Il bar delle Folies-Bergère
[L’amore, prodotto per una società
edonistica]
“Solo posto, a
Parigi, che puzza così deliziosamente
di trucco, di
tenerezze pagate e di latrati,
di cani corrotti.”
[J.
K. Huysmans]
Attraverso la cortina
perlacea, diffusa nell’aria dai sigari fumanti, i loro occhi si accendevano
come scintille alle scollature generose delle lavoratrici,
avvolte in morbidi e larghi abiti dalla foggia particolare ed i colori
infiammati, dotate di grazia solo per qualche accorgimento: orecchino di perla,
collarino nero di velluto, papavero o camelia poggiato sopra l’orecchio. Un
mondo corrotto, vero specchio della società: dove il puzzo di alcool e tabacco,
servito da quelle gentili signorine, si
mescolava all’odore del sesso femminile; ma celato in mirabile modo da un forte
olezzo che, pungendoti al naso, era abile maestro nel riaccendere i tuoi
desideri [abile ingannatore nel drogarti- incenso-].
Così come quelle
signorine erano perfette allieve di quell’arte: sempre sorridenti nel servire i
clienti al bancone; una promessa ben evidente in quegli occhi circondati da
ciglia lunghe, mentre ti invitavano a salire ai piani superiori [meta
peccaminosa al solo pensiero- le loro stanze da letto- ]; generose nello
sporgersi per mostrare anche più di quel che il vestito lasciava intravedere,
al ritmo di una leggiadra musica, cavalcando il palchetto con i tacchi a
spillo.
Il bar delle
Folies-Bergère: dove l’amore diventava veramente il prodotto edonistico per la
società moderna.
1-
Sguardo che ti rendeva possibile sognare le sue carezze [G.
Verga]
Nonostante i ciuffi
color grano che pungevano le sue palpebre, non volle chiudere gli occhi: la osservò
totalmente rapito dalla sua grazia, mentre, con mani lattee e sottili unghie
smeraldo, eseguiva una perfetta combinazione di gesti nel preparare il suo
drink. Si poggiò con i gomiti sul bancone, studiando la sua figura attraverso
lo specchio alle sue spalle, soffermandosi sulle rotondità del sedere che la
sua gonna color giglio tendeva a risaltare, tornando al petto, piccolo ma
vigoroso seno che lo attraeva magneticamente, forse per la presenza di una
grossa spilla a risaltare il semplice corpetto che la stringeva.
Si mise in ordine il
colletto della camicia.
-Come ti chiami?-
La fanciulla alzò lo
sguardo su di lui [pura menta]. –Ti interessa, bel biondino?-
Il suo sorriso alludeva
ai suoi desideri.
-Madmoiselle Sakura,
no?- la voce provenne dal rosso lì di fronte, accompagnatore del giovane. –Sei
famosa per le tue manine d’oro.-
-E non alludono solo al
modo in cui preparo le bibite.- si sporse per versare il contenuto alcolico
preparato dalla brocca; trasportò l’immagine della sua scollatura direttamente
nel profondo di quegli occhi azzurri che erano invasi, sulle guance rigate da
cicatrici, da un rossore molesto. –Tu invece, caro?-
-… Naruto.- proruppe
d’un fiato, afferrando il bicchiere e bevendolo d’un sorso; si pulì la bocca
con la manica.
[Ansia che cresceva in
lui -lei
era troppo, decisamente, per chiunque-]
Lo osservò soddisfatta,
una veterana nel riconoscere quei sintomi. –Ed a te che porto, bellezza?-
-La tua specialità.-
assottigliò gli occhi. –Il mio di nome non lo vuoi sapere?-
-Ti conosco di vista,
sei un abituale del nostro locale.-
-E ti basta questo, per
conoscermi?-
-Sei Gaara, no? Ma non
so il cognome.- era un vero divertimento rispondere ad un caratterino così
impudico come il suo; un uomo di mondo, probabilmente un esteta intuito dal modo
in cui è solito abbigliarsi. Trafficò tra le boccette colorate della sua
scorta, emettendo un tintinnio; si leccò le labbra accese dal rossetto, mentre
con la coda dell’occhio teneva sotto controllo due clienti così potenziali.
-Ti piace questo posto?-
il rosso chiese incurante all’amico, che sembrava intento ad osservare i
residui del suo bicchiere.
-Beh… sì.- si mordicchiò
il labbro inferiore, come innervosito. –C’è gente interessante, qui…-
L’altro sorrise
sornione. –Lei è per i tuoi gusti?-
Ingoiò con difficoltà la
saliva. -… decisamente.-
-E’ qui per vendere
bibite ed amore: compratela per un’oretta, no?-
Sussultò. -… si,
dovrei…-
Un tonfo interruppe la
loro conversazione. –Ecco qua… e non chiedere che c’è dentro.-
-Vuoi drogarmi?- sbuffò
il rosso.
-Se sei amante del
rischio e non hai paura di una povera ed innocente fanciulla…-
-Innocente
è il sinonimo di vergine.- la derise, afferrando saldo il
bicchiere, per odorarne il contenuto. –Ma mi fido.-
Con gesto incurante,
portò quella ciocca di capelli di un pallido rosa dietro l’orecchio. –Ci hai
pensato, biondino? Vuoi fare un altro giro di quella roba là? O… dopo?- sbattè
le palpebre sfumate da un ombretto chiaro, con chiarissimo invito.
Il ragazzo si allargò il
cravattino con un dito, sentendosi improvvisamente accaldato.
-Ecco, io…-
-Ho capito.- coprì la
mano callosa con la sua, senza smettere di fissarlo in quelle iridi turchesi.
–Te lo riporto tra un pochino, il tuo amico… e spera per lui che sia il più
tardi possibile.-
Uscì da dietro il
bancone, affiancandosi al giovane in piedi, rigido come se avesse ingoiato una
stecca; notò con squisita compiacenza il suo imbarazzo, probabilmente da
inesperto.
[Meglio, ci si
divertirà di più.]
E mentre fissava
incredulo ogni particolare in lei (lo cignon in cui erano raccolti i capelli,
la camelia poggiata sopra l’orecchio, i pendenti d’argento, la spilla
d’argento), non si accorse dello sguardo che quegli occhi verdi lanciarono al
rosso, suo compare.
“Goditela per qualche
ora, Naruto… poi sarà mia.” pensò compiaciuto Gaara, godendosi il
suo drink.
2-
Comprare per soli tre soldi un tesoro di emozioni [G.
Verga]
Si accasciò con la testa
sul cuscino, prendendo grandi boccate d’aria. Seguì il solito cigolio, sentito
ormai talmente tante volte quasi da divenire trascurabile; su quel letto sempre
sfatto, con chiari indizi nell’afa, che filtrava attraverso le fessure della
serranda, dell’unione tra uomo e donna.
La sinuosa figura si
animò nel flebile contatto con i raggi di luce naturale; si alzò, camminando
con passo sensuale [ormai, un abitudine] verso la specchiera, afferrando con le
dita sottili un capo ben più trasparente di quel che uno si aspetterebbe,
indossando il morbido velluto color petunia della vestaglia ed appuntandosela
su di un fianco.
-Perché ridi?- colse lo
stesso quel sorrisetto.
-Mi è rivenuta in mente
la prima cosa che pensai, appena ti vidi.- la giovane si avvicinò a lui,
poggiando per prima la coscia destra sul letto. –Che è vera la teoria delle
proporzioni.- focalizzò il suo piede, per dargli indizio di quel che intendeva.
-E te ne stupisci,
Temari? Io non ti avrei delusa.-
-Sono io che non dovrei
deludere te, caro: perché io ti vendo il mio amore.-
Si impuntò con i gomiti
sul materasso bianco sporco, per reggere il busto. –L’amore è solo una congettura:
non esiste, almeno al giorno d’oggi. E, se leggi quella spazzatura di romanzi feuilletons*,
noterai che sono lo specchio della società contemporanea: troie ed ipocriti
intrappolati inconsciamente in un bordello di trame e sentimenti.-
-Da come parli, si
direbbe che tu conosca la materia…- si sedette accanto, accavallando le sue
rotondità. –Sei un’artista?-
-Diciamo.- sorrise,
nell’afferrare un pacchetto di sigari dalla tasca del cappotto, lasciato lì sul
comodino.
-Mi piacerebbe sapere
qualcosa in più sulla tua vita.- confessò la bionda, giocherellando con uno dei
suoi lunghi ciuffi di capelli scuri. –Non ce l’hai una moglie a cui fare un
torto?-
Il fuoco della fiamma
gli permise di cogliere la curiosità in quegli occhi da gatta. –Mi credi così
vecchio da essere sposato? No, ho solo una fidanzata.-
Assottigliò gli occhi.
–E lei non è così brava a letto, che sei diventato un mio cliente abituale?-
-Non so, la sua
verginità è ancora rimasta intatta. Però è mora e magrolina: ed a me piacciono
i capelli chiari e delle rotondità ben evidenti.-
Seppe esaltare con il
respiro il suo seno così sodo da sembrare quasi che volesse uscire dalla gabbia
di quell’indumento. –Ce ne è un’altra di venditrice così come la vuoi tu, in
questo locale: perché allora entri sempre in questa camera, monsieur Shikamaru?-
Prese una grande
aspirata, consumando gran parte del sigaro. –Alludi a lei? Troppo
audace, per i miei gusti: è una che a letto vuole stare solo sopra;
e non mi sta bene.-
-Almeno, io tendo a
concederti qualche volta il dominio, no?-
-Tu devi concedermelo:
ti pago per regalarmi quelle emozioni che, in una società della noia in cui
sono immerso, non sono capace di procurarmi.-
Temari afferrò tra le
sue dita il sigaro, rubandoglielo per posarlo sulle sue labbra; nel gustarselo
lo sporcò leggermente di quel poco rossetto che le era rimasto. Gli occhi del
misterioso giovane scrutarono di nuovo quel tesoro di cui aveva goduto prima.
[E la voglia ti torna
sempre -sono
abili nel far sì che sia così-]
-Ti sta bene se dopo ti
do il doppio, rispetto al solito compenso?- proruppe Shikamaru d’improvviso,
strappandole dalla bocca il sigaro e spegnendolo sul muro.
Temari sorrise sorniona.
–E’ la mia arte…-
La tua arte è una menzogna.
3- Sorriso in cui lampeggiava l’immagine di
un bacio [G. Verga ]
Corse per la folla un
mormorio di aspettazione.
La musica di uno
squallido pianoforte, una squallida imitazione di valzer, ricoprì il ticchettio
dei suoi tacchetti; si presentò splendente sotto la maleodorante luce elettrica
e nel fragore di applausi.
Era bella. Era viva. Era
un sogno.
Un corpo perfetto, nudo
se non fosse per quei veli del suo vestitino che danzavano con lei, fastidiosi,
irritanti, malvagi per gli occhi bramosi dei monsieurs; un corpo candido e
morbido alla vista, sinuoso, che segue il ritmo di quel valzer, librando in
aria le lunghe braccia, svolazzando in lente o veloci fendenti con gambe
rivestite di calze a rete, sempre con un’innaturale eleganza per una puttana,
in un vortice di procace pudore, che fece solo l’effetto di animare
maggiormente i genitali dei signori lì presenti. Ed ogni cosa prendeva vita in
lei; farfalla ricoperta di violette, rivestita di luce [solo pagliuzze dorate -ogni particolare è
ricercato-], accompagnata da quella coda dorata che reggeva i
suoi capelli, in un duetto che non avrebbe sfigurato di certo all’ Opera,
almeno in quanto mostra la realtà di ciò che il pubblico vuole.
Ed anche lui, seduto
qualche tavolino distante, la fissava incantato: occhi neri come il carbone
screziati di sanguigno, vitrei nella loro freddezza, eppure si poteva cogliere
un luccichio particolare. I lunghi ciuffi davanti gli carezzarono due guance di
una pelle diafana, regalandogli più fascino: giovane d’alta borghesia,
ricercato tra le donne, con un fascino magnetico tutto suo; lì, a dimostrazione
della doppia faccia della nuova classe sociale.
Si slacciò il colletto
della camicia, per respirare meglio; si sentì i polmoni saturi di aria, eppure
l’arsura venne da un’atmosfera riscaldata dalla leggiadra sensualità di quella
rosa sul palco. Schiuse le labbra, in un folle desiderio di possederla, di
esplorare quel corpo che stava pian piano conoscendo, di sentirla urlare dalla
passione, per merito suo, perché doveva pagarla: colpa sua,
se ora lui era totalmente dipendente da lei. Penoso, il non dover appagare quel
desiderio: soprattutto perché sapeva che lei era una veterana in quel
genere di cose.
Con una mano, si lisciò
i capelli d’ebano; avrebbe voluto affondare le mani invece nel suo vestito,
strappare quel pezzettino di stoffa dal suo corpo, permettendole di mostrargli
finalmente quel seno che, con tanta cura veniva nascosto, ma allo stesso modo
era impossibile non immaginarselo.
Un fastidioso suono gli
provocò molto fastidio: lo spettacolo era terminato. Il rumore degli applausi
si perse tra i suoi inchini, i sorrisi lanciati a manciate per regalare castelli
in aria a chi non poteva permettersela, circondata da fasci di
rose rosse gettate sul palco dai più arditi.
Scattò in piedi,
sentendosi formicolare le mani: no, non sarebbe andata a finire così. Si fece
spazio tra i gentiluomini ubriachi o saturi d’alcool, in carne nelle loro
cinture troppo strette o smagriti dietro le loro giacche troppo larghe; uscì
fuori dal mondo caotico dell’uomo in fibrillazione, quando le guance diventano
due pomodori maturi ed i pantaloni ti danno fastidio all’inguine [è la natura].
Conosceva la strada: arrivò ai piedi di quella scalinata consumata dai
tacchetti di eleganti mocassini, percorrendola con fare sicuro nonostante i
vari cigolii, il corrimano annerito da chissà quante mani poggiatisi sopra; e
giunse in quel corridoio al piano superiore, dove non si poteva fare a meno di
sentire sospiri ed urla colte dall’emozione.
Un po’ di privacy: c’è chi lavora.
Non ci fece troppo caso,
non indugiò troppo: sapeva che doveva arrivare all’angolo, superarlo,
addentrarsi nel corridoio più interno; lì erano alloggiate les etoilles.
Lei era lì, porta centrale. E mentre superava quel muro con totale ansia, cuore
in fibrillazione e mano al portafoglio… dovette bloccarsi. E ricredersi.
Un gentiluomo provenne
dal corridoio opposto, probabilmente salito dalla scalinata dall’altra parte;
perfettamente abbigliato come lui, sempre con quel fascino magnetico, capelli
d’ebano su pelle diafana, occhi neri con venature sanguigne che esaltavano la
freddezza del suo sguardo… sempre lui.
Il problema era che lo conosceva.
-Itachi!- -Sasuke!-
I due rimasero a mezza
bocca, senza respiro. No, non poteva essere così…
Una luce si proiettò
sulla superficie in legno del pavimento, non appena la porta centrale si aprì
con un cigolio: ne uscì fuori una figura che si copriva malamente con uno
scialle di seta, capelli color miele adagiati sulle spalle, lunghe ciglia che
puntarono nell’area dei suoi occhi marini le due alte figure dei fratelli.
-… madmoiselle Ino.-
mormorarono entrambi, poi guardandosi negli occhi.
La fanciulla, in un
attimo, capì tutto.
[Nessun aspetto
dell’amore era una novità per loro.]
-Bonsoir, monsieurs.- sorrise.
“Ella vende per
soli tre soldi
le cosce, i seni,
le menzogne dei suoi sguardi,
i baci del suo
sorriso,
il suo pudore!”
mormorò
un’artista della parola.
Ma,
lì al bar delle Folies-Bergère, era la norma.
* Romanzo d’appendice, pubblicato a puntate sui
quotidiani.
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Un tema che mi ronza da un po’ in mente, avendo
trovato per caso sul mio libro di arte il quadro di E. Manet “Il bar delle
Folies-Bergère”; ed ammetto anche che la prima scena, vale a dire quella di
Sakura, almeno in parte è debitrice di quella raffigurazione, visto che ho
sostituito con lei la barista bionda del pittore. Avviso che ho reinterpretato
il locale a modo mio, vale a dire facendolo diventare un bordello: in realtà,
dovrebbe essere un semplice bar dove uomini e donne assistevano agli spettacoli
dei saltimbanchi e dei trapezisti; devo informarmi se sia veramente così,
comunque. Ma sappiate questo: ho soltanto ripreso il nome. E, ispirata un po’
dai romanzi del giovane Verga (“Eva” e “Tigre reale”, precedenti ai
“Malavoglia”), ho ripreso non solo frasi ma anche certe figure, per esempio
l’esecuzione di danza di Ino.
Ma andiamo con ordine.
Scena NaruSakuGaa: primo aspetto del locale,
“l’accoglienza”, le bariste al bancone che seducono e preparano cocktails forti
o con piccole aggiunte di droga, direi. Una Sakura ed un Gaara veramente OOC,
lo ammetto: ma mi sono divertita a renderli entrambi coscientemente impudichi,
tanto da scambiarsi frecciatine stuzzicanti. Un Naruto che ho voluto intimidire
un po’ solo perché alla presenza di Sakura; ed ovviamente l’altra faccia di
Gaara, desideroso anche lui di ricevere il trattamento della bella Haruno.
Scena ShikaTema: aspetto fondamentale e centrale,
quello della “vendita d’amore”: unito però ad un cliente ormai fedele alla
biondina, un artista che racchiude in sé gli scrittori naturalisti (ecco, è
questa la visione che volevo dargli), coscienzioso della doppia faccia della
sua società, e che si fa coinvolgere da una prostituta che, nonostante sia al
corrente del suo fascino, si mostra interessata a lui al di là dei soldi.
Forse, dopo Naruto, è questa una rappresentazione dell’amore: direi però più
precisa ed unica, perché al contrario degli altri sembra un legame che sarà
duraturo.
Scena SasuInoIta: la descrizione di chi ammira la
leggiadra danza della Yamanaka non corrisponde in particolare a nessuno dei due
fratelli: ho preso un modello ed ho descritto atteggiamenti e desideri,
sentimenti che nascono nel vedere una creatura di tale eleganza e bellezza
esibirsi nuda (quasi), senza un briciolo di vergogna o paura, che affronta gli
sguardi maliziosi degli uomini che lì la desiderano senza poterla avere
(essendo l’etoille, la stella, è molto costosa): un concentrato di forza e
bellezza che li rapisce. Diciamo, che ho descritto insieme Sasuke ed Itachi; il
tutto si chiude con l’incontro davanti la camera di Ino, che farà capire ai tre
che saranno coinvolti in un triangolo inevitabile.
Ringrazio in anticipo chi leggerà, e prego di lasciarmi un commento: ho bisogno di sapere che ne pensiate.
Un bacio, con la promessa di risolvere al più presto i miei problemi con la connessione ad internet!
La vostra Rael