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Autore: Weareallmad    16/10/2013    3 recensioni
Harry non si ferma nello stesso posto per più di due settimane da quasi tre anni, Louis non è mai stato più a sud di Londra nè più a nord di Liverpool, dove vive facendo il fotografo.
"Non ti sei mai fermato per più di due settimane?" dice a occhi sbarrati, e quello scuote appena la testa, guardandolo come si guarda un quadro al museo.
"Quando sei arrivato a Liverpool?" gli chiede, senza domandarsi se gli sia lecito.
"Due giorni fa."
"Hai ancora qualche giorno di limite" gli dice allora, con uno dei suoi mezzi sorrisi divertiti.
OS LARRY.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Quando Harry Styles entra nel negozio a Edge Hill, di fronte al St. James Garden, non ha che uno zaino da trekking in spalla, un maglione troppo largo, pantaloni neri strappati e stivaletti di camoscio scuriti dallo smog. Si sistema il cappello di lana grigia e infeltrita che ha in testa e si avvicina deciso al bancone, dove un tizio sta fissando con disinteresse un vecchio macbook che gli riflette la luce dello schermo sulle lenti degli occhiali. Il ragazzo - Harry deduce che abbia più o meno la sua età - non fa nessun movimento se non quello di alzare gli occhi azzurrissimi per mezzo secondo dal computer, studiarlo per quanto la visuale da dietro il bancone di legno consumato gli permette, per poi tornare a guardare lo schermo.
"Posso aiutarti?" chiede annoiato, girando con l'indice la rotellina del mouse.
"Probabile" risponde Harry, serissimo "mi serve una macchina fotografica."
Louis sospira impercettibilmente, incrocia le braccia sul bancone e lo guarda. 
Louis è bravo coi particolari, lo è sempre stato. Adesso, pensa che, in uno studio fotografico, al posto delle foto dei tipici e banali matrimoni o dei bambini che giocano con la frutta di plastica, appesa alle pareti ci dovrebbe stare un'istantanea del primo piano degli occhi verdi di quel tizio. 
"Di che tipo?" domanda, girandosi verso gli scaffali.
"Non lo so, tu cosa suggerisci?" chiede quello a sua volta, confuso, e Louis si gira assieme alla sua poltroncina azzurra, lo guarda di nuovo da sopra le lenti dei suoi occhiali come una vecchia bibliotecaria, e intuisce che, quello lì, di fotografia ne sa quanto ne sa lui di cucina francese.
"Dipende da quello che vuoi fotografare." 
Harry aggrotta un po' la fronte, lo guarda come se avesse parlato in un'altra lingua.
"Il mondo è brutto" prova a spiegargli, con voce insicura. Louis stringe gli occhi. "Cosa?"
"Il mondo è brutto" ripete quello, quasi sorridendogli, "da tre anni a questa parte, non mi sono fermato in un posto per più di due settimane. Nelle foto delle agenzie ci sono gli stessi posti in cui sono stato, ma è così bello.. Voglio uno di quegli obiettivi. Voglio vederle anch'io quelle cose."
Allora Louis lo capisce, che questo tipo è un po' fuori di testa. 
"Non ti sei mai fermato per più di due settimane?" dice a occhi sbarrati, e quello scuote appena la testa, guardandolo come si guarda un quadro al museo.
"Quando sei arrivato a Liverpool?" gli chiede, senza domandarsi se gli sia lecito.
"Due giorni fa."
Dal residuo di accento, Louis capisce che è di quelle parti. Nei libri che Louis custodisce nella sua piccola biblioteca, vale a dire il paio di scaffali che ha montato sopra il suo letto - a rischio che qualche volume più pesante degli altri lo colpisca in testa nel sonno -, c'è scritto che quando viaggi l'accento lo perdi per strada. Che piano piano impari quello del posto dove vai. E allora questo tizio deve averne parecchi, pensa ingenuamente tirando su gli occhiali che gli scivolano sul naso, o forse non ne ha più nessuno, e la sua parlata è un atono misto di confusi ricordi.
"Hai ancora qualche giorno di limite" gli dice allora, con uno dei suoi mezzi sorrisi divertiti "ho il tempo di offrirti un the."

Ed è così che Louis Tomlinson conosce Harry Styles. 
Lo porta, verso le sei, ad un motel a basso prezzo sulla stessa strada del negozio, e il giorno dopo, alle nove, il ragazzo è di nuovo di fronte al bancone. 
Si siede su una di quelle poltroncine accanto al piccolo set fotografico in fondo alla sala, e segue Louis con gli occhi tutto il tempo. 

Louis non si è mai spinto più giù di Londra, e non ha mai preso un aereo. I suoi genitori vivono a Manchester, e lui se ne era andato a diciott'anni perchè aveva "bisogno d'aria", ma in realtà voleva dimostrare a suo padre che non era vero che "con un hobby non ti ci compri il pane". Il suo amico Stan gli aveva trovato un buco di negozio, e aveva cominciato così, con le foto da patente, qualche volta part time ai matrimoni. Si era comprato un piccolo appartamento a dieci minuti dal negozio, e a ventidue anni era ancora un ragazzino, perchè aveva sempre vissuto la vita da adulto.
E adesso, allora, Louis Tomlinson poteva dire di aver visto il mondo intero, attraverso lo specchio che erano gli occhi verdi di Harry Styles mentre raccontava dei grattacieli a Manhattan, del mare di Miami, delle strade caotiche e millenarie di Roma, delle sabbie rosate dei caraibi, delle civiltà del sud africa.
La settimana finì, Harry decide di fare uno strappo alla sua regola non scritta. Non parlarono più della macchina fotografica, perchè almeno per adesso Harry qualcosa di bello da vedere, anche senza avvicinare l'occhio al mirino, l'aveva trovato.

"Le persone come te sfuggono tra le dita come il vento" aveva spiegato Louis quando Harry aveva provato a baciarlo. Aveva dimenticato quel gesto nemmeno due minuti dopo, mettendo il bollitore sul fornelletto nel retro del negozio e chiedendogli di parlare ancora di San Francisco.

"Se dovessi fermarti per tutta la vita in una delle città che hai visitato" gli aveva chiesto Louis una mattina, senza nemmeno aspettare che il terzo cliente della giornata fosse uscito dopo aver ritirato le proprie pellicole, "quale sceglieresti?"
Harry non ci pensò neanche un secondo.
"Quella che mi è piaciuta meno, perchè finirei per odiarla a morte comunque come si odia una cella."

Il martedì alle sette meno dieci, prima di chiudere il negozio, Louis Tomlinson ruba un bacio ad Harry Styles. Il suo odore è come il vento che ruba profumi lontani e li porta in posti nuovi. E le sue labbra sanno di mare.

Quando Harry torna in negozio il mercoledì successivo, Louis non gli da il tempo di mettersi comodo. Chiude la serranda e lo trascina in strada.
"Hai visto le grandi città, i quartieri alti, le strade asfaltate, i giardini curati. Vediamo come ti muovi in mezzo alla vita di tutti i giorni." 
Gli prende una mano e lo porta in stradine piene di smog, bar malfrequentati, alla fermata dell'autobus pieno come un carro bestiame. Quando arrivano al centro di una piazza che confina con l'entrata di un parco, Harry si ferma e tira Louis per un braccio, guardandolo negli occhi con uno sguardo divertito.
"Ho visto le grandi città, ma non vuol dire che non mi sia sporcato le mani. Ho viaggiato con le metro e ho perfino dormito alla stazione dei treni di Saint Lazare, sopra Parigi. Mia madre era un'arrampicatrice sociale, mi diceva di far soldi e sposarmi in fretta, di trovarmi un lavoro di cui non dovessi mai vergognarmi, e a volte penso che non riuscirà mai ad essere felice."
"E tu? Sei felice?" gli chiede l'altro. Harry la vorrebbe adesso, una macchina fotografica tra le mani. La rimpiazza col viso di Louis, poco prima di baciarlo di nuovo.

"La stai tenendo nel modo sbagliato" lo prende in giro Louis, dando le spalle al ragazzo steso sul suo letto.
"Il tuo culo merita una foto" ridacchia l'altro, e Louis vede nello specchio il riflesso del flash. Harry ha lasciato il motel dopo undici giorni, per andare a stare nell'appartamento di Louis. La macchina fotografica che il ragazzo riccio con gli occhi verdi e i vestiti consumati tiene tra le mani troppo grandi a Louis sembra una pistola carica. Si butta accanto a lui e poggia la testa sul braccio piegato, guardandolo giocherellare con la macchinetta come un bambino.
"Liverpool ti sta abbastanza sul cazzo da rimanere qui per sempre?" gli chiede a bassa voce. Harry ha ventun'anni, è un metro e ottanta, forse di più, i boxer gonfi ogni volta che Louis lo sfiora con un dito, ha visto più persone in un anno di quante mai Louis ne vedrà in tutta una vita, ma arriccia ancora il naso alle parolacce, come una sorta di riflesso involontario.
"Tu sei abbastanza egoista da farmi stare in una cella?" gli chiede l'altro serissimo, voltandosi a guardarlo con dolcezza. Louis chiude gli occhi, si morde le labbra e aspetta paziente che Harry Styles prema il grilletto.

Ci ha sempre pensato tanto agli addii. Ogni tanto li sussurra pure. Agli aeroporti. Alle brevi comparse nella sua vita, alle persone che passano veloci e sa che non rivedrà mai. Dovrebbe esserci abituato, Louis, agli addii. E li riconosce anche. Non è che un addio, il bacio sporco che Harry gli lascia contro le labbra, ansimando sotto di lui quella notte. Ad ogni gemito, non può non pensare a quanti altri posti ci sono da vedere.
A lui del mondo non è mai importato granchè. Viaggiare è scomodo, dispendioso; i grattacieli sono tutti uguali. I parchi si somigliano tutti. E le persone, le persone ne ha anche troppe lì a Liverpool - anzi, a volte vorrebbe stare chiuso in un'ampolla per poter gridare a pieni polmoni, o in mezzo ad una foresta dove nessuno potrebbe trovarlo nemmeno se gliene fregasse qualcosa. Louis vorrebbe imbottigliare l'odore di Harry e tenerselo sotto il cuscino, perchè pensa che sarebbe un po' come ingannare la distanza. Immaginò per un attimo come sarebbe stato trovarsi un giorno in mezzo ad una strada e voltarsi di scatto, perchè il vento aveva rubato altri profumi che somigliavano a quello di Harry Styles.

Quando Harry, solito cappello di lana in testa, arriva nel suo piccolo negozio a Edge Hill, dopo ventidue giorni dalla prima volta, Louis sa che il tempo ha ricominciato a scorrere. 
"Te ne vai" dice Louis, e non è una domanda. Harry neanche fiata. Lo va a prendere per incollarselo addosso e baciarlo di nuovo. Quando lo lascia, il mare negli occhi di Lou ha fatto straripare una lacrima. "Una notte" mormora quello a occhi chiusi, premendo la fronte contro la sua "dammi solo un'altra notte. Poi ti lascerò andare" dice, ma non ci spera neanche lui. Sa che è una bugia. Sa che, se non lo fa andare via subito, potrebbe diventare abbastanza egoista da legarselo addosso con due giri di corda. E per questo lo sta pregando di restare accompagnandolo alla porta. Harry gli sorride con le labbra gonfie e rosse, ma non versa una lacrima. Forse, pensa Louis, c'è qualcun altro abituato agli addii. 




Harry Styles sta ancora aspettando la coincidenza del treno che lo porterà a Londra. Ha attraversato la città a piedi fino alla stazione, perchè non gli piacciono i taxi nè gli autobus, tantomeno passare sottoterra con una metro, perchè le cose le devi attraversare, ci devi passare in mezzo, non le puoi guardare da dietro un finestrino. Ha preso un caffè, perchè è più facile che dormire. Sta scribacchiando qualcosa sul suo taccuino, ed è piuttosto snervato: non gli piace passare per due volte nello stesso posto. Pensa distrattamente che arriverà in Francia e prenderà il primo volo sul tabellone degli orari, qualunque paese indichi.
Un ragazzo bassino si siede accanto a lui, con lo sguardo dritto nel vuoto e la schiena un po' curva. Harry corruga la fronte e lo osserva per due secondi, poi torna a guardare un punto indefinito avanti a se.
"Che ci fai qui?"
"Hai dimenticato questa." gli risponde Louis, come fosse ovvio, mostrandogli una polaroid. "Vedi Harry, il mondo non è brutto perchè lo vedi dalla angolazione sbagliata, o senza la luce giusta. Il mondo è brutto perchè lo guardi da solo." gli spiega, come parlasse ad un bambino. "Se per esempio mi portassi a Parigi e stavolta, invece di dormire in stazione, prendessi un letto e ci infilassi me dentro.. credo che anche quell'ammasso di ferro della torre Eiffel ti sembrerebbe più bello."
Harry lascia che le labbra si pieghino in un sorriso divertito, mentre ancora entrambi guardano davanti, verso le rotaie del treno, con la schiena un po' curva. Allunga la mano per inglobare quella piccola di Louis, pensando che forse, il vero obiettivo attraverso cui guardare il mondo sarebbero dovuti essere i suoi occhi.






















Salve gente.
Qualcuno già mi conosce come autrice di Breathe, ma ogni tanto mi prendono degli strani raptus e scrivo delle OS che non hanno effettivamente un senso.
E infatti questa storia è corta, troppo veloce, troppo tutto, ma mi andava di pubblicarla lo stesso. Sarà colpa della vita universitaria che mi sta uccidendo, ahaha. Comunque, sarebbe carino lasciarmi una recensione, anche del tipo "ci hai provato, lascia stare e rimanitene tra le tue long", giusto per capire, perchè in realtà vorrei provare a scrivere - più in là - una OS lunghina, fatta bene insomma. Vedremo.

Comunque, per chiunque volesse ovviamente c'è la mia adorata Breathe ad aspettarvi 
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2090332

Questa storia è dedicata a Francesca. Ti voglio bene baldry, sei la mia nana preferita <3

Grazie a tutti quelli che leggono le mie stronzate, se volete su twitter sono @_weareallmad. Un bacio :)

-Federica

 
  
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