Serie TV > The White Queen
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Autore: theIrydioner    20/10/2013    2 recensioni
Aveva imparato a vedere la pioggia come la sua personale messaggera di sventure: violenta, improvvisa e distruttrice, come negli uragani. Tuttavia ora, (...) le occorse per la prima volta che la pioggia era anche quella che i contadini aspettavano dopo la semina; quella che, su un terreno incenerito, permetteva il ritorno della vita. Nuovi inizi.
Modern AU, ispirato ai personaggi della miniserie BBC "The White Queen" (con influenze del "Sunne in Splendour" di Sharon Kay Penman). 7800 parole circa.
La pioggia ha sempre solo significato guai per Anne; ma il giorno in cui un temporale riporta Richard sulla sua strada, le cose forse finalmente iniziano a cambiare. O forse no?
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anne Neville, Richard Plantagenet / Richard III, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Tap, tap, tap.
Il ticchettio incessante della pioggia sui vetri del locale andava avanti ormai da ore, annegando i rumori esterni del traffico e con essi anche l’umore di Anne, già messo a dura prova dalle lunghe ore di lavoro dietro al bancone.
Non aveva sempre detestato la pioggia: ricordava ancora quegli interminabili pomeriggi trascorsi alternativamente dai Neville o dagli York, in cui nemmeno una replica del Diluvio Universale sarebbe riuscita a trattenere i piccoli di casa, una volta finiti i compiti, lontani dal cortile; anzi, la pioggia rendeva sempre i loro giochi più divertenti. Tentare di inzuppare dalla testa ai piedi le bambine del gruppo era il passatempo prediletto di quel birbante di George, e nel farlo il suo bersaglio preferito pareva essere Isabel, la sorella grande di Anne – cosa per cui Edward, il maggiore dei fratelli York, già adolescente e di quando in quando obbligato a tenere d’occhio i fratellini (o perlomeno a fingere di farlo mentre trafficava al computer e messaggiava con una delle sue innumerevoli ragazze) non smetteva di prenderlo in giro, invitando il fratello a “smetterla di cercare di fare colpo”. Come si potesse pensare di bene impressionare una ragazza cercando di spruzzarla, Anne ancora lo ignorava; certo è che Bella non ne era così infastidita come cercava di dare a vedere. Poteva strillare per i suoi begli abiti rovinati finché voleva, ma segretamente Anne sapeva che era felice di essere al centro dell’attenzione di qualcuno, e particolarmente se quel qualcuno aveva la chioma biondo-scura e la faccia da schiaffi di George.
Il prediletto di Anne tra i loro compagni di giochi d’infanzia era invece stato da subito Richard, più quieto e riflessivo e più vicino a lei di età, e innamorato delle vecchie storie di battaglie e cavalieri senza macchia che era solito leggerle per ore dai suoi libri illustrati; quando non bastava più la lettura, ogni figura diventava lo spunto perfetto per costruire le loro personali storie di castelli e di fate, e i pomeriggi volavano. Durante questi inseguimenti sotto la pioggia, era inevitabilmente lui a finire più inzuppato di tutti, nel tentativo di essere all’altezza della galanteria dei suoi eroi cartacei e di proteggere quindi Anne ogni volta che il fratello decideva di cambiare obiettivo dei suoi scherzi.
“Sei troppo piccolo per fare il cavaliere come nelle tue storie, Dickon!” se la ghignava George. “E Anne non è abbastanza carina per fare la principessa da salvare…”
Richard cadeva sempre nella trappola. “Anne è carina!” la protesta gli usciva spontanea, costringendo poi entrambi ad arrossire di fronte al sogghigno soddisfatto di George.
Era lei la prima a riprendersi, di solito. “No, George, hai ragione. E comunque non voglio essere una principessa. Sono un cavaliere anch’io, e ti sfido a duello!”; e Anne lo spruzzava a sua volta, e alla reazione oltraggiata di George si dava inizio alla guerra d’acqua vera e propria, che neanche il timore delle leggendarie ramanzine di Cecily York, la temutissima madre dei ragazzi, era più in grado di prevenire.
“Anne? Anne, non stare lì a fantasticare! I clienti aspettano!”
Accidenti a Cat per avere interrotto i suoi unici pensieri positivi della serata… Anne imprecò mentalmente, scostandosi alcuni ciuffi biondi ribelli dal viso e dirigendosi nuovamente verso l’angolo del bancone, dove alcuni dei suddetti clienti attendevano di ordinare. Mentre preparava bevande da servire, il ticchettio delle gocce sui vetri, pur blando, la stordiva ancora di più del chiacchiericcio sommesso del pub, trascinando con sé ricordi molto meno piacevoli di quelle innocenti marachelle di bambini.
Fin da quella tremenda tempesta e dall’atterraggio disastroso dell’aereo che stava riportando a casa di ritorno da un ottimo viaggio d’affari Richard York senior, il padre dei ragazzi, e il suo secondogenito Edmund, appena entrato a far parte con grandi speranze dell’industria di famiglia, la pioggia era sempre stata foriera di disgrazie per Anne…
 

Pioveva il giorno dei funerali di Richard e Edmund York, e Anne ricordava di aver pensato che il cielo piangesse al posto della famiglia, congelata in un dolore muto, attonito per la rapidità improvvisa dell’evento sconvolgente: Cecily York, che tentava di non tradire alcuna emozione sul volto tirato per dare forza ai figli rimasti in qualche modo; Edward, appena diciottenne e di colpo ritrovatosi in mano la metà paterna dell’azienda; George, il suo abituale umore scherzoso sostituito da un’espressione desolata.
Richard si mordeva le labbra in continuazione, tentando di trattenere i singhiozzi per non essere da meno dei suoi stoici fratelli. Prima che le mancasse il coraggio, Anne gli aveva preso la mano; quando stava iniziando a pensare di aver fatto una sciocchezza, Dickon gliel’aveva stretta, e i due bambini erano rimasti così, in mutuo silenzioso conforto.
 

Pioveva, molti anni dopo, il giorno in cui Isabel aveva perso il suo primo bambino. Era stata Anne a trovarsi da sola in casa con lei, Anne ad accorrere ai lamenti della sorella e a ritrovarla con il sangue che le scivolava scarlatto lungo le gambe, Anne a dover chiamare d’urgenza l’ambulanza, rimasta poi imbottigliata nel traffico paralizzato dal violento temporale. Il rimbombo ritmico dei tuoni, la cacofonia dei clacson lungo la strada, il bip costante delle apparecchiature di bordo e le grida disperate di Izzy erano tutto ciò che Anne riusciva a ricordare di quel tragitto; non però quelle del suo nipotino, nato immobile e cianotico ancor prima di raggiungere l’ospedale.
I suoi genitori erano arrivati insieme a George nella sala d’attesa in stato di agitazione, e George in particolare era diventato l’incubo di tutte le infermiere di turno nel giro di pochi minuti, in cui non aveva fatto altro che cercare di bypassare il loro blocco e protestare che non potevano impedirgli di vedere sua moglie – sì, le battute di Edward a riguardo a quanto pare avevano dimostrato di contenere un maggior fondo di verità di quanto tutti loro potessero sospettare da bambini, e il matrimonio di George e Isabel era stato la gioia delle due famiglie…ma non c’era spazio per gioia alcuna in quel momento.
Nessuno si era accorto di Anne, rannicchiata sotto shock nell’angolo della sala. Aveva quasi pensato che l’acqua l’avesse lavata via lasciandola invisibile – e odiandosi per pensare a se stessa quando tutte le sue preoccupazioni avrebbero dovuto essere per Bella – finché, dal nulla, non aveva sentito il suo nome sussurrato sopra la sua testa; e il suo stupore attonito era solo raddoppiato nel riconoscere sotto a una massa di capelli ricci scuri il volto familiare di Richard fissarla preoccupato, mentre sovrastava la sua forma raggomitolata sulla sedia. Non l’aveva più visto per quasi un anno ormai, dalla rottura tra Edward e suo padre sulla gestione della compagnia che ora, di due Richard che l’avevano messa in piedi, aveva finito per non averne più nessuno dal momento in cui Dick Neville era uscito con grandi passi furiosi per l’ultima volta dall’ufficio di direzione.
“Dickon? Che…che cosa ci fai qui?”
Era la domanda più stupida che avrebbe potuto rivolgergli, il povero bimbo mai nato sarebbe stato nipote di entrambi; ma Richard le aveva sorriso dolcemente mentre si sedeva accanto a lei.
“Qualche anno fa mi sei stata vicina quando nessuno mi vedeva…ora cerco di fare lo stesso.” Era stato lui a prenderle la mano questa volta, e mentre i medici rassicuravano George e i Neville che Isabel era fuori pericolo, Anne aveva pianto tutto il suo sollievo e lo spavento accumulato sulla sua spalla.
 

Pioveva il giorno del suo matrimonio.
Edouard Lancaster era bello, ricco, figlio della nuova, stizzosa business partner francese di papà – Marguerite Lancaster, il “Lupo in gonnella” dei mercati, incubo in tailleur degli alti uffici finanziari – e si era comportato con lei sempre da perfetto gentleman. Insomma, a parte una suocera che si prospettava non esattamente amichevole e materna (piuttosto spaventosa per Anne, a dire il vero), pareva che Anne non potesse chiedere di meglio. E poi, non si dice anche “sposa bagnata, sposa fortunata”?
Apparentemente no. Anne aveva presto scoperto che era facile per Edouard rincasare terribilmente frustrato da lavoro, e che era altrettanto facile che fosse lei, l’oggetto più a portata di tiro, la valvola di sfogo di tali frustrazioni. In quanto a una propria valvola di sfogo per il proprio disagio, non era contemplata: la stretta partnership con la she-wolf era fondamentale per gli affari di suo padre, ora concorrente accanito della sua stessa ex-azienda, e buona parte del mantenimento di tale accordo pendeva sulle spalle di Anne e sulla sua efficienza nel contribuire all’industria lavorativa e familiare dei Lancaster. Come uno dei PR di punta, era suo dovere essere sempre sorridente, elegante, interessante, con la risposta pronta, puntuale, in poche parole perfetta; Marguerite non si accontentava mai di meno, e le rare volte – nei primi tempi – in cui Anne non aveva ancora imparato a mascherare bene i lividi sui polsi o a volte anche sul viso il suo sguardo di carbone la trapassava in indignata disapprovazione, quasi fossero ornamenti stravaganti in bella mostra per trasgressione o negligenza.
Dalla sua prospettiva ormai prevenuta verso il brutto tempo, quindi, per Anne aveva avuto perfettamente senso che ci fosse invece un sole splendente il giorno in cui un infarto improvviso si era portato via suo padre; per quanto lo shock e il dolore della sua morte non l’avessero ancora abbandonata tuttora, senza di lui si era reciso l’unico legame che la teneva invischiata senza possibilità di ribellione in quell’incubo dorato. Se Marguerite poteva averle insegnato qualcosa, era a essere decisa e inamovibile nelle proprie decisioni; così, paradossalmente grazie alla sua terribile suocera, aveva trovato il coraggio di presentare le carte per il divorzio a Edouard, ben sapendo a cosa sarebbe andata incontro: inimicarsi una famiglia ricca e influente come i Lancaster poteva significare solamente garantirsi la quasi certezza di trovare solo battenti chiusi nel cercare un qualunque impiego stabile. Senza più lavoro né una casa – anche se il tribunale avesse assegnato a lei il loft che aveva condiviso con Edouard non avrebbe voluto trascorrervi un minuto di più; e la sua cara mamma, anziché aiutarla, era arrivata a disconoscerla e a rifiutarsi di ospitarla per aver così infranto quello che secondo lei era “il brillante futuro che suo padre aveva costruito per lei e che lei ora da ingrata gettava via” – era stata Bella l’unica a offrirle una seppur minima ancora di salvezza: e così Anne si ritrovava qui, a preparare cocktail e a servire apericene dietro al bancone del The White Rose, una delle mille eclettiche attività messe in piedi in autonomia da George, anonima e già in disgrazia, in attesa del prossimo tiro del destino sicuramente in agguato dietro a quest’acquazzone estivo.
 

Proprio in quel momento, mentre finiva di servire l’ultimo boccale di birra a un gruppo di aficionados del locale, il campanello dietro la porta tintinnò con forza; un gruppo di amici completamente fradici si precipitò a capofitto nella salvezza asciutta del pub, ridendo a crepapelle del proprio stato.
“Dio, come ti sei ridotto, Francis!”
“Forse non sarei ridotto così male come dici se tu non mi avessi così gentilmente rotto l’ombrello, Rob!”
I nomi suonavano vagamente noti ad Anne, come usciti da un ricordo lontano. Idioti, pensò bonariamente divertita, sorridendo fra sé alla risata schietta e sonora che seguì la risposta di Francis.
“Non mi pare che né Jack né Dickon qui si stiano lamentando la metà di quello che fai tu, Francis…”
“La fai facile! Jack non si lamenterebbe nemmeno sotto tortura, e Dickon è il bello della compagnia, un po’ d’acqua non lo spaventa…”
“Ehi, voi due! Così mi fate sembrare una ragazza vanitosa – temo che mi stiate confondendo con mio fratello George…”
“Perché, non sei una ragazza vanitosa? Non me n’ero accorto! Tu sì, Francis?”
Il resto del loro scambio di battute giocose però era andato perso per Anne al nome Dickon. Alzò di scatto la testa, ed era proprio Richard all’ingresso, Richard che aveva creduto di non vedere, o perlomeno di non poterci parlare, mai più da quando lei era diventata una Lancaster e lui il braccio destro del fratello nella compagnia che aveva dato così tanti dispiaceri a suo padre; il “suo” Richard, compagno e migliore amico di tutta un’infanzia, e ora non più suo del tutto, estraneo e familiare al tempo stesso.
Era inconfondibilmente lui, gli stessi occhi blu-grigio-verdi che ora nella luce soffusa del locale parevano quasi neri, lo stesso sorriso raro ma ancora più radioso proprio perché riservato a pochi, e che ora gli illuminava il volto mentre spintonava scherzosamente Rob per la sua impertinenza. I capelli scuri erano sempre ricciuti e indomabili come un tempo, anche se lunghi abbastanza ora da incorniciargli tutto il viso, cui si incollavano bagnati dalla pioggia; ma lui non era decisamente più il ragazzo mingherlino che Anne ricordava. Se era vero che con due fusti di fratelli come Edward e George lui non era mai stato considerato il bello di casa, di certo ora il suo fisico non aveva nulla da invidiare a quello degli atletici fratelli, se non forse qualche centimetro in più di altezza.
Anne lo osservò scostarsi con una mano i capelli appiccicatisi alla fronte, mentre questi lasciavano una scia di goccioline sulla pelle lasciata scoperta dalla sua camicia, sbottonata sul colletto per il caldo e aderente e appiccicosa a sua volta per colpa dell’acqua traditrice; e si sentì avvampare violentemente nel rendersi conto che doveva averlo squadrato per qualche minuto buono, e senza alcun pudore.
Stordita insieme dalla realizzazione improvvisa di quanto le fosse realmente mancato negli anni recenti di allontanamento, e da queste nuove, strane sensazioni che l’assalivano, arrossì doppiamente nell’accorgersi che, nel mezzo delle sue riflessioni, anche Richard si era infine voltato verso il bancone e ora la stava guardando a sua volta. Un lampo di riconoscimento sorpreso gli attraversò lo sguardo, e mentre si girava per dire qualcosa ai suoi compagni Anne, imbarazzata fino al midollo, colse l’occasione per fingere di mettersi a fare qualcosa, qualsiasi cosa; la spugna era la più a portata di mano, e così decise che pulire un po’ il bancone sembrava assolutamente fondamentale al momento e richiedeva la sua più totale concentrazione. Non osava alzare lo sguardo, mentre cercava di calmare l’ondata di emozione improvvisa che l’aveva assalita.
“Se gratti così forte, temo che finirai per consumare il bancone…Anne.”
Anne sobbalzò: Richard era proprio lì di fronte a lei, da solo dall’altra parte del suddetto abusato bancone, sulle sue labbra il mezzo sorriso che tanto adorava fin da quando era bambina. Sentì il rossore avanzare nuovamente, traditore, sulle guance, e lo ricacciò indietro con ostinazione. Non poteva arrossire ogni momento come un’adolescente alla prima cotta!
(Anche se, se era onesta con se stessa, probabilmente era stato proprio lui, la sua prima cotta.)
“Richard! Sei…sei davvero tu?”
Dio, sono la regina delle domande stupide, pensò all’istante; ma lui ridacchiò bonariamente.
“Il mio aspetto non sarà dei migliori, grazie a questa bell’acquata…ma sì, sono io!”
“No…stai bene anche così…” rassicurò automaticamente Anne, volendosi sotterrare per l’imbarazzo un secondo dopo aver aperto bocca.
Non arrossire Anne, è un ordine…magari sarebbe più facile se la smettessi di dire stupidaggini…
Richard le sorrise di nuovo, fissandola da sotto le ciglia scure. “Non avrei mai pensato di trovare te qui, invece” disse, con gran sollievo di Anne per il cambio d’argomento provvidenziale. “Va tutto bene, Anne?”
C’era preoccupazione sincera nei suoi occhi profondi, e Anne avrebbe voluto fingere un sorriso e rispondere che sì, si era solo stufata di lavorare nella finanza, che la sua vita era perfettamente e felicemente sotto controllo, ma scoprì di non riuscirci. Non con lui, cui aveva sempre detto tutto.
Optò per l’ironia. “Mah, a parte essere stata licenziata e avere la tua ex-boss che impedisce a chiunque di assumerti, va tutto benissimo. Bella dice sempre che dovrei essere molto grata a George per avermi dato qualcosa da fare qui e per aver acconsentito a ospitarmi in casa loro…sì, suppongo che possa andar peggio.”
Tentò un sorriso tirato, ma le sopracciglia di Richard rimasero aggrottate.
“Tua suocera ti tratta così, e tuo marito gliel’ha lasciato fare senza muovere un dito per difenderti? Che razza di uomo è?”
Anne trasalì nel sentirlo menzionare Edouard, presenza fin troppo abusiva anche solo nei suoi ricordi, l’ultima persona di cui avrebbe voluto parlare con lui rivedendolo dopo così tanto tempo. Il matrimonio era stato un affare pubblico e pubblicizzato, per cui non era strano che lui sapesse; le pareva però strano che il fatto che si fosse ridotta a fare la cameriera e dovesse dipendere dall’ospitalità di sorella e cognato non fosse per lui indizio sufficiente di come fosse andato a finire. Nonostante il tono onestamente indignato e la spontaneità evidente del suo commento, una rabbia irrazionale la percorse, per averla costretta ad affrontare quell’argomento penosissimo.
“Ex-suocera ed ex-marito,” precisò seccamente, deliberatamente acida. “Sì, meno di trent’anni e già divorziata, e a carriera finita ancor prima di cominciare…ora potrai dirmi il tuo “mi dispiace” di rito, e potremo passare ad argomenti più piacevoli?”
Richard ammutolì, e Anne temette di aver esagerato. Lui non aveva alcuna colpa delle sue sventure, si erano appena ritrovati e la prima cosa che lei faceva era allontanarlo di nuovo…riusciva sempre a rovinare tutto, non è vero? Forse in fondo aveva ragione Bella quando glielo rinfacciava durante le loro litigate…
“Non posso.”
Lo guardò senza capire, grandi occhi azzurri spalancati su di lui. “Non puoi…cosa?”
Richard la fissò esitando per un momento, occhi dentro occhi, e poi allungò il braccio sul bancone, la mano a chiudersi sopra quella di lei, ancora stretta intorno alla spugnetta. Le sue dita erano fredde e ancora umide di pioggia; e allora perché lei si sentiva scottare solo al suo tocco?
“Mi dispiace per il tuo lavoro e per la tua casa, più di quanto possa spiegare. Ma non ti ho mai mentito, Anne, nemmeno da bambini…e non posso dirti che mi dispiace se lo hai lasciato.” S’interruppe un momento, guardandola come a soppesare la sua reazione. “Non ti meritava minimamente se ti ha trattata così.”
È come se tutto il tempo trascorso in cui le loro vite erano corse parallele, senza possibilità di incrociarsi, non fosse mai esistito, la confidenza con cui si parlavano ora quella di sempre, ed eppure differente al tempo stesso, con un sottotono di piacevole tensione.
“E chi mi meriterebbe quindi?” domandò Anne, una smorfia scettica sulle labbra.
La bocca di Richard s’incurvò di nuovo in quel suo mezzo sorriso misterioso e invitante, e Anne si chiese come fosse possibile che l’umore della loro conversazione potesse cambiare così totalmente e così in fretta.
“Non hai nessuno in mente?”
Anne era sicura che tutta la sua forza di volontà questa volta non sarebbe riuscita a impedirle di arrossire nuovamente sotto il suo sguardo penetrante, mentre non riusciva a trovare risposta né a smettere di fissarlo – e questo già avrebbe dovuto dirle molto di più delle parole rimastele incastrate in gola.
“Oi! Dickon! Hai intenzione di passare tutta la sera a flirtare con la barista o pensi di ordinarci anche da bere prima che chiuda tutto?”
Richard scoppiò in una risatina, e Anne ringraziò mentalmente il suo amico Jack Howard che, seppur colpevole di aver fatto infine esplodere il suo rossore trattenuto, le aveva dato una scusa per distogliere lo sguardo e glissare sulla domanda pericolosa.
Più tardi, mentre serviva al tavolo le bevande ai quattro amici – e finalmente aveva riconosciuto Francis Lovell, vicino di banco storico e amico inseparabile di Richard dai tempi delle elementari – Anne sorrise nel vedere Richard giocherellare con il piccolo drago bianco origami che aveva fatto rapidamente con uno dei tovaglioli da bar e poggiato sul vassoio con i drink, e lanciarle occhiate incuriosite come aveva sperato. Quando erano piccoli, un altro dei loro passatempi preferiti era creare le forme più strane dalla carta, nascondendovi, a volte, messaggi nelle pieghe; e l’origami preferito di Dickon era sempre stato il drago, che poteva fingere di affrontare come un vero cavaliere.
Aveva piegato apposta male l’ala su cui aveva scribacchiato, in un impulso coraggioso, il proprio numero di telefono, nella speranza che lui fosse tentato di sistemarla e così lo vedesse; e seppe che l’aveva fatto quando, mentre riordinava il locale ormai vuoto per la chiusura, le vibrò in tasca il cellulare con il messaggio di un numero sconosciuto.
Era un MMS: lo aprì, e non poté trattenere un sorriso nel vedere sul suo display la fotografia di una piccola rana origami verde su un pavimento, e di un grosso cane nero che la osservava curiosamente. La rana era il suo origami preferito: se la piegavi bene e le schiacciavi il dorso, poteva saltare a mo’ di vera ranocchia, e lei aveva giocato innumerevoli scherzi a Isabel in quella maniera. Sotto alla foto, il messaggio allegato la fece ancora più sorridere:
Sembra che a Gareth piacciano le rane di carta – come a qualcuno di mia conoscenza, vero?
È stata una bella sorpresa ritrovarti. Mi dispiace se ti ho turbata prima…
Buonanotte, R xxx
Forse, dopotutto, la pioggia non era poi così irrimediabilmente malvagia; forse poteva ancora portarle – o riportarle, come le onde del mare restituiscono sulle coste i suoi tesori – un po’ della fortuna che sembrava aver perso?
 
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Ovviamente, si sbagliava.
Perché se ne stupiva, in fondo? La sfortuna e lo scoramento erano i suoi frequentatori più assidui da così tanto tempo ormai, e come ogni visitatore abituale avevano sviluppato la loro propria originale maniera di annunciarsi. Avrebbe dovuto metterla sul chi vive rincontrare Richard grazie a uno dei suoi proverbialmente iettatori temporali; e invece lei aveva ignorato quel primo indizio perché era stupidamente, irrefrenabilmente felice.
 

Richard le aveva riscritto subito la mattina dopo, allegro, e si erano continuati a sentire a intervalli per tutta la giornata, lavoro di lui e ricerche di impiego dal portatile di Isabel – per l’ennesima volta di scarso successo – di lei permettendo; e la sua sorpresa era stata ancora maggiore – e molto piacevole – nel vederlo di nuovo fare capolino sul tardi da dietro l’ingresso del locale, ancora in giacca e cravatta dall’ufficio e con l’aria stanca, ma con il sorriso pronto e gli occhi profondi fissi su di lei mentre i pochi clienti a quell’ora consentivano loro di chiacchierare piacevolmente, la sua birra in mezzo a loro sul bancone.
Se Anne aveva temuto che il loro lungo periodo di lontananza avrebbe reso difficile e imbarazzata la conversazione, aveva presto scoperto che era vero il contrario. Entrambi erano ansiosi e curiosi di colmare le lacune reciproche sulle loro vite, e tra un aneddoto e l’altro i minuti volavano; e la sera dopo, e quelle successive, Richard era di nuovo lì, sulla strada di casa da lavoro, e quando la birra finiva e dovevano salutarsi era sempre troppo presto. Anne apprese così delle battaglie sue e di Edward nella gestione dell’azienda; di come George avesse scaricato su di loro tutta la responsabilità e si fosse messo in proprio con altre attività, non sopportando di “essere comandato a bacchetta da Edward” (sue testuali parole), ma pretendesse di offendersi se non veniva consultato per le decisioni importanti; dei problemi che stava dando loro l’ultimo tirapiedi della sua vecchia suocera Marguerite, Edmund Somerset, tentando di comprare sempre più quote della loro compagnia per poi passarle sottobanco alla she-wolf, che da sempre la puntava con occhio avido, e degli ambigui fratelli Stanley, che dalla sicurezza dei loro posti nel CdA supportavano Lancaster o York a seconda di come girava il vento degli affari; del terrore di Edward ogni volta che la loro madre decideva di fargli visita in ufficio, non tanto per timore del suo giudizio inflessibile quanto degli inevitabili scontri velenosi con Liz, sua biondissima assistente storica nonché moglie e madre delle sue tre bambine: Mary, Cecily e Bessie, che adorava suo zio Dickon con la potenza di mille soli. Ad Anne, nonostante ammettesse che era probabilmente la più bella donna che conoscesse, Liz Rivers non era mai piaciuta, poiché era stato lo spudorato favoritismo di Edward nell’assegnare posti nell’azienda ai parenti di lei che aveva provocato la rottura con suo padre; ma il pensiero di Cecily York come suocera era terrorizzante quasi come quello di Marguerite Lancaster nella stessa veste, e su questo Elizabeth aveva tutta la sua solidarietà. Ora un quarto pargolo era apparentemente in arrivo, e Richard era decisamente divertito nel rievocare Edward pregare ardentemente che questa volta fosse un maschio, perché “vivere da solo in mezzo a tutte queste donne è un disastro, Dickon, farai meglio a goderti la libertà finché puoi!”.
Anne, dal canto suo, ricambiava con racconti dei gusti costosi di Isabel, che la trascinava in giornate campali di shopping costringendola ad aspettarla per ore mentre provava ogni singolo capo del negozio prescelto prima di decidersi (con somma disperazione dei poveri commessi, e di George per la sua carta di credito abusata) e che le appioppava immancabilmente tutte le borse da portare, neanche fosse stata la sua cameriera; o delle leggendarie scenate a lavoro di Marguerite, da cui aveva imparato più insulti in francese che dalle tipiche ricerche sciocche sui dizionari fatte da studente. Non nominava mai Edouard, e quando sentiva parlare della grande famiglia felice del suo omonimo York una punta di gelosia si faceva sentire; ma nulla poteva scalfire la sua felicità di quei momenti passati con Richard a raccontarsi storie, le loro storie, un po’ come quando da bambini condividevano eccitati le ultime avventure dei loro personaggi preferiti. Aveva iniziato ad aspettare il momento della serata in cui avrebbe visto la sua testa ricciuta spuntare dietro al bancone, e quel lavoro che detestava diventava all’improvviso una prospettiva quasi piacevole. Dove prima usciva di casa per recarsi al White Rose con l’espressione desolata di chi non ha alternative, ora il pensiero riusciva a strapparle sempre più di frequente qualche sorriso, e il cambiamento attirava su di lei le inevitabili occhiate sospettose di Bella.
“Si può sapere cosa ti rende così improvvisamente allegra?”
Anne si limitava ad allargare il sorriso.
Dopo circa una settimana dalla sera piovosa dell’incontro, anche Francis – passato con l’età adulta da vicino di banco a vicino di casa di Dickon – era passato, alla ricerca di un portachiavi perduto che aveva già cercato dappertutto; Anne aveva dovuto dirgli dispiaciuta che nessuno aveva trovato niente pulendo il locale in quei giorni.
“Sono sicura che salterà fuori. Almeno non sei dovuto venire fino all’altro capo della città per cercare qualcosa che non c’era,” aveva tentato di rallegrarlo.
“Uh, in realtà casa è piuttosto distante da questa zona; conosco bene il quartiere perché i miei abitavano qui, ma per me e Dickon ora è più comodo abitare vicino agli uffici. Un po’ mi manca, ci passo volentieri comunque. Grazie lo stesso, Anne.”
Quindi Richard non era affatto sulla via di casa come le aveva detto, quando veniva a trovarla ogni sera…ma veniva lo stesso comunque. Il rossore traditore l’aveva assalita nuovamente al pensiero che facesse davvero tutta quella strada in più ogni giorno, pur stanco dal lavoro, solo per lei; e quando aveva tentato, quella sera, di accennare all’argomento scherzando sul fatto che George doveva essere molto contento che suo fratello spendesse così tanto nel suo bar, Richard aveva semplicemente sorriso.
“Non lo faccio per lui.” E l’aveva guardata di nuovo in quel suo modo misterioso, e Anne avrebbe voluto perdersi a fissarlo, avvolta dal suo sguardo dolce; e invece aveva abbassato gli occhi, e si era rifugiata al volo in cucina perché aveva all’improvviso bisogno d’aria.
Nelle settimane seguenti, al loro rendez-vous serale era mancato soltanto una volta; e in quell’occasione Anne, pur ripetendosi in continuazione come mantra mentale che non poteva pretendere di avere la sua attenzione esclusiva, non aveva potuto impedirsi di essere un poco delusa e di farlo trasparire.
“Ti manca il tuo spasimante?”
Vèronique, la sua collega barista di origini francesi – il cui leggero accento era per fortuna l’unica caratteristica che l’accomunava ai suoi ex-parenti acquisiti – l’aveva osservata con sguardo clinico e giusto un poco divertito.
“Non è il mio spasimante, Nikki, ci conosciamo da quando abbiamo imparato a camminare. Cosa ti ha dato quell’idea?” aveva risposto piccata Anne – come se il conoscerlo da una vita fosse un motivo valido per non innamorarsi di lui, semmai era il contrario…un momento, da quando adesso era innamorata di lui?
“Mah, il fatto che stasera tu sia tesa come una corda di violino e continui a sbirciare la porta ad ogni cliente che entra è sufficiente?”
Richard, ad ogni modo, si era fatto perdonare subito il giorno dopo, offrendole con un piccolo inchino scherzoso una rosa origami bianca fatta con un foglio rubato dal suo ufficio. L’espressione di Anne doveva aver tradito quanto avesse apprezzato quel piccolo gesto, poiché da allora lui aveva preso l’abitudine di portargliene una al giorno; Anne le aveva conservate tutte gelosamente, e ne aveva fatto un centrotavola per il salotto di Isabel e George, così da averle sempre in bella vista quando attraversava la sala (anche questo non aveva mancato di scatenare gli sguardi perplessi della sorella).
“Dovrebbe fartele rosse,” aveva commentato gaiamente la novità Vèronique. Ma la verità era che il rosso, sanguigno e sgargiante, era il colore preferito di Marguerite Lancaster, e di conseguenza anche di Edouard, i cui gusti e aspirazioni coincidevano sempre con quelli della terribile madre, mentre il bianco era il colore dell’innocenza, e la faceva inevitabilmente pensare a Richard e ai loro ricordi spensierati d’infanzia – cui la tradizione degli origami apparteneva; perciò Anne le preferiva così, e sorrideva tra sé, chiedendosi se anche Richard volesse che lei interpretasse le sue rose di carta in quel modo.
In quegli ultimi giorni d’estate, era piovuto pochissimo.
 

Ma ora era autunno, e il cielo era di nuovo plumbeo sopra la testa di Anne mentre camminava con passo affrettato verso il White Rose, tanto da far sembrare quasi già sera la mattina che volgeva al termine; ma, ancora una volta, il filo dei suoi pensieri le impedì di farci caso. La telefonata agitata di Catherine in cui le chiedeva disperatamente di scambiare i loro turni di lavoro per quel giorno – nel panico l’aveva sentita balbettare qualcosa sulla babysitter che le aveva dato buca all’ultimo momento, e attraverso la cornetta gli strilli acuti dei suoi fratelli ne erano stati una conferma fin troppo evidente – l’aveva colta alla sprovvista, ed era già in ritardo di quasi un’ora per l’inizio del turno del pranzo. Più che per questo, però, se era onesta, era dispiaciuta di dover mancare lei, questa volta, a quello che era diventato il suo appuntamento serale con Dickon; ma, riflettendoci meglio, forse in fondo non era così un male. Forse questa volta poteva andare lei ad aspettarlo al lavoro; sì, poteva fargli una sorpresa. L’idea le strappò un sorriso mentre infilava di corsa la porta del locale, e si precipitava in cucina, trafelata ma con rinnovato buonumore.
L’espressione di Nikki nel vederla spuntare era insolitamente attonita. “Anne! Cosa ci fai qui? Tu non hai mai il turno pomeridiano!”
“Cat mi ha chiesto di scambiare i turni,” rispose Anne, interpretando il tono di apprensione dell’amica come relativo al proprio gigantesco ritardo. “Mi dispiace, l’ho saputo all’ultimo momento, ho fatto più in fretta che ho potuto. C’è così tanta gente?” Un vassoio con degli assaggi di torte salate e l’assortimento completo da aperitivo era pronto lì accanto da portare al tavolo 8, uno dei tavolini più eleganti che stavano nella parte più appartata del locale. “Ecco, questo lo prendo io,” si offrì subito, determinata a farsi perdonare il ritardo; ma rimase stupita nel vedere il panico sul volto dell’altra ragazza aumentare, e Vèronique scattare in avanti come per bloccarla.
“No, Anne, meglio di no…c’è più bisogno di gente al bancone…”
Ma Anne aveva già arraffato il vassoio, e le rivolse un’occhiata fintamente offesa. “Oh, andiamo, sarò anche arrivata di corsa, ma non posso essere così impresentabile da non potermi far vedere dai clienti ai tavoli!” scherzò, e si avviò con il vassoio prima che l’amica potesse ribattere, scuotendo la testa tra sé: cosa le prendeva oggi?
Lo capì quando finalmente alzò lo sguardo sulla sua destinazione, e quello che l’amica non avrebbe voluto che lei vedesse la inchiodò sull’ingresso del salottino separato, il respiro mozzato in gola come se avesse ricevuto un pugno nello stomaco, tutta la sua precedente serenità evaporata all’istante.
Al tavolo 8, il bicchiere di vino portato alla bocca sorridente da una mano e l’altra a rigirarsi in modo civettuolo la catenina con la croce d’argento appesa al collo, era seduta Meg Beaufort, come sempre impeccabilmente elegante nel suo tailleur bordeaux e acconciatura severa. Nella mente di Anne riaffiorarono ricordi spiacevoli del lungo periodo in cui la freelancer aveva lavorato per i Lancaster, e dell’inquietudine che le avevano suscitato i suoi lunghi discorsi esaltati di apprezzamento al pugno di ferro con cui Marguerite amministrava la sua azienda, e le lodi ossessive e continue che tesseva del figlio Henry. Tra tutti i colleghi, si era guadagnata una buona dose di antipatia – nonché la sigla in codice ABF con cui veniva identificata nei corridoi (alias, “Antica, Brutta e Fanatica”); chiaramente ora, invece, a giudicare dalla sua espressione aveva trovato qualcuno che la stava apprezzando, e quel qualcuno era l’ultima persona che Anne avrebbe immaginato o voluto vedere con lei in quel momento.
Dall’altro lato del tavolo c’era Richard; e se la sua postura le pareva un po’ in tensione, si disse che certamente questo era solo quello che avrebbe voluto vedere lei, perché invece lui stava sorridendo a sua volta, lo sguardo nascosto quasi timidamente sotto le ciglia scure. La parte razionale del suo cervello stava tentando disperatamente di ricacciare indietro l’ondata di verde gelosia che la stava sommergendo per una scena ancora piuttosto innocua; ma, osservando meglio Meg, il modo in cui era seduta, protesa in avanti sul tavolo, e lo sguardo chiaramente predatorio che stava riservando a Richard non lasciavano dubbi sulle sue intenzioni. Proprio in quel momento, posò il bicchiere e allungò suadentemente una mano su quella di lui, sussurrandogli qualcosa; e quello che Anne sperava con tutte le sue forze non avvenne.
Richard non si ritrasse istintivamente; rimase soltanto a studiarla mentre parlava, con espressione indecifrabile. Anne ripensò alla sua mano sulla propria, la sera in cui si erano rivisti, e come lei non avesse potuto smettere di fissarlo mentre sotto le sue dita la sua pelle era in fiamme; e non riuscì più a guardare.
Fu consapevole che il vassoio e tutto il suo contenuto invitante le erano scivolati dalle mani inerti soltanto quando udì il tremendo fracasso dell’impatto sul pavimento. Registrò confusamente le facce alternativamente allarmate o seccate – quella di Meg Beaufort sicuramente appartenente a queste ultime per essere stata interrotta – dei clienti ai tavoli intorno a lei; quella di Richard non voleva vederla, e perciò si voltò e corse via, filata verso la porta del locale senza vedere nulla e nessuno intorno a sé, le proteste del capocameriere o lo sguardo affranto di Vèronique che l’accompagnavano mentre la imboccava quasi con ferocia.
Camminava quasi correndo lungo la strada semi-vuota a quell’ora in cui tutti pranzavano, amareggiata e ferita e con lo sguardo che iniziava ad appannarsi, volendo essere lontano, ovunque tranne che vicino a quel dannato locale. Al diavolo quel maledetto lavoro, al diavolo la furia sicura di George per aver dato spettacolo sotto gli occhi di tutti; a che serviva provare con tutte le proprie forze a risollevarsi, quando l’aspettava sempre solo l’ennesima delusione?
Dio, Richard era uno stupido. Meg Beaufort aveva otto anni più di lui, e un figlio – non osava immaginare quanto viziato…era antica, brutta e fanatica, e tutti lo sapevano…
Rise amaramente della propria ingenuità. No, era lei la stupida: una freelancer di successo, madre perfetta di un figlio perfetto, intelligente e scaltra…e perché mai Richard avrebbe dovuto preferire una ragazza che invece in mano aveva solo le ceneri dei suoi fallimenti?
Le coppie con donne più grandi dei compagni andavano pure di moda…
In quel momento, le prime gocce iniziarono a cadere su di lei dal cielo color carbone, quasi a volerla deridere ulteriormente. Alzò con rabbia gli occhi e le mani al cielo in un gesto incredulo.
“Oh, fantastico. Rincari anche la dose? Ti ringrazio!”
Se solo la pioggia l’avesse potuta lavare via, come aveva pensato che fosse successo quel giorno in ospedale, in cui solo Dickon si era accorto di lei…no, accidenti! Perché non riusciva a smetterla di pensare a lui, anche adesso?
“…Anne?”
La sua voce incerta alle sue spalle, come se l’avesse evocato, seguita dal respiro affannato di uno che doveva averla rincorsa, la congelò sul posto.
“Vai via, Richard, ti prego.” Non si voltò; non gli avrebbe dato la soddisfazione di vederla piangere…
“Anne, per favore…”
“Lasciami in pace!” La voce le tremava, e se fosse rimasta anche solo un momento di più vicino a lui era sicura che non sarebbe più riuscita a trattenere i singhiozzi. Tentò di riprendere la sua fuga senza meta sul marciapiede, ma Richard fu più veloce, e la trattenne per un braccio; e, all’improvviso, non era più lui che vedeva ma Edouard, che la trascinava in camera da letto per lo stesso braccio ogni volta che doveva “sfogarsi”. Il panico irrazionale al ricordo la colpì come un schiaffo, mentre si contorceva disperatamente per liberarsi.
“Richard, lasciami! Lasciami!”
 Richard si ritrasse come scottato, lasciandola andare all’istante nel vedere la sua espressione sconvolta. “Scusami.” Anne era inerte di fronte a lui, lo sguardo a terra in un ultimo, disperato tentativo di nascondergli le lacrime che ormai avevano iniziato a scorrere, mescolandosi con le gocce di pioggia che sempre più insistenti le bagnavano le guance; e vederla così gli spezzava il cuore, e ancora di più la consapevolezza che era stato lui la causa primaria del suo sconforto.
Sospirò profondamente. “Dio, Anne, non è come pensi tu…”
Una risata amara uscì dalle labbra di Anne, suonando più come un gracchiare spezzato. “Oh, suppongo sia colpa mia, in fondo. Avrei dovuto imparare da un po’ che non posso permettermi di avere aspettative…”
“Anne, miss Beaufort voleva soltanto propormi un accordo per la compagnia.” A questo Anne sollevò su di lui uno sguardo incredulo e offeso che lui potesse pensare di negare l’evidenza in questo modo, ma negli occhi di Richard incontrò solo sincerità, preoccupazione per lei e un leggero imbarazzo. “Non sapevo neanche che volesse che c’incontrassimo qui fino a stamattina…credo che volesse in qualche modo mettermi a mio agio scegliendo il locale di mio fratello. Ma la verità è che non riuscivo a non essere del tutto teso, perché starci senza di te sembrava…sbagliato.”
“Oh, sono sicura che Meg Beaufort pensa molto a come metterti a tuo agio,” ribatté Anne, dura, senza potersi impedire una smorfia. “E a cosa vorrebbe ricevere da te in cambio… Ma a te non dispiace affatto essere al centro della sua attenzione in realtà, vero? E come potrebbe? Una donna in carriera come lei?” Scosse la testa tra sé, gli occhi che vagavano altrove, sulla strada ancora più deserta di passanti per via della pioggia crescente, ovunque ma non su di lui.
Deglutì di nuovo il groppo di amarezza che minacciava di bloccarle la gola. “Sono stata un’idiota a pensare…”
“No, quello sono io.”
L’interruzione richiamò il suo sguardo sul viso di Richard, su cui si era dipinta un’espressione colpevole. “Non voglio mentirti. E’ da un po’ di tempo che miss Beaufort mi riserva delle…attenzioni…particolari; e l’accordo sarebbe stato davvero d’aiuto a Edward, e ho pensato…ho pensato che non scoraggiarla non potesse essere un male se mi aiutava ad ottenerlo per lui.”
Il suo sguardo era desolato. “Ma chiaramente sto facendo un pessimo investimento, perché sto perdendo molto di più di quello che potrei mai guadagnare…”
Esitando, le prese delicatamente una mano tra le proprie; e Anne riuscì a sentire il suo leggero sospiro di sollievo quando lei non la ritrasse e rimase solamente a guardarlo in attesa, troppo frastornata dal groviglio delle sue emozioni per rispondere.
“Anne, perdonami. Mi ero ripromesso, da quella sera in cui ci siamo rivisti, quando senza volerlo ho fatto riaffiorare cose a cui non volevi pensare, che non ti avrei fatta soffrire mai più…ma non sto facendo un gran bel lavoro, vero?”
Suo malgrado, questo strappò un mezzo sorriso ad Anne, mentre abbassava lo sguardo sui loro abiti ormai bagnati dal temporale, e il senso di dejà vu la riportava alla sera in cui lui era rientrato nella sua vita, fradicio allo stesso modo. Sembrava così lontana…
Richard sorrise lievemente a sua volta. “Te l’ho già detto una volta: non ti ho mai mentito quando eravamo bambini, e non ho intenzione di iniziare né ora né mai. Mi dispiace, davvero. Credimi, ti prego, Anne.”
Un’altra risata dolceamara le uscì spontanea dalla bocca. “Non sono più quella bambina che conoscevi, Richard. La bambina che non voleva essere una principessa, ma un cavaliere per vivere le proprie avventure…” Scosse la testa tristemente. “Ora ne ho vissute, e mi hanno insegnato solo che non posso fidarmi di nessuno, e nemmeno di me stessa.”
Sentì Richard stringerle di più la mano che ancora non le aveva lasciato.
“Lo sei ancora.” Il suo sguardo era dolce. “Non conosco tutto quello che hai dovuto passare…e il mio più grosso rimpianto è non esserci stato per te allora. Ma quello che vedo è che non ti sei arresa, e continui a cercare una strada con il coraggio di un vero cavaliere; e per questo ti ho sempre ammirata, Anne.”
I suoi occhi brillavano d’affetto mentre parlava; e di fronte a questo, il muro di controllo che Anne stava tentando di costruire dall’inizio di quella conversazione crollò come un castello di carte, mentre collassava tra le sue braccia, nascondendo il volto nel suo petto, e lo sentiva cingerla delicatamente a sua volta.
Un momento di silenzio emozionato passò tra di loro, rotto soltanto dal crepitio della pioggia intorno a loro. Erano ormai entrambi bagnati fino al midollo, i capelli gocciolanti e attaccati al viso, i vestiti uno più appiccicoso dell’altro; ma stretta a lui, mentre poteva sentire il battito del suo cuore correre agitato allo stesso ritmo del proprio, che le rimbombava prepotente nelle orecchie, Anne non aveva minimamente freddo, e si sentiva, per la prima volta dopo tanto tempo, totalmente sicura, protetta dall’abbraccio rassicurante di Richard.
Dopo qualche momento, lo sentì muoversi e prenderle di nuovo le mani, portandosene una lentamente alla spalla e intrecciando le sue dita in quelle dell’altra; e Anne lo guardò senza capire.
“Cosa…?”
“Shh.” Erano così vicini che avrebbe potuto contargli le ciglia scure; Richard sorrise del suo stupore, e iniziò a farla girare lentamente, come unico ritmo a guidarli quello della pioggia scrosciante.
“Richard! Siamo in mezzo alla strada!”
“Siamo gli unici in mezzo alla strada,” corresse lui con una risatina. “Dubito che ci siano altri pazzi in giro che si metterebbero a discutere sotto un temporale come noi…”
Ma in realtà, anche se ci fosse stata la folla delle ore più trafficate, ad Anne non sarebbe importato: c’era solo Richard, e la vicinanza nuova e magnetica dei loro corpi, e il loro lento ballare improvvisato a cullarli.
“Perché l’hai fatto?” la domanda le salì alle labbra quando si fermarono e lui la lasciò andare lentamente, quasi controvoglia. La sua bocca s’incurvò ancora nel suo famoso mezzo sorriso che le mozzava il fiato.
“Secondo te, perché?”
E riecco anche l’ormai familiare calore alle guance, mentre Anne realizzava che erano ancora impossibilmente vicini, tanto da poter sentire il suo fiato sulla pelle mentre per la seconda volta rispondeva alla sua domanda con un’altra domanda, più pericolosa e invitante nella sua ambiguità, una a cui Anne avrebbe voluto disperatamente ma al tempo stesso temeva di dare risposta.
Abbassò lo sguardo, improvvisamente timida, sui propri abiti zuppi. “Forse…forse dovremmo ripararci,” disse, cogliendo al volo il cambio di argomento. “Siamo ancora due pazzi che discutono sotto a un temporale…”
Richard rise. “Credo che sia un po’ tardi per quello, ormai” osservò divertito.
La sua risata era contagiosa, e Anne si ritrovò a sorridere di rimando. Una fitta di senso di colpa per la sua scena di prima si fece sentire improvviso. “Almeno potresti salvare qualcosa del tuo accordo…”
Lui inarcò un sopracciglio. “Dubito di poter salvare alcunché in questo stato,” disse ironico, ma poi si fece di nuovo serio. “E comunque, al diavolo l’accordo. Avevo cose più importanti di cui occuparmi qui.”
Dio, doveva smetterla di guardarla in quel modo o di dire queste cose…o non sarebbe più riuscita a tenere con lui una conversazione intelligente…
“Edward sarà furioso,” insisté, gettandogli un’occhiata colpevole da sotto le ciglia.
“Hmm, probabile” concesse Richard inclinando il capo come per riflettere; ma dal tono della sua voce non pareva per niente preoccupato. “Ma so come farmi perdonare.”
Fu il turno di Anne di guardarlo con l’interrogativo negli occhi.
“Voci di corridoio mi dicono che ci sarebbe bisogno di un buon PR…e forse posso procurarglielo…”
Il cuore di Anne diede un tuffo. “No!” esclamò, incredula. Di sicuro non poteva intendere…lei?
Ma Richard le rivolse un sorriso raggiante mentre annuiva. “Ovviamente, se lei accetta…”
“Oh, Richard!” Gli gettò le braccia al collo, ubriaca di felicità dopo così tanto tempo in cui aveva quasi dimenticato che quell’emozione esistesse, sicura che questa fosse una risposta sufficiente. Avrebbe potuto lavorare nella compagnia che era costata a suo padre tanti sacrifici in principio, e sapere che l’avrebbe reso orgoglioso; riprendere in mano il lavoro che le piaceva, e non dover dipendere più dalle lune di Isabel e George; soprattutto, avrebbe potuto, anzi dovuto stare a contatto con Richard per tutto il giorno, tutti i giorni. Di fronte a tutto questo, la prospettiva di dover sopportare la probabile inimicizia velata di Liz Rivers, per essersi appropriata di quella posizione al posto di uno dei suoi infiniti familiari, le sembrava un prezzo totalmente insignificante da pagare.
“Richard…non posso crederci! Non so come ringraziarti…non so se potrò mai farlo a sufficienza…”
“Hmm…fammi pensare.” Richard assunse di nuovo un’espressione pensierosa. “Oh, sì.”
La guardò, e nei suoi occhi l’ironia lasciò gradualmente il posto a quell’espressione sconosciuta che faceva bruciare la pelle di Anne senza nemmeno bisogno di una carezza.
Lo sentì mormorare, appena udibile sopra il ticchettio ritmico della pioggia. “Un’idea ce l’avrei…”
Anne si ritrovò a trattenere il respiro in anticipazione; e, all’improvviso, mentre lui inclinava il volto bagnato e le catturava le labbra con le proprie, ogni altra cosa perse d’importanza, e il nome di quel sentimento estraneo le affiorò alla mente improvviso.
Desiderio.
Aveva imparato a vedere la pioggia come la sua personale messaggera di sventure: violenta, improvvisa e distruttrice, come negli uragani. Tuttavia ora, mentre Richard la baciava, e la baciava, fino a toglierle il fiato, le occorse per la prima volta che la pioggia era anche quella che i contadini aspettavano dopo la semina; quella che, su un terreno incenerito, permetteva il ritorno della vita. Nuovi inizi.
E, mentre rispondeva con la stessa passione ai suoi baci, pensò che, da quel giorno, era pronta finalmente a vederla con questo significato; e che, con Richard nella sua vita, non avrebbe mai più temuto altre tempeste.




Nota:
In questa ff ho mescolato caratteristiche della serie a quelle descritte nel mio libro preferito sulla Guerra delle Due Rose (e particolarmente su Richard), “The Sunne in Splendour” – che, se masticate l’inglese, consiglio ad occhi chiusi e difilato. È storicamente accurato, descritto minuziosamente, appassionante, avventuroso, romantico…insomma, me ne sono innamorata perdutamente. Se poi, come me, siete amanti di Richard e Anne più di tutti in questo periodo, è veramente il massimo *-*
Ad ogni modo, se non lo conoscete, le riprese dal libro sono queste:
-Il “nickname” di Richard, Dickon;
-L’uso dei nomi francesi per Margaret d’Anjou e Edward di Lancaster;
-Gli amici di Richard: nella serie della Gregory, è assurdamente assente Francis Lovell, che invece storicamente fu uno dei migliori amici (se non proprio il più intimo) e maggiori sostenitori di Richard fino oltre la sua morte (promosse e guidò una ribellione in suo nome durante il regno di Henry VII). “Jack” sta per John Howard, e “Rob” potete interpretarlo come Robert Brackenbury, visto più vicino al re nella serie, oppure, nel libro, Rob Percy;
-Gareth è il grosso cane da caccia nero di Richard nel Sunne;
-Vèronique (“Nikki”) è il nome della dama di compagnia più fedele di Anne nel libro (unico personaggio principale completamente fittizio della Penman, ma che è talmente accattivante che non potevo non inserirla); mentre Catherine è il nome di una delle ragazze cui Anne lavora fianco a fianco quando si sta nascondendo all'Aldgate Inn dopo la sua fuga dal palazzo di George (le versioni di come si sia liberata dalle imposizioni prepotenti del cognato contro il matrimonio con Richard in questo differiscono molto e sono tutte interessanti! Lo stesso lavorare in un bar di Anne alle dipendenze di George, in questa fic, vuole essere un omaggio ad ancora un'altra versione della storia, che vuole che sia stato Clarence stesso a tentare di renderla introvabile per il fratello Gloucester obbligandola a passare per una lavoratrice in una cucina ^-^)
 
Spero che la storia sia una lettura piacevole nonostante la lunghezza…^^
Commenti sono, ovviamente, apprezzatissimi! (anche perché trovare altri appassionati di questa serie e di questi personaggi in giro non è così facile, e invece fa sempre piacere! :3)
Un grazie di cuore a chi è arrivato fin qui, e, spero, à la prochaine!
  
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