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Autore: confidentina    09/04/2008    6 recensioni
"Non è facile come sembra: essere capaci di abituarsi a qualcosa include anche l’essere capaci di cambiare un’abitudine e prenderne un’altra. Molti non sanno cogliere la differenza: un’abitudine non è qualcosa che ti porti dietro tutta la vita. Un’abitudine non è un lavoro: tu non sei conscio di essa. Se tu ne fossi consapevole, la questione sarebbe diversa. E se tu ne fossi consapevole, e se tu avessi quest’abitudine per un determinato motivo, non sarebbe più un’abitudine, per come la vede Draco. È diverso."
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Draco Malfoy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: Magnolia
Fandom: Harry Potter
Rating: PG13
Conteggio parole: 4764
Riassunto: "Non è facile come sembra: essere capaci di abituarsi a qualcosa include anche l’essere capaci di cambiare un’abitudine e prenderne un’altra. Molti non sanno cogliere la differenza: un’abitudine non è qualcosa che ti porti dietro tutta la vita. Un’abitudine non è un lavoro: tu non sei conscio di essa. Se tu ne fossi consapevole, la questione sarebbe diversa. E se tu ne fossi consapevole, e se tu avessi quest’abitudine per un determinato motivo, non sarebbe più un’abitudine, per come la vede Draco. È diverso."

Grazie tantissimissime a V. e N. che mi hanno beta-letto questa storia. Entrambi hanno contribuito al miglioramento di questo racconto e all'eliminazione di varie pecche. Non so proprio cosa farei senza di loro... (altre note sono alla fine di questa storia.)

Harry Potter bla bla non mi appartiene bla bla JK Rowling bla bla nessun fine di lucro bla bla sono povera in canna bla bla.



Magnolia





Your heartbeat is pulsing at night in your chest […]
I received your words from hospitals where you felt alone…
your words like smoke -- they made me sick, but they kept me warm

Il battito del tuo cuore pulsa nel tuo petto di notte […]
ho ricevuto le tue parole da ospedali dove ti sentivi solo…
le tue parole come fumo – mi facevano star male, ma mi tenevano al caldo



Draco è in bilico.

La sua cosa, come gli piace riferirsi all’abitudine che sta prendendo ultimamente, è piuttosto fastidiosa e gli impedisce di costruire rapporti sociali meno incasinati del solito, intento nel quale stava magnificamente riuscendo – almeno finché la cosa non si è presentata alla sua possibile porta di servizio, entrando non invitata e cambiando le sue maniere di relazionarsi alle persone. Indirettamente, per lo meno; le sue ossessioni non sono mai state particolarmente apprezzate o inapprezzate da nessuno, ma questa cosa. È diversa, perché al contrario delle sue altre stranezze, Draco la può ricollegare a una persona in particolare, e questo fatto lo disturba.

“Non è niente di grave,” si dice, mentre risistema per l’ennesima volta la pila di libri che si trova nello scaffale alla sua altezza. Draco odia doversi mettere su uno sgabello, o qualcosa del genere, per poter avere una buona visuale dei suoi libri. Ecco perché posiziona i suoi preferiti nel terzo scaffale a partire dall’alto, cioè il secondo a partire dal basso. Sotto gli scaffali c’è una serie di cassetti più o meno grandi che fanno bella mostra di pomelli dorati che vengono strofinati e puliti ogni settimana dagli elfi domestici. Draco torna a sistemare i suoi libri uno per uno, mentre cerca di non pensare alla sua cosa, senza riuscirci. Draco non lo ammetterà mai neanche con se stesso, perché finché uno non dà corda ad una cosa, questa non sarà mai vera. Reale. (O almeno, Draco cerca di convincersene, senza troppi risultati.)

Il punto è che ultimamente ha preso l’inutile abitudine di riposizionare i volumi delle sue collezioni. Non una, non due, ma plurime volte al giorno, senza orari particolari o una qualche forma di routine. Questa faccenda non gli piace, e desidera poter cambiare tutto ciò; non ci riesce, purtroppo, e ha preso confidenza con la biblioteca di casa sua, più di quanta ne avesse in precedenza. Sa alla perfezione dove sono posizionati ognuno dei libri che possiede; li ha tastati infinite volte, da quando era bambino e curioso fino a quando non è diventato un uomo ed è tornato al maniero per restarci. Ci sono voluti tre giorni prima che mettesse piede in una stanza che non fosse la sua camera da letto. Altri quattro prima che entrasse nella biblioteca, un tempo chiamato studio e sistemato a puntino per suo padre. Ora che non c’è più, Draco si può considerare piuttosto sfortunato: ha perso sia sua madre che suo padre relativamente presto, ma ha avuto un sacco di tempo per razionalizzare tutto ciò, così non ci pensa più di tanto. Ha ancora i loro dipinti ordinatamente esposti nei luoghi più probabili del suo maniero: uno, solo di Narcissa, è appeso nella sua stanza. L’altro è un ritratto di grandezza minore, ma più curato nei dettagli del paesaggio. È suo padre, ritto in piedi dietro ad una sedia vuota, un albero in fioritura dietro di lui, sorriso imperscrutabile e sopracciglio inarcato. Draco è particolarmente attaccato a questo particolare ritratto, perché ritiene che sia il più fedele alla persona originale. A volte torna a casa e non trova più Lucius nel quadro; non c’è problema, lo ritroverà sicuramente nel dipinto grande in sala da pranzo (in una delle sale da pranzo), quello sopra il camino (uno dei tanti camini sparsi nel maniero). Colui che ha eseguito quel particolare dipinto, Draco pensa, è stato attento soprattutto ai colori e alla luce. Le persone in sé sono quasi in secondo piano, e forse è per questo che a Lucius non è mai piaciuto. Narcissa, invece, lo adorava. Così come adorava avere delle poltroncine vicino al fuoco scoppiettante nel camino e i vasi sulle superfici lisce dei mobili; tutte cose che Draco ha messo via, da parte, gettato in un qualche scantinato o in soffitta. Draco si dice che è stato perché non voleva vedere più nulla che gli ricordasse il passato, ma sa di mentire. La vera ragione non la sa, e non ci tiene neanche un po’ a conoscerla.

Draco riporta la sua attenzione ai libri che sta maneggiando con cura. Gli sembra sempre che non siano perfettamente in ordine; è per questo che ha preso l’abitudine di impilarli uno sopra l’altro, su uno scaffale vuoto, e poi risistemarli in modo di poco diverso da quello precedente. È fastidioso e non lo rilassa. Sa che non lo rilassa perché sente sempre un vago senso di fastidio, mentre le sue braccia si tendono nello sforzo di spostare volumi grandi quasi quanto lui. Questo fastidio non è tanto relativo allo sforzo quanto al sapere di non dover fare detto sforzo. Ci sono incantesimi per cose come queste; Draco li conosce uno per uno, meglio di quanto conosca le proprie tasche. Ma c’è questa cosa, fastidiosa, che continua a fare la comparsa nei momenti peggiori e lo sta seriamente disturbando. Non facendo andare fuori di testa, quello no, ma continuando di questo passo, Draco non sa cos’altro pensare.

*

A volte Draco ha bisogno di prendersi una pausa. Una di quelle vere, in cui può rilassarsi e non pensare a quello da cui sta cercando di allontanarsi. Questo ‘a volte’, in realtà, significa ‘due volte in tutta la sua vita’. La prima, quando aveva sedici anni e non ne poteva più di tutto ciò che gli era capitato; la seconda, quando di anni ne aveva sette in più e non riusciva più a sopportare di vedere sua madre stesa su un letto d’ospedale, con gli occhi chiusi e il respiro leggero. Finché quel respiro non era sparito del tutto, e Draco si era sentito travolgere dalle vicende che si erano susseguite fino ad allora: la caduta, la malattia, le notti infinite passate accanto a un letto candido, la morte… tutte cose che gli erano sembrate sopportabili, prese una per una, ma che messe insieme e mescolate potevano essere letali.

E quindi Draco si può dire che sia abituato a questa cosa dell’allontanarsi e prendersi una pausa: questo è bene, perché le abitudini sono di fondamentale importanza. Draco sa che può suonare stupido, ma le abitudini sono le uniche cose di cui si può fidare. Se un’abitudine cambia, Draco può dare la colpa solo a se stesso: è lui l’unica persona che ha fatto partire l’abitudine, è lui l’unica persona a decidere che l’abitudine non funziona più così bene. Questo accade perché, di norma, le sue abitudini non includono la presenza di un’altra persona. E non ha mai avuto bisogno di accorgersi, finalmente, di una sua abitudine per poi decidere di eliminarla. Questa è un’abitudine a cui si è abituato nel silenzio della sua mente. Ha sognato tante volte di poter cancellare un’abitudine con il colpo di una bacchetta; ha pensato a lungo a come sarebbe il movimento del suo braccio, se potesse davvero compiere una magia del genere. Sarebbe sicuramente compiuto da solo, con l’unica presenza di un vaso di fiori e qualche bicchiere, chiuso in una stanza il cui accesso non sarebbe permesso a nessun altro. Draco non ama che ci siano troppe persone, nella sua vita. È per questo che, a volte, viene additato come scorbutico e maligno; la parte del ‘maligno’ sa di non meritarsela, ma sembra seguirlo ovunque vada. La tua fama ti precede, gli direbbe sogghignando Potter, ma Draco conosce Potter e si rende conto che sarebbe meglio non stare ad ascoltarlo; lo fa comunque, dicendosi che è perché gli piace ascoltare roba senza senso, una volta ogni tanto.

L’aggettivo ‘scorbutico’, in ogni caso, se lo merita in pieno. Draco non s’interessa alle altre persone, e non vede perché sforzarsi di trattarle bene: le persone possono essere ingombranti, e quando non si rendono conto di non essere le benvenute, si impicciano e intromettono e infastidiscono, tutte cose che non piacciono a Draco. Così pensa che sia meglio tenerle a distanza, alimentando in questo modo un discreto mormorio di sottofondo ogniqualvolta si ritrova a una festa di beneficenza del San Mungo. Draco non se ne preoccupa, e pensa solamente ad annuire quando fanno il suo nome durante i soliti, noiosissimi discorsi che si tengono durante questi momenti. Di solito la gente tende a ringraziare chi, anche se non lo si sopporta, fa qualcosa di buono e utile alla società o in campo medico. Draco fa parte dei ‘chi’ della seconda categoria.

Parlando del San Mungo. Draco, quando era bambino, a volte veniva portato a trovare e salutare compostamente un parente ricoverato in ospedale, o veniva portato all’inaugurazione di una nuova ala, costruzione e progetto finanziato da suo padre; in questi momenti, poteva, se fortunato, girovagare da solo per i corridoi dell’ospedale. Si è sempre stupito dell’abbondanza di fiori e vasi colorati, in contrasto rispetto ai muri bianchi e alle lenzuola altrettanto bianche impilate ordinatamente. Draco era libero di esplorare, salendo e scendendo lentamente le scale. Ancora oggi, quando si affretta a un’altra, banalissima riunione dell’amministrazione ospedaliera, si sofferma a guardare il corrimano in legno chiaro e a pensare a quanto poco sia cambiato da quando aveva sette anni.

*

Quando sua madre era ancora relativamente nuova alla sua stanza d’ospedale – anche se non se ne poteva rendere conto – Draco era solito portarle dei fiori. Non che pensasse l’avrebbero aiutata a risvegliarsi, certo che no. Draco era grande abbastanza da capire che cose insulse e banali come i fiori non l’avrebbero miracolosamente fatta stare meglio, in barba a tutto quello di cui i medici gli riempivano la testa e cercavano di convincerlo. Draco non era cinico. Non era neanche una persona cattiva. È solo che, a volte, ricordava la cura e l’amore con cui sua madre osservava i suoi fiori, quelli che teneva nei vasi e a cui effettuava incantesimi per mantenerli intatti e nel pieno della loro bellezza, e sentiva il bisogno di portargliene un po’, anche se sapeva che non se ne sarebbe mai resa conto.

Il fiore preferito di sua madre non era la rosa. Le rose non le si addicevano. Erano – sono – troppo intense per una persona dall’aspetto fragile come quello di sua madre. Draco non ha mai imparato troppo bene a chiamarla Narcissa, perché gli è sempre sembrato alquanto sbagliato. Sua madre non potrà mai essere Narcissa, ai suoi occhi e alle sue orecchie, semplicemente perché è cresciuto riferendosi a lei come a ‘sua madre’, e così continua ancora a pensarne. Quando Draco dà un nome a una persona, quel nome è per sempre. Suo padre è suo padre, sua madre è sua madre, il pezzente è il pezzente. Potter è Potter, e non sarà mai Harry. Draco è anche diventato una persona ligia al suo dovere. Non gli piace vedere gente sbrigativa che fa le cose meramente per trascorrere il tempo. Draco è dedito al suo lavoro, gli piace, ama il concetto stesso di Medimago: è per questo che non si lamenta mai quando gli chiedono di rimanere oltre il suo turno di lavoro, perché tornare a casa significa semplicemente leggere libri (ultimamente la parte sul leggere è diventata sistemare) e aspettare che la testa di Pansy sbuchi dal camino rimproverandogli qualcosa. Anche questa è denominata routine, a casa di Draco. Draco è lieto di averne una: non sa cosa farebbe senza la sua routine e le sue abitudini.

In realtà, Draco non ha mai saputo quale fosse il fiore preferito di sua madre – Narcissa, si leggeva sulla targhetta della porta che dava alla sua stanza. Narcissa Malfoy. Sua madre non glielo aveva mai detto, né lui si è sentito autorizzato a chiederglielo. Draco stimava e amava sua madre, ma non si è mai sentito abbastanza qualcosa da potersi permettere di chiedere. Sua madre è sempre stata vicina, gli ha sempre voluto bene, ma a volte Draco si chiede se non abbia fallito nel suo ruolo di figlio. Devoto, lo è sempre stato: di questo non ha alcun dubbio. Ma a volte si permette di chiedersi, come non ha mai fatto in precedenza, se non abbia ecceduto nei suoi sforzi. Ora non ha più alcun motivo di scervellarsi dietro a queste banalità, in confronto a ciò che ora maneggia – documenti importanti, centinaia di persone sotto il suo servizio, un conto alla Gringott sviluppatosi quasi da solo – ma queste banalità sono le stesse che lo hanno aiutato a portarlo fin dove è ora. Draco si fida dei propri istinti, delle proprie scelte, ma volte si chiede se non abbia sbagliato qualcosa, in mezzo a tutto il casino che era la sua vita.

*

Uno dei momenti migliori della sua vita, Draco ne è cosciente, è quando Pansy gli regala dei guanti di velluto. Pansy è perfettamente al corrente dell’odio profondo che Draco nutre per il velluto; non è il materiale in sé a infastidirlo, perché Draco si trova a suo agio con vestiario in velluto, ma più i ricordi a cui ricollega il velluto. (Ricordi che ormai stanno iniziando a fare meno male, Draco cerca di convincersi; i risultati sono scarsi e poco significativi.)
Pansy glieli ha porti, inarcando un sopracciglio e sbottando: “È ora che tu impari a superare i tuoi problemi”, come se fosse facile. Pansy sembra essere imperturbabile. Draco la invidia, in un certo qual modo. Non è bella, non lo è mai stata; ha sempre avuto una scorza troppo dura per essere veramente ammirata, ma Draco la rispetta e la stima. Pansy ha saputo fare grandi cose senza che nessuno l’avesse mai notato, e questo è già di per sé degno di nota. Quei guanti sono diventati i suoi preferiti: è per questo che non li indossa mai, ma li tiene chiusi in un comodino vicino al suo letto. Pansy sa anche questo, e non gli ha mai chiesto nulla al riguardo. Draco si chiede anche come sia stato tanto fortunato da avere Pansy come migliore amica: non sa proprio cosa farebbe senza di lei. Forse cadrebbe a pezzi.

Uno dei momenti più significativi della sua vita – da non confondere assolutamente con i momenti migliori – è quando Draco viene a sapere da un pezzo di pergamena che sua madre è morta. Giura di aver trattenuto il respiro per un lasso di tempo incredibile: la verità è che non gli interessa più giurare o non giurare, fintantoché non ricorda niente di niente di quella sera. Ricorda di essersi ubriacato, dopo mesi senza alcol. O almeno, crede di aver bevuto: si è risvegliato il giorno dopo con un mal di testa lancinante e qualche bottiglia di Whisky Incendiario vuota accanto a lui, mentre era mezzo-steso a terra in una posizione onestamente scomoda e la testa appoggiata alla scrivania nella sua stanza da letto.

*

All’inizio, quando ci si deve ancora abituare al buio e al restare chiusi in casa per settimane, è difficile: non tanto per la solitudine o per qualche altra cosa difficilmente riconducibile al carattere di Draco, ma quanto per la sensazione di chiuso che lo attanaglia. All’inizio ci si sente un po’ tutti male. Ci si deve abituare a camminare poco, vedere sempre le stesse cose, respirare aria meno pura del mondo fuori dalle mura di casa tua. Però si riesce sempre ad abituarsi. Essere capaci di questo, agli occhi di Draco, è un pregio insostituibile. Non è facile come sembra: essere capaci di abituarsi a qualcosa include anche l’essere capaci di cambiare un’abitudine e prenderne un’altra. Molti non sanno cogliere la differenza: un’abitudine non è qualcosa che ti porti dietro tutta la vita. Un’abitudine non è un lavoro: tu non sei conscio di essa. Se tu ne fossi consapevole, la questione sarebbe diversa. E se tu ne fossi consapevole, e se tu avessi quest’abitudine per un determinato motivo, non sarebbe più un’abitudine, per come la vede Draco. È diverso.
A Draco non piace prendere delle etichette. Questa è una sua abitudine. Non gli è mai piaciuto, né in passato né ora, ma non sa se quest’opinione cambierà. Se cambierà, non sarà perché lui lo ha voluto: sarà a causa di molteplici fattori, non la sola volontà di un mago.
A Draco non piace Harry Potter: non è un’abitudine, questa. Non lo è mai stata, non lo è e non lo sarà mai. È qualcosa che si è imposto, ci ha creduto così tanto da farla diventare parte della sua routine: si alza, si veste, si lava, odia Potter, fa colazione, va in ufficio, odia Potter, finisce il suo turno, odia Potter, torna a casa, mangia, legge, odia Potter, va a dormire.
E quindi si può ben dire che la routine di Draco è un misto di abitudini e di odii.

Draco non ha sempre odiato Harry Potter. Non importa cosa gli altri pensino e dicano, Draco non lo ha sempre odiato. Quello che provava per il personaggio di Harry Potter era titubanza e rancore fomentato da ciò che i suoi genitori gli avevano detto. Quello che provava per la persona Harry Potter era disprezzo e rancore fomentato dai gesti di Harry Potter.
Ora non c’è più nessun Harry Potter, nella vita di Draco. A volte appare Potter, Auror ferito dagli scontri, al San Mungo. Draco lo incrocia, lo saluta e lo odia un po’ di più.

Draco cataloga le cose a modo suo. Ci sono le abitudini secondo Draco, e le abitudini secondo il resto del mondo. Questa non è, effettivamente, la definizione giusta di ciò che è perfettamente chiaro nella sua mente. A volta la gente si confonde così facilmente, che Draco si dimentica del vero scopo della sua differenziazione.
In parole povere, il fulcro della questione è questo: Draco non ama dare etichette, e non ama essere etichettato. Draco parla con se stesso di abitudini quasi ogni giorno, ormai, tanto spesso che questa sua fissazione potrebbe essere chiamata abitudine. Ma abitudine non è, o perlomeno, non secondo Draco. Draco ha un sacco di cose a cui pensa che terminano in ‘…secondo Draco’. Pensa, sempre fra sé e sé, che serva a differenziare.
Un’altra parola di cui Draco ha un proprio significato è differenziare: nel suo vocabolario, significa solamente ‘Draco diverso dal resto del mondo.’ Il suo modo di chiedersi e rispondersi da solo ha limitato il suo avvicinamento al resto del mondo e lo sviluppo della differenziazione della parola ‘differenziare’. In un certo qual senso, Draco ne è orgoglioso: non pensa che il resto del mondo sia preso a piccole dispute fra un Draco e l’altro, senza che nessuno se ne accorga. Questo lo fa sentire unico, protetto com’è dal silenzio in cui opera laboriosamente.

Quando Draco si sveglia, di solito la testa fa male, e sembra star per scoppiare da un momento all’altro. Questo succede spesso, quasi sempre, da così tanto tempo che ormai ci è abituato, in un certo qual modo. Draco pensa che la sensazione spiacevole siano tutti i sogni che stava sognando ma che poi ha smesso di sognare una volta sveglio. Le prime volte che è successo, Draco non ci ha fatto caso. Svegliarsi tranquillo e riposato non è mai stato contemplato nei suoi piani di vita.
Draco non ama doversi spiegare i propri atteggiamenti. Ha già da riferire molte altre cose a molte altre persone: dare troppe spiegazioni è controproducente, e così si limita e cerca di convivere con le stranezze che fanno delle sue giornate qualcosa di più di –



Our lips were cold as clay, we couldn't speak anyway
Save me, I am swallowed by the guilt of this

Le nostre labbra erano fredde come se fossero state argilla, non potevamo comunque parlare
Salvami, la colpevolezza di ciò mi sta inghiottendo



Draco non si sta nascondendo. Non lo sta facendo, lo giurerebbe se ci fosse qualcosa su cui giurare. Si sta semplicemente riposando, chiuso nel suo ufficio, non rispondendo a nessuno dei gufi che stanno insistentemente beccando contro le vetrate dietro la sua scrivania, e ignorando le notifiche che gli sono arrivate – gli stanno arrivando – via camino e stanno apparendo, impilandosi ordinatamente, su bracciolo della poltroncina su cui è attualmente seduto. A volte gli piace prendersi una pausa da tutto ciò che incombe su di lui. Non è nato perfetto, non lo sarà mai. Non è capace di aggiustare qualsiasi cosa.

È per questo che, quando qualcuno bussa alla porta ed entra senza avere aspettato il permesso (che Draco non gli avrebbe comunque concesso), il sopracciglio di Draco si inarca. Potter non è esattamente l’ultima persona che si aspetterebbe di trovarsi nel suo ufficio. Lo ha visto, in passato. È passato di qui, per burocrazia e cose del genere, e soprattutto quando non c’era nessun altro tranne che Draco abbastanza preparato da poterlo aiutare, in un qualche modo. (A Draco non piace pensare al passato. Il passato è qualcosa di già accaduto. Il passato è qualcosa che custodisce nel suo Pensatoio, al riparo da sguardi indiscreti. Draco non si permette di guardare nel suo Pensatoio troppo spesso: le volte che lo ha fatto si possono contare sulle dita di una mano, e se ne è pentito ogni singola volta.)

Draco potrebbe chiedere, “Che piacere vederti. Cosa ti porta fin qui?”, o potrebbe dire, “Al momento sono occupato, potresti ripassare più tardi?”, ma quello che fa davvero è semplicemente annuire, in un certo qual senso, e con un leggero movimento della bacchetta fa apparire due tazze di caffè scuro bollente. Ne offre una a Potter.

Draco non parla spesso. Draco pensa, Draco rimugina, ma Draco non parla. Non chiacchiera e non bisbiglia. Draco ha imparato a elaborare i propri pensieri in modo tale da non aver bisogno di pronunciare parole. Draco è un grande ammiratore del pensiero scritto, ma ancora di più di quello pensato. Parlare gli sembra un inutile spreco di tempo, e l’eco che risuona è sempre controproducente.

Draco non ha intenzione di lasciarsi andare. Non lo ha voluto per gli ultimi dieci anni e non lo farà di sicuro ora. Draco sa che niente è cambiato, negli ultimi tre giorni (settimane e mesi e anni, preciserebbe Pansy. Dieci anni, Draco, dieci anni e ancora non vuoi cambiare?). Sa che non è cambiato, ma non può fare a meno di notare più cose, ora. Cose come i graffi che prima non c’erano e ora sono sul suo corpo. Draco non sa come se li sia procurati e non si preoccupa di scoprirlo. Ha altre cose a cui pensare, cose più importanti e degne della sua attenzione. Ne è profondamente convinto. Assolutamente.


When you were young you kept a list of the things […]
I've known you in every life I've lived -- yeah, I'm still a kid, even though I'm colder
(we can wake up home again, come over, come over)

Quando eri giovane tenevi una lista delle cose […]
Ti ho conosciuto in ogni vita che ho vissuto – sì, sono ancora un ragazzino, anche se sono più freddo
(possiamo risvegliarci di nuovo a casa, vieni qui, vieni qui)



Non si è addormentato, eppure la sensazione che lo avvolge assomiglia a quella che prova nel passaggio dal sonno alla veglia. Lo intorpidisce e al contempo cerca di scuoterlo (sembra sollecitarlo ad alzarsi una volta per tutte). Draco sa di non essersi addormentato. Se lo avesse fatto, se ne sarebbe accorto. Ci sarebbe un buco nei suoi ricordi, ma non uno dei buchi provocati da un incantesimo di memoria eseguito male, ma uno di quelli che ci si crea inconsciamente. Draco sa tutto questo, ne è al corrente, ma non può fare a meno di sentirsi un po’ come se si fosse rigenerato dopo un lungo, lungo sonno e non volesse far altro che tornare a dormire, ma sa di non potere. Draco sa tutte queste cose e non le respinge. Sa anche che è meglio lasciarsi trascinare dalle cose così come sono, ed è per questo motivo che non si muove, ma si limita a socchiudere (piano, piano) le palpebre, cominciando a scandagliare la stanza in cui si trova. Non riesce a vedere bene le cose, e viene colto da un (silenzioso) momento di panico, acuito soprattutto dalla mancanza di rumore. Poi si rilassa, notando il bagliore della luna (attraverso i sottili vetri delle finestre senza tendine), leggero e semi nascosto dal gigantesco armadio o qualcosa di simile. Non è appoggiato a una parete, ma è stato posizionato quasi in modo da impedire la visuale dell’altra parte della stanza. Quello da cui Draco ha notato la luce è uno spiraglio. Draco è sempre stato bravo a notare cose.

Draco si sveglia all’improvviso e la prima cosa che nota è il peso caldo e familiare sul suo petto. Non osa aprire gli occhi per scoprire chi sia. Draco è ormai abituato a questi risvegli improvvisi e non orchestrati o progettati. (La sensazione di spiazzamento sta cominciando a non presentarsi neanche più.) Draco è abituato a non-ricordare bene chi sia o cosa ci faccia qui e perché non sia da qualche parte e perché i suoi ricordi siano mischiati e confusi, perché è esattamente il modo in cui si sveglia ogni giorno. Draco non cerca di spostarsi, perché è una di quelle cose che ha imparato a non fare. Non-ricordare è una parola valida solo per certi versi; in ogni caso, Draco riesce sempre, istintivamente, a crogiolarsi nel poco che ricorda e a sfruttarlo al meglio, cercando di non destare sospetti. (Draco non vede mai gli sguardi tristi che gli rivolgono Pansy e Harry. Draco non li vuole vedere, e per questo non li vede. Non-ricordare è una gran bella cosa, diciamolo.) Draco non si muove perché sa che il peso morto ha avuto un giorno stancante e ha bisogno di tutto il riposo che può ottenere. Draco respira profondamente, poi cerca di riaddormentarsi. (Non ci riesce.)


(Terrified of what’s inside) to save his life he crawls like a worm from a bird

(Terrorizzato da ciò che è dentro) per salvarsi la vita striscia come un verme da un uccellino



Draco si solleva di botto dal materasso su cui era steso poco fa, il respiro affannato e gli occhi spalancati. (Occhi che non ricorda simili a come li ha appena sognati. Draco ha paura.) Draco ha avuto (ha ancora) un momento di intenso terrore, uno di quelli simili a quando aveva pochi anni e viveva ancora sotto lo stesso tetto dei suoi genitori. E aveva incubi. (Però questa paura è accentuata dalla solitudine, Draco aggiungerebbe, se non stesse tremando.) Prende vari, calcolati respiri profondi, e si guarda intorno spaventato.
Nonostante tutto. Nonostante tutto, vuole tornare a dormire.


We can turn our backs on the past and start over…

Possiamo voltare le spalle al passato e ricominciare da capo…

(Un giorno si addormenterà e riuscirà a risvegliarsi tranquillo come non è mai stato in vita sua. Ci sarà Harry – non Potter, ci sarà Harry, Harry senza alcuna cicatrice in fronte –, ci sarà il matrimonio felice di chiunque voglia sposarsi quel giorno, ci saranno scherzi, risate, cieli tersi e bambini sorridenti. Non ci sarà pioggia e nessuno sarà addolorato, nessuno avrà il permesso di litigare, Fred e George saranno ancora Fred-e-George, e vi sarà un finale felice per tutti. Anche per Draco.)


(Draco ottiene sempre quello che vuole, dice Pansy sicura. Il suo sguardo è fiero e feroce e tutto quello che Harry vorrebbe diventare.)


We might live like never before…
When there's nothing to give
Well how can we ask for more?


Potremmo vivere come mai prima…
Quando non c’è niente da dare
Be’, come possiamo chiedere di più?



La prima volta che lo nota non è la prima volta che accade; la prima volta che accade, Draco non ne è consapevole, e questo è assolutamente comprensibile. Draco è steso su un divano, la gambe ripiegate e il capo inclinato verso il camino del soggiorno. Sente un fastidioso prurito nella zona circostante il suo polso, ma non si muove perché sta cercando di rimanere silenzioso e quieto abbastanza da non svegliare il peso morto che è affondato nell’altro lato del divano, ancora con la giacca addosso e la sciarpa allentata. Parlando del peso morto, le scarpe se le è a malapena tolte e si è immediatamente buttato sulla prima superficie comoda nei paraggi; di norma Draco ne sarebbe infastidito, ma questa volta, solo questa volta, lascia correre, e decide di non punzecchiarlo in seguito per ciò. Il soggiorno è silenzioso e il respiro profondo di Harry è l’unico rumore che si sente. Draco è sveglio. (Sorride.)





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Nota: i versi che vengono citati nella storia sono, in ordine di apparizione, appartenenti a:

1) Magnolia, The Hush Sound
2) A dark congregation, The Hush Sound
3) One day, robots will cry, Cobra Starship
4) The bird and the worm, The Used
5) The world has its shine (but I would drop it on a dime), Cobra Starship
6) Delicate, Damien Rice


Fangs up, gente!

  
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