

Improvvisamente la disarmante intensità di quel luogo la colpì con tutta la sua forza, turbandola più di quanto non fosse.

 

Una strana sensazione – acuta e lancinante – la trafisse poco sopra lo stomaco, all’altezza del petto per poi diffondersi lentamente in tutto il corpo.

Non le faceva del male, ma la infastidiva.

 

Avvertiva il fastidio per aver trovato un luogo che le infondesse un senso di familiarità, ma non poterlo chiamare casa.

 

Hogwarts, realmente parlando, non esisteva, così come quella parte di sé – e del suo passato – ad esso legata.

 

Aveva ancora gli occhi chiusi, quando una lacrima scesa sulle guance pallide.

 

Era così presa di suoi pensieri, che non si era accorta di aver iniziato a piangere.

 

Al primo rivolo, si aggiunse una nuova goccia, ancora più fredda e pesante.

 

Hermione dischiuse lentamente gli occhi.

Non erano le sue lacrime a bagnarle il viso, ma una cascata d’acqua che aveva iniziato a riversarsi senza sosta, rendendo tutto uniformemente grigio e acquoso.

 

Confuso.

 

“Dannazione!” – imprecò prima di addentrarsi nel parco, cercando riparo tra gli alberi.

Aveva iniziato a correre, con la vista ancora appannata a causa della pioggia.

 

Le palpebre erano diventate incredibilmente pesanti.

Minacciavano di chiudersi da un momento all’altro.

 

Un piede dopo l’altro, si dirigeva chissà dove.

Sapeva, però, che doveva seguire quella direzione.

 

Un momento prima l’acqua scandiva i suoi pensieri ed un istante dopo la sua mente si trovava al riparo in una radura.

 

Piccolo ed irregolare, lo spazio completamente isolato dalla vegetazione.

 

Rispetto al buio antro che aveva attraversato, risplendeva di un tenue calore.

 

Hermione faceva scorrere lo sguardo su ogni dettaglio.

 

Steso sul manto d’erba, c’era un tronco d’albero abbattuto.

Doveva trovarsi lì da molto tempo, a giudicare dallo strato fitto e ombroso di muschio di cui era ricoperto.

 

La giovane portò meccanicamente una mano alla tasca del giaccone, incredula.

 

 

Era lì che era stata scattata la foto che aveva ritrovato con la lettera.

 

Osservava la diapositiva immobile e le labbra si sciolsero in sorriso sereno.

 

Il cuore le batteva all’impazzata.

Il respiro era ancora affannoso.

 

Sicuramente per la corsa.

 

Il tempo sembrava aver immortalato quello scenario.

Lo aveva conservato perfettamente.

Tutto sembra essere rimasto come allora.

Come quella fotografia.

 

Cercava di ricostruire quella scena, disegnandone mentalmente le minuzie di quello che si era imposta di accettare come ricordo.

 

Lei era lì, accanto a quell’arbusto e guardava esattamente...

 

Ripercorreva con la punta delle dita la traiettoria del suo sguardo, quando lento crepitio dissolse la magia di quel momento, facendola sussultare.

Non era in grado di capire da dove provenisse, ma sembrava che giungesse dalle sue spalle.

Si voltò lentamente, mantenendo il dito a mezz’aria.

 

“C’e qualcuno?”

La domanda, però, ebbe come risposta solo il suo eco.

 

Rimase ferma per qualche istante, scrutando l’ombra della foresta.

In un primo momento aveva pensato che si trattasse dello sfrigolio delle foglie calpestate, ma oltre gli alberi sembrava non esserci nessuno.

 

Forse si era sbagliata e la cosa era alquanto probabile.

A causa dell’euforia per aver ritrovato quel posto, la testa aveva iniziato a girare senza sosta, rendendo tutto più vago e precario.

 

Quando tornò a focalizzare la sua attenzione verso lo spiazzo, il suo sguardo ambrato si perse in un paio di iridi adamantine, dilatate dallo stupore.

 

Avvolto in un elegante cappotto nero, un ragazzo la osservava insistentemente dal lato opposto della radura.

 

Le braccia ricadevano inermi lungo il corpo snello e le mani chiuse a pugno tremavano di ansia sommessa.

 

Sul volto esangue e le fattezze marcate, risaltavano i crini dorati.

 

Incredibilmente lisci e sottili.

 

Intanto, una lieve brezza si era alzata, portando con sé il profumo della pioggia e dell’erba bagnata, ma, tra essi, Hermione riusciva a distinguere dell’altro.

 

Un aroma frizzante e pungente.

Fresco come la menta.

 

Inspirò profondamente ed allungò inconsapevolmente il braccio, cercando di afferrare quella piacevole sensazione in cui si era immersa.

Ciò che ghermì, però, fu solo il Nulla.

Il calare del vento aveva portato via con sé quella fragranza.

 

“Granger?” – chiese esitante lo sconosciuto.

 

Quel sussurro spezzato aveva fatto capolinea tra la miriade di dubbi, pensieri e domande che nuovamente stavano affollando la emnte della ragazza..

Si intrufolava in quell’antro buio, strisciando tra le parole ed immagini sconnesse che la confondevano.

 

Chi era quel ragazzo che la conosceva?

Che ci faceva lì ad Hogwarts?

 

Perché le lacrime iniziavano a pretendere di scorrere lungo le sue guance?

 

Perchè provava l’irrefrenabile voglia di scappare?

Fuggire non da quel luogo, ma tra le sue braccia e desiderare di sprofondare in esse?

 

 

“Hermione!” – ripeté davanti all’espressione smarrita della ragazza.

 

Questa volta non si trattava di una domanda, ma di una certezza.


Certezza di averla finalmente ritrovata.

 

Dopo essere stato rilasciato da Azkaban, il primo ed unico pensiero di Draco Malfoy era stato quello di ritrovare la Granger.

Non gli interessava se la questione richiedesse costi spropositati, notti insonni o la necessità di altri generi di risorse. Per fortuna, nonostante la disgrazia che aveva colpito la sua illustre famiglia, il Principe Serpeverde poteva godere ancora di uno smodato benessere.

In tutti i sensi.

 

Le prime ricerche, però, si erano rivelate dei veri e propri fallimenti.

 

Dopo l’ultima battaglia, in cui lo Sfregiato aveva sconfitto Tom Riddle, sembrava che la Mezzosangue fosse sparita.

 

Dileguata, come la speranza di ritrovarla.

 

Grazie alle numerose conoscenze che poteva ancora vantare, era venuto al corrente che nemmeno i reduci dell’Ordine ne avevano più notizie.

D’altro canto, nemmeno loro si erano dati tanto da fare per cercarla.

 

Se non si avevano notizie della Granger, tanto meglio: nessuno avrebbe dovuto fornirle spiegazioni su quello che era accaduto.

 

Sicuramente, dopo tutto che era successo, avrebbe avuto tutte le ragioni per voler restare da sola.

 

La situazione faceva comodo a tutti.

Tranne che a lui.

 

Non sapeva perché si era recato ad Hogwarts quel giorno.

Si era svegliato quella mattina, sentendo il dovere di andare lì.

 

Nessuno era a conoscenza delle sue intenzioni, quindi nessuno poteva sapere della sua presenza al castello, tuttavia, quando aveva sentito qualcuno aggirarsi nei dintorni, non si era allarmato.

 

Si era semplicemente limitato a seguire quell’istinto, come se sapesse che quella fosse certamente la cosa migliore da fare.

Non quella giusta, certo, ma aveva imparato che, spesso, le due cose non coincidevano.

 

Nel momento in cui l’aveva scorta nella radura, per un momento – un istante – aveva pensato di trovarsi ancora nell’antico Maniero di famiglia.

 

Non era ad Hogwarts.

Quella non era la realtà.

Ma trattava di un Sogno…o di un Incubo.

 

Uno di quelli che avevano accompagnato la sua agonia ad Azkaban, dove la distinzione tra l’uno e l’altro – sogno ed incubo – perdeva la sua importanza, divenendo insignificante.

 

L’importante era, in un modo o nell’altra, riabbracciarla.

Illudersi di poterlo ancora fare.

Lasciarsi vincere da quell’apparente calore.

Affogando in quella fantasticheria l’ultimo ricordo che aveva della sua Mezzosangue.

 

Le sue deboli braccia che cercavano di strapparlo dalla presa degli Aurors che lo portavano via.

La voce ridotta ad acuti ed increduli sussurri.

Gli occhi vacui e delusi.

Disperati.

 

Aveva visto la disperazione attanagliarla nel momento in cui il suo sguardo era caduto sul corpo di Potter a terra con la sua bacchetta accanto.

 

Disperazione perché il suo migliore amico era morto.

Disperazione perché pensava che fosse stato lui.

 

La verità?

Aveva poca importanza, ormai.

Il mondo pensava che fosse un assassino, colui che aveva ucciso il Bambino-che-era-Sopravvissuto a Voldemort?

La gente è libera di pensare ciò che più gli fa comodo, a lui non poteva importare di meno.

Ma Hermione non era la gente.

Era Lei.

Aveva il diritto di sapere come le cose erano realmente andate.

 

Era per quello che la stava cercando.

Non per offrirle una nuova vita insieme – le aveva solo donato menzogne e preoccupazioni in passato – ma per concederle la serenità che le spettava.

 

Avanzò di qualche passo, avvicinandosi alla ragazza, che ricambiava il suo sguardo.

 

C’era troppo stupore che brillava nei suoi occhi, ma questo Draco non poteva scorgerlo.

 

“Per Merlino Granger!”

 

Ogni parola scandiva un suo passo.

 

“Si pu…”

“Chi sei?” – lo interruppe.

 

Con la gola improvvisamente secca, l’ex Slytherin non riuscì a terminare ciò che aveva intenzione di chiederle.

D’un tratto si era irrigidito, schiacciato dalla pesantezza di quella domanda che aveva ostacolato la sua avanzata.

 

Un ostacolo che sembrava crescere sempre di più sotto i suoi occhi, divenendo insormontabile.

 

Con una calma che non gli si addiceva, si schiarì la voce.

Si inumidì le labbra.

 

“Cosa?”

 

Pensava a tante cose in quel momento, ma la prima cosa che aveva detto gli era sembrata banale l’istante dopo averla pronunciata.

Boccheggiò più e più volte, alla ricerca di qualcosa di più sensato da dire.

 

Mai e poi mai Draco Malfoy avrebbe pensato di trovarsi in difficoltà un giorno.

A causa di una Mezzosangue, per di più.

Se solo qualcuno glielo avesse detto, tempi addietro, lo avrebbe schiantato seduta stante per l’assurdità della cosa.

Proprio le cose più assurde, però, erano diventate vere grazie a quella Mezzosangue.

 

Vero, ad esempio, era l’amore che provava nei suoi confronti.

Un sentimento tanto reale da sembrare ingannevole.

 

Cercò di scrollarsi di dosso il peso del timore, avanzando di un altro passo.

 

“Hermione, sono io! Draco.” – chiarì, cercando di mantenere fermezza nella sua voce.

 

Una freddo brivido attraversò la schiena di Hermione.
Sinistro e violento come il suono di quel nome.

 

Al sono di quel nome, la riccia spalancò ulteriormente gli occhi.

 

Le parole di Tonks tornarono a rimbombare nel vuoto della sua testa.

 

“Nessuno sa con precisione quello che successo. Accanto a voi c’era Draco Malfoy, un Mangiamorte.”

 

Quel Draco?

 

Iniziò ad arretrare di qualche passo..

Almeno uno, per quanto le risultasse quasi impossibile.

 

Con un incantesimo Reversus hanno scoperto che la sua bacchetta a scagliato un Anatema che uccide, probabilmente quello che ha ucciso Harry.

 

Lo stesso Malfoy causa della morte di Harry Potter?

 

…Il piede stava per toccare terra…

Ancora un istante e poteva ritenersi al sicuro.

 

“Hermione, aspetta!” – si affrettò a dire il biondo, allungando un braccio per cercare di fermarla.

 

…solo uno e avrebbe saggiato il calore della salvezza..

 

Il tono usato dal ragazzo, però, ebbe il potere di far crollare quell’ultima labile difesa.

 

Un’ancora di salvezza devastata dal fruscio di un sussurro.

Debole come il sibilo del vento tra le foglie degli alberi.

 

Lo hanno interrogato… e sotto Veritaserum ha dichiarato di non essere stato lui, così è stato scagionato.

 

Perché mettersi in salvo da qualcosa – qualcuno – che non conosceva?

 

…Hermione decise do non fare quel passo indietro. 

Nel silenzio che era caduto, Draco tirò un respiro do sollievo, approfittando immediatamente della situazione.

Deciso a recuperare il tempo perso, eliminò la distanza che li separava con un’unica falcata.

La strinse al suo petto, affondando le mani nei suoi ricci.

 

“Quanto ti ho cercata.”

 

La ragazza, però, non udì mai quelle parole.

Trasportata da quell’abbraccio, Hermione si sentì morire.

 

Le gambe avevano iniziato a tremare, minacciando di cedere da un momento all’altro.

Le palpebre erano inverosimilmente pesanti, come il suo respiro.

Sentiva l’aria venire meno.

Bruciare attraverso i polmoni.

 

L’ultima cosa che avvertì, prima di perdere i sensi, fu l’acre aroma di menta corrodere troppo velocemente quel mondo che non avrebbe mai più voluto abbandonare.

 

Quello stesso mondo che sarebbe andato avanti senza di lei.

Che avrebbe continuato a girare, mentre per lei il tempo smetteva di scorrere.

 

Nessun sibilo, né un rumore la infastidiva, disturbando quella tediosa quiete.

Il Nulla l’aveva accolta nel suo muto candore.

 

Non le restava altro da fare che abbandonarsi a quella sensazione.

 

A breve, il gelo l’avrebbe accolta tra le sue infide braccia, fino a penetrarle dentro.

Lo avrebbe sentito scorrere di nuovo dentro di sé.

Tanto forte da intorpidirla totalmente.

 

Avrebbe sconvolto la sua vita.

La sua mente.

I suoi Ricordi.

 

Avrebbe dimenticato il tocco gentile di sua madre.

La profonda voce di suo padre tremare di gioia nel pronunciare il suo nome.

Non li avrebbe più potuti ringraziare per aver cercato di proteggerla.

 

Non avrebbe più riso della goffaggine di Tonks o dell’espressione buffa del piccolo Harry nell’immergere il suo nasino nella tazza di cioccolata.

 

I pochi ricordi dei suoi amici già iniziavano ad essere solo delle immagini sfocate.

Prive di significato.

 

Non avrebbe mai più sentito quel calore tanto intenso da sembrare assurdo, stretta tra le braccia di quel ragazzo biondo che stava velocemente diventando uno sconosciuto.

 

No.

Non voleva tutto ciò.

Hermione non voleva dimenticare.

Voleva andare avanti.

 

Era ancora persa nell’orrenda sensazione dei suoi pensieri quando avvertì il tremore delle ciglia lungo le guance tiepide.

 

Quasi come se i suoi occhi pretendessero di aprirsi a tutti i costi.

 

Sbatté più volte le palpebre, cercando di mettere a fuoco il luogo in cui si trovava.

 

Era stesa su di un comodo letto, tra morbide lenzuola azzurre, con ricami di aredesia.

Le stesse con le quali sua madre aveva risistemato il letto il giorno prima che tutta quella storia avesse inizio.

Quelle che avevano cullato le sue notti insonni.

 

Erano quelle, ne era certa, tuttavia c’era qualcosa di diverso.

 

Tutto era diverso.

 

Il sole filtrava attraverso la finestra alla sua destra.

Illuminava la stanza con la sua luce.

Non era accecante ed intensa, ma fievole e piacevole.

 

Fece forza su braccia e gambe per alzarsi.

 

Non era stato per nulla faticoso.

 

“Non dovresti alzarti.”

 

Draco era apparso sull’arco della porta come dal nulla.

 

Indossava un paio i pantaloni neri, da taglio classico, su cui aveva abbinato un maglione a collo alto.

Era grigio.

Più scuro rispetto ai suoi occhi cinerei.

 

Con una calma misurata, il ragazzo si avvicinò al letto, sedendosi sul bordo esterno.

Un po’ distante dalla ragazza.

Sempre in silenzio, con estrema cura, soffiava contro la nuvoletta di fumo fuoriuscente dalla tazza che stringeva nelle mani.

Il suo intenso profumo la colpì con tutta la sua dolcezza.

 

La dolcezza di quel gesto.

 

“Bevi, ti farà bene.” – le consigliò porgendogliela.

 

Hermione aveva seguito ogni suo movimento.

La sua disinvoltura nel muoversi in quella casa era a dir poco inconcepibile.

Sembrava che vi si trovasse lì da molto più tempo di lei.

Ogni sua azione, poi, qualunque spostamento non le sembrava insolito.

 

Tutto era così familiare.

 

Portò la tazza alle labbra e con la punta della lingua ne saggiò il contenuto.

Era tiepido e forte.

Frizzantino.

Quel profumo che sembrava essere diventato suo.

O come se lo fosse sempre stato.

 

Qualcosa che faceva parte di lei e che – finalmente – tornava a suo posto.

 

Thè alla menta.

Ancora.

 

Connubio perfetto tra due gusti diversi.

Opposti che sembrano cercarsi l’un l’altro, mescolandosi alla perfezione, fino a quasi non poter più distinguere dove termina il penetrante aroma della menta ed inizia il gradevole gusto dell’infuso.

 

L’acre e il dolce.

Bene e male.

Giusto e sbagliato.

 

Un’unica e perfetta essenza.

 

“Dove lo hai trovato?” – chiese sorpresa.

 

Strano, nemmeno sapeva di averlo in casa.

Forse non ci aveva mai fatto caso da quando era tornata, scambiandolo per semplice thè.

Probabilmente era stato riposto su un altro ripiano…

 

Draco aggrottò le sopracciglia.

“Dove lo abbiamo sempre riposto.” – rispose con sufficienza e facendo spallucce.

 

La Granger si impensierì all’istante.

 

…o quasi certamente il suo inconscio si rifiutava volontariamente di farci caso.

 

Il ragazzo cercava di mantenere la calma, mettendo a tacere il senso di impotenza che l’aveva pervaso quando Hermione gli si era accasciata tra le braccia.

 

L’aveva subito riportata a casa, raggirando gli incantesimi di protezione che loro – insieme – avevano attivato.

 

Inizialmente aveva pensato che si trattasse di un semplice e banale malore, dovuto ad eccessivo stress.

 

Aveva pur sempre perso i suoi migliori amici.

 

Durante l’attesa si era concentrato sul loro incontro.

Ripensato alle parole della ragazza.

Al fatto che non lo riconoscesse.

Il timore che pian piano aveva iniziato ad invaderlo, però, lo aveva privato di un’adeguata lucidità per poter arrivare ad una conclusione.

 

Più le lancette dell’orologio poggiato sul mobile accanto al letto giravano, più Hermione non mostrava segno di voler riaprire gli occhi.

 

Avvertiva il fiato del Panico gravargli sul collo.

Lo accompagnava,  mentre misurava la camera da letto con falcate ansiose.

Non sapeva a chi rivolgersi, né a chi chiedere aiuto e l’idea di Aberforth portarla al San Mungo era la cosa migliore da fare.

 

Aveva deciso di attendere l’ultima mezz’ora, quando si era alzato per la prima volta dalla poltrona di fronte al letto, per concedersi una tazza di thè per cercare di distendersi.

 

Solo trenta minuti.

Magari si era allarmato per nulla.

Potevano accadere tante cose.

Hermione poteva svegliarsi

 

Trenta minuti, però, a volte possono essere troppi.

A volte possono bastare pochi attimi.

Un battito di ciglia e al suo ritorno Hermione aveva incominciato a muoversi.

Le sua palpebre a tremare leggermente.

Le sue dita a tendersi per liberarsi dal fastidioso torpore.

 

Draco era rimasto fermo sull’entrata.

Spaventato e sollevato al tempo stesso.

Con il fiato sospeso per l’attesa.

Il cuore a mille per il timore di aver preso un abbaglio.

 

Poi la ragazza aveva aperto gli occhi e cercato di alzarsi.

A quel punto la sua agitazione sarebbe dovuta calmarsi.

Il suo cuore doveva ricominciare a battere regolarmente.

Invece, si era fermato.

Per un secondo aveva smesso totalmente di battere, per poi scoppiargli nel petto, insieme la gioia immensa che provava in quel momento.

 

Hermione buttò giù ciò che restava della bevanda ambrata.

Socchiuse gli occhi, sorseggiando lentamente aspettando con trepidazione che la sensazione della rivelazione la colpisse nuovamente come nella caffetteria.

 

Questa volta voleva concentrarsi con tutte le sue forze, cercando di afferrare quel ricordo che le sfuggiva.

 

Ma non accadde nulla.

 

Quando riaprì gli occhi, incontrò solo il volto di Draco voltato verso la finestra, illuminato dalla luce aranciata del sole. 

 

Non rimase delusa, anzi.

In quel momento avrebbe voluto che fermare il tempo.

Congelarlo in qualche modo.

Uno qualunque.

Bloccare quell’istante, per poterlo vivere ancora e ancora.

 

Abbassò il volto, poggiando la tazza sul mobile accanto al letto.

 

Che stupida!

Nemmeno  la magia avrebbe potuto fare tanto.

 

Provò nuovamente ad alzarsi.

Prontamente, l’ex Slytherin le posò una mano sulla spalla, facendola ristendere.

 

C’era apprensione nel suo gesto, ma anche gentilezza.

 

“Per la barba di Salazar, Granger!” – sbottò contrariato –“Sei sempre la solita testarda.”

 

Portò l’indice all’altezza del naso della riccia, i cui occhi saettavano dallo sguardo preoccupato di Malfoy alla punta del suo dito che le sfiorava appena le labbra.

 

Senza trovare una ragione, si trovò a trattenere l’aria.

 

“Ti ho detto che no devi muoverti.”

 

Si era agitato così tanto, che delle ciocche gli erano ricadute sulla fronte.

 

La ragazza annuì con la testa, coprendo con una mano un piccolo risolino divertito, poi si bloccò.

 

Era tutto così vero e naturale.

 

Tutto ad un tratto – in un baleno – si trovò ad immaginare un meraviglioso sorriso dipinto su quelle labbra.

Una fragorosa risata illuminare quel volto innaturalmente scarno.

Di lì a pochi istanti lui l’avrebbe cinta a sé e lei avrebbe affondato il viso nell’incavo del suo collo.

 

Ne era sicura.

 

Era sempre così che accedeva.

Discutevano.

Lui faceva finta di arrabbiarsi, poi finivano con fare la pace, abbracciandosi.

 

Lo sapeva.

Ma cosa sapeva esattamente?

Di cosa era così certa?

 

Si trattava solo di una semplice fantasia.

 

“Dove lo abbiamo sempre riposto.”

Loro.

Insieme.

 

Hermione si rabbuiò all’istante.

 

Forse tutto quello, le sensazioni che stava vivendo, non erano frutto della sua mente.

Della volontà di voler ricordare per forza qualcosa.

 

“Come facevi a sapere dove avevamo riposto il thé?” – chiese a bruciapelo.

“E tu come mai non lo sapevi?” – sputò di rimando il biodo, inarcando le sopracciglia e assottigliando le labbra nel solito ghigno.

 

“Malfoy, non si risponde ad una domanda con un'altra domanda, non lo sai?” – ribatté l’altra.

 

“Granger!” – esalò nervosamente –“Un Malfoy non bada a queste formalità. Lo sapresti, se solo…”

 

Non voleva dirlo.

Non voleva nemmeno pensarlo.

 

“…ricordassi!” – terminò, invece, Hermione in un sussurrò.

 

Il tardo pomeriggio si stava aprendo nelle prime luci della sera.

La luce iniziava a scarseggiare.

 

“Non ricordo nulla, Draco.” – ripeté stringendo le coperte tra le dita per reprimere la voglia di urlare.

 

Il risolino sarcastico stava lentamente svanendo dal volto del biondo.

Si stava spegnendo

 

Un sogghigno Fiero e sprezzante.

Falso e menzognero.

 

Cosa nascondeva dietro quella maschera di arroganza?

 

Paura.

Per il ragazzino che non era mai stato.

Costretto a pagare una colpa che non aveva mai commesso, cercando di uccidere il preside della sua scuola.

 

Timore. 

Per il ragazzo che aveva deciso di essere.

Deciso a vivere sull’orlo del baratro ed aspettare di compiere un passo falso da un momento all’altro,  pur di effettuare una scelta.

Quella giusta.

La sua.

Quella di restarle accanto.

 

Terrore.

Per l’uomo che era diventato.

Incapace solo di pensare alla realtà.

Per quello che stava vivendo.

Perché tutto quello non poteva essere vero.

 

Nella mente di Draco – nei suoi pensieri – aveva iniziato a risuonare solo il vuoto.

 

L’ipotesi che la Mezzosangue avesse perso al memoria, in qualche modo, gli era balenata in testa, ma l’aveva immediatamente scartata, scacciando quell’idea fin troppo concreta.

 

Erano passati tanti mesi da quando si erano visti l’ultima volta.

Era assolutamente normale che non lo riconoscesse, del resto, Azkaban lo aveva cambiato e anche la Granger era cambiata.

 

Forse anche lui avrebbe stentato nel riconoscerla.

 

Vane speranze e ragionamenti contorti ai quali aveva cercato di aggrapparsi, chiudendo prepotentemente gli occhi per non credere.

 

Approfittando di quel silenzio, Hermione aveva iniziato a raccontare la storia del suo risveglio.

 Ogni parola, ogni dettaglio le lasciava in bocca l’amaro retrogusto della menzogna e della finzione.

 

Draco, dal canto suo, si limitava ad ascoltare quel fiume di parole.

Era in grado di coglierne ogni sfumatura.

 

Sofferenza.
Delusione.

C’era anche riconoscenza in quelle lacrime invisibili che lui aveva imparato a riconoscere.

 

Di cui spesso ne era la causa primaria.

 

Durante sere in cui, rincasando a notte fonda, la trovava seduta nel mezzo del letto cercando di trattenere le lacrime e di non sprofondare nel dubbio, era solito avvolgerla nella calda sicurezza dei suoi sentimenti.

Avvinghiarsi al suo corpo, mentre lei rispondeva all’abbraccio con movimenti insicuri ed impacciati.

 

Incerti.
Ambigui.

Sospetti.

 

Come avrebbe reagito la ragazza, se lo avesse fatto ora?

Come avrebbe reagito, se l’avesse stretta tra le sue braccia?

Forse doveva chiedersi, piuttosto, come avrebbe reagito la sua Hermione?

 

Dannazione!

Non lo sapeva.

 

Era assurdo.

Non poteva aver dimenticato il tutto che avevano costruito.

Quel loro che era nato.

 

“Poi” – la mezzosangue, intanto, continuava il suo racconto –“pochi giorni fa, ho trovato una foto e da quella sono arrivata a Grimmauld Place.”

 

Qualcosa colpì Draco, convincendolo ad aguzzare l’udito più di quanto non stesse già facendo.

 

“Quale foto, Hermione?”

 

La ragazza lo scrutò incuriosita, colpita da quell’improvviso tono allarmato.

 

“Una foto scattata ad Hogwarts, è nel cappotto. Puoi..”

 

Cosa diavolo stava facendo?

Stava per dirgli di prenderla.

“Puoi portarmelo qui?” – aggiunse, invece.

 

Insieme alla diapositiva, nella tasca del soprabito c’era ancora la lettera.

Sebbene tutto fosse ormai finito, non voleva che qualcuno ne venisse a conoscenza, tanto meno Malfoy.

Non era per una questione di sicurezza, come si era trattato per Tonks.

Non si sentiva in colpa, davanti a lui.

Era il peso dell’imbarazzo a bloccarla questa volta.

Non voleva che Draco Malfoy scoprisse quella parte di lei troppo intima che per sé stessa.

 

Non voleva assolutamente che il ragazzo riuscisse a percepire i sentimenti che animavano quella lettera.

 

Afferrato il giaccone che le aveva porto, lo poggiò al suo fianco per estrarre la diapositiva ed allungarla al ragazzo.

 

Il volto del biondo rimase impassibile.

I lineamenti contratti in una maschera di profonda e seria indifferenza.

I suoi occhi, invece, sembravano sorridere, brillando di una luce a metà tra la mestizia e gioia.

Li rabbuiava e ravvivava al tempo stesso, rendendoli ancor più intensi.

Come un pozzo senza fondo in cui Hermione stava precipitando.

 

Non aveva paura.

 

Non era come cadere, ma aveva l’impressione di volare, sospinta da un leggero soffio di vento.

Un tocco gentile che ti avvolge, fino a farti perdere al cognizione del tutto, smarrendosi in una piacevole immensità.

 

Draco non battè ciglio.

Non aggiunse una parola.

 

Quasi gli sembrava di non poter più respirare.

 

Senza staccare gli occhi dalla giovane Gryffindor immortalata accanto ad uno violento strappo che lacerava lo sfondo verdeggiante con un’irregolare venatura bianca, poggiò quella metà sull’angolo del letto.

 

Portò una mano alla tasca posteriore dei pantaloni e tirò fuori quello che sembrava un pezzo di carta troppo vecchio e lacero.

 

Su più punti era increspato e spiegazzato spigolosamente.

Il retro era semplicemente bianco, mentre il fronte era lucido e scuro.

Le grinze ondulate e spigolose si sperdevano tra il fogliame di quella che sembrava una foresta.

 

No, Hermione.

Quello non è una foresta, né un bosco.

E’ un parco.

 

“Ma quella…”

Le parole della ragazza persero il loro senso, davanti al doloroso stupore di cui si era gonfiato il petto.

 

Anche quell’ultimo pezzo aveva trovato il suo posto.

Il quadro era, finalmente, completo.

 

“Come fai ad avere l’altra metà?” – cercò di rincarare.

Le parole arrancarono per l’ansia.

Ogni lettera quasi bruciava per la fatica che costava nel pronunciarla.

 

Draco fissava la foto nella sua totalità, quando le sue labbra si corrugarono in un amaro e malinconico sorriso. 

Quanto tempo era passata da allora?

Anni?

Secoli?

Quante cose erano cambiate?

 

Quella era la prima fotografia babbana che lo ritraeva.

L’unica scattata ad Hogwarts.

Una delle tante accanto ad Hermione.

 

“Il nostro settimo anno ad Hogwarts.”

Scandiva ogni parola con greve calma e lentezza, come se dovesse focalizzarle nella sua mente, prima di pronunciarle.

Parlava più a sé stesso che alla ragazza.

 

“Questa  foto fu scattata da quell’ impiastro di Canon. Aveva usato quell’aggeggio babbano modificato dal padre della Donnola…oh”

Ricordatosi, improvvisamente, della presenza della Granger, si voltò verso di lei per osservare la sua reazione davanti ai nomignoli rifilati ai suoi amichetti.

La mezzosangue di un tempo lo avrebbe schiantato seduta stante.

La ragazza davanti ai suoi occhi, invece, assorta ne silenzio, osservando l’altra metà della foto.

 

La ammirava con sospetto.

La scrutava con stupore.

 

La sua confusione turbava oltre ogni limite il povero Draco.

 

Dannazione, Granger!

Cosa diamine ti è successo?

Cosa ti ho fatto?

 

Socchiuse gli occhi, passando una mano tra i biondi capelli.

Lo faceva sempre quando era nervoso ed ultimamente accadeva spesso.

Non che da ragazzino fosse più calmo, ma allora si sfogava su Potter.

Le scazzottate con lo Sfigato erano sempre un toccasana per il suo umore perennemente sotto terra.

Dopo si sentiva decisamente meglio.

Come quella volta!

 

“Io e Potty, come al solito, si stavamo prendendo di mano. La causa? Il campo da Quidditch. I nostri orari di allenamento coincidevano il più delle volte.”

Il ragazzo si perse nel lontano piacere della spensieratezza di quei momenti.

Giorni in cui le discussioni con il Trio dei Miracoli movimentavano le sue tediose giornate, solitamente scandite dal monotono suono dei pensieri che lo accompagnavano fin da bambino.

 

Istanti passati sul suo manico di scopa, volando alto, fino a sentire il profumo del cielo. Avvertire il tocco freddo dell’aria sulla pelle e sentirsi un tutt uno con essa.

 

Libero.

 

“Penso che San Potter non si sia mai accorto che occupassi di proposito il campo. Piton, poi, chiudeva volentieri un occhio sulla cosa, trovando sempre ottime scuse da propinare ai Gryffindors.” – celiò con distacco.

 

Poi, tutto cambiò improvvisamente.

Si accorse che non serviva toccare il cielo con un dito per sentirsi felice, ma bastava fermarsi anche poco più in giù.

Forse era iniziato proprio quel giorno.

 

“Mi duole ammetterlo, ma qual giorno fu Potter ad attaccar briga per primo. Il tempo di un destro ben piazzato ed arrivaste tu e Lenticchia per separarci.”

Ghignò divertito per poi riprendere.

“Stavo per sfoggiare una delle mie gloriose battute, ma mi precedesti. Scaricasti sullo Sfregiato una serie di epiteti poco eleganti. Dopo la gloriosa lavata di capo, lo mandasti in infermeria con Weasley.”

 

Di colpo, il tono di voce si era affievolito.

Era di poco più udibile di un sussurro ed aveva perso tutta la sua cadenza euforica, divenendo greve e malinconica.

 

“Ti voltasti verso di me e, indicando il labbro sanguinante, mi chiedesti come mi sentivo.”

 

Anche il biondo aveva preso a fissare la foto.

Le immagini si susseguivano nella sua mente, cose se le osservasse scorrere su di una diapositiva magica.

I pugni saldamente serrati intorno al manico di scopa, cercando di aggrapparsi per non cadere nell’improvviso vuoto che si era aperto sotto i suoi piedi. Perché era così che si sentiva qual giorno.

Svuotato di tutto.

 

Certezze.

Obiettivi.

Idee.

 

Era stata quella domanda inaspettata a mandarlo in confusione o forse aveva da sempre vissuto così e la Mezzosangue non aveva fatto altro che aprirgli gli occhi?

Questo non lo sapeva e, a dirla tutta, nemmeno gli importava. Né allora, né a distanza di anni.

 

Hermione non trovava il coraggio di interromperlo, frastornata e allo stesso tempo atterrita dal dolore che traspariva dal tono di voce del ragazzo.

Lo stesso sentimento che appannava gli occhi del ragazzino nella foto.

 

Lo sguardo, vacuo e smorto, dava l’impressione che chiedesse aiuto.

 

E lei?

Cosa aveva fatto?

 

“Cosa è successo dopo?” – chiese freneticamente, ridestandosi dai suoi pensieri.

Era stata la curiosità a costringerla ad aprir bocca, non la ragione. Questa sembrava ancora vagare a vuoto dopo l’ultimo mancamento e sicuramente avrebbe preferito rimanere all’oscuro di tutto.

Avrebbe preferito barcollare nel dubbio e crogiolarsi in quella illusione, perché queste, a volte, sono più vere del mondo che ci circonda.

 

“La scuola terminò ed entrambi ci perdemmo di vista.” – sghignazzò amaramente.

“D’altronde le nostre strade erano già segnate.

Voi, l’inseparabile Trio di Silente, siete diventati Aurors.

Io, Draco Lucius Mafloy, Mangiamorte.”

 

Sputò quel paragone, tanto scontato per il mondo, con tutto il risentimento che aveva covato con il tempo. Con irrequieta calma, aveva alzato la manica sinistra del dolcevita fin sopra al gomito.

 

Un segno di morte si specchiò nelle iridi dilatate dell’ex Griffyndor, insieme ad un timoroso scintillio.

 

“Che..” – espirò lentamente – “che cos’è?”

“E’ il Marchio Nero, Hermione.”

 

La ragazza allungò l’indice e il medio, delineando le spire di quel serpente che fuoriusciva dalla bocca di un teschio nero che risaltava sulla sua pelle diafana.

Quell’immagine non imbrattava quel candore, non si sovrapponeva al suo braccio, ma lo completava.

 

Il Marchio Nero era parte di sé stesso e gli spettava di diritto.

 

Hermione sembrava non mostrarsi minimamente turbata dalla presenza di un Mangiamorte in casa sua e non uno qualunque, ma quello che aveva ucciso  il suo migliore amico.

Per quanto cercasse un minimo di paura dentro di sé, non ne trovava traccia.

Avrebbe dovuto essere spaventata, gridare aiuto e cercare di scappare, invece si sentiva fin troppo calma. Forse era questa la cosa che più la preoccupava.

In qualche modo, sapeva che Draco Malfoy non le avrebbe fatto del male.

 

“E’ vero, sei stato tu ad uccidere Harry?”

 

I battiti del silenzio accompagnarono quella breve attesa, poi Draco rispose “Tu cosa credi, Hermione?”

 

Il tono non voleva essere enfatico o ansioso, ma con il tempo aveva dimenticato come celare i suoi sentimenti.

 

La colpa, o il merito, era proprio della ragazza davanti ai suoi occhi.

 

Piangere, temere, sognare e amare non era da deboli, ma umano.

 

Sorrise nel puntare gli occhi in quelli di Hermione. Sentiva la loro intensità sondarlo nel profondo, alla ricerca di certezze e risposte.

Fu la ragazza a cedere per prima, abbassando lo sguardo perché abbagliata dalla luce della consapevolezza del non sapere.

 

“Quando è iniziata la guerra abbiamo combattuto su fronti diversi.”

Lentamente, si allontanò da letto, dirigendosi verso la finestra.

“Due ragazzini che combattevano per valori diversi. Sai quale era la differenza? Sono stato cresciuto come un opportunista e non potevo fare altrimenti: non credevo in ciò per cui combattevo. Tu, invece, sì e per questo ti ammiravo.”

 

La riccia rimase di stucco dinanzi a quelle parole.

No per il tono solenne con cui erano state pronunciate, ma per l’aurea veritiera di cui erano avvolte.

Vere e sofferte.

Una dolorosa ammissione, certo, ma sincera.

 

“Le cose per Riddle, però, iniziarono a complicarsi. Voleva distruggere Potter lentamente, partendo dalla sua emotività. Colpendo le persone che li stavano accanto. La sua mente geniale, però, non aveva tenuto conto di due piccoli dettagli.

Uno: Potty, per quanto sfigato, non era di certo uno stupido.

Due: Dopo lo scherzetto al quinto anno al Ministero, non si sarebbe fatto cogliere impreparato, cadendo nella trappola.”

 

La ragazza seguiva il suo ragionamento, annuendo ad ogni deduzione.

 

“Poi” – continuò –“l’idea che tu potessi essere coinvolta, mia dava tremendamente ed inspiegabilmente fastidio.”

 

Pronunciava quelle parole come se fossero la più scontata delle convinzioni, sebbene allora – nel buio dei suoi pensieri – bruciassero come uno strappo.

Un lungo squarcio che divideva a metà la sua persona e che minava i fondamenti di una vita, rendendo tutto vano ed insignificante.

Inutile, come quella guerra.

 

“Poco dopo decisi di rivolgermi all’Ordine. In fondo Silente si era sempre mostrato disposto ad aiutarmi. Chiesi a Potter di incontrarci in un luogo sicuro e quello scelse quella vecchia bettola della Testa di Porco.”

 

Portò due dita al mento, meditando su quel ricordo che considerava ancora assurdo.

 

“Certo che tenere un incontro segreto in un pub in piena Hogsmeade alla luce del giorno non rientrava nei mie canoni di sicurezza, ma cercai di sorvolare su questo punto.” – arricciò le labbra sarcasticamente. “Aberforth mi condusse verso un tavolo più appartato e lì, ad aspettarmi c’era una vecchiaccia rugosa.

 

La ragazza si sciolse un una ilare risata davanti alla faccia sdegnata del biondo.

 

“Non ti conviene ridere, Mezzosangue. Eri tu la vecchia.”

 

Come scottata, Hermione si bloccò di colpo.

Il sorriso sulle labbra si rabbuiò e guardò il ragazzo in tralice.

 

“Suvvia Granger! Non fare quella faccia. Lo stile da acida zitella ti donava.” – sghignazzò di gusto.

 

La mora, però, non rimase interdetta per l’assurdo travestimento, quanto per l’appellativo che il biondo aveva usato.

Quella parola – Mezzosangue – le risultava sempre più familiare.

Così fragorosa e spensierata, come la risata di Draco.

 

“Purtroppo, lo Sfregiato non riusciva nemmeno a decidere cosa mangiare a colazione se prima non chiedeva il vostro parere. Tuo e di Weasley. Quel giorno, però, il rosso non c’era. Accanto a te c’era solo Potty, nascosto sotto il Mantello dell’Invisibilità. Io parlavo, lui ascoltava e tu ponevi le domande.

Da quel giorno abbiamo iniziato ad incontrarci regolarmente ogni tre giorni e funzionava sempre allo stesso modo. Vi passavo diverse informazioni, per quanto mi era possibile. Vi tenevo al corrente degli spostamenti di Voldemort e dei suoi piani. Vi aiutavo ad organizzare le imboscate agli altri Mangiamorte per interrogarli. All’inizio la faccenda si mostrava più semplice del previsto, ma la situazione non si discostava di molto poi le cose iniziarono a cambiare. A complicarsi.

Il Signore Oscuro aveva capito che c’era qualcuno a remargli contro e che questo qualcuno agiva dall’interno.

Iniziò a passare in rassegna tutti, alla ricerca dello stupido che si era fatto colpire da un Imperius o, peggio, di colui che si era venduto.”

 

La sua voce tremava, ma non per lo sforzo.

Quanta fatica c’era nel raccontare quella vicenda?

Nessuna.

 

Temporeggiava, cercando di non lasciarsi sopraffare dalla disperazione che accresceva nel suo animo.

Pause e parole si ricorrevano a vicenda, nascondendosi l’una dietro le sfumature dall’altra.

Sfuggivano dalla paura provata davanti alla figura agonizzante di Theodore Nott o nell’ascoltare le invocazioni di morte di Goyle, la cui mente veniva letteralmente invasa e frantumata dalla prepotente furia del loro Signore.

 

No, non c’era dolore.

Solo terrore.

 

Un sentimento che oramai gli apparteneva.

Intrappolato nella plumbea prigione del suo sguardo spavaldo, lo avrebbe accompagnato per sempre.

 

La notte, quell’apprensione, si divertiva a tenerlo sveglio, scivolando lungo i suoi nervi tesi.

Ululava insieme al vento, durante le tempeste.

Il giorno rimbombava nella sua testa, mentre attendeva il suo turno.

Prima o poi il suo Signore avrebbe convocato anche lui.

 

Certo, con il tempo, grazie alla cara zia Bellatrix, era diventato un abile Legilimens ed aveva fatto dell’Occlumanzia uno dei capisaldi della sua vita, tuttavia, per quanta determinazione poteva impiegare per sigillare la sua mente, risultava ugualmente troppo debole per opporsi al Lord Oscuro.

 

L’idea di una fuga lo aveva sfiorato più e più volte, ma equivaleva ad offrirsi su di un piatto d’argento, accompagnato da una pergamena con su scritto COLPEVOLE.

 

Era bizzarro, ma essere il figlio di Lucius Malfoy, in quel frangente, non gli era di nessun aiuto.

Anzi.

Il suo fallimento nell’Ufficio Misteri aveva compromesso l’intera famiglia.

Grazie a suo padre, quindi, non rientrava nelle grazie di Voldemort, ma doveva ammettere che egli stesso aveva contribuito ad alimentare l’astio nei suoi confronti con il mancato “omicidio” del vecchio preside.

 

In sostanza, non aveva alternative.

Potter era stato abbastanza furbo da tenergli nascosto il luogo in cui l’Ordine aveva sede.

Nel momento in cui l’Oscuro avrebbe violato la sua mente si sarebbe imbattuto nei suoi galanti incontri con una vecchia megera.

Non serviva la presenza dello Sfergiato per incastrarlo, ma bastava la sua parola, i loro discorsi.

 

Sarebbe stata la fine per lui e lui soltanto.

 

Non sapeva quali fossero i membri dell’ordine.

Non sapeva nemmeno che Piton ne facesse realmente parte. Aveva sempre creduto che la sua fosse solo una copertura, un giorno, però, lo aveva sottratto dalle grinfie del suo destino.

 

“Abbiamo un aggancio per trovare il luogo in cui Potter si nasconde.” – aveva detto, mentre Draco seguiva suo padre, dirigendosi al cospetto del loro Signore.

Lucius nascose l’improvviso attacco di bile che lo aveva colpito dietro un sorriso sghembo e tirato.

Voleva essere lui a scovare il Bambino Sopravvissuto, riacquistando un minimo di prestigio, invece si ritrovava costretto a rinchiudersi nell’antico Maniero, sperando che la spia che stavano cercando non si nascondesse nella mente di suo figlio.

I lineamenti del volto gli si rilassarono appena, quando Severus gli rivelò che il ragazzo gli serviva in laboratorio.

“Devo lavorare ad una pozione e ho bisogno del suo ausilio. Lui ne è già al corrente ed ha acconsentito.”  

 

Entrambi – padre e figlio – tirarono un silenzioso respiro di sollievo.

 

Draco aveva salva la vita.

Lucius conservava quel poco di prestigio che gli restava.

 

Ammantati e in silenzio, entrambi abbandonarono la dimora dei Malfoy.

Il ragazzo si era limitato a seguire il suo ex professore, senza far domande.

Una volta abbastanza lontani, Piton lo aveva smaterializzato di peso.

 

Si strinse al braccio dell’uomo al suo fianco, sentendo improvvisamente la terra franare sotto i suoi piedi.

L’aria iniziò a vorticare intorno ai loro copri.

Chiuse gli occhi per qualche istante e, quando li riaprì, si ritrovò in un quartiere della Londra babbana.

Si sentiva a disagio in mezzo a quella gente così comune.

Non era per gli sguardi incuriositi che lanciavano loro mentre percorrevano un breve tratto di strada a piedi.

Nonostante le continue sparizioni di cui sentivano parlare, anche se non ne conoscevano la causa, tutti loro sembravano felici, cose che per lui risultava quasi sconosciuta.

 

Forse, pensandoci bene, era per questo che li odiava così tanto e non per il loro sangue.

 

Completamente immerso nelle sue considerazioni, non aveva fatto caso il loro tragitto era finito e ce si erano fermati davanti all’ingresso di un enorme edificio bianco ad angolo.

Piccole ed eleganti arcate si affacciavano sulla strada principale.

Non era molto alto e sulla sua sommità la struttura terminava con un’ampia vetrata.

 

Severus gli dava le spalle, osservando nervosamente il portone in vetro e ferro battuto.

Sulla facciata si rifletteva la luce gialla del semaforo dall’altra parte della strada, quando il battente più ampio dell’ingresso si spalancò.

 

Senza ombra di dubbio sapeva che quella non era la sede dell’Ordine.

Potter e la sua combriccola non erano tanto sprovveduti da scegliere un posto tanto vistoso come quartier generale, mai si sarebbe aspettato di trovare lei.

  

La Granger.

 

Era riduttivo dire che rimase stupito nel vederla.

 

Da quando aveva iniziato a passare loro informazioni, l’aveva sempre vista sotto le spoglie di una bisbetica quasi sdentata e i suoi ricordi di Hogwarts non lo aiutavano per nulla e non coincidevano con la donna che si trovava davanti.

 

Che fine aveva fatto la So-tutto-io dentona?

Che ne era stato dei suoi ricci crespi e ribelli?

Quella meravigliosa creatura non poteva essere Hermione Granger.

 

Si era sentito piacevolmente frastornato davanti a quelle iridi dorate.

Tanto intontito da non capire come si fosse ritrovato spinto dall’altra parte del portone.

 

La Mezzosangue lo aveva condotto fino all’ultimo piano, fornendogli le spiegazioni su cui Piton aveva sorvolato.

 

“Credevi sul serio che ti avremmo lasciato lì alla mercè di Voldemort?” – pronunciava quel nome, temibile per molti, con tono fiero, ma altrettanto rispettoso.

“Hai una pessima concezione dell’Ordine, allora.” – ridacchiò, mentre con uno scatto apriva l’unica porta presente  sul pianerottolo.

 

Gli aveva spiegato che quella era casa sua, ma preferiva  stanziarsi a Grimmauld Place con i suoi amichetti. Per questo motivo non aveva avuto problemi a metterla a sua disposizione.

 

Gli aveva offerto un rifugio.

 

Aveva iniziato a recarsi lì quasi tutte le notti.

 

Solo...

 

A volte dormiva, ma la maggior parte del tempo la trascorreva a pensare.

 

...con i suoi pensieri.

 

Poteva farlo liberamente, senza dover stare continuamente in allerta, vigile per sfuggire a sguardi indiscreti.

Spesso si perdeva nei suoi vaneggiamenti fino ad addormentarsi senza rendersene conto.

 

Il mattino seguente si svegliava con i raggi del sole che si sperdevano tra i suoi capelli biondi sparsi sul bracciolo del divano.

Il calore del mattino riscaldava le sue guance fresche, ripercorrendo i lineamenti rilassati del suo viso. Gli baciava le palpebre, invitandolo a svegliarsi.

 

Quando si avvicinava alla vetrata del salone, il mondo si tingeva di nuovo, brillando di mille e mille colori.

 

Il fatto che si fosse trasferito lì non aveva cambiato o semplificato le cose tra lui e l’Ordine.

Continuava a passare informazioni sui piani dei Mangiamorte sempre allo stesso modo.

Nello stesso luogo.

E la Mezzosangue si presentava sempre con lo stesso travestimento.

Da quando si era recato al suo appartamento, non si erano più incontrati, ma il ricordo di quel giorni lo teneva compagnia.

Lo scintillio dei suoi occhi illuminava i suoi sogni.

Il profumo dei suoi capelli lo accompagnava mentre terminava di essere solo Draco e tornava ad essere un Mangiamorte. 

Appena metteva di nuovo piede tra le fila dei servitori dell’Oscuro, il suo buon umore si atterriva.

Il mantello nero, la maschera che era costretto ad indossare.

Tutto stava diventando troppo stretto.

 

Durante le battaglie cercava di darsela a gambe appena poteva.

Qualche Stupeficium deviato, Cuciatus mal piazzati e, arrivato al primo angolo, si smaterializzava nei pressi dell’imponente edificio bianco.

 

La Granger aveva già pensato ad installare diversi incantesimi di protezione e sicuramente aveva aggiunto trucchetto per tenerlo sotto controllo.

La fiducia non è mai troppa.

Tuttavia, si trattava di tutte cose che poteva facilmente raggirare per accedere direttamente nell’appartamento, ma preferiva non mettere a repentaglio quel piccolo Paradiso e raggiungerlo facendosi quattro passi a piedi.

 

Durante gli scontri, era solito tener sott’occhio Hermione

La osservava contrattaccare, respingere gli incantesimi ed atterrare i Mangiamorte.

Una sera – una come tante – la ragazza aveva appena respinto con un Protego un incantesimo di Dolohov, poco distante dal suo nascondiglio, quando un Auror lo aveva intravisto e scagliato contro uno Schiantesimo.

Il colpo era partito prima ancora che potesse accorgersene, troppo occupato ad esultare per le capacità dell’ex Gryffindor.

Troppo tardi per innalzare una barriera, aveva chiuso gli occhi in attesa dello schianto, ma qualcosa di duro, invece, andò a scontrarsi contro il suo torace.

 

Ruzzolò a terra, pochi metri più distante dal luogo in cui si era precedentemente nascosto.

Dietro un muretto appartato.

 

Il peso che avvertiva sul suo petto si rivelò essere Hermione.

Inerme e tra le sue braccia.

 

Quella stupida doveva essere passata mentre l’incantesimo si avvicinava e ne era stata travolta in pieno.

Forse non era così intelligente ed acuta come tutti credevano.

 

Indeciso su cosa fare, sentì le voci della Piattola e dei gemelli pezzenti avvicinarsi, mentre cercavano la ragazza.

Non potevano trovarli lì.

Nessuno, oltre la Granger e Weasley, sapeva della sua collaborazione con Potter.

 

Avrebbero pensato che fosse stato lui a farle del male.

Non poteva accadere.

 

Così, decise di smaterializzarla con sé.

 

Giunto a casa, dritto in quella che aveva dedotto essere la camera della ragazza, la distese sul letto e rianimata con un Innerva.

 

Il pallore dell’unico raggio di luna che filtrava dalla finestra le illuminava il volto con la sua luce. Si infrangeva contro le sue ciglia, bagnandole le palpebre, mentre la ragazza cercava di riaprire gli occhi.

 

Non poteva farle del male.

Da quando Hermione era così bella?

Quando aveva iniziato a chiamarla Hermione?

Da quando gli importava conoscere la risposta a queste domande?

 

Aveva aspettato che si riprendesse per spiegarle l’accaduto.

 

Quando la ragazza gli aveva spiegato che non si era trattato di un incidente, ma che si era frapposta volontariamente per intercettare l’incantesimo, le parole gli vennero meno prima ancora di formularle, mentre la bacchetta gli andava di traverso.

 

 “Non lo meritavi quello Schiantesimo, anche se non ti avrebbe fatto male.” – disse facendo spallucce e ridacchiando.

 

Un sorriso dolce e radioso.

Cristallino e in grado di afferrarti l’anima.

 

Ancora una volta aveva preso le sue parti, come quel giorno ad Hogwarts.

 

Al suono di quel ricordo il sangue sembrò gelarsi nelle vene e il cuore perdere un battito.

Qualcosa si mosse in lui facendogli tremendamente male.

Doveva essere più pallido come un cencio, poiché la Granger gli si era avvicinato chiedendogli come si sentisse.

 

Di nuovo.

 

Le mani della ragazza, piccole ed aggraziate, corsero alla sua fronte.

Il loro calore a contatto con il freddo del sudore che imperlava la sua fronte lo fece rabbrividire.

 

Tremava per la sola ebbrezza di averla così vicino.

Si guardò attentamente intorno, tirando un lungo sospiro.

Respirava profondamente l’aria di complicità che iniziava ad avvolgerli.

Il suo cuore batteva all’impazzata, facendolo sentire vivo.

 

Aveva lo sguardo fisso negli occhi della strega.

La sue iridi mielate si erano fatte pericolosamente grandi e vicine.

Provava un irrefrenabile desiderio di affondare le dita in quella cascata di ricci.

 

“Sto bene.” – rispose piano.

 

Si sentiva incomprensibilmente bene.

 

La bruna dapprima rimase interdetta, poi  sbuffò accigliata.

Stava per ribattere, ma non potè formulare nessun pensiero, nessuna risposta tanto sagace da zittirlo, che Draco poggiò le labbra sulle sue, reprimendo con un bacio l’involontario ed inconsapevole sorriso che le stava nascendo.

 

Ebbe la prontezza di afferrarla per i polsi, in modo da non farsi respingere, ma la reazione della Mezzosangue fu totalmente inaspettata.

 

Sospirò e mugugnò qualcosa di incomprensibile per poi arrendersi tra le sue braccia.

Come se qualcosa l’avesse convinta che lottare era terribilmente inutile.

Non si irrigidì, nè si oppose.

Stanca ed appagata, si abbandonò alla pienezza delle sensazioni che accompagnavano quel bacio, schiudendo le labbra ed avvicinandosi di più al corpo del ragazzo.

Le sue dita all’altezza del petto si muovevano freneticamente.

Frugavano nel suo animo.

Nel suo cuore.

In ciò che credeva di non possedere.

 

Meravigliato, il biondo interruppe quel momento che aveva dell’incredibile.

Se la risposta della ragazza al bacio l’aveva sconcertato, la decisione che le leggeva negli occhi ebbe il potere di smarrirlo.

 

Quanto ancora doveva stupirlo quella Mezzosangue?

Perché, tutto ad un tratto, era diventata così speciale?

 

Con le labbra scese a sfiorarle la fronte, mentre con il pollice le carezzava la guancia rosea.

 

Se il mondo aveva iniziato a girare al contrario, avrebbe fatto di tutto per far sì che continuasse a farlo.

Il passo che separa il bene dal male – il giusto da ciò che è sbagliato – è troppo breve e Draco aveva superato quella soglia.

Forse lo aveva fatto inconsapevolmente quando ancora era un ragazzino diciassettenne.

Magari lo aveva oltrepassato proprio durante le notti passate con Hermione.

Incontri scanditi dal suono dei loro ansimi e respiri che disperdevano nel silenzio che li avvolgeva.

 

Insieme avevano potenziato gli incantesimi di protezione e l’Auror Hermione Granger aveva iniziato a trascorre meno tempo al quartier generale per potersi recare da lui.

Lo faceva sempre di nascosto, dicendo che non le andava di rispondere a domande assurde sui suoi atteggiamenti, visto che nessuno era a conoscenza della sua collaborazione.

 

C’era solo una persona che sapeva di loro.

Potter.

Draco non aveva mai avuto dubbi a riguardo, ma ne ebbe la certezza quando una mattina, dopo una notte intera passata di pattuglia con li altri Mangiamorte,  l’ex Gryffindor si presentò al posto della ragazza.

Per la prima volta entrambi avevano parlato senza che volassero pugni o incantesimi.

Lo Sfregiato aveva mandato al diavolo la sua copertura, con la consapevolezza del rischio che correva nel caso in cui Malfoy fosse stato scoperto, solo per conoscere le sue intenzioni con la Granger.

 

Malferret, non ho tempo da perdere, quindi cerchiamo di tagliar corto.” – aveva detto quella mattina Potter, poggiandosi all’arco della porta con braccia conserte.

 

Il biondo sfoggiò un sorriso sghembo.

Non lo avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura, ma lo Sfregiato gli mancava.

 

“Non avrei mai detto che la tua fosse una visita di cortesia, Potty.”  – lo canzonò marcatamente di rimando.

Il moro sospirò con calma.

“Allora, cosa vuoi?” – chiese in fine Draco.

“Hermione mi ha parlato di voi.”

Entrambi avevano abbandonato ogni tono sarcastico ed aggressivo.

Malfoy si incamminò verso il salone, dritto verso il divano.

Quella sarebbe stata una conversazione dura da sopportare.

Molto dura.

 

Harry rimase fermo davanti alla libreria, fisso ad osservare il silenzio del ragazzo.

Non mostrava la benché minima intenzione di voler rispondere.

In fondo, però, si trattava solo di una constatazione gettata lì nel discorso.

Non gli aveva rivolto nessuna domanda.

Non ancora.

 

“Posso sapere quali sono le tue intenzioni?” – rimediò.

 

Maledetto Sfregiato.

 

L’ex Slytherin serrò la mascella, stringendo le mani sul bracciolo del divano.

Aveva cercato di evitare di domandarselo da quando si era risvegliato per la prima volta nella camera da letto di Hermione, con i suoi capelli riversati sul suo torace nudo e il suo braccio che gli cingeva la vita.

 

Assolutamente non voleva rispondere.

 

Con timorosa calma, l’Auror si avvicinò nello stesso momento in cui il ragazzo si stava voltando, trovandosi contro una bacchetta puntata alla sua fronte.

 

“Ma cosa diamine significa?” – deglutì nervosamente.

“Mi spiace Malfoy, ma i patti con Hermione erano chiari: se di fosse presentata l’esigenza io ti avrei obliviato e lei ha accettato, sicura delle sue convinzioni. Siccome tu non collabori, non mi resta altra scelta.” – chiarì con determinazione. “A quanto pare, Hermione si era sbagliata.”

 

Quelle parole tanto aspre lo accecarono.

Pizzicavano e bruciavano, come gocce di limone che strisciavano su vecchie ferite.

 

Cosa lo bloccava?

Il domani.

Pensare ed un loro equivaleva a dover pensare al domani.

Aveva smesso di farlo dall’estate del suo quinto anno, quando il futuro era diventato appannato e precario.

In quei giorni non sapeva nemmeno se avesse rivisto sua madre durante le vacanze invernali.

Se la luce del solo lo avesse nuovamente accompagnato mentre si dirigeva alle lezioni.

 

Non sapeva nemmeno se sperare in un futuro.

 

“Non lo so.” – dedusse mentalmente.

 

“Non lo so.” – ripetè ancora.

 

Harry allentò la presa sulla bacchetta e l’abbassò lentamente.

“Potter non guardarmi così. Mi irriti.” – abbaiò davanti allo sguardo stranito del Bambino Sopravvissuto.

“E tu prova a spiegarti, invece di ripeterti.”

 

“Io..io non so quali intenzioni abbia. Fino a ieri non sapevo cosa sarebbe stato di me.”

Prese una lunga pausa, per poi riprendere di nuovo, come se avesse riflettuto su quello che gli era accaduto.

“Poi mi sono ritrovato qui. Lei, poi…”

 Lei poi…

 

Erano parole sconnesse ed affannate quelle che pronunciava, ma, in fin dei conti, avevano senso.

 

…era Lei.

 

Le sue labbra si piegarono in un sorriso spontaneo.

 

“E’ così..”

“Così dolce, gentile, sensibile, testarda, irrimediabilmente Gryffindor. Unica e speciale.” – terminò l’Auror.

“Già.” – convenne l’altro.

“Pensaci bene, credi sul serio di meritarla?”

 

Pensaci Draco.

 

No! Non aveva fatto assolutamente nulla per meritarla.

Nulla.

Anni interi passati ad insultarla, quando avrebbe potuto…cosa?

Conoscerla meglio?

Anzi, no, imparare a conoscerla?

Speranze.

Sogni.

Desideri.

Sciocchezze.

 

Pnesaci Draco.

La meriti?

 

“Sì” – disse con convinzione.

Mentì con fermezza.

 

Da quel momento in avanti, avrebbe fatto l’impossibile per meritarla.

 

“”Bene, Mafloy.” – sospirò il Prescelto, mentre riponeva accuratamente la bacchetta, felice di non averla usata. “Stai meglio?”

 “Credo di sì.” – disse con titubanza.

“Ne sono contento.”

Diede una vigorosa pacca sulla spalla del biondo, guadagnandosi un’occhiataccia torva.

“Dici sul serio?”

I due si guardarono negli occhi per qualche istante, poi torsero le labbra indignati.

“Certo che no, Furetto.”

Si diresse verso l’uscita.

 

“Il mio compito qui è terminato.”

Poggiò la mano destra sul freddo pomo d’ottone della porta di ingresso e si voltò nuovamente, mutando subito espressione, diventando da divertita a greve e seria.

 

“Ricorda Malfoy: Hermione si fida di te ed io mi fido di lei. Falle del male – un solo passo falso – e te la farò pagare.” – scandì per poi uscire.

 

Da quel giorno, Potter non si era più fatto vivo.

Anche le informazioni, oramai, le passava direttamente ad Hermione, evitando la solita mascherata e continuando la loro vita tra vecchi film, libri disseminati sul pavimento.

Ore interminabili trascorse distesi su di una coperta, assaporando una tazza di thè alla menta, in compagnia dei riverberi argentei della luna e dei silenziosi suoi della città assopita.

 

Quello che sembrava un vero idillio, però, ci mise poco a tramutarsi nell’ incubo che stavano vivendo.

 

“Ero tenuto all’oscuro delle vostre riunioni, tuttavia, quando avevi dei problemi, non esitavi a parlarmene. Pian piano iniziasti a confidarti, raccontandomi del tuo primo anno ad Hogwarts. Di come avevi legato con i tuoi amichetti. Mi mettesti al corrente degli Horcrux  e della missione che vi aveva affidato Silente. Poi, iniziasti a rivelarmi i vostri piani.”

Ad ogni parola, il suo tono di voce cresceva.

Spensierato. Euforico. Inebriato.

Proprio come si sentiva allora.

 

Hermione continuava ad ascoltarlo.

Di tanto in tanto alzava lo sguardo verso il ragazzo, per riabbassarlo l’istante dopo.

Troppe erano le parole che avrebbe voluto dire, domande da rivolgere.

Tutte lì, a fior di labbra, ma non appena apriva bocca, le parole venivano schiacciate dalla tediosa atmosfera che aleggiava loro intorno.

Gravava su di loro pesante come il piombo.

 

“Non mi ero mai sentito così, mai provato tali sensazioni.  Il solo fatto che ti aprissi con me, che io avessi qualcuno che mi ascoltasse, mi faceva sentire importante…” – ricominciò il biondo, ma senza terminare.

 

“Speciale.” – sospirò la ragazza, cupa in volto.

 

Sapeva benissimo cosa si provava quando si ha dentro qualcosa che risuona come un allarme.

Un problema o un pensiero che ci fa sentire unici.

Soli.

Invisibili, perché non c’è nessuno al mondo in grado comprenderci.

 

“Un giorno riuscii ad avvertirvi di un loro attacco con largo anticipo, così da permettervi di coglierli di sorpresa, ma qualcosa andò storto.”

 

L’espressione della riccia si allarmò di punto in bianco.

Il sangue aveva abbandonato le guance per pulsare violentemente nelle tempie.

“Sta tranquilla Mezzosangue!” – la tranquillizzò, percependo la sua preoccupazione –“Voi Aurors aveste la meglio, ma Voldemort non era presente allo scontro, come, invece, era stato previsto. Qualcuno doveva averlo informato della vostra imboscata.” – spiegò con fin troppo assurda calma.

 

“E chi era stato?” – finalmente chiese la Granger in un sussurro.

 

Malfoy respirò lentamente.

Qualcosa gli ostruiva la gola, impedendo all’aria di giungere ai polmoni.

Un brutto ed intricato nodo alla gola che sembrava straziarlo.

O forse era la risposta alla domanda di Hermione che lo tormentava così tanto?

 

“Io fui l’unico a non prendervi parte, né con voi né con i Mangiamorte.” – ammise.

 

Chiuse le mani a pugno, tenendole a stento ferme, tremando dalla voglia di colpire qualcosa.

Le stringeva vigorosamente, come se volesse reprimere qualcosa.

Schiacciarla o negarla.

Qualcosa come l’evidenza.

 

“Appena gli altri si smaterialiazzarono, io ritornai qui. Ti aspettai tutta la sera. L’intera notte. Ero sicuro che non ti fosse accaduto nulla – dovevo esserne sicuro – ma tu non tornavi.

Alle prime luci del mattino decisi di venirti a cercare. Non sapevo come, ma ti avrei trovata.

Non appena aprii la porta, però, tu eri lì.

 

Ad entrambi parve di annegare.

Hermione nella disperazione fin troppo familiare cui erano permeate quelle parole.

Draco nel buio del ricordo della sua figura davanti alla porta.

Le braccia esili che ricadevano lungo il corpo.

Stanche.

Il capo chino e il corpo scosso da brividi convulsi.

Fragile e vulnerabile.

Piangeva sommessamente, cercando di reprimere i singhiozzi, ma le lacrime le rigavano il volto, per poi cadere nel vuoto ed infrangersi sul marmo del pianerottolo.

Ognuna di quelle gocce – di quei lievi lamenti –  lo atterrivano, ma fu il suo sguardo a straziarlo definitivamente.

Iridi dorate in grado di donargli la vita per poi stapparla via un istante dopo.

Gemme che lo schiacciavano sotto il peso della loro fosca luce.

 

Il peso dell’ombra della delusione.

 

“Mi chiedesti il perché della mia assenza, dove fossi stato e il tuo tono diveniva sempre più accusatorio. Ti spiegai dell’idea di Piton, che per me fosse meglio non farmi vedere. Non riuscii a mettertene al corrente perché lo avevo saputo solo dopo essermi recato da lui.  

Tu rimanesti lì, immobile. Poi ti gettasti tra le mia braccia, Ma non mi credevi, Hermione.”

 

Non gli credeva e lo notava dall’insicurezza dei suoi gesti, dalla sua improvvisa assenza.

 

“In realtà pensavi che fossi stato io ad avvertirli del vostro arrivo.” – terminò.

 

Quando lei non c’era, durante la notte, si sentiva ancor più solo di prima.

Continuava a dormire nel loro letto, sperando in un suo improvviso ritorno, ma si addormentava mentre l’aspettava.

Si girava e rigirava nel letto, stendendo un braccio verso la sua destra, ma Hermione non c’era.

 

“Quando ci incontravamo, anche se ti sforzavi per non farmelo notare, percepivo il tuo disagio. La mia regale presenza non era più desiderata.” – rincarò con amaro sarcasmo –“Così, un giorno decisi di andarmene definitivamente, approfittando di una delle tante sere in cui preferivi tornare a Grimmauld Place. Portai via tutte le mie cose. Trovai questa foto e la strappai portando con me la metà che mi ritraeva. Cercai di fare in fretta. Non per paura che tornassi all’improvviso, ma perché temevo di non riuscire a farlo. Dovevo scappare da qui, da te.”

Prese una lunga pausa, cercando di riordinare le idee.

“Ti stavo abbandonando.”

 

Hermione si sentì investita da un’ondata di aria fredda.

Una gelida folata di vento l’aveva travolta, trapassandola da parte a parte con la sua violenza, impedendole di muoversi, di parlare o di pensare.

Una raffica di vento che le ululava nelle orecchie, portando con sé parole che conosceva e che ora non le sembravano più tanto insensate.

 

 

Sono fuggita da Grimmauld Place!

 

Per l’ultima volta.

 

Avevo bisogno di ritornare qui dove tutto è terminato.

 

Quando sono arrivata, lui non c’era.

Era andato via.

Era scappato da me, che un tempo ero stata la sua salvezza.

 

Ancora una volta, come solo pochi giorni prima, le parole di quella lettera che aveva trovato le scorrevano davanti agli occhi.

 

Fluide.

Naturali.

Vere.

Sue.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Spazio autrice:

 

Questa volta non mi dilungo nei singoli ringraziamenti, ma un paio di righe devo scriverle.

Grazie sul serio, e di cuore, a tutti coloro che mi sono state vicine e che mi hanno incoraggiata.

Grazie alla famigliaH, perché mi è sempre vicina.

Grazie a tutti voi che state leggendo e siete arrivati fin qui.

Abbiate ancora un pizzichino di pazienza.

 

Grazie mille,

La Dea.

 

   
 
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