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Autore: Atarassia_    16/10/2013    7 recensioni
Il sorriso.
Il sorriso è la cosa più enigmatica che sia mai esistita.
C’è il sorriso di circostanza, quello sensuale, quello che si delinea sulle tue labbra dopo che hai sentito qualcosa di divertente o visto qualcuno che ti interessa. Il sorriso è un modo per dire “ciao”, “arrivederci” o anche “addio”. È un modo alternativo per chiedere scusa, uno per dire “mi piaci” e perché no, anche per dire “ti odio”. C’è il sorriso imbarazzato, quello che provoca delle fossette ai lati della bocca e quello inquietante.
Ecco, il sorriso è universale e enigmatico. Si proprio così, universale e enigmatico.
Una persona sorride ma può essere felice, arrabbiata, emozionata, triste, dubbiosa, imbarazzata. Il sorriso può voler dire tante cose che nemmeno riusciresti ad immaginartele. È misterioso, ingannevole, seducente. Una maschera.
Quante volte dietro ad un sorriso si nasconde il dolore? Quante volte i problemi, le lacrime, i turbamenti vengono celati dietro di esso? A te non è mai successo?
Siamo tra amici tesoro, puoi anche calare la maschera.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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*per questo banner devo ringraziare Peluches
 
"La vita è ciò che ti succede
mentre sei impegnato a fare altri progetti."
(John Lennon)
 
Annika è una.
Annika è tanti.
È tua sorella, la vicina di casa che ti spia dalla finestra, la ragazza che vende hot dog all’angolo della strada.
È la commessa del tuo negozio preferito, la donna che ti saluta dal terrazzo, l’anziana signora sull’auto alla quale cedi il posto.
È quella giovane mamma che spinge il passeggino, quella bambina a cui è caduto il primo dentino. Ha gli occhi verdi, marroni, grigi. I capelli lunghi, corti, rossi, neri, castani, bianchi.
È quella tizia che non ride mai, quella che osserva tutto in silenzio, quella con la battuta sempre pronta.
È la maestra d’asilo, la ragazza immagine, la cantante, la sognatrice, il clown del circo.
È quell’amica che ti pugnala alle spalle, quella persona sempre pronta a darti una mano, quella che non sa mantenere i segreti, quella che morirebbe per te.
Annika è chiunque tu voglia che sia.
Annika esiste e non è certo frutto della fantasia.
Annika ora non sorride più.
Annika sono io, Annika sei tu.
 

 
********
 

Annika se ne sta seduta sul letto, le ginocchia piegate che le sfiorano il petto. L’espressione concentrata e la punta della lingua stretta tra i denti mentre cerca di distribuire in modo uniforme lo smalto bordeaux sulle unghie.
Bordeaux. Il suo colore preferito. Un colore che non è il rosso ma gli somiglia, un colore che esiste ma non tutti lo conoscono. Un colore che c’è ma non c’è.
Non è né il bianco né il nero, né l’azzurro chiaro né tantomeno quello più scuro. Di sicuro non assomiglia nemmeno al verde e lo stesso vale per il rosa o il marrone. È un colore che le sembra caldo ma allo stesso tempo le ricorda l’autunno. Un colore triste, felice, indifferente.
Anche le sue scarpe sono bordeaux. L’ultimo paio di Vans rimasto in vetrina per il quale aveva dato via tutti i risparmi dell’estate senza nemmeno indugiare una volta. Appena era uscita dal negozio, si era lasciata cadere sul marciapiede e, incurante dei passanti, le aveva da subito indossate scartando le vecchie  Converse dalla suola consumata.
Sussulta quando la vecchia radio di suo padre, ormai giunta al capolinea, fa degli scatti emettendo dei rumori assordanti che le graffiano le orecchie. Si ricompone imprecando perché, a causa dello spavento, è uscita fuori dall’unghia con il pennellino.
Prontamente cerca di risolvere il problema con un batuffolo di cotone mentre tiene il tempo della musica con la testa. Ad una vecchia stazione londinese stanno passando alcune delle sue canzoni preferite ed ora è il turno di Paolo Nutini con New Shoes.
Canticchia anche lei sotto voce in modo aggraziato come se temesse che qualcuno la senta. Quando anche l’ultima unghia è finalmente bordeaux, richiude in fretta il flaconcino e, camminando sui talloni, si avvicina alla finestra della sua camera.
Passando davanti allo stereo alza il volume al massimo e la voce di Nutini riempie la stanza.
Incurante del fastidio che potrebbe procurare ai vicini, si siede sul davanzale della finestra con la schiena contro il muro e getta indietro la testa chiudendo gli occhi.
Ha un esame da dare ma poca voglia di studiare. Lo ha già rimandato una volta e sa di non poterlo fare nuovamente o sua madre le starebbe col fiato sul collo.
Solitamente le piace studiare, ma ora non ne può più. È stanca, ha bisogno si staccare la spina e di non doversi preoccupare di qualcosa per un po’. È consapevole, però, che quello è un lusso che lei non può permettersi.
Due colpi contro una parete la fanno sussultare e subito si volta immaginando il volto del vicino che, dall’altra parte del muro, le sbraita contro di “smetterla con tutta quella confusione”. Lo ignora finché può e, sfacciata e menefreghista, chiude gli occhi perdendosi nuovamente nei suoi pensieri.
Riesce a recuperare un po’ di quella tranquillità tanto agognata e sorride ricordando una vecchia battuta di un suo amico che l’aveva fatta sganasciare dalle risate qualche sera prima. Alla radio passano la pubblicità del nuovo cd di una cantante australiana e poi mettono gli Oasis. Le sue labbra di distendono in un sorriso e, tamburellando le dita sulle gambe cerca di tenere il tempo della canzone.
Una folata di vento le sferza i capelli e la fa voltare nuovamente così da ritrovarsi sulla porta spalancata la madre che, con una mano ancora sulla maniglia, guarda la figlia sconsolata e rassegnata per quel teatrino che ormai da anni si ripete inesorabile.
Con passo deciso quella attraversa la stanza e, muovendo la manovella, riporta il volume della musica ad un livello accettabile fulminando con lo sguardo Annika che assiste in silenzio, divertita da quella scena che oramai è divenuta un buffo déjà vu.
Nello stesso modo in cui è entrata nella stanza, la donna se ne va chiudendosi la porta alle spalle.
Quando anche gli ultimi echi dei passi della madre nel corridoio non sono più udibili, aprendo la finestra, Annika si solleva dal davanzale posando nuovamente i piedi a terra. Spalanca le ante permettendo all’aria fresca di inizio ottobre di invadere l’ambiente e si avvia verso il letto riordinando le coperte alla bell’e meglio.
Si sfila la maglia che le fa da pigiama e, senza nemmeno darle una piegata, la getta sotto al cuscino. Indossando la sola biancheria intima, incurante del fatto che da fuori può essere vista, si sposta da un punto all’altro della stanza raccogliendo qua e là tutto ciò che le potrebbe servire nel caso in cui uscisse.
Raduna tutte le cose sul letto per poi gettarle alla rinfusa in una borsa tutta colorata acquistata al mercato in una bancarella indiana. Un borbottio proveniente dal suo stomaco irrompe nell’aria e, interrompendo tutti i vaghi tentativi di riordinare, afferra una felpa bordeaux e dei jeans neri, scoloriti in alcuni tratti, per poi precipitarsi quasi di corsa in cucina.
Passa davanti al divano sopra al quale, distesa e con i piedi sul bracciolo, sta la sorella diciassettenne con una mano impegnata a usare il telefono mentre con l’altra tiene il telecomando cambiando in continuazione canale.
Non c’è nessun accenno di saluto tra le due che, se non fosse per il sangue che scorre nelle loro vene, non avrebbero proprio nulla in comune. La piccola è bionda e maleducata, una di quelle figlie che danno molte preoccupazioni ai genitori.
Selene ha ancora la bocca che le puzza di latte e già si sente una donna vissuta, ancora non ha scoperto tutte le sfaccettature del mondo e già crede di aver visto ogni cosa.
Indisciplinata e senza cuore. Viziata e nullafacente. Sempre in prima linea quando si tratta di far compere, lo zaino pieno di riviste piuttosto che di libri e una certa malata passione per i furti di piccole cose nei centri commerciali.
Annika sa, lei ha visto. Un lucidalabbra, la matita argentata per gli occhi, un pacchetto di gomme e anche uno di sigarette. Tante altre sono le piccole cose che costituiscono il bottino di sua sorella e le sue amiche depravate.
La prima volta che la vide rubare, fu quando fuggì da una boutique assieme ad una compagna di bravate mentre lei se ne stava seduta in una panchina con il libro di Brontë sulle gambe e un sacchetto di Haribo tra le mani.
Aveva riconosciuto la sua risata sguainata e aveva sollevato il capo dalla pagina giallastra del libro appartenuto un tempo a suo nonno. Selene passò davanti alla sorella senza nemmeno degnarla di uno sguardo, il cappuccio della felpa tirato fin sopra la testa, i capelli nascosti sotto di questo e un paio di occhiali scuri giusto per non farsi riconoscere.
Passò dritta senza salutarla perché troppo occupata a gioire per la buona riuscita del suo piano.
Nemmeno due secondi dopo, dalla stessa boutique era uscita l’anziana signora che furiosa, agitava le braccia in aria inveendo contro qualcuno e gridando come una forsennata: “Ladre! Ladre!”.
E ad Annika erano bastati una manciata di secondi per fare due più due e scoprire la bravata di quella scellerata di Selene. Scioccata e vergognandosi di essere imparentata con quell’essere, si era alzata accantonando per qualche istante la lettura e aveva cercato di tranquillizzare l’anziana signora offrendole una tazza di tea.
Era rimasta in silenzio per quasi un’ora, ascoltando pazientemente le lamentele di quella povera donna vittima di quelle azioni già da qualche mese.
Si era limitata ad annuire ogni tanto e a darle dei colpi sulla schiena a mo’ di consolazione. Ma, non appena quella si fu distratta per servire una nuova cliente, cercando di non farsi scoprire, aveva lasciato scivolare una banconota di venti dollari dietro al bancone sperando che bastassero a coprire il danno fatto dalla sorella.
Poi, senza aggiungere altro, si era alzata e, assicurandosi che la vecchietta fosse ancora di spalle, aveva lasciato il negozio per fare ritorno a casa.
Sarebbe inutile raccontare la discussione che ne seguì dopo con Selene, certamente sarebbe stata più fruttuosa una discussione con i muri piuttosto che con lei.
Nemmeno le minacce come “lo dico a mamma e papà!” le avevano messo paura e non ci si poteva aspettare altro dalla cocca di papà. Annika quindi, si era rassegnata e aveva dovuto riconoscere che quella non era altro che una causa persa.
Così, ignorandosi e fingendo di non averne mai discusso le due erano andate avanti e Selene, che aveva continuato a frequentare la sua comitiva, era più che sicura che dalla bocca della sorella non sarebbe uscita nemmeno una parola riguardante quei fatti.
D’altronde era la parola della sorella contro la sua e volendo, come faceva sempre, fingendo un sorriso e intenerendo suo padre, l’avrebbe scampata.
Feste, bravate di ogni genere e ragazzi. Questa era la giornata tipo di Selene; tutto tempo sottratto alla famiglia e alla scuola. Infatti la casa per lei era oramai un albergo: tornava a dormire verso la mattina, mangiava e poi usciva di nuovo.
Era tutto un circolo vizioso. Durante la settimana, erano più le giornate che bigiava la scuola che quelle in cui la frequentava. E il prezzo per tutto questo, era stata la bocciatura dell’anno precedente ma, nemmeno quello aveva fatto intervenire i genitori.
È solo una fase, ci siamo passati tutti.”, così il padre la giustificava senza rendersi conto che stava aiutando la figlia a scavarsi la fossa da sola.  
Il padre era diventato un guscio vuoto, un vegetale animato. Si alzava per andare a lavorare la mattina presto e faceva ritorno solo verso sera. Una chiamata ogni tanto durante la pausa pranzo e nient’altro.
Nessun abbraccio, nessun sorriso, nessun segno d’affetto. Solo Selene riusciva a smuovere qualcosa in lui perché alla fine erano simili e lei lo aveva sempre detto.
Ad Annika non importava tutto ciò. Lei sarebbe andata benissimo avanti anche senza loro due ma, quello che le faceva più male, era la reazione della madre dinanzi a questi atteggiamenti.
Una donna dalla corporatura esile e dalla carnagione olivastra ereditata dal padre originario dell’India. Negli ultimi tempi la vecchiaia mostrava su di lei il corso del tempo e le rughe erano sempre più evidenti.
Era stata sempre una bella donna, sempre curata e attenta ai dettagli. Solitamente non usciva mai di casa senza un filo di trucco o una nuova collana da sfoggiare. Una donna all’apparenza così sicura di sé e pronta ad affrontare qualsiasi problema.
Ma l’apparenza inganna, Annika lo sa. E negli ultimi tempi lo avevano scoperto anche i loro vicini e le persone che la famiglia era solita frequentare.
Una depressione reattiva.(1) Questo il commento del medico che impassibile aveva fatto un resoconto delle analisi portate dalla mamma. Nessun “mi dispiace” o “stia tranquilla signora”. No, freddo e schietto aveva pronunciato la sentenza.
E quella depressione effettivamente c’era. Annika la vedeva nell’umore a terra di sua madre, nei suoi attacchi di ansia. L’avvertiva nei suoi ragionamenti totalmente scoraggiati e privi di autostima. La sentiva nei sui singhiozzi  disperati e ininterrotti da dietro la porta del bagno.
E quelle spalle che una volta la madre esibiva possenti e dritte si erano curvate come lei sotto il peso di quella disgrazia.
Ma Annika non aveva il tempo né la possibilità di starle dietro. Lei aveva altro a cui pensare. Doveva portare avanti la sua vita, armandosi di ago e filo per cercare di rattopparne tutti i buchi o di saldarne nuovamente i lembi sfilacciati.
Doveva provare a mantenere una vita sociale e tenersi in contatto con gli amici così da avere, di tanto in tanto, un modo per evadere da quella situazione.
Ma soprattutto doveva sopravvivere a tutta quella desolazione per prendersi cura del suo scricciolo. Un piccolo tesoro di cinque anni e sei dita. Questo il modo buffo con il quale Gabriel indicava la sua età. Ma non aveva tutti i torti. Per fare un anno ci vogliono dodici mesi che corrispondono a dodici dita. La metà di un anno sono sei mesi e quindi sei dita. 
Era un bambino diverso da tutti gli altri anche se ad Annika la parola “diverso” non piace, lei lo aveva da sempre definito speciale.

 


(1) La depressione reattiva è un disturbo frequente “scatenato” da un avvenimento specifico o in seguito all’accumulo di una tensione psichica. 
 
 

SPAZIO AUTRICE
Salve gente!

Forse pubblicare questa storia non è la cosa giusta insomma, ho diverse storie in corso e con questa rallenterei ancora di più i miei ritmi lavorativi.
Però, credetemi, sentivo il bisogno di scriverla e pubblicarla!
Annika è una storia nata così, di getto. L'ispirazione alle stelle durante una notte insonne di agosto. Una storia che mi ha permesso di sfogarmi, che mi rappresenta. Una storia in cui ho messo una parte della mia anima e che spero riesca a colpirvi, a rapirvi. 
Annika è ciò a cui ho lavorato di più, è ciò in cui più credo.
Senza perdermi in ulteriori chiacchiere senza né capo né coda, vi ringrazio per essere arrivati a leggere fino a qui e spero che il prologo vi sia piaciuto.
Sperando di trovare il tempo per scrivere, mi auguro di sentirvi presto.
Con affetto,
Little liar_ 
 
   
 
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