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Autore: _Agata_    19/10/2013    2 recensioni
Il silenzio come forma di protesta.
I suoi genitori la spedivano al mare con gli zii, gli zii la spedivano in spiaggia da sola, il ragazzo che le piaceva andava puntualmente ad infrattarsi [...], e le sue amiche passavano il tempo a lamentarsi dei loro guai senza dare a lei il tempo di parlare dei suoi.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Era opinione diffusa fra gli insegnanti della sua scuola che Alessandra avesse subito un qualche trauma durante l'estate; altrimenti, non avrebbero saputo spiegarsi come mai la ragazza, all'inizio dell'anno scolastico, avesse di punto in bianco smesso di parlare.

Certo, non avevano escluso a priori la possibilità di qualche lesione organica, ed avevano quindi immediatamente convocato i genitori della ragazza per segnalare loro questo comportamento bizzarro. I due si erano molto allarmati per questa inattesa notizia, e vergognati immediatamente dopo per non essersene accorti loro per primi. Avevano prenotato con la massima urgenza le visite da tutti gli specialisti del caso: otorinolaringoiatra, logopedista, foniatra; niente di fatto, nessuna causa organica rilevabile.

Anche i genitori avevano quindi sposato l'ipotesi del trauma durante le vacanze: è stata al mare con gli zii, che mai potrà essere successo? Erano più che sicuri che prima di partire parlasse normalmente, quindi era necessariamente successo qualcosa al mare. Ma anche gli zii non si erano accorti di nulla, e garantivano oltre ogni ragionevole dubbio che mentre era con loro la ragazza parlasse normalmente.

Non senza qualche perplessità, Alessandra era stata mandata da uno psicoterapeuta; approccio scartato dopo qualche seduta, dato che oltre a non parlare, con il medico rifiutava di comunicare in qualsiasi modo.

Ebbene, dopo qualche mese di tentativi infruttuosi, il conciliabolo riunito di insegnanti, genitori, zii e parenti tutti avevano deciso che, dopo tutto, andava bene così.

"Oddio, proprio bene bene no," raccontava mamma Elisa alle amiche con cui prendeva il té al bar all'angolo, "ma con le cose che si sentono oggigiorno... poteva andare molto peggio... Dopotutto, sta bene... Almeno non si droga..."

Il padre era più pragmatico:

"Prima o poi le verrà a far male la mano, e allora ricomincerà a parlare... è un capriccio da adolescende, non bisogna darle corda, non bisogna farci caso. Far finta che sia normale, ecco cosa bisogna fare; farle vedere che non ci preoccupiamo. Così si stancherà da sola di questa farsa."

I compagni di classe, dal canto loro, per diversi giorni si erano divertiti a prenderla in giro con frasi poco originali: il gatto ti ha mangiato la lingua, a furia di strillare come un'oca hai perso la voce; poi erano passati alle provocazioni, quindi alle offese; vedendo che lei non reagiva a nessuna di queste, alla fine si erano stancati ed avevano iniziato ad ignorarla.

La preoccupazione degli insegnanti, invece, era passata in fretta. Quando avevano visto che la ragazza seguiva le lezioni, prendeva appunti, faceva i compiti a casa, aveva buoni risultati nei compiti in classe, avevano concluso che non poteva avere nulla di grave.

"Quando uno studente ha dei problemi," aveva asserito il prof. Neri, docente di matematica dal dopoguerra o poco dopo (così lo canzonavano i suoi studenti, e anche qualche collega ridacchiava sotto i baffi), "la prima cosa che soffre è lo studio; se Alessandra va bene a scuola, vuol dire che problemi non ne ha."

No, Alessandra non aveva disfunzioni organiche, e no, non aveva subito traumi durante le vacanze al mare con gli zii. Solo che ce l'aveva col mondo. Le sembrava che nessuno la ascolasse, che nessuno facesse caso a quello che avrebbe voluto, che nessuno avesse voglia di stare a sentire quello che le passava per la testa, che tutto quello che diceva venisse liquidato con noncuranza. I suoi genitori la spedivano al mare con gli zii, gli zii la spedivano in spiaggia da sola, il ragazzo che le piaceva andava puntualmente ad infrattarsi con la troietta di turno, e le sue amiche passavano il tempo a lamentarsi dei loro guai senza dare a lei il tempo di parlare dei suoi. Allora, aveva deciso, non avrebbe detto più nulla. E risoluta nel suo proposito, così aveva fatto.

Le settimane passavano e lei rimaneva arroccata nel suo silenzio, ostinatamente muta. I genitori e gli insegnanti ci avevano fatto l'abitudine, i compagni la ignoravano. Questo naturalmente non faceva che fomentare la sua stizza, la sua rabbia, il suo risentimento, la sua frustrazione; e questi andavano a rafforzare la sua presa di posizione: perché mai doveva prendersi il disturbo di parlare con chi non ne voleva sapere nulla di ascoltarla? Perché avrebbe dovuto sprecare fiato? No, piuttosto se ne sarebbe rimasta sola, mostrando al mondo lo sdegno e il disprezzo.

Rifuggendo la compagnia, e dovendo pur fare qualcosa nel tempo libero dalla scuola, Alessandra iniziò a leggere. Dapprima riprese in mano i fumetti che leggeva da piccola; poi si cimentò in qualcosa di un po' più impegnativo: harmony e libri per ragazzi; quindi passò agli autori contemporanei, ed infine a qualche pezzo di letteratura, certo non la Divina Commedia, ma il Boccaccio perché no?

Non le piaceva leggere in biblioteca, era un posto per secchioni quello, e lei secchiona non era; e non le piaceva leggere in casa, suo fratello era perennemente piantato davanti alla televisione a guardare i cartoni animati e le dava sui nervi. Sarebbe andata al parco, se la stagione fosse stata clemente, ma era quasi novembre e fuori faceva un freddo dannato, oltre a piovere un giorno sì e l'altro pure. Aveva valutato la possibilità di fare come Bastiano (era quasi arrivata a considerare degli amici i personaggi dei libri) e rifugiarsi nella soffitta della scuola, ma non poteva sopportare la polvere, e poi lei non aveva rubato nulla. Prese così a frequentare un locale non lontano da casa, con una piccola saletta poco frequentata al piano superiore e comodi divanetti; prendeva una cioccolata calda o un té, sempre in silenzio, e andava di sopra, dove passava tutto il pomeriggio. Lì c'era solo ed immancabilmente un'anziana signora intenta a fare la calza (o qualche altro lavoro col filo, non ci capiva granché), che la salutava con un cenno quando arrivava e quando se ne andava, senza mai proferir parola.

Vennero le vacanze natalizie, ed Alessandra rimaneva in silenzio; nessuno ci faceva più nemmeno caso. Durante il cenone alla vigilia di Natale, tutto ciò che le venne detto fu "ma quanto sei cresciuta, come ti sei fatta bella!" e "auguroni tesoro!"; nient'altro. Sembravano essersi dimenticati di lei, sembrava che per il fatto di non parlare avesse praticamente smesso di esistere. Passò la notte a piangere in silenzio sul cuscino, la mattina a dormire, ed il pomeriggio del giorno dopo scappò nuovamente nel "suo" locale nella speranza che fosse aperto. Un cartello "torno subito" vergato in fretta a pennarello nero era appiccicato con lo scotch al vetro della porta, ma quando con scarsa convinzione provò a spingerla, quella si aprì, ed Alessandra salì rapida al primo piano.

Pensava che quel giorno sarebbe stata completamente sola, ed invece la vecchina era lì. Per la prima volta in quei mesi, la ragazza le prestò più attenzione che ad un elemento dell'arredo: era una signora minuta, con il viso grinzoso e i capelli bianchi raccolti in una treccia; quel giorno indossava un abito rosso scuro, uno scialle marrone con le frange, ed un paio di babbucce da casa; e le sorrideva con un sorriso sdentato, ma dolce. Alessandra ricambiò il sorriso, poi si sedette a leggere. Non continuò molto, tuttavia; non riusciva a non pensare alla sera prima, si sentiva umiliata, offesa, irrequieta, voleva farla pagare a tutti per il disinteresse che le mostravano, ma cosa poteva fare? Non l'avevano ascoltata quando parlava, non l'avevano ascoltata quando taceva, che altro poteva fare, buttarsi sotto ad un tram? Prese dapprima a torcersi le mani, poi ad agitarsi sul divanetto, infine non riuscì più nemmeno a rimanere seduta e si mise a girare per la stanza come un animale in gabbia.

Che cosa doveva fare perché si accorgessero di lei? Doveva fare qualche colpo di testa, magari ammazzare qualcuno? Allora sì che l'avrebbero ascoltata, sarebbero arrivati giornali e televisioni a chiedere un'intervista esclusiva! Allora sì che si sarebbe fatta sentire, che avrebbe potuto gridare al mondo tutta la sua rabbia e tutte le ingiustizie! Allora sì che l'avrebbero considerata! Ma che schifo di mondo poteva essere quello in cui per farti ascoltare dalle persone che dovrebbero volerti bene devi combinarla tanto grossa da finire sulla cronaca... Che razza di sordida cloaca, e poi ci si meraviglia che i giovani fumano si ubriacano si fanno di tutte le porcherie possibili, e poi guidano e fanno un incidente e fanno fuori una famiglia... Nessuno ti ascolta, nessuno, sono tutti così impegnati a urlarsi addosso, a gridare più forte degli altri, a fare più chiasso, che non sentono niente se non i loro strilli, e non vogliono neanche sentirlo nient'altro, perché non sanno ascoltare, non sanno parlare, sanno solo urlare e urlare e urlare più forte e battere i piedi e battere i pugni... E non si accorgono se c'è qualcuno che non ha più fiato per gridare e sta debolmente chiedendo aiuto perché non ce la fa, non si accorgono se le persone che hanno vicino cadono a terra perché non trovano più un motivo per andare avanti e finiscono calpestate, non si accorgono se un bambino tira loro la giacca perché vuol essere preso sulle spalle per riuscire a vedere le stelle, né se un vecchio stringe la loro mano e cerca il loro sorriso perché sente che la sua ora si avvicina e vuole sapere che la sua vita è servita a qualcosa...

In quel preciso istante, con le guance rigate da lacrime di rabbia ed il petto oppresso da un senso di impotenza, si voltò verso la nonna; era sola almeno quanto lei, realizzò, se il giorno di Natale se ne stava in un bar vuoto a fare la calza. Chissà che ne era dei suoi parenti, si ritrovò a chiedersi; chissà perché non era con i suoi figli, se erano troppo presi dalle loro vite per ricordarsi di lei, o se qualche incidente o malattia glieli aveva strappati, o se semplicemente non ne aveva mai avuti. Ma un fratello o una sorella, un marito, un nipote, non aveva proprio nessuno?

Non la conosceva, non sapeva come si chiamasse né quanti anni avesse né nulla di lei, ma la sentì vicina; si erano accorte l'una dell'altra. Probabilmente la vecchia si era accorta di lei fin dal primo giorno in cui era entrata nel locale, si era accorta di ogni volta in cui lei entrava ed usciva da quella stanza. Forse si era accorta persino di quando cambiava libro, forse aveva capito anche quali giorni era più triste che arrabbiata e quali giori era più arrabbiata che triste. Forse ogni giorno aveva attesi che la nuova arrivata le rivolgesse qualcosa di più di un saluto buttato lì per educazione. E lei, quella che ce l'aveva con tutti perché non si accorgevano di lei e non l'ascoltavano, lei era stata cieca e sorda come il resto del mondo. Se ne vergognò.

Sedette accanto alla donna, che le clarezzò il viso asciugandole le lacrime con le dita nodose, poi le carezzò i capelli, poi di nuovo il viso. Rimasero a lungo vicine, in silenzio, un po' impacciate. Poi Alessandra le prese una mano e la strinse, e negli occhi dell'anziana signora luccicò una lacrima.

I fumi della collera che in quei mesi avevano annebbiato la mente della ragazza iniziarono a diradarsi, e lei poté iniziare ad intravedere i frutti che il silenzio le aveva portato. Lentamente, i suoi pensieri si schiarirono, si ordinarono.

La maggior parte di ciò che le persone si dicono non ha un senso né uno scopo proprio, è solo un tappeto di rumori che serve a riempire il silenzio di sentimenti ed emozioni; troppe parole servono a mascherare una carenza di idee; spesso la conversazione della gente è vuota almeno quanto le loro teste ed utile quanto un cavatappi per un maiale; se non vale la pena di prendersi il tempo di scrivere quel che pensi, allora non vale la pena che altri ne siano messi al corrente; se non ti prendi il disturbo di leggere qualcosa che qualcuno si è preso il disturbo di scrivere apposta per te non meriti che la persona in questione ti metta a parte di nulla.

Infine, la vecchia sfiorò il libro che Alessandra aveva in grembo.

"Vuole... che le legga qualcosa?" fece la ragazza, la voce arrochita per il lungo silenzio. La nonna fece cenno di sì.

  
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