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Autore: Shane_666    18/10/2013    0 recensioni
L'orologio segnava le 23.59 c'ero quasi, ma non capivo il perché, ad un certo punto le gambe iniziarono a farmi giacomo-giacomo, gli occhi pesanti e la schiena iniziò a curvarsi, stavo per cadere, ma perché?
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Una serata

Rimembro di una sera, dove regnava caldo afoso d'estate, quel caldo che ti fa sudare, ma quel sudore è piacevole perché è l'unica fonte acquosa che ti mantiene umido e fresco il viso.

In mano tenevo un bicchiere d'acqua, con quattro cubetti di ghiaccio all'interno, ed ero tutta presa a capire che strano percorso facevano le goccioline, l'acqua colava delicata ma decisa lungo il bicchiere fino ad andare a morire sul tavolino, e quell'alone d'acqua era l'unica cosa che davvero mi ricordava che c'era vita dietro alle mie spalle, che non esistevo solo io, mi ero talmente persa nei miei pensieri che avevo addirittura perso la concezione del tempo e dello spazio.
Il barista mi stava chiamando, da chissà quanto tempo, la sua fronte era corrugata e sembrava molto scocciato, l'imbarazzo e il rossore sulle mie guance erano visibili come il mercurio in un termometro nell'acqua bollente, non sapevo bene che cosa stavo facendo, ma presi il bicchiere lo poggiai sul bancone e me ne andai frettolosa, ma prima di fuggire diedi un ultimo sguardo fugace al bicchiere, le mie dita avevano distrutto quel disegno complesso, ma anche così non era male, se non fosse che le mie impronte erano rimaste lì, non mi andava di lasciare in quel posto una parte di me.

Era sera, non sapevo bene dove andare.
Non capitava molto spesso che una ragazza si trovasse in una grande città come Wert tutta sola di sera.

Mi ritenevo una "fuggitiva", avevo solo qualche soldo in tasca e nulla più.
Il pomeriggio stesso avevo preso l'aereo ed ero giunta fino a Wert.


"Potevo scegliere un posto migliore però!"

Dissi tra me e me, ma avevo fretta di lasciare la mia vecchia vita, ora nessuno mi conosceva e potevo nascondere il mio passato e diventare una nuova persona, diventare un persona migliore.

Fortunatamente quella sera non faceva freddo, indossavo solo una cannottiera bianca di cotone con le spalle incrociate e stampato un cuore, un paio di pantaloncini corti che lasciavano scoperte le cosce, ed infine un berretto da rapper rosso con una "T" verde e i contorni neri, ma in ogni caso, dovevo trovare un posto per passere le poche ore che mi dividevano dal giorno nuovo.

"Una panchina forse?"

"Certo, e già che ci siamo cerco una panchina al parco!

Ecco, stavo iniziando con i miei soliti discorsi mentali, questa cosa non poteva continuare a lungo, dovevo darmi un limite, non potevo passare tutta la mia vita a relazionarmi con quella che stava dentro di me, non sapevo nemmeno a chi mi rivolgevo!

Con la mia anima?
Con il mio cervello?
O forse con le ossa del braccio destro?

Potevo parlare con qualsiasi cosa, bastava che il discorso si svolgesse all'interno di me.

"Beh, nel frattempo che ti chiarisci le idee che ne dici se muovi uno alla volta i tuoi piedini? Cammina muoviti!"

Ok, ora era troppo!
Persino la "cosa" dentro di me pretendeva di comandare a bacchetta la mia vita, non potevo farmi comandare dal "nulla"!

Mi resi conto che stavo facendo la figura della stupida, ero ferma immobile sul marciapiede a guardare per terra...

Iniziai a correre.
Mi sembrava tanto un film d'amore, dove a rallentatore il braccio destro e quello sinistro si muovono contemporaneamente uno avanti e l'altro indietro per tenere il ritmo della corsa.

Alla fine, come sarcasticamente la "cosa" aveva previsto, mi ritrovai in un parco, era bello, molto bello, sembrava fatato, ma non capivo, sembrava un posto poco frequentato, mi sembrava di avere scoperto la Luna, mi sembrava un luogo che veniva conosciuto da me per la prima volta, non avevo più motivo di correre, l'informazione dal cervello corse alla velocità della luce sino ai muscoli delle gambe che si bloccarono e come un robot dalla corsa scattai d'un colpo alla camminata tranquilla, questa cosa mi traumatizza sempre, non capivo ancora come riuscivo a fare certe cose e non saperle controllare.

Il nuovo giorno stava arrivando, e io come al mio solito mi ero persa nelle mie riflessioni.

In vita mia non sono mai riuscita a vedere l'alba, o perché dormivo pacificamente, il che capita raramente, o appunto per il fatto che mi perdevo nel mio mondo personale.

Il mio orologio faceva le 23.58, c'eravamo quasi, la mezzanotte stava arrivando.

...
...
...

Che cosa stava succedendo?

Uno strano formicolio mi assalì, come se fosse energia pura, una scarica elettrica, una sensazione mai provata prima d'ora, sarà stata l'emozione?

L'orologio segnava le 23.59, c'ero quasi, ma non capivo il perché, ad un certo punto le gambe iniziarono a farmi giacomo-giacomo, gli occhi pesanti e la schiena iniziò a curvarsi, stavo per cadere, ma perché?

La mia bocca...

Umida, sentivo del ferro in bocca, ma cos'era?

La aprii, ed uscì sangue, che cosa mi stava succedendo?

Questa non era più emozione, cercai di domandare alla "cosa" dentro di me di che si trattava, ma non la trovai più, era sparita, era andata via, ma perché?
Dov'era?

Perché era in ginocchio sull'asfalto nel bel mezzo del parco?

La panchina...

Eccola, era di fianco a me, ma il mio braccio non si muoveva.
Le mie dita, non avevo più il comando del mio corpo, cercai di fare promemoria e di tornare in dietro per quello che potevo ricordarmi.

...
...
...

Un colpo, un rumore strano, come...

"Oh mio Dio..."

"Come..."

"Come uno sparo, ma certo!"

La mia schiena era umida.
Sento qualcosa premere.

Un proiettile, forse.
Ma di chi?
Ma perché?

Chi averebbe potuto volermi così tanto male da impedirmi di realizzare il mio sogno?

Chi?

La mia testa si rifiutava di muoversi.

Un torfo secco.
Il mio corpo sull'asfalto, non ero mai caduta così pesantemente.

Eppure quel parco era così affascinante, forse non ero degna di calpestare quel terreno, forse quella era la mia punizione per aver peccato.

Ormai c'eravamo quasi, vedevo la morte che stava arrivando.
Apre le sue scure braccia e con un ghigno stà lì, seduta ferma attendendo che io esali il mio ultimo respiro.

"Vorrei solo vivere fino all'arrivo della mezzanotte e vedere l'alba".

Tutti prima di morire hanno diritto ad un ultimo desiderio, no?

Ma io probabilmente non ne ero degna.

Le mie palpebre fissavano la panchina e poi si chiusero, in sincrono la mia bocca sorrideva, e il sangue scorreva sporcando il terreno, la mia maglia era completamente rovinata, zuppa, ma a nessuno poteva importare poi molto.

Ero già morta?

No, prima l'ultimo respiro, preferivo andare via a modo mio però, dato che ero completamente immobile e insensibile, sprofondai nei miei pensieri trattenendo il respiro.

Se dovevo lasciare tutto, dovevo farlo a modo mio però.
La morte non avrà la soddisfazione di vedermi soffrire, quello è il suo lavoro, ma quello non era il mio momento.

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