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Autore: LyraB    17/10/2013    2 recensioni
Cosa c'entrava quel cielo così splendente, quel cielo che non era mai stato tanto blu, senza nemmeno una nuvola, in quella giornata tanto malinconica per lui? Ci stava tanto male quell'atmosfera calda, soleggiata e serena, in quel momento in cui lui sentiva tanto la sua mancanza.
Si guardò intorno come faceva sempre: se c'era una cosa che gli piaceva fare era guardare la gente, osservarne i comportamenti e poi pensare a chi fossero quegli sconosciuti che gli scivolavano accanto senza nemmeno accorgersi dell'affascinante trentenne seduto su una panchina scrostata del parco.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro Personaggio, Jack McPhee
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un orologio senza lancette









- Jack, Jack, guarda cosa so fare! -
Una graziosa bambina con una salopette di jeans e i riccioli biondi legati in due scomposti codini si lanciò in una capriola nell'erba. Poi, dall'alto dei suoi cinque anni, si voltò a salutare Jack.
Il giovane, seduto sulla panchina del parco giochi in quel caldo pomeriggio di fine settembre, sorrise alla bambina e sventolò la mano per ricambiare il saluto. Seguì con gli occhi la piccola che correva verso l'altalena assieme a due sue amichette incontrate per caso e sospirò.
Cosa c'entrava quel cielo così splendente, quel cielo che non era mai stato tanto blu, senza nemmeno una nuvola, in quella giornata tanto malinconica per lui? Ci stava tanto male quell'atmosfera calda, soleggiata e serena, in quel momento in cui lui sentiva tanto la sua mancanza.
Si guardò intorno come faceva sempre: se c'era una cosa che gli piaceva fare era guardare la gente, osservarne i comportamenti e poi pensare a chi fossero quegli sconosciuti che gli scivolavano accanto senza nemmeno accorgersi dell'affascinante trentenne seduto su una panchina scrostata del parco. Attorno a lui la gente schiamazzava, giocava, rideva e chiacchierava, in quel tardo pomeriggio di domenica.
Quasi si chiedeva come facessero gli altri a stare su, in quella giornata. Si era anche seduto vicino al chiosco del bar, sperando che la radio sempre accesa mandasse un po' di allegria al suo umore grigio. Ma non arrivava nemmeno un po' di musica, a Jack. O forse arrivava, ma lui non riusciva a sentirla, preso com'era dai suoi pensieri.
Più osservava quella bambina crescere, più sentiva la mancanza di sua madre. La poteva rivedere nel broncio che la bimba metteva quando le si diceva di no, nella sua cocciutaggine, ma anche nella dolcezza incredibile con cui gli saliva sulle ginocchia quando lo vedeva giù di morale.
Alzò gli occhi al Cielo e si chiese, per l'ennesima volta, se dov'era lei - dovunque fosse in quel momento - il suo pensiero le poteva arrivare. Chissà se lo poteva sentire pensare a lei e chissà se ne rideva. O forse, se le faceva piacere.
Pensò a quella buffa ragazza bionda che aveva conosciuto a scuola e pensò che all'inizio non era molto in sintonia con lei. Senza contare che si diceva che avesse turbato il delicato equilibrio emotivo degli adolescenti di Capeside, con la sua audace condotta emancipata da ragazza di città.
Ma lui - si sa - non l'aveva mai vista in quei termini.
Sotto i vestiti, i trucchi, le tinture per i capelli e le continue diete per evitare di diventare grassa e brutta, Jack sapeva cosa c'era. Conosceva quella ragazza più di quanto lui conoscesse sé stesso.
Il sole lanciò un raggio color porpora nella sua direzione e Jack pensò che era ora di tornare a casa. Si alzò e chiamò la bambina, che si precipitò da lui senza dire niente. Al contrario di sua madre, era piuttosto ubbidiente.
- Prendimi a cavalluccio, Jack… ti prego! - Chiese la bambina, aggrappandosi al suo braccio.
- Sono stanco adesso, tesoro. - Dise Jack.
- Dddaiiii…. - Chiese la bambina, con un sorriso luminoso come una piccola stella.
Jack si chinò cercando di trattenere un sorriso.
- Certo che sai proprio essere ruffiana! - Esclamò, prendendola sulle spalle.
Uscirono dal parco giochi e si fermarono in pizzeria; una cena veloce e poi di nuovo in macchina.
La bambina si era addormentata nel sedile del passeggero e Jack guidava lentamente, con la radio a volume basso, per non svegliarla.
I raggi del sole al tramonto continuavano a inondare l'aria di porpora e viola e Jack sospirò.
Quel giorno proprio ce l'aveva con lui: prima il pomeriggio terso e limpido, ora quel tramonto che aveva l'aria di non voler finire più, come se volesse dare uno spettacolo gratuito a tutti gli innamorati del modo. Mentre il pensiero di lei gli stava quasi strappando il cuore.
Quanto si sentiva solo, certe volte. Quando pensava alla sua adolescenza tanto felice, insieme agli amici, alle ragazze, assieme a sua sorella e assieme a lei, gli venivano le lacrime agli occhi.
Era sempre stato un tipo emotivo.
Una "femminuccia", come dicevano i suoi compagni di squadra quando aveva tredici anni.
Ma che ci poteva fare se a volte si sentiva solo…. così solo da provare panico?
C'erano stati altri con lui, quello era innegabile. Ma doveva aver avuto proprio un'aria stupida, assieme a loro. Non riusciva ad essere naturale più con nessuno.
Tutto per colpa sua. Perché lei gli mancava da impazzire.
Doug aveva resistito un anno e mezzo, ma poi non ce l'aveva fatta e se n'era andato.
"Non posso stare con un uomo che non pensa a me." Aveva detto quando aveva chiuso la porta dietro di sé, portandosi via le sue cose e quel po' di serenità che Jack era riuscito a conquistarsi.
Jack pensò che, dovunque lei fosse, doveva restituirgli i suoi pensieri. Doveva pur esserci un modo per lasciarlo andare.
"Lasciami andare - pensò - lasciami andare e potrò essere felice. Potrò dimenticare questa assurda nostalgia che mi assale a volte. Lascia che io ti dimentichi… Potrò essere un papà migliore per la tua bambina."
Arrivarono a casa e Jack prese la bambina in braccio per portarla nella sua stanza. Le mise il pigiama e le rimboccò le coperte. Stava per andare via, quando la bambina si svegliò.
- Jack, non andare via. - Disse.
- Shhh. Dormi adesso, è tardi. -
- Ti prego, stai qui con me un po'. -
- Tesoro, è tardissimo, facciamo domani. -
- Solo cinque minuti. -
Jack si sedette sul bordo del letto e le sorrise.
- Devi dirmi qualcosa? -
- Perché siamo andati a Capeside proprio oggi? -
- Perché volevo fare una gita. - Mentì Jack.
- Oggi è il giorno in cui è morta la mamma, vero? - Domandò la bambina, con serietà.
- Oh, Amy…. -
- Tu le volevi tanto bene, vero? -
- Tantissimo. -
- E anche lei ne voleva a te? -
- Sì, anche lei mi voleva tanto bene. -
- Eravate innamorati? -
- Probabilmente sì, l'amore è una cosa complicata, tesoro mio. -
- Ma io non sono la tua bambina ed è per questo che non vuoi essere chiamato papà. -
- Sì, infatti. -
- Ma la mamma si arrabbierebbe se ti chiamassi papà? -
- Non lo so, Amy. -
- A me piacerebbe. Io non so com'è avere un papà e nemmeno com'è avere una mamma. Ma se mi chiedessero di scambiarti con un papà o una mamma non vorrei fare cambio. -
Jack sorrise commosso alle parole di quella bambina: le posò un bacio sulla fronte e poi uscì dalla stanza, lasciando la porta socchiusa.
Si buttò sul divano, troppo sveglio per andare a letto.
Accese la televisione, ma non c'era niente che lo interessasse. Prima la giornata, poi il tramonto e adesso ci si metteva quella serata: una notte lunga, una "notte giovane", come si diceva quando era ancora un ragazzo e andava in giro a bere e a parlare fino a notte fonda con gli amici. La TV non lo stava aiutando, anzi, quel comico che diceva quanto era fastidiosa una moglie gli faceva solo tanta tristezza.
Jack spense la TV e andò nella sua stanza. Rovistando un po' sul fondo dell'armadio, trovò il vecchio album di fotografie di quando era ragazzo.
Un'affascinante ragazza bruna - Joey - e un tipo dalla faccia sveglia - Pacey - si tiravano i pop corn seduti sul divano di casa Witter. Mentre un giovanotto dal sorriso sognatore - Dawson - infilava una VHS nel videoregistratore. Poi c'era Andy, sua sorella, che sventolava la mano dalla finestra della loro casa. Doug, i genitori di Dawson, i suoi compagni di classe.
Poi c'era lei. Jen.
Con quel suo sorriso malizioso gli sorrideva, con una divisa da cheer-leader gialla e blu, seminascosta dietro i pompon sbarluccicanti.
Le foto si rincorrevano, così come i momenti.
Una foto, abbracciati, nel “loro posto”, al parco. Prima che le fontane dell’irrigazione partissero e inondassero vestiti, coperte e macchina fotografica.
Ben presto le lacrime che Jack aveva coraggiosamente trattenuto ruppero gli argini e una goccia d'acqua salata scivolò sulla sua guancia e cadde sulla pagina dell'album di fotografie.
Una deliziosa foto con Jen che teneva tra le braccia una bambina di qualche mese con un bell'abitino bianco gli stava davanti. Il sorriso della ragazza illuminava la foto e i suoi occhi azzurri guardavano la sua Amy come se volesse proteggerla da tutto il male del mondo. Accanto a lei, con un braccio sulle sue spalle e con un dito stretto nel pugno della piccola, c'era lui, il Jack McPhee di qualche anno prima.
Quando Jen era felice, stava bene, ed era appena diventata mamma.
Se un estraneo avesse guardato quella foto, non avrebbe avuto dubbi sul fatto che quei tre si volevano bene. Che si amavano si vedeva anche attraverso quel vecchio cartoncino.
Chissà, forse, se lei fosse stata in salute avrebbero vissuto tutti e tre assieme, proprio come una famiglia. In quel momento non sognava altro.
Quella Jen era così diversa dalla prima adolescente insoddisfatta e ribelle che aveva conosciuto, quella che aveva lasciato una scia di cuori spezzati e di ragazze infuriate nel liceo di una anonima cittadina. Era una creatura adorabile, dolce e affettuosa. Jack era felice di averla incrociata per la sua strada.
Sapeva che erano anime gemelle. Lui, che non ci aveva mai creduto, alla fine aveva dovuto arrendersi all'evidenza.
Erano come le due lancette di un orologio.
Se una delle due mancava, il tempo sembrava non passare mai.
Si asciugò gli occhi mentre un singhiozzo rompeva il silenzio della stanza. In quel momento, la porta si socchiuse. Un istante dopo Amy era accanto a lui sul letto.
- Perché piangi? - Chiese con gli occhi pieni di preoccupazione.
- Oh, Amy… mi manca tanto la tua mamma. - Disse lui cercando di sorriderle.
Amy gli gettò le braccia al collo e lo abbracciò stretto. Jack ricambiò l'abbraccio e pensò che, se pure Jen se n'era andata, aveva lasciato con lui quello che le era più caro.
Chissà se le arrivava il suo pensiero. Chissà se ne rideva, o se le faceva piacere.
Comunque fosse, lei gli era ancora accanto. Attraverso gli occhi di Amy… e magari attraverso i suoi occhi avrebbe potuto vedere di nuovo le lancette dell'orologio.
E il tempo avrebbe ricominciato a scorrere.























Questa storia faceva parte di un progetto di dodici song-fiction
basate sulle mie coppie preferite e su canzoni che mi avevano fatto pensare subito a loro quando le avevo sentite.
Rendendomi conto della mia assoluta imbranataggine a scrivere songfiction ho lasciato il progetto a metà
(ad un quarto, visto che ne ho scritte solo tre) e ho cambiato rotta.
Però riordinando l'hard disk le ho ritrovate e ho pensato che erano abbastanza carine
da essere pubblicate qui su Efp, se non altro per sentire cosa dice il resto della gente.
La canzone che ho scelto è "Il mio pensiero" di Ligabue, ma ovviamente l'avevate capito.
Dopo aver pubblicato Nel mio cuore (su Inu Yasha e Kagome) ho pensato che forse pure questa meritava di vedere la luce.
Resta solo da vedere se inserire anche la fanfiction Chameron che mi rimane... vedremo.

Grazie a tutti quelli che sono passati di qui, che recensiscano o meno:
è importante per mesapere che qualcuno si è fermato a leggere!

Flora

   
 
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