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Autore: Amens Ophelia    20/10/2013    9 recensioni
[SasuHina]
Hinata ha poche certezze, dietro quegli occhi chiarissimi: sa che il sole sorge e tramonta sempre, anche dietro le nuvole, e che il suo astro personale è un ragazzo biondo, in classe con lei. Purtroppo è anche a conoscenza del fatto che lui non lo saprà mai.
Troppe sono le cose che ignora pericolosamente, come il posto che occupa nei pensieri di Sasuke Uchiha.
(NB: accenno SasuKarin)
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hinata Hyuuga, Naruto Uzumaki, Neji Hyuuga, Sasuke Uchiha | Coppie: Hinata/Sasuke
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Nessun contesto
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7. Tachicardia
 

 
 
 

Un ritmo incessante colpiva le orecchie di Hinata, ma non era quello della musica che usciva dalle casse e che si spandeva per l’aria incredibilmente tiepida di quella notte autunnale; era il suo cuore a invaderle i sensi, quel martellare irrequieto che non riusciva a bloccare, per quanto ci provasse con ogni forza. Aveva premuto una mano al petto, chinando il viso e pregando silenziosamente che ogni cosa andasse per il verso giusto, almeno quella sera. Se non per lei, perlomeno per Naruto e la sua festa; non avrebbe mai desiderato che il suo diciottesimo compleanno potesse rivelarsi un disastro, soprattutto per causa sua. Lei a quella festa, poi, non sapeva ancora precisamente come vi si era ritrovata. Sentiva la mano di Sasuke stringerle ancora le dita, mentre superavano il cancello. Era calda, mentre la sua gelida e quasi esangue, a causa di quella morsa spasmodica, ma non avrebbe mai trovato il coraggio per dirgli che le stava facendo male. Sasuke era l’unica persona al mondo, in quel momento, che non riusciva davvero a ferirla, per quanto fosse rude, delle volte.
            Alzò la testa e incrociò il suo sguardo color carbone, fisso sul suo volto. Arrossì di colpo, non riuscendo a capire cosa stesse pensando; quel ragazzo rimaneva un mistero, ma lei non sembrava essere tale, ai suoi occhi. La giovane ripensò immediatamente a quelli cerulei dell’unico motivo che la spingeva a rischiare tanto, pur di rivederlo, e, contro ogni aspettativa, riuscì a placare i sussulti cardiaci. Lo stava facendo per Naruto e quella era la miglior occasione mai capitatale per poterglisi rendere visibile; temeva sarebbe stato l’ennesimo fallimento, ma promise a se stessa che non avrebbe sprecato quell’opportunità.
 
Appena varcarono l’ingresso nel giardino, un’esplosione di luce e risate li investì, spiazzandoli totalmente. Ogni invitato sembrava li stesse aspettando da ore, puntando lo sguardo su di loro… e le loro mani. Erano ancora strette l’una nell’altra, bianche e innocenti, ma a quegli occhi increduli non apparivano tali. Accortosi di quell’attenzione morbosa, Sasuke si affrettò ad allentare la presa e lasciare le dita della Hyuga, non senza sfiorarle un’ultima volta, impercettibilmente, nel tentativo di trasmetterle un briciolo di energia in più.
            «Sasuke, finalmente!», urlò Naruto, entusiasta, saltandogli al collo. «Ce n’hai messo, di tempo! Avevi dimenticato la strada?».
            «Dovevo recuperare il tuo regalo», sogghignò, osservando di sottecchi Hinata, al suo fianco.
            «Oh, ma ci sei anche tu! Non mi sembra possibile! Ti ha convinta lui?», domandò sorpreso il biondo, sorridendo alla corvina.
 Lei accennò un timido sorriso, mentre il suo cuore perdeva un battito; si era accorto della sua presenza e le aveva rivolto una risata gioiosa, in grado di scaldarla immediatamente e trascinarla in Paradiso.
             «N-Naruto, g-grazie per l’invito. Tanti a-auguri!». Era riuscita a dirlo, anche se con impaccio; si sentiva realizzata, nonostante la voce non fosse uscita sicura quanto avesse desiderato.
             L’Uzumaki l’abbracciò, ringraziandola. Era felice che ci fosse anche lei, insieme con il resto della classe; era il suo sogno, avere tutti i suoi compagni lì, e si era realizzato.
            Anche quello di Hinata era diventato realtà, per quei cinque secondi: poteva avvertire il calore umano del biondo, le sue braccia sulla schiena, la risata fra i capelli… era reale, ed era con lei. Abbassò lievemente le palpebre, sorridendo dolcemente e fissando le luci delle lanterne. Nulla avrebbe interrotto quell’attimo di felicità, nessuna sveglia, nessuna intrusione di luce diurna; era tutto vero, proprio come quelle mani che si erano strette dietro le sue scapole.
            Prima che Naruto si staccasse da lei, il suo sguardo vagò verso quello fermo di Sasuke, che ancora la osservava con aria tranquilla. “Grazie”, avevano urlato le sue iridi chiarissime, mentre le labbra rimanevano sigillate. Un guizzo luminoso negli occhi neri dell’Uchiha le confermò che quella silenziosa gratitudine non era caduta nel vuoto.
            «Goditi la festa», le fece l’occhiolino il biondo, prima di raggiungere il tavolo del buffet.
             Hinata rimase a fissarlo alcuni secondi, accarezzandosi un braccio con la mano; se fosse stata da sola, si sarebbe assestata un pizzicotto, ma non poteva dare nell’occhio in mezzo a tutta quella gente.
             Non le aveva detto nulla di particolare, né si era soffermato a osservarla bene e scorgere quanto fosse diversa dal solito, con quell’abito scuro e l’aura lunare ad illuminarla, ma non le importava. Per la prima volta, era riuscita a percepire il calore di Naruto, ad accostare realmente il proprio cuore al suo, a respirare la sua stessa aria, catturare il suo respiro… Per quei cinque secondi, lui era stato suo, e di nessun altro.
            «Beh, hai intenzione di rimanere con quell’espressione tutta sera?», le chiese Sasuke, avvicinandosi lentamente.
            «Ti ringrazio profondamente», sussurrò lei, sorridendo senza più timore.
             Il moro non sapeva perché, ma quella riconoscenza sincera cominciava a fargli male, lo costringeva a pensare che avvicinarsi a Hinata corrispondeva anche a perderla. Ogni filo ordito nella tela per far incontrare la Hyuga e l’Uzumaki, era uno spago che si spezzava nella sua. La osservò silenziosamente qualche secondo, mentre lei ancora non aveva spento il sorriso: era così diversa, così pura e ammirevole, in quella serata di chiasso e fascini poco innocenti. L’incanto che sapeva sprigionare con un timido rossore sulle guance, le lunghe ciglia abbassate e le labbra armoniose non era qualcosa di prettamente umano. Quella non era Hinata, non poteva davvero essere lei. Probabilmente la vera Hyuga era ancora chiusa in auto, con i suoi jeans e la felpa lilla, presa a struggersi e tormentarsi.
               Sasuke cacciò quelle riflessioni sconclusionate con un sospiro. Cosa diavolo stava succedendo, nella sua testa? Perché si stava fissando con quella ragazza che mai avrebbe catturato la sua attenzione, fino a poco tempo prima? Quella era Hinata! Hinata, la ragazza-fantasma, quella che dichiarava la propria esistenza con un colpo di tosse e qualche balbettio, niente di più!
                L’Uchiha si allontanò verso l’angolo dei drink, non appena vide Kiba e Tenten puntare verso la corvina. Meglio annebbiare quei vaneggiamenti con un buon cocktail, pensò, augurandosi che rimanessero morti e sepolti lì.
 
Eppure, due occhi eccitati avevano colto tutto, in ogni piccolo particolare. Due iridi rosse, occasionalmente libere dal vetro e rivestite da lenti a contatto, avevano osservato la scena con una perizia maniacale: l’arrivo alla festa, mano nella mano, quegli sguardi sfuggenti, l’imbarazzo della Hyuga… La rabbia era salita fino a esploderle nelle orecchie, come un’insidiosa sirena di odisseica memoria, ingannando la sua mente con false congetture. Sasuke aveva rinunciato a lei, per Hinata!
                Karin, stizzita, girò le spalle e puntò a un ragazzo dai lunghi capelli neri, che stava parlando con Rock Lee, comodamente seduto sul divanetto. Era a conoscenza dei rapporti tesi che correvano tra i cugini Hyuga e sapeva che, per ferire Sasuke, avrebbe dovuto inevitabilmente colpire anche la piccola, indifesa Hinata.
                «Neji, posso parlarti?», chiese con una risatina forzata. Moriva dalla voglia di dare in escandescenza, ma doveva trattenersi, per il momento, o quel ragazzo l’avrebbe presa per pazza.
                «Ora, come vedi, sono occupato», l’aveva liquidata lui.
                Il solito tono arrogante e menefreghista; Karin fece una smorfia d’insofferenza, ma sapeva bene come catturare la sua attenzione.
               «Credo che le vostre chiacchiere possano attendere. Vedi, si tratta di Hinata… e Sasuke».
                Il moro si girò di scatto verso la rossa. I suoi occhi, ora, erano vigili, la mascella contratta e l’aria accigliata. La ragazza sorrise, soddisfatta, invitando il giovane a seguirla, con un gesto della mano.
               Si recarono sul retro della casa, dove non c’era nessuno e la musica arrivava ovattata; a illuminare i loro volti pallidi c’era solo qualche faretto che spuntava dai piedi della siepe. Karin si buttò con le spalle al muro, sobbalzando per l’aderenza con il cemento freddo. Non appena incrociò lo sguardo cupo del moro, sorrise nuovamente, poggiandogli una mano sulla spalla e massaggiandogliela.
              «Cosa dovrei sapere?», domandò lui, sottraendosi a quel tocco provocante.
              «Rilassati», sussurrò la rossa, per niente intimorita dalla sua reazione; anzi, gli gettò le braccia al collo, avvicinando il proprio volto al suo. Poteva vedere il disagio negli occhi dello Hyuga, e questo la divertì sottilmente: una macchina da guerra, incapace di mostrare sensazioni, presa in contropiede e infastidita da lei!
               Era così vicina alle sue labbra da percepire il respiro regolare del moro sul naso. Gli si appropinquò ancora di qualche centimetro, quel tanto che bastasse per baciarlo.
               Aveva avvertito i muscoli del giovane contrarsi lungo schiena, sotto i suoi agili polpastrelli, e non aveva esitato a insinuare la lingua nella sua bocca, onde cancellare ogni traccia d’innocenza da quel contatto. Doveva agire subito, andare a fondo nel bacio nel giro di pochi secondi; dopo anni di pratica e decine di ragazzi, aveva imparato che per non farsi respingere bisognava andare al sodo, entrare nei sensi e farsi spazio nel minor tempo possibile. Andare alla testa, come il vino rosso, dello stesso colore dei suoi capelli.
               Aveva sorriso maliziosamente, mentre spingeva la lingua contro quella del ragazzo, che cominciava a ricambiare la sua irruenza. Era pur sempre un umano, in fondo. E lei sapeva esattamente come fare impazzire, gli uomini.
              «Cosa dovrei sapere?», ripeté lui, non appena la Uzumaki allontanò le labbra dalle sue.
              «Qualche ora fa, a scuola, ero appoggiata alla balaustra che dà sul pianoterra… e quasi non mi è venuto un colpo, quando ho visto questo!», esclamò lei, fingendosi ancora scossa. Estrasse il cellulare dalla borsetta e vagò con il pollice nella galleria; un lampo di gioia maligna le illuminò il volto, quando trovò gli elementi che voleva tanto mostrargli.
              Gli porse il telefonino e si riempì il cuore di perfido giubilo, mentre osservava lo stupore e la rabbia dipingersi sul volto di Neji.
             «Ecco, Hinata sta aprendo la porta del bagno e Sasuke appoggia la mano sulla sua… qui, invece, si guardano negli occhi e parlano…». Si sentiva in dovere di proporgli delle didascalie, per impreziosire quelle menzogne.
              Neji guardava le immagini con i nervi a fior di pelle. Quella era senza dubbio sua cugina, si vedeva perfettamente, e il moro, di spalle, non poteva essere che Sasuke, con quei capelli spettinati e la carnagione chiarissima. Non gli passò minimamente per il cervello la domanda di quando fossero state scattate quelle fotografie; forse, se avesse letto la data e l’ora, avrebbe compreso che Hinata si trovava lì per soccorrerlo, e avrebbe ricordato quel gesto caritatevole della corvina. Ma la rabbia è peggio della luce diretta del sole, in quanto ad accecamento.
             «Cos’è successo, dopo?», chiese con evidente sforzo, stringendo i denti e restituendo il cellulare alla rossa.
              Lei, tingendo le guance di un pudore tutt’altro che autentico, si finse improvvisamente imbarazzata, abbassando lo sguardo. Lei, una vera tigre, senza scrupoli e timidezza, che si vestiva di un comportamento degno di Hinata, onde risultare più credibile!
            «Beh, ecco… sono entrati nel bagno degli uomini, insieme. Non voglio saltare a conclusioni affrettate, ma ci sono rimasti almeno una decina di minuti. È successo proprio oggi pomeriggio… io mi sono fermata a scuola con degli amici del club sportivo, per l’allenamento, e non ho potuto non rimanere sbalordita. Questo dev’essere stato il loro modo di adempiere all’incarico dell’Hatake. E non oso immaginare cosa sia potuto succedere nell’archivio». Il tono si era arricchito di una sfumatura sibillina. Aveva messo una pulce nell’orecchio dello Hyuga e ora poteva osservare i suoi pensieri contorcersi tra le fiamme dell’odio, dietro quegli occhi di perla.
            «Un bastardo e un’indegna, che coppia meravigliosa! Sarà un piacere, distruggerli», sussurrò Neji, stringendo i pugni e sorridendo sinistramente, lasciandosi Karin alle spalle.
            La rossa schiuse le labbra e mostrò un sorriso feroce alla luna. Un brivido le aveva accarezzato la schiena, alle parole del giovane; quel disprezzo suscitato tanto facilmente andava oltre le sue aspettative più rosee.
            Si affrettò a seguire il ragazzo, con un ghigno malaugurante dipinto in volto. Sasuke l’avrebbe pagata cara, oh sì.
 
Hinata era seduta fra Tenten e Kiba, su un divanetto del porticato. Dietro le domande degli amici, aveva raccontato di come il pomeriggio a scuola fosse volato, tutto sommato, e aveva mentito dicendo che Sasuke era stato molto gentile a prodigarsi per finire prima; non avrebbe sopportato l’ennesima critica verso quel ragazzo che, ora come ora, aveva fatto tanto per lei. Si sentiva in dovere di difenderlo o, quantomeno, regalare un’immagine migliore di lui, agli altri.
              «Bellissimo vestito, hai fatto bene a sperimentare un nuovo look!», sorrise la castana, osservando l’amica. Lei arrossì e la ringraziò con impaccio, accarezzando il pizzo scuro della gonna e, per almeno la cinquantesima volta, tentando inutilmente di allungarla.
               «Ma com’è che sei arrivata con l’Uchiha? Che sta succedendo, tra voi due?», chiese a un tratto l’Inuzuka, confuso.
               «N-nulla, si è solo offerto di accompagnarmi, tutto qui». In fondo era vero, no?
               «Beh, ma avresti potuto chiedere a noi, sciocchina!», scherzò Tenten, picchiandole amichevolmente l’indice sulla tempia.
               «Oppure a tuo cugino», aggiunse Kiba, osservando Neji che si avvicinava a grandi falcate in loro direzione.
               Hinata alzò la testa e tremò, alla vista del suo consanguineo. Conosceva quell’espressione – o meglio, conosceva quasi solo quella, dal repertorio di Neji – e sapeva che non prometteva nulla di buono. Di lì a poco sarebbe scoppiata una tempesta, e lei non aveva ripari per sfuggirle. Non c’erano Sasuke, né zio Hizashi… Kiba e Tenten erano i suoi migliori amici, ma non le parevano abbastanza di conforto, in quel frangente, senza contare che non avrebbe mai voluto trascinare anche loro a capofitto nei suoi guai.
                Strinse i pugni e si alzò a fatica dal divano, incamminandosi verso il cugino. Capiva che doveva cominciare a contare solo su se stessa; forse aveva ragione l’Uchiha, quando diceva che anche lei era un essere umano come gli altri e, in quanto tale, sulla carta non valeva meno di nessuno. Difficile crederci davvero, per una come lei, ma non impossibile. Aveva voglia di cambiare e sentiva che quella sera, con l’abito e la partecipazione alla festa, aveva già compiuto un grande passo avanti.
                 Drizzò lo sguardo verso il parente e aprì nuovamente le mani, lungo i fianchi. Basta tensione inutile e basta autocommiserazione, almeno prima del tempo. L’avrebbe affrontato, a debita distanza da sguardi indiscreti.
 
Neji stava per raggiungere la cugina, quando l’allegria di Naruto si frappose letteralmente fra i due, dividendoli. Se la ragazza aveva pensato a un intervento provvidenziale del fato, l’altro Hyuga, con uno sbuffo infastidito, aveva lanciato un’occhiataccia all’Uzumaki e al suo pessimo tempismo.
            «Beh, è il momento dei regali, no?», ridacchiò il biondo, grattandosi la nuca.
             Erano le ventitré e trenta e lui moriva dalla voglia di scartare i pacchi, per poi darsi allo stappo dello champagne e al taglio della torta, previsti per la mezzanotte.
             Hinata fremette quando il ragazzo le sfiorò la spalla con la sua, mentre, passando, aveva separato lei e Neji. Ecco una valida ragione per apparire più forte, concreta, reale, viva. Quella sera non avrebbe dovuto esitare e offrire coraggiosamente il suo regalo a Naruto, nonostante il suo animo le ricordasse quanto quei biscotti sarebbero parsi inappropriati per un compleanno – soprattutto, un diciottesimo. Strinse nuovamente la busta, osservandola: l’aveva stropicciata, con tutta quella tensione incanalata fra le dita, e tentò di stendere la carta colorata con il pollice. Sospirò, maledicendo l’ennesima prova della propria inadeguatezza; cosa ci faceva lì, seriamente? Come poteva ritrovarsi occhi negli occhi con Naruto e non spiccicare parola?
            «Tutto bene, Hinata?», chiese l’Uzumaki, scrutandola con attenzione.
            Batticuore o tachicardia? Quando l’amore diventa malattia? O lo è da sempre?
            La ragazza ingoiò un boccone d’aria fredda, amaro quanto la certezza che avrebbe fallito miseramente, anche in quell’occasione. Fissava gli occhi più azzurri che avesse mai ammirato, meravigliandosi di come riuscissero a mantenere quella tonalità solare anche nel buio della notte, quando i suoi erano sul punto di sciogliersi in lacrime cristalline.
            «E-ecco, que-questo è il m-mio pensiero…».
            «Naruto! Non apri il mio pacco, per primo?», gridò una ragazza dalla voce acuta e rabbiosa.
            Hinata allontanò il sacchettino che aveva teso verso il festeggiato, avvilita. Le guance erano in fiamme, mentre le gambe le tremavano, sotto il peso di una nuova umiliazione. Alzò coraggiosamente lo sguardo verso Sakura, non appena Naruto si era avvicinato a lei, la quale gli aveva porto una grande scatola incartata di arancione. Ecco, il suo colore preferito; non aveva azzeccato nemmeno quello, pur conoscendolo bene. Semplicemente non le era venuto in mente, convinta che Naruto non avrebbe mai preso quei biscotti, e aveva optato per una banale carta a strisce azzurre, bianche e blu.
           «Sakura, il regalo migliore sei tu, lo sai! Se non fossi venuta, stasera, non avrebbe avuto senso organizzare questa festa!», esclamò il biondo, abbracciandola.
           La ragazza sorrise, battendogli amichevolmente la mano sulla schiena e invitandolo a smettere di sparare certe idiozie. Erano ottimi amici da anni, ma Naruto era sempre stato invaghito di lei, e Hinata lo sapeva bene. Non poté evitare di sussultare nell’osservare la scena e, un secondo dopo, di lasciar cadere per terra quella busta colorata, correndo verso l’angolo più nascosto e fitto di alberi del giardino della casa.
          Con quei tacchi, aveva rischiato di cadere un paio di volte, ma, miracolosamente, era rimasta in piedi per tutta la corsa. Si accasciò per terra, cominciando a tremare. Non voleva piangere, ma fu più forte di lei; le lacrime fluirono incontrollabili da sotto le lunghe ciglia, mentre le mani si accanivano sull’erba. Perché quella rabbia, quella frustrazione, quell’inadeguatezza erano riuscite a sorprenderla? Non doveva forse esserci abituata? Il suo cuore non voleva arrendersi, ma avrebbe fatto bene a darsi per vinto. Quella sera, seppure a caro prezzo, forse l’aveva compreso.
          Avrebbe fatto meglio a rimanere a casa, proprio come aveva immaginato, ma Sasuke aveva insistito tanto, quasi costringendola ad andare incontro al suo destino. Tuttavia, per quanto si fosse rivelata per essere una scelta disastrosa, non riusciva ad avercela con quel ragazzo.
 
Neji aveva osservato confuso la reazione di sua cugina, davanti a quel fatto. Cercò di fare luce sul significato della sua fuga, apparentemente insensata; se lei era davvero innamorata di Sasuke, perché scappare, di fronte a quell’entusiasmo di Naruto verso Sakura? Perché allontanarsi, se aveva trascorso una decina di minuti in bagno con l’Uchiha e il moro l’aveva persino accompagnata alla festa? Perché abbandonare tutti e andarsene di punto in bianco? Non riusciva a capire, per quanto il dubbio di essersi sbagliato a fidarsi di Karin cominciasse ad insediarsi nella mente.
            Scrutò Sasuke, che si era messo a parlare con Kiba e Tenten: aveva lo sguardo rivolto verso il giardino, ma l’espressione calma non gli diede un valido motivo per aumentare l’odio nei suoi confronti.
            Sospirò e tornò a fissare Naruto, relegando Hinata al suo crogiolo di lacrime insensate. Solo perché lei si era rovinata la festa, non significava che sarebbe stato lo stesso per lui.
 
«Senti, Hinata è la nostra migliore amica, tu che ne vuoi sapere?», sbottò Kiba, con il consueto nervosismo.
             No, proprio non ci stava che Sasuke si mettesse sempre di mezzo, ultimamente, per cercare di aiutare la Hyuga, soprattutto perché quei suoi tentativi non sembravano mai dare buoni risultati. Dal punto di vista dell’Inuzuka, poi, quel ragazzo rimaneva qualcuno di cui non potersi pienamente fidare.
            «Ci penserò io, lasciatela stare. È nervosa, ed è comprensibile», ripeté lui, con distensione.
           «Ma chi ti credi di essere? Non la conosci che da tre giorni!», si spazientì Tenten.
           «La conosco abbastanza per dire che in questo momento non potete fare nulla per farla sentire meglio. La rabbia di un essere innocente e ingenuo è distruttiva, non vuole sentire parole di conforto, né vedere occhi commiseranti. È paradossale, ma non vuole pietà, piuttosto una dura condanna». Era certo che fosse così.
            «E tu saresti la persona giusta?», chiese la castana, visibilmente nervosa.
            «Beh, lo metti forse in dubbio?».
            L’ironia di quella domanda retorica era sottolineata dallo sguardo serio dell’Uchiha, in netto contrasto con un sorrisetto tirato che riuscì a convincere i due interlocutori. Sicuramente Sasuke era il bastardo più cinico che l’istituto avesse mai conosciuto, persino peggio di Neji, in fatto di cuori spezzati e impassibilità, non potevano negarlo.
           «Ve la riporto qui subito, lasciate fare a me», concluse con decisione, incamminandosi verso il giardino.
            Kiba trattenne Tenten per un braccio, quando lei fu sul punto di lanciarsi all’inseguimento del ragazzo. Qualcosa l’aveva convinto, in quelle parole; non sapeva ancora cosa, ma era quasi sollevato al pensiero che si sarebbe occupato lui, di Hinata, e non Neji. Forse, un spiraglio di redenzione per l’Uchiha si era appena aperto anche nel suo animo, per quanto non ne fosse pienamente sicuro. La reputazione del giovane rimaneva pur sempre costellata da incidenti di percorso su cui nemmeno un cieco o una divinità misericordiosa avrebbero potuto chiudere un occhio. Probabilmente, l’unica in grado di donargli una forma di condono era Hinata, con la sua ingenua bontà d’animo che riusciva a rischiarare sempre anche gli spiriti indomiti che lui e Tenten si ritrovavano. Strano a dirsi, ma la Hyuga e l’Uchiha, in quell’istante, parvero a Kiba come le anime più simmetriche fra loro, quelle in grado di completarsi, comprendersi e sostenersi. Non che auspicasse un legame fra i due, anzi, era ben lungi dall’augurare alla sua migliore amica una disgrazia simile, ma sperò che Sasuke potesse essere lo sperone in grado di pungerla e spronarla ad affermare se stessa. Desiderò davvero che quel ragazzo misterioso potesse riuscire laddove lui e Tenten avevano fallito.
 
La trovò ancora riversa su se stessa, con la testa bassa, una massa di capelli blu notte a coprirle il viso, il collo nudo come unico punto luce, nel buio dello scenario, percosso da singulti che scossero anche il suo animo. Le piccole mani si erano sporcate di terra e dei fili verdi d’erba si erano depositati sulle ginocchia e la gonna.
            Aveva immaginato che non sarebbe stata una bella visione, non più angelica come quella che gli era comparsa qualche ora prima, nell’abitino nero e i tacchi alti, ma non si sarebbe mai aspettato di trovarsi di fronte al fantasma di un fantasma. Osservare la Hyuga in tutta la sua sconvolgente debolezza, con le consuete barriere che la proteggevano dagli altri ormai rase al suolo, lo fece rabbrividire. Era ancora sicuro di poterla riscuotere? All’improvviso, quello che gli era sembrato coraggio, gli apparve come una deprecabile forma di presunzione.
            Deglutì un nodo soffocante che gli si era formato in gola e si avvicinò silenziosamente.
            Quando le scarpe tirate a lucido entrarono nel suo campo visivo, la Hyuga alzò la testa, spaventata. Sasuke si chinò di fronte a lei e i loro sguardi s’incontrarono. Non una parola, non un sussurro, solo il silenzio e lo stormire delle foglie al vento.
            Non sapeva se dirsi felice o meno di quella visita inaspettata, ma sicuramente era sorpresa; si sarebbe aspettata al massimo gli occhi furenti di Neji, davanti a lei, ma non quelli scuri, profondamente indagatori e placidi di Sasuke.
           «Certi dolori sono come i denti: fanno male, quando crescono, ma sono indispensabili per il futuro», sussurrò lei, come se stesse cercando di consolarsi da sola.
           «Beh, questa è la tua filosofia, Hyuga. Io, se i denti fanno male, li cavo, oppure li affondo nella carne, li uso per mordere, non certo per sopportarne il dolore», ridacchiò lui.
           La ragazza lo squadrò con tristezza, capendo quanto quel ragionamento fosse molto più logico e realistico del suo.
          «Sono una stupida miserabile, non c’è bisogno che tu me lo ricordi», mormorò dopo qualche secondo, abbassando il capo.
          «Mi fai ribollire il sangue dalla rabbia, lo sai?», sbottò il moro, afferrandole il mento con due dita e costringendola ad alzare il viso. «Quando la smetterai di fissare il suolo, Hinata? Gli uomini sono a metà strada tra gli animali e gli angeli, non sono tanto bestiali da dover guardare per terra, né tanto divini da poter ambire a scrutare il cielo. Il bersaglio dei loro occhi sono altri occhi, perciò guardami quando ti parlo!», affermò con tono deciso.
          Hinata si sforzò di mantenere le proprie pupille aggrappate a quelle del ragazzo, mentre sentiva le guance in fiamme e il cuore al galoppo. Mille scariche elettriche le percorsero la membrana che proteggeva il muscolo involontario che sobbalzava ad un ritmo sempre più incessante, pur di scapparle dal petto.
         «Scusami», sussurrò lei, quando riuscì a prendere un respiro abbastanza profondo da permetterle di impiegare aria per parlare.
         «I tuoi amici si stanno preoccupando per la tua assenza. Coraggio, andiamo», la spronò lui, rialzandosi velocemente.
          Lei rimase a fissarlo con timore, senza muoversi di un centimetro. Non riusciva a trovare la forza per sollevarsi, né il coraggio per guardare ancora l’Uzumaki negli occhi.
          «N-non posso tornare là».
          Sasuke sospirò sonoramente, chinandosi di nuovo. Riprese a sondare quegli occhi chiarissimi con i suoi, scorgendovi dentro tutta la disperazione e l’imbarazzo del mondo.
            «Vuoi che le cose vadano così? Allora Naruto non significa proprio nulla, per te? Sei disposta a rinunciarvi senza nemmeno provare a combattere? Eppure credevo che contasse parecchio…», la istigò, con un sorriso che di maligno aveva solo la fisionomia.
            «La verità è che io non sono Sakura, non sarò mai lei», ammise in tutta sincerità, riconoscendo i propri limiti.
            «Non è ciò che ti ho chiesto». Le prese le spalle fra le mani e la scosse delicatamente. «Quanto sei disposta a rischiare, per ottenere ciò che vuoi?».
            «Farei di tutto, pur di poter entrare nel cuore di Naruto, se solo servisse a qualcosa». Non era arrossita, né la sua voce aveva esitato a proferire quelle parole. Era la verità, quasi non ci trovava nulla d’imbarazzante ad ammetterlo.
            «Ti aiuterò io», dichiarò il moro, con un sorriso fermo e deciso.
            «Da-davvero?», chiese lei, con gli occhi sgranati. Il martello pneumatico, il motore nel petto, riprese a battere di gran lena.
            «Fin quando sarò in grado di farlo, ti darò una mano con Naruto», promise lui. Il sorriso pian piano si spense, mentre quello sul volto di Hinata si accendeva.
            Spinta da una forza che superava in larga misura il ritegno e la razionalità, Hinata lo abbracciò. Era il modo più istintivo e sincero per ringraziarlo, ma non si rese conto di quanto potesse essere distruttivo per Sasuke.
            Il moro rimase stupefatto, mentre accarezzava con titubanza e delicatezza la sua schiena e delle ciocche corvine. Quel contatto riuscì a lasciarlo senza fiato. Sentiva il caldo corpo profumato d’innocenza a contatto con il suo, molto meno puro e morbido, e temette di poterla contaminare. Si sentiva come il peggior essere al mondo, mentre per la Hyuga, in quel momento, era tutto il contrario. Perché certi pensieri cominciavano a sfiorare la sua mente… e il suo cuore? Hinata! Quella era Hinata! Perché non riusciva mai a ricordarselo?
 
Dei passi furiosi li raggiunsero, ma se ne accorsero entrambi quando ormai era troppo tardi. Sasuke si staccò lentamente da Hinata, rialzandosi. Neji era davanti a loro, cupo e nero più delle tenebre, più di quanto l’Uchiha stesso fosse mai stato.
            «Bastardo! Allontanati da lei, prima che ti metta le mani addosso», tuonò, con i pugni chiusi.
            La cugina si rimise in piedi, tremando. Le gambe le dolevano terribilmente, aveva le ginocchia sporche di terra ed erba, ma non se ne curò. Tutt’a un tratto le faceva molto più male qualcosa di assai prezioso, la dignità.
            «Neji, ti prego. Sasuke mi sta solo aiutando», spiegò con il tono più stentoreo che potesse ostentare.
             «Stai zitta! Tu farai i conti a casa, con tuo padre».
            L’Uchiha, punto sul vivo, scattò in avanti, digrignando i denti. Si trovò a faccia con l’altro Hyuga, e non ebbe paura di scrutare da vicino l’astio che traboccava nelle sue pupille.
            «Chi cazzo credi di essere, per poter parlare così a tua cugina?», urlò rabbioso.
            Neji, in men che non si dica, non esitò a vendicarsi di quell’offesa con un destro dritto in faccia. Sasuke indietreggiò di qualche passo, dopo quel contatto violento. Si portò la mano sul labbro e sorrise, osservando il sangue. Era da tempo che nessuno riusciva a fendergli la pelle, e quasi si era dimenticato il gusto ferreo di quel liquido vitale. Mentre la lingua assaporava il frutto di quel cazzotto e Hinata urlava di smetterla, si scagliò contro lo Hyuga, piombandogli addosso con un violento pugno, che però venne schivato.
            In quel frangente, giunse anche Karin. La rossa sorrise sotto i baffi, mentre osservava il liquido vermiglio scorrere lungo il mento del moro, avvicinandosi a Neji. Finse di preoccuparsi della sua salute, stringendogli la mano e baciandolo a fior di labbra, senza distogliere lo sguardo da quello di Sasuke. Non era ancora pienamente soddisfatta, non poteva dirsi vendicata da un semplice colpo sul labbro, il suo cuore bramava molto di più. Desiderava vedere l’Uchiha a pezzi, rannicchiato su se stesso, in un angolo, agonizzante e solo come un cane. Solo di fronte alla sua distruzione, lei si sarebbe sentita integra.
           «Perché non sono sorpreso?». Sasuke esplose in una risata quasi raccapricciante, che imbrattava di sangue anche i denti. «Sei profonda la metà della tua fessura, troietta da quattro soldi», commentò, guardandola con occhi affilati come lame.
           Hinata arrossì, alle spalle dell’Uchiha. Per quanto ingenua, questa l’aveva capita.
           Karin, da parte sua, gli diede del perdente, lo coprì di insulti, per poi andarsene, trascinando con sé un Neji ancora non totalmente appagato. I suoi occhi mal celavano il cieco desiderio di prendere a cazzotti Sasuke, fino a non lasciare intatto un centimetro di pelle della sua faccia.
           Naturalmente, il sentimento era reciproco; nemmeno per il moro dal labbro spaccato, tutto sarebbe rimasto fermo così.
 
Nel silenzio di quell’angolo di giardino, fuori dal mondo, ma catapultato nel girone infernale dei violenti, Hinata si avvicinò con la solenne delicatezza di una vestale all’altare, alla reliquia, a quel ragazzo che aveva rischiato letteralmente la pelle, per lei. Lo osservava con occhi liquidi e tristi, maledicendo se stessa e la propria esecrabile famiglia.
            «Mi dispiace. Mi dispiace terribilmente, Sasuke», confessò con una mano sul petto, mentre l’altra, con l’ausilio di un fazzolettino, cercava di ripulire il mento del ragazzo.
            Non era un danno eccessivo, giusto un taglio che divideva il labbro superiore in due; sarebbe guarito nel giro di qualche settimana, anche se si sarebbe certamente gonfiato e tinto di un colore livido.
            «Anche stavolta, è stata colpa mia. Non devi aiutarmi, non merito il tuo tempo. Vorrei tanto cambiare, ma… sono una codarda», confessò a malincuore, mentre una lacrima le illuminò il viso.
            Sasuke sorrise misteriosamente, osservandola, totalmente immobile. Era dispiaciuta, ma non era abbastanza.
            «Sì, è vero. Sei codarda, sei miserevole, Hinata. Sei deplorevole, vergognosa e inutile. Finalmente te ne sei resa conto. Sei peggio di una perdente, perché nemmeno provi a metterti in piedi e lottare».
            La ragazza allontanò la mano dal viso del giovane, fissandolo con stupore. Gli occhi neri erano attraversati da un bagliore di arguzia, un lampo che illuminò anche i suoi, totalmente sciolti in lacrime. Perché era stato tanto crudele da ferirla? Non poteva crederci. Non v’era traccia di rimorso, sul viso dell’Uchiha. L’aveva colpita con freddezza, e l’aveva trafitta deliberatamente, proprio perché intendeva farlo.
             Peggio di una perdente; per quanto quel comparativo bruciasse, lui aveva ragione, gliel’aveva già accennato qualche minuto prima dell’arrivo di Neji, mentre discutevano sull’Uzumaki. Lei non aveva speranze, era solo una stupida sognatrice.
            «Pensi davvero che Naruto si accorgerà mai di te, Hyuga? Non saprà nemmeno di che colore hai gli occhi, di questo passo!». Affondò il coltello nella piaga, ma doveva andare ancora più a fondo, per farla reagire. «Morirci dietro per anni, senza trovare mai il coraggio di salutarlo…».
             «Adesso basta!». Non l’aveva mormorato, ma neppure urlato. Sasuke poteva osservare la sua bocca chiudersi rigidamente in una smorfia di disappunto, gli occhi smettere di piangere, le sopracciglia tremare per poi fermarsi. Ma la mano no, non riuscì ad arrestarsi; andò dritta al bersaglio, a colpire la guancia di Sasuke, con un sonoro schiaffo.
             Hinata rimase allibita e continuò a fissare le dita per un minuto buono. Se il palmo non le fosse bruciato tanto, avrebbe certamente pensato che stesse solo sognando. Constatò poi, anche grazie al rossore sulla gota dell’Uchiha, che era successo davvero.
             «Però, che privilegio… due tocchi violenti da due Hyuga diversi, in una sola serata», rise divertito Sasuke, massaggiandosi il punto esatto in cui sentiva le cinque dita stampategli dalla corvina.
             «Scu-scusami, scusami, davvero», si affrettò a dire lei, mortificata. Voleva sprofondare, ancora non riusciva a capacitarsi di quel gesto improvviso; allora era quella, la rabbia. Anche lei poteva caderne preda, quindi.
             «Me lo meritavo, hai fatto bene», sorrise lievemente lui, sospirando. «Senza contare che, finalmente, ho visto ciò che nessuno mai ha scorto in te».
              «Non volevo ferirti», si scusò nuovamente.
              «Stupida, come se bastasse uno schiaffo a farmi del male».
              Il sorriso agli angoli della bocca riuscì a rincuorarla, tanto che, appena l’Uchiha si mosse in direzione della festa, senza bisogno di parole, anche lei lo seguì.
 
La scena non era poi molto cambiata: Naruto stava ancora scartando dei regali, benché fosse già passata la mezzanotte e il suo progetto di stappare lo spumante per quell’ora se ne fosse andato a far benedire. Fortunatamente, però, qualcosa di diverso c’era. Neji e Karin erano scomparsi dalla loro vista; per quanto Hinata si sforzasse di guardarsi intorno, non c’era traccia della rossa, né del cugino. Poté tirare un sospiro di sollievo e sorridere a Kiba e Tenten, che le si erano avvicinati.
            «Ma cosa gli è successo?», domandò sottovoce la castana, indicandole Sasuke con un cenno del capo.
            «Credo che sia inciampato in qualche sterpaglia, non so», mentì la giovane, sul punto di scoppiare a ridere; persino una come lei era riuscita a sfregiare la sua pelle, quella sera!
            «Ti senti meglio, ora?», chiese l’Inuzuka. Il sorriso armonioso restauratosi sul volto della ragazza riuscì a spazzare via ogni ombra di dubbio.
 
Di lì a poco, fra le mani di Hinata giunse un piattino con una fetta di torta, e lei osservò da lontano, con una tacita e profonda affettuosità, il festeggiato, rammaricandosi lievemente di non essere riuscita a recapitargli i biscotti. Chissà che fine avesse fatto quel pacchettino! Poco male, ora aveva un motivo in più per impegnarsi e trovare un regalo migliore per Naruto.
            Quando Sasuke le si appropinquò, verso l’una, per ricordarle che non avrebbe dovuto far tardi, un velo di tristezza le era calato sugli occhi e nel cuore, ricordandole crudelmente a cosa sarebbe andata incontro nelle ore seguenti. A casa l’aspettava un nuovo contrasto con il padre e, naturalmente, con Neji.
            Tornò a guardare l’Uzumaki, così sorridente, luminoso, splendido persino in piena notte. Riuscì comunque a sorridere, nonostante i cattivi pensieri, comprendendo che quella era la prima volta che aveva trascorso una notte con Naruto. Certo, non era esattamente andata come sperava e, a dirla tutta, con il biondo aveva a malapena passato un minuto effettivo – compresi i cinque secondi di abbraccio e la mancata consegna del dono, ma era comunque riuscita a cogliere qualcosa di nuovo, a fare suo un attimo di vita che avrebbe certamente rinunciato a vivere, senza l’insistenza di Sasuke. Ancora una volta, lo guardò con gratitudine, mentre una vocina nella sua testa le ricordava che quello era il momento di cominciare a rischiare, per vivere. “Adesso o mai più”, e lei aveva scelto l’adesso, l’ora, il subito, onde renderlo eterno, mentre, con il cuore in gola e i battiti a mille, si era avvicinata in solitaria a Naruto, affascinata come sempre dalla sua gioia esuberante.
            «Grazie di tutto». Il tono era fermo, delicato, ma più sicuro di sé, e le guance erano leggermente imporporate, niente a che vedere con il solito rosso imbarazzante che la contraddistingueva.
            «Sono stato davvero felice di vederti, stasera, Hinata!», esclamò lui, abbracciandola nuovamente.
            Durò solo altri tre secondi, ma per lei furono lunghi e intensi almeno il triplo. Mentre si allontanava affianco a Sasuke, pronta a rimettere piede in auto, il suo spirito era ancora lì, abbracciato all’Uzumaki, desideroso di carpirne tutto il profumo e il calore.
 
Mentre l’elegante sportiva nera si allontanava dall’abitazione di Jiraiya e le sue luci, inghiottita dal buio che veniva spezzato, di tanto in tanto, solo dal fascio di luce arancione di qualche lampione, Hinata cominciò a torturarsi le pellicine delle unghie, fissando il vuoto davanti a sé.
              «Ti prego», cominciò a implorarlo, quando non riuscì più a placare l’ansia.
              «Non posso, l’ho promesso a tuo zio, e lui mi sembra una brava persona, che si preoccupa di te e della tua vita», spiegò con calma Sasuke.
              La ragazza dai capelli blu annuì lievemente, nel tentativo di convincersi che lui avesse ragione. Di sicuro non si sbagliava, ma, quando l’auto si fermò davanti a villa Hyuga, lei non era per niente pronta a scendere.
             «Non voglio rientrare», lo pregò, giungendo le mani.
             Sasuke sospirò profondamente, allungando un braccio verso i sedili posteriori e recuperando gli indumenti originari della corvina.
            «Ascoltami, Hinata. Ti prometto che verrò a prenderti, nel momento in cui il tuo mondo cadrà a pezzi, ma non stanotte. Le cose saranno difficili, d’ora in poi, ma non sarai sola. Hai tuo zio, Kiba, Tenten… e hai me, se la cosa può consolarti», ammise un po’ a disagio, mentre gli occhi perlacei di lei lo fissavano spaesati.
             «Ti ringrazio, Sasuke».
             Era inutile anche solo sperare di riuscire a trattenere le lacrime. Si sentiva una stupida a piangere sempre, al suo cospetto, ma era più forte di lei. Tuttavia, quando scese dalla macchina e la vide allontanarsi, strinse gli abiti al petto e promise a se stessa che da lunedì non avrebbe più disturbato quel ragazzo, né che l’avrebbe ancora costretto a cacciarsi nei guai per lei. Aveva già fatto più del dovuto, senza che lei fosse minimamente riuscita a ricambiare quella generosità provvidenziale, di cui tutti ignoravano l’esistenza.
            Sorrise, mentre ispirava profondamente e asciugava le lacrime con il dorso della mano. Si fidava di quel ragazzo, di quegli occhi bui in cui scorgeva una luce sottile, ma abbagliante. Non sapeva cosa avesse mai fatto di tanto meritevole per poter contare su di lui.
 
E quel ragazzo, dal canto suo, giunto a casa a un orario indecente, dopo una nottata spesa al bar con amici, alcolici, e malumori, assaporò un biscotto pescato da quella busta azzurra, blu e bianca, raccolta a casa di Naruto. Il sapore dolce, genuino, senza artifici, a differenza di ciò che il suo palato aveva gustato fino a una ventina di minuti prima, gli provocò una fitta al cuore. Non riusciva a capire come potesse aver imboccato quella strada di carità e altruismo, ma sapeva benissimo dove l’avrebbe condotto.
            La Hyuga era effettivamente entrata nella sua vita da mercoledì pomeriggio, per quanto, di certo, non le era mai sfuggita per la sua delicata e celata bellezza. Non sapeva nemmeno perché, ultimamente, si ritrovasse spesso a stretto contatto con lei, con le assurdità con cui era costretta a fare i conti… gli stava a cuore la sua debolezza o, più semplicemente, cominciava a stargli a cuore lei? E poi, perché proprio lei? Era una ragazza timida, discreta, sempre riguardosa nei confronti di tutti, evanescente, tanto gentile e umile da apparire invisibile ai più; possibile che invece, proprio quella fragilità la rendesse tanto visibile ai suoi occhi? Così visibile da diventare quasi importante, e tanto importante da poter essere… indispensabile? E talmente indispensabile da fargli rimpiangere quella promessa di aiutarla a stringere un legame con Naruto, spezzando irrimediabilmente quei fili che cominciavano a intrecciarsi fra loro?
            Hinata era pura, eterea e da proteggere… ma se angelo custode e angelo ribelle convivevano nella stessa anima, chi dei due avrebbe prevalso? Ma, soprattutto, dove finiva uno e cominciava l’altro?










Mi scuso profondamente per aver lasciato passare tanti giorni dall'ultimo aggiornamento! :( Credo di non poter rendere i tempi meno brevi di un capitolo a settimana, a questo punto! Mi spiace, l'estate era meravigliosa non solo per il clima, ma pure per il tempo che mi potevo permettere di passare al pc XD
E mi scuso anche per la lunghezza di questo capitolo! Non pensavo potesse uscire così lungo, caspita! Spero non vi abbia annoiati XD 
Vi ringrazio tantissimo per l'affetto delle vostre recensioni, per i "clic" nelle preferite/seguite/ricordate, per le letture silenziose che sfiorano cifre mai immaginate da una come me :') sono commossa, ancora non credo di poter meritare tanta stima! Devo gran parte di questa storia a voi, meravigliosi lettori, che mi spronate sempre a proseguire! Oddio, quanto mi sento onorata! 
Vi ringrazio ancora! 
Mi metto subito all'opera, sperando di aggiornare presto!
Un grande abbraccio! <3

Ophelia

 
   
 
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