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Autore: PurpleStarDream    20/10/2013    4 recensioni
Scritta per la Parody Week di All You Can Write, indetta da Sclero Stony: parodia di Kiss Kiss Bang Bang.
Steve Rogers, ladruncolo di New York, per sfuggire alla polizia si ritrova ad un'audizione per un film poliziesco. Dopo aver scoperto di essere l'uomo giusto per il ruolo di protagonista viene inviato a Los Angeles e affiancato a Tony, investigatore privato gay, affinché impari il mestiere.
I due si ritrovano involontariamente invischiati in una complessa trama criminosa che vede al suo centro l'omicidio della figlia di un noto produttore cinematografico. Il tassello mancante del puzzle sembra essere la morte della sorella di Peggy Carter, un'amica d'infanzia di Steve, anche lei a Los Angeles.
Genere: Avventura, Azione, Parodia | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man
Note: AU, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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Mr KISS KISS BANG BANG

 

 

 

Ehi, mi vedete?

Sono quello laggiù, il secondo da destra, quello con i capelli biondi e gli occhi azzurri, due tratti caratteristici che, a detta dell’uomo autoproclamatosi mio produttore, contribuiscono a rendermi attraente e a farmi avere libero accesso a questo mondo pazzesco, perché altrimenti nulla mi accomunerebbe con questi individui, bellissimi attori e avvenenti attrici, la popolosa fauna domestica che soggiorna in quelle enormi ville con piscina a Los Angeles.

Sono Steven Rogers, ma potete chiamarmi Steve, lo fanno tutti. Quello che vedete è un tipico party californiano, ma non un party qualsiasi: ci troviamo a Los Angeles, nella casa di uno dei più famosi produttori cinematografici degli ultimi vent’anni, un tale di nome Johann Schmidt. Qui si è riunita la crema della crema di Hollywood, e anche qualche imbucato; loro li potete riconoscere dall’insistenza con cui girano attorno a quelli veramente celebri, in gruppo, come squali che aspettano soltanto di staccare a morsi un pezzo di fama, la quale, al cambio attuale, verrebbe considerato una particina nel prossimo film che verrà presentato sul Red Carpet.

Io potrei sembrare uno di loro, ma non lo sono. Da quel che mi hanno detto sono veramente in grado di recitare, anche se neppure io lo sapevo, ma ultimamente sono sempre l’ultimo a sapere i fatti che mi riguardano direttamente, quindi va bene lo stesso.

Il fatto è che… Lo vedete quel tipo laggiù, quello vestito completamente di nero, con la benda sull’occhio? Quello è Nick Fury, il mio produttore. E’ lui che mi ha scoperto, quando sono entrato di corsa in una delle loro sale prove appena allestite per sfuggire alla polizia. Perché… Beh, questo rimanga tra noi, però, la gente di Hollywood non lo deve sapere… Io facevo il ladro, ecco, l’ho detto. Non il genere di ladro da colpi da un milione di dollari, tutto quello che mi è sempre riuscito di portare a casa sono stati un paio di stereo, qualche consolle per videogiochi… Il mio bottino migliore consisteva in un televisore ultimo modello che ho rivenduto per ottocento dollari, e con quelli ci ho pagato l’affitto, ma non sono sicuro che vi interessi molto il perché sono diventato un ladro, meglio parlare di come sono finito qui.

La colpa fu tutta di un allarme scattato in un negozio di giocattoli che avevo deciso di svaligiare, unendo l’utile impresa alla dilettevole esigenza di prendere un regalo a mia nipote, che esigeva a tutti i costi un modellino di Cyber Agent, qualcosa che non avevo mai sentito e che spesi molto tempo a cercare. Forse per questo mi attardai e feci suonare l’allarme.

Ero con un complice, quella sera, uno che non avevo mai visto in vita mia, ma che mi avrebbe fatto da spalla per quattro soldi, e quando decidemmo di scappare lui non poté fare a meno di sventolare quella maledetta pistola che si era portato dietro proprio sotto il naso di una casalinga di Brooklyn che, affacciata alla finestra di casa sua, aveva pensato di fare l’eroina e consegnare due malviventi alla giustizia, puntandoci addosso una vera pistola, non una scacciacani come quella del mio complice.

Non l’avrei creduto neanch’io, ma la donna gli sparò mentre lui, come uno scemo, agitava ancora la pistola. Non fu un bello spettacolo, e con le sirene alle spalle decisi di darmela a gambe, anche perché quella pazza avrebbe potuto sparare anche a me.

Ecco come mi sono ritrovato ai provini: imboccai una via che conduceva a un edificio troppo affollato per quell’ora di notte; con in testa quella che per il momento mi pareva una buonissima idea pensai di infilarmi in quella folla, ma avevo sottovalutato la tenacia degli agenti che mi inseguivano. A quel punto sarebbe stato molto più pratico nascondersi.

La prima porta che aprii mi diede un primo piano di Nick Fury, un paio di collaboratrici e una telecamera.

-Ehi, ehi! Non siamo ancora pronti per te- mi gridò un ragazzo con i capelli corti e biondicci, sporgendosi da dietro la cinepresa.

-Lascialo entrare, Barton, così ci sbrighiamo prima. Non ne posso più di tutti questi buoni a nulla senza talento- sbuffò Fury, aggiustandosi la benda sull’occhio. –Hill, dagli le battute.-

Mi ci vollero un paio di secondi per capire che si trattava di un provino, subito dopo che una ragazza bruna mi mise in mano un copione con alcune righe sottolineate, si sedette sulla sua sedia di plastica e cominciò a leggere.

-Sappiamo che sei stato tu- lesse, con una voce che avrebbe dovuto essere quella di un cattivo.

Io guardai smarrito quel mio pubblico improvvisato, il quale cominciava a ruotare gli occhi al mio silenzio, così, per non farmi buttare fuori, iniziai a leggere: -Io non c’entro…-

Mi venne un po’ piatto, lo riconosco, ma cercate di capire: allora il mio complice era appena stato ferito, stavo fuggendo dalla polizia, mi ritrovavo sotto esame da un mucchio di sconosciuti…

L’uomo con la benda, Fury, sbuffò sonoramente. La donna invece continuò imperterrita e, se possibile, ancora più incattivita.

-Tu l’hai ucciso, animale!-

Mi venne in mente allora il mio complice. Non che lo conoscessi bene, ma cominciai a pensare che fosse tutta colpa mia se era stato ferito, o peggio, ucciso da quella casalinga pazza mentre io me l’ero filata… Ma era morto oppure no? Non mi sono neanche preso la briga di controllare.

Guardai la troupe seccata, sul punto di cacciarmi fuori con un “Non si faccia più vedere”, poi studiai l’espressione crudele sul volto della ragazza, e gli occhi mi si fecero liquidi.

Sopraffatto dal susseguirsi di tutti quegli eventi in una sola sera, gettai a terra il copione e scoppiai in lacrime, gridando: -Maledizione!- Questo li fece sobbalzare tutti. –Io non volevo coinvolgerlo, ma lui ha insistito. Non potevo immaginare che sarebbe finita così… Oddio, è stata tutta colpa mia!-

Caddi in ginocchio e posai la testa sulle gambe di Hill, sperando che quella donna così severa potesse fungere da conforto per quella mia improvvisa sfuriata che grondava senso di colpa. Mi sentivo davvero triste per quell’uomo, così come mi sentivo in colpa per una vita intera passata a non concludere mai nulla, perciò piansi, lo ammetto: certe volte tendo a lasciarmi andare un po’ troppo.

D’un tratto la porta si spalancò, e un agente in divisa si fiondò dentro, assistendo a tutta la scena. Io voltai leggermente il viso bagnato, e quello mi sorrise, dicendo: -Oh, scusate… Ehi, in bocca al lupo amico.-

Sinceramente non speravo di cavarmela così a buon mercato, ma più di tutto non avrei scommesso un dollaro su quello che sarebbe successo dopo.

-Finalmente qualcuno che sa mettere sentimento in un’interpretazione!- tuonò Fury. Maria sorrise e concordò con lui. –Vecchia scuola. Brando, certamente.-

-Sei assunto- disse, rivolto a me, che mi stavo ancora asciugando le lacrime, poi, con un cenno al cameraman, aggiunse: -Manda via gli altri e chiamami Gay Tony al telefono, digli che ho un lavoro per lui.-

 

Perciò eccomi qui, un ragazzo di provincia in una metropoli come Los Angeles. Se vi trovaste qui con me, circondati da luci psichedeliche, da case enormi e accessoriate con piscina e campi da tennis, nel mezzo della vita notturna popolata da uomini ricchi sfondati e donne ingioiellate in succinti abiti firmati, capireste come mi sento.

Non nascondo di essere l’unico a sentirmi un pesce fuor d’acqua, il solo con una pettinatura vecchio stile e una camicia a quadri sotto un giubbotto di pelle. Io arrivo da New York, ma sono nato in Indiana, non abbiamo mai avuto niente del genere nella sperduta cittadina di Embrey dove ho passato la mia infanzia. Ma la cosa più importante è che mi sento fuori posto, non come il mio mentore: Gay Tony, quello laggiù che parla con Fury.

Tony è un vero detective privato, qualcosa che ho visto solo nei film. Un tempo faceva il poliziotto, ma mi riesce difficile crederlo, vista la disinvoltura con cui porta quel completo firmato, quegli occhiali da sole che mettono in risalto due splendidi occhi scuri e profondi su un viso affascinante, circondato da capelli color cioccolato e da una barba molto curata… In più è gay.

Non che la cosa mi disturbi. A mettermi i brividi è più il fatto di quanto somigli a Peggy, la ragazza che, semmai avessi fatto un viaggio a LA, avrei sempre sperato di rivedere.

Peggy e io ci conosciamo da quando eravamo bambini, e fin da piccoli lei si era sempre differenziata dalla gente di Embrey. Questo perché era molto intelligente, e aveva avuto un ottimo maestro: Johnny Gossamer, il protagonista di una serie di polizieschi dal tono ufficiale. Chiunque altro li avrebbe considerati spazzatura, ma Peggy la pensava diversamente: lei sapeva che dalle pagine di quei tascabili Johnny parlava di una terra promessa detta East Coast, e di un città magica chiamata Los Angeles, il luogo fatto su misura per i suoi sogni.

Più di tutto Peggy sperava che Johnny arrivasse qui per salvare la sua sorellina, Sharon, da suo padre, che tutte le sere le faceva delle cose che nessun vero padre avrebbe fatto.

Ma gli anni passarono, e Johnny non arrivò mai.

Allora fu Peggy a decidere di lasciare quel posto, prendendo il primo autobus con una valigia e il sogno di sfondare come attrice.

Non ho mai saputo se ce l’avesse fatta; la mia casa per molti anni è stata New York, ma penso che, adesso che sono qui, potrei cercare di rintracciarla; ci sono diverse brunette che potrebbero essere lei. Ne seguo una con lo sguardo proprio adesso, e cavolo se ci assomiglia: capelli castani e ondulati, lunghi fino alle spalle, occhi scuri e decisi, un rossetto fiammeggiante che è sempre stato il suo preferito. Potrebbe tranquillamente trattarsi di lei…

-Ehi, bel ragazzo di New York. Non saluti neanche il padrone di casa? Oltre ad essere un produttore possiede una clinica privata di igiene mentale, potrebbe farti rinchiudere là dentro- sento qualcuno che mi saluta, mi volto e scopro che è Tony. Gay Tony.

-Oh, io… non sapevo che mi volesse conoscere.

Mi guardai in giro, e vidi Johann Schmidt che parlava con una giovane ragazza.

-Quella è la sua figliastra, Veronica- mi spiegò Tony. –Tempo fa lei gli fa causa per i miliardi di sua madre, che è mota lasciando un’eredità molto cospicua, ma poi, all’improvviso, si sono riappacificati. Bella storia, vero? Lui la chiamava… beh, è una brutta parola.-

-Oh.-

-Troia.-

-Non è molto carino.-

-No, ma questa è Los Angeles, bello.- Poi, come se si fosse improvvisamente ricordato qualcosa, -Ti volevo informare che Fury vuole che tu domani prenda lezioni da detective, quindi fatti trovare a casa mia alle otto precise di sera, ci siamo capiti?-

Mi accorsi di avere perso di vista la donna che avevo scorto poco fa.

-Senti… Tony, giusto?- Mi bloccai, non osando pronunciare il suo soprannome.

-Gay Tony? Puoi dirlo, sai?- mi incoraggiò lui, sollevando gli occhiali fin sopra la testa e tirando indietro un ciuffo di capelli e avviandosi con me verso l’uscita della proprietà.

-Ah… Sei ancora gay?- domandai, prima di accorgermi di quanto fosse stupida quella domanda.

-Chi, io? No, entro ed esco dalle donne come dalla stazione centrale, ma… mi piace troppo quel soprannome, non riesco a mollarlo- disse, con una frase intrisa di sarcasmo.

-Ehm… Scusa- dissi, prima di arrischiarmi a chiedergli quello che mi premeva sul serio. -Non è che conosci quella donna, quella che mi è passata davanti poco fa? Sai assomigliava incredibilmente a una ragazza che avevo conosciuto al liceo. Hai presente quella vecchia fiamma, che non hai mai dimenticato…-

Lui sorrise, sognante. –Sì, mi è capitato…-

-Ah!- feci io, felice di trovarmi d’accordo con lui su qualcosa.

-Con Bruce Banner- concluse.

Non seppi esattamente come rispondere, così mi bloccai sulle scale.

-E… A proposito della ragazza… Io la conosco, la potrai trovare quasi certamente al Domino Room- disse. Saltando sulla sua macchina appena consegnata da un parcheggiatore.

Io lo fissai senza capire per un momento.

-Beh?- fece lui, inclinando la testa.

-Dov’è?-

 

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Entrai in quel locale a testa alta, ostentando sicurezza, sfidando le luci colorate e la musica che sembrava mettercela tutta per ricacciarmi indietro con un’onda d’urto di potenza tale da infrangere la barriera del suono.

La ragazza che avevo adocchiato alla festa sedeva al bancone del bar, un lungo tavolo illuminato dal basso come il ponte di una navetta spaziale, protetta da tutto quel frastuono; davanti a lei, in equilibrio sulle scie luminose, sostava un bicchiere da cocktail vuoto. Non sembrava essere lì in compagnia.

Mi avvicinai e presi posto accanto a lei.

-Signorina? E’ qui da sola? Posso offrirle un drink?- le feci quella fila di domande con un sorriso. Ok, pessimo approccio, ma in fondo non volevo che tra noi due nascesse qualcosa, speravo solo di verificare che non avessi preso un abbaglio. Lei si voltò verso di me e mi sorrise: credetti che ci fosse qualcosa di paurosamente familiare in quell’espressione dolce e allo stesso tempo furba.

-Sono qui con una mia amica, ma un drink offerto così gentilmente lo accetto lo stesso. Difficile trovare bravi ragazzi a Los Angeles, ma tu…- mi studiò da capo a piedi con un sorriso divertito. –Tu sembri uno straniero. Un bellissimo straniero per giunta. Fai anche tu l’attore?-

Avvampai vedendola avvicinarsi a me con quelle labbra soffici, dipinte di rosso, e mi tirai istintivamente indietro. Sembrava davvero che ci stesse provando, lei… E il fatto che assomigliasse tanto alla ragazza che un tempo era stata il mio sogno segreto non fece altro che aumentare il mio disagio: sapevo già di esserne molto attratto, un sentimento adulterato dai miei ricordi, e nella mia natura c’era anche il desiderio di fare buona impressione. Ricordai come mi era sembrato affascinante Tony, con quei vestiti firmati, quando si era presentato come un detective privato.

-Faccio il detective privato- dissi, cercando di darmi un tono e impressionarla.

-Caspita!- fece lei, spalancando gli occhi con finta incredulità, ma con un sorriso così dolce che mi sembrava impossibile stesse cercando di prendermi in giro. –Io invece sono un’attrice, o meglio, un’aspirante. Non è facile affermarsi in questo mondo. Quella laggiù, per esempio, vedi?- mi indicò una biondina con un vestito troppo corto e capelli troppo lunghi, forse per compensare…

-Quella ha già trentacinque anni. Troppo vecchia per recitare.-

Alle sue spalle comparve una donna bionda, dall’espressione arrogante, con tanto trucco addosso che i suoi occhi sembravano pesti, probabilmente la ragione del suo malumore, ma non avrei saputo dire.

-Ehi, bello, lasciala in pace.-

Colto di sorpresa fissai prima la donna bruna, che se la rideva sotto i baffi, e poi la sua amica, che mi stava squadrando.

-Stavamo solo parlando- mi scusai, preso in contropiede da quell’immotivata ostilità.

-Ma lei non vuole parlare con gli sfigati- ribatté con molta sicurezza la sua amica.

Erano anni che nessuno mi dava più dello sfigato. Dopo il liceo cominciai a farmi un po’ di muscoli anch’io, e ora non sono niente male fisicamente. Ma forse devo avere conservato ancora qualche residuo delle mie abitudini da sfigato. Certe cose sono dure a morire, e fanno anche un po’ male.

-Senti- anche con tutta la buona volontà, arrabbiarmi con le donne mi riusciva a tutt’oggi difficile. –Io non ti conosco, e tu non conosci me. Non puoi parlarmi in questo modo.-

Allora la brunetta scoppiò in una sincera risata.

-Ah! Ah! Ah! Steve Rogers, possibile che tu non mi abbia ancora riconosciuta? Sono Peggy, Peggy Carter, ricordi? Embrey, Indiana.-

Mi scordai del tutto della maleducazione della ragazza, e spalancai gli occhi per la sorpresa. L’abbracciai forte e lei ricambiò la stretta.

-Peggy! Santo cielo, sono passati anni dall’ultima volta che ci siamo visti.-

Vedendo quella manifestazione di gioia da parte di entrambi, l’amica di Peggy, come una strega cattiva disturbata dall’inusuale spettacolo di bontà, si fece da parte, lasciandoci soli, mormorando un –Sfigato…-

-Non sapevo che fossi anche tu a Los Angeles. Allora, come ti sembra la città?- mi chiese, sorseggiando i resti del suo drink.

-Mi sembra una gabbia di matti- confessai, esprimendo la mia prima ed unica impressione di Los Angeles.

-Se deciderai di vivere qui farai presto a diventare uno di loro: questa città non offre molte prospettive, se non ottieni subito il successo.-

-Parlando di successo, sei poi riuscita a diventare attrice?- domandai, sicuro che ce l’avesse fatta, voglio dire, l’avete guardata bene?

Tuttavia il suo sorriso si incrinò un poco. –Beh, non esattamente. Ho fatto delle pubblicità però, roba di classe, anche se hanno privilegiato la qualità rispetto alla quantità, e non ne ho fatte molte.-

Sentire quelle parole mi mise tristezza, forse perché non si limitavano a descrivere quanto il destino fosse stato spietato con lei, ma mi ricordavano anche che io stesso le stavo mentendo spudoratamente.

-Io… Credo di dover andare. Domani ho un appostamento di lavoro- dissi; mi aiutò il fatto che fosse una mezza verità.

-Tu sì che fai un mestiere avventuroso. Ma aspetta, ti do il mio numero, così possiamo vederci ancora. Tu dove stai?-

-In hotel,- le risposi, scrivendole a mia volta il mio numero di cellulare su un tovagliolo, e la osservai mentre scribacchiava il suo indirizzo e numero di telefono su un foglio strappato da un’agendina nella sua borsetta, pensando che Los Angeles dovesse essere cieca per non accorgersi di quanto quella donna fosse speciale.

 

 

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In macchina con Tony c’era un piacevole tepore. Nonostante fossimo in California era pur sempre Dicembre, e faceva un freddo cane: il respiro si condensava in nuvolette di vapore che sfiorivano nel buio della mezzanotte.

-Allora, hai capito bene?- domandò Tony per quella che doveva essere la centesima volta, e non potete capire quanto mi fossi scocciato di sentirlo. –Noi ci appostiamo fuori dalla casa e facciamo foto a chi entra e chi esce. Se arriva qualcuno di sospetto ci avviciniamo e facciamo qualche altra bella foto all’interno.-

-Ho capito- sbuffai.

-Fai bene a non entusiasmarti troppo. Questo lavoro è noioso, il più delle volte passo le serate a fotografare mariti e mogli infedeli che se la fanno con ragazzini più giovani di vent’anni.-

Mi misi a rovistare nel portaoggetti, per ritardare il più possibile il momento in cui avremmo dovuto scendere e passare la notte inginocchiati dietro una macchia di cespugli. D’accordo che dovevo imparare il mestiere per poter recitare meglio, ma comunque…

Di colpo le mie dita sfiorarono qualcosa di metallico e freddo, lo afferrai, lo tirai fuori e mi ritrovai tra le mani una pistola talmente piccola che chiunque l’avrebbe scambiata per un giocattolo.

-Ehi, attento con quella, bel ragazzino- mi avvertì Tony, levandomela dalle mani.

Io, ancora sorpreso dalla mia scoperta: -E’ piccolissima. Ma è vera?-

-Già- fece lui, con tono saccente. –E’ una Derringer ed è carica. Io la chiamo la mia gay pistol.-

Rimasi comprensibilmente spiazzato. –Perché?- mi arrischiai. Non ero molto sicuro di volerlo davvero sapere.

-Perché è buona solo per un paio di colpi, poi devi lasciarla per qualcosa di meglio.-

Sul suo viso si aprì un sorriso, e nei suoi occhi vidi riflessa la mia espressione sconvolta. –L’hai chiesto tu- ridacchiò, e scese dall’auto.

 

Mentre ci incamminavamo mi illustrò a grandi linee i dettagli del lavoro.

-La cliente che mi ha contattato è una tale Carol Danvers. D-a-n-v-e-r-s- -

-E com’è, bella?- domandai, tanto per essere all’altezza della conversazione.

-Non sai. Quando mi apre la porta non indossa altro che una radio, e poi mi invita a entrare, si siede sulle mie ginocchia…-

-No! Davvero?- sapevo che le ragazze di qui sono più spinte in fatto di costumi, ma da qui a…

-No, scemo. Mi ha assoldato via telefono. E probabilmente quello che dovremmo sorvegliare sarà un altro marito o amante traditore, la gente richiede sempre questo genere di servizi da me, come se avessero davvero bisogno delle prove che il marito si scopa qualcun'altra.-

Mi infastidiva il fatto che mi prendesse in giro, ma ci feci l’abitudine quando capii che quello era semplicemente il suo modo di fare: mi considerava un sempliciotto che non aveva mai messo piede in una grande città, ma io ero più cocciuto di lui, e gli avrei fatto capire che si sbagliava. Su molte cose almeno.

-Beh, magari qualcuno pensa ancora che il suo partner riesca ad essergli fedele- ipotizzai.

Lui ghignò divertito. -E tu Steve? La tua ragazza del liceo ti era fedele? Ah, a proposito, quella di ieri, era quella giusta? La tua vecchia fiamma?-

Arrossii, e appena raggiunti i cespugli mi ci nascosi dietro, inginocchiandomi a terra. –Era quella giusta, Peggy… Ma non era la mia fidanzata. Cioè, non che non mi sarebbe andato bene, ma siamo sempre rimasti solo amici, ottimi amici, anzi, anche perché all’epoca lei si era passata tutti i ragazzi della scuola tranne me, perché ero il suo unico confidente. Ah, no! Mi ha fatto una concessione: ha acconsentito a non andare a letto con Bucky Barnes, perché era il mio migliore amico, vedi.-

-Ma pensa…- disse distrattamente, iniziando a montare l’attrezzatura per le foto. Evidentemente non gliene fregava niente.

Non feci neppure in tempo ad arrabbiarmi. Di colpo un’auto sfondò le porte dello chalet e si fiondò in strada a tutta velocità.

Colpito dalla violenza dell’azione feci per fare un passo indietro, e caddi a terra. -Che è stato?-

-Non lo so, ma se c’è il mio uomo in quella macchina lo devo seguire. Questo è un lavoro da duemila dollari- disse Tony, raccattando con determinazione tutta l’attrezzatura che aveva smontato appena due minuti fa, e correndo lungo la strada nella speranza di recuperare la macchina.

Gli venni dietro sperando che non mi distanziasse; Tony era più basso di me, ma era veloce, persino con tutta quella zavorra.

Giunti a un bivio fummo costretti a decidere per una sola direzione: quella che scegliemmo ci portò ad un lago, una visione spettrale nel buio della luna, circondato da arbusti che graffiavano la superficie come mani scheletriche.

Il detective gettò a terra tutto ciò che teneva in mano. –Maledizione! L’abbiamo perso- si lamentò.

Il rombo di un motore mi fece voltare la testa. Quando uno crede di avere visto tutto, puntualmente succede qualcosa che gli fa capire che il mondo è sempre pronto a riservarti nuove sorprese. Io, per esempio, non ero minimamente preparato all’auto che volò sopra le nostre teste, tuffandosi da un dirupo dritta nel lago, ma la cosa più sconcertante fu un’altra: e se nell’auto ci fosse stato qualcuno?

Istintivamente mi tuffai per verificarlo.

-Ma che fai, idiota?- Tony mi venne dietro, quando si rese conto che da solo non sarei mai riuscito ad aprire il bagagliaio. Sparò un paio di colpi con la sua pistola mentre io mi facevo da parte, e mentre la macchina si inabissava, lui scendeva insieme ad essa, per ripescare qualsiasi cosa potesse esserci nel portabagagli.

Venne fuori pochi secondi dopo, con un cadavere tra le braccia, una giovane donna con un vestitino leggero.

-Aiutami!- mi gridò lui. Per un istante pensai che la ragazza potesse essere viva, ma poi le vidi la testa ciondolare malamente da un lato, segno di un collo spezzato. Sdraiata a terra, con il vestito sollevato, vidi che non aveva biancheria intima e, per una questione di rispetto, le abbassai la gonna del vestito. Mi accorsi in seguito di due buchi di proiettili su una tempia, forse li aveva lasciati Tony dopo aver sparato per aprire il baule.

Cominciai a dirmi che, caspita, se avessero controllato i miei precedenti avrebbero scoperto che facevo il ladro a New York, perciò feci quello che avrei fatto se fossi stato io il colpevole: presi la pistola e la lanciai nel lago. Il movimento fece sì che potessi vedere due uomini in nero guardare la scena dall’alto della scarpata.

-Ehi!- gridai, agitando la mano. –Abbiamo bisogno di aiuto, c’è stato un incid…-

-Ma che cavolo fai, scemo?!- Tony mi saltò sul braccio proprio mentre quei due se ne andavano. –Forse si tratta degli assassini di questa donna e tu li chiami. Ma dico, cos’hai nel cervello?-

Feci un’espressione ferita, non potei evitarlo. Insomma, era successo tutto talmente in fretta, e pensavo di poter ancora fare qualcosa per quella poveretta. A volte non capivo proprio tutto quel cinismo da parte di Tony.

-Comunque,- continuò lui, -Dobbiamo andarcene da qui. Subito.-

-E la lasciamo così?- Ero scioccato.

-Steve, con quei due buchi in testa sarà difficile spiegare che noi l’abbiamo solo trovata. Ma non ti preoccupare, basterà una segnalazione anonima e se ne occuperà la polizia. Adesso dammi la mia pistola e andiamocene.-

Rimasi bloccato a fissarlo, come se mi avesse chiesto di ballare il tango a testa in giù.

-Allora?- insisté con la mano tesa.

-Io… L’ho buttata…- ammisi timidamente.

-Che cosa?!- urlò il detective.

-Cerca di capire, a New York ho dei precedenti, non volevo che si sapesse…-

-Ma ti ha dato di volta il cervello? Quella era una Vector da duemila dollari, un regalo speciale di mia madre, e tu la butti nel lago, vicino alla macchina! Che cosa pensi che succederà quando dragheranno il lago, genio, pensi che non troveranno la mia pistola?-

-Scusa…-

-Le scuse non bastano. Dio, non puoi per cinque minuti smettere di essere quel maledetto idiota che sei?-

Se ne andò lanciando maledizioni a tutto spiano, e io lo seguii fino alla nostra auto, ferito e ancora più umiliato dal fatto che avesse ragione: a parte l’aspetto fisico non avevo niente che fosse interessante o utile, non c’era da stupirsi se Peggy non volesse uscire con me. Mi chiesi come avrei mai potuto sopravvivere in un posto del genere.

 

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Dovetti essermi addormentato, perché venni svegliato in macchina, da una mano che mi dava leggeri schiaffi sulla guancia. Aprii gli occhi e vidi Tony accanto a me, gli occhiali da sole a tirargli indietro i capelli, anche se era notte potevano comunque servire ad uno scopo.

-Ehi, siamo arrivati al tuo albergo- disse piano. Non sembrava più così incazzato. Io, in compenso, mi sentivo ancora in colpa.

-Scusa per la pistola.-

Lui sospirò. Nei suoi occhi mi parve di vedere qualcosa tipo… rimorso?

-Non fa niente. Non avrei dovuto urlarti contro in quel modo, dopotutto non l’hai fatto apposta.-

-E adesso cosa facciamo per quella ragazza?-

-Sistemerò tutto io, non preoccuparti. Fury mi paga anche per questo, e poi non dimenticarti che prima di un detective sono stato anche un poliziotto, so come funzionano queste cose.-

-Va bene…- dissi, poco convinto.

Lui fece un mezzo sorriso. Mentre aprivo la portiera per scendere mi spinse con una mano sulla testa, un gesto che sembrava quasi una carezza, come quella che un padre dà ad un figlio particolarmente imbranato. –Va a dormire, dài. Questa è una metropoli piena di segreti oscuri che non vorresti conoscere. Va a letto e non pensarci più, ok?-

Lo salutai con un cenno e l’ombra di un sorriso, pensando di essermi sentito molto confortato da quel suo atteggiamento di cui non sapevo l’esistenza. Di colpo e senza alcun motivo desiderai che quella mano continuasse ad accarezzarmi i capelli.

-Ok- risposi, e decisi di avviarmi, lasciandomi alle spalle il rumore della sua auto che partiva.

 

Non feci in tempo ad entrare nel mio albergo che il cellullare prese a vibrare nella mia tasca.

-Pronto?- domandai, e in un momento di follia pensai che fosse Tony, che magari mi aveva chiamato per dirmi qualcos’altro, per rassicurarmi ancora.

-Steven Grant Rogers?- chiese una voce dura e profonda dall’altra parte dell’apparecchio.

-Sì, sono io- mi venne istintivo rispondere.

-Mi dispiace contattarla in queste circostanze, ma abbiamo rinvenuto il cadavere di una donna…-

Per poco non mi venne un colpo. Di già? Com’era possibile?

-Dai documenti risulta essere Margaret Carter. La contattiamo perché la ragazza aveva un biglietto col suo nome e numero di telefono. Sembrerebbe un suicidio, ma dovrebbe comunque venire domattina all’obitorio per identificare il corpo. Pronto?-

Non riuscii più a muovere un muscolo.

Era impossibile, Peggy l’avevo vista solo ieri. Non poteva essere morta, non si sarebbe mai suicidata… perché poi? Non riuscii neppure a chiederlo, probabilmente il mio silenzio aveva indisposto il poliziotto e il prolungato tu-tu-tuuu del telefono significava che ormai non potevo più cambiare quello che era successo. Mi avviai in albergo senza le forze per piangere.

 

Ci misi molto ad addormentarmi. Dopo aver bevuto almeno mezza bottiglia dello champagne offerto dall’albergo mi accoccolai contro la finestra a guardare le luci di quella città maniacalmente in movimento, traboccante di vizi e di disprezzo per la vita. Al di là del vetro era tutto così calmo, il rumore che veniva attutito da chilometri di lontananza. Poggiai la testa sul cuscino ripensando ai miei ricordi delle scuole superiori, quando venivo pestato da tutti e Peggy stava con tutti, e poi ci mettevamo noi due a parlare insieme, seduti su una panchina del campo di atletica: lei mi medicava le ferite, ed io la consolavo quando mi raccontava come potevano essere stronzi i ragazzi.

Nel mezzo di questo sogno che sembrava troppo un vero ricordo, qualcuno bussò alla porta.

Non avevo davvero voglia di aprire, ma chiunque fosse insisteva talmente che mi sollevai dal materasso con la sensazione di avere il peso del mondo sulle mie spalle, e andai alla porta.

Questa volta mi venne davvero un colpo quando aprii, perché davanti a me si trovava Peggy Carter, che avrebbe dovuto essere morta ma che non lo era, con i capelli e il vestito bagnati di pioggia che non sapevo avesse cominciato a cadere, lo sguardo sconvolto, gli occhi pieni di lacrime.

-Oh mio Dio! Peggy, sei viva!-

Lei mi saltò al collo, abbracciandomi come se fossi l’ultimo sopravvissuto ad uno sterminio mondiale e lei mi avesse trovato, e non fosse più sola.

-Steve! Oh Steve, è morta. Mia sorella è morta- pianse la ragazza.

A quel punto fui confuso per davvero. Sua sorella? Sharon era lì?

Trascinai Peggy dentro, e le offrii quel che era rimasto della mezza bottiglia di champagne, per tranquillizzarla. Mentre beveva, lei mi raccontò ogni cosa.

-Sharon è arrivata qui senza dirmi niente. E’ entrata in casa mia, ha rubato il mio portafogli e le mie carte di credito, sulle quali, pensa un po’!- gridò, facendomi sussultare. –Ha addebitato duemila dollari, non so per che cosa. E adesso mi dicono che si è suicidata! Ma io so che non può essere così, lei non lo avrebbe mai fatto. Prima di morire ha preso la pillola anticoncezionale, perché disturbarsi se avesse deciso di morire? Oddio Steve, devi aiutarmi, tu sei un detective, giusto? Aiutami a scoprire chi ha ucciso mia sorella- supplicò lei in lacrime.

Mi resi conto di essermi cacciato in un grosso guaio. Lei era certa che io fossi un detective, era colpa mia se lo credeva. Ma come avrei potuto immaginare che sarebbe successa una cosa del genere? Che sua sorella si sarebbe uccisa, presumibilmente, mentre io, lei e Peggy ci trovavamo tutti qui, in questa stupida città?

-Allora?! Steve, sappi che se non mi aiuti tu, io non so davvero…-

-Va bene, va bene! Ti aiuterò, Peggy!- gridai, per calmarla. Non sapevo da che parte cominciare, ma sentivo che era la cosa giusta da fare. E poi io non ero un detective, ma ne avevo a disposizione uno: avevo Tony.

-Oh, grazie…- sospirò Peggy, prima di svenire su una poltrona.

 

Portarla a letto e rimboccarle le coperte fu solo una questione di cavalleria. Non potevo mica lasciarla lì in quelle condizioni, dopotutto.

La poggiai sul materasso, meravigliandomi di quanto fosse leggera e, soprattutto, splendida mentre dormiva. Di colpo realizzai perché non fossimo mai stati insieme, noi due: ogni volta che la guardavo, in me nasceva l’impulso irresistibile di proteggerla, di impedire che le facessero del male, che il suo cuore si trasformasse in un organo disilluso dalla vita. Non pensai di esserne realmente innamorato, ma provavo per lei qualcosa di simile all’amore che proverebbe un fratello, un fratello maniacalmente protettivo… forse.

Perso nei miei pensieri su lei che dormiva mi resi contro troppo tardi che ci fosse qualcosa che disturbava l’idillio del momento: un ragno stava avanzando velocemente sulle coperte, zampettando sul suo vestito e camminandole addosso.

-Che schifo…- mormorai, e cercai di scacciarlo con una mano, ma questo, infastidito, si nascose a tutta velocità nell’unico luogo possibile: sotto il reggiseno di Peggy.

-Oh, cavolo- sospirai. Non mi arresi, però, e piegai la testa per sbirciare sotto l’intimo, per vedere dove fosse finito. Non trovandolo pensai di dare qualche innocuo colpo con le dita sul seno di lei. Inutile dire che mi imbarazzò moltissimo il sentire quanto fosse morbido, ma andava fatto, per stanare quella bestiaccia, capite?

Lei saltò sul dal letto dopo un colpo più forte degli altri.

-Che diavolo stai facendo?!- gridò indignata.

Io, con le mani avanti: -Ti assicuro che non è come sembra.-

-Steve, mi stavi toccando le tette.-

-No! Cioè, non volevo, è solo che… c’era un ragno, e grosso anche.-

La sua bocca fece una smorfia incredula. –Ma per favore.-

-Giuro che è la verità- insistetti.

-Oh, andiamo, Steve, mi hai solo toccato le tette, è la vita, che vuoi che sia?-

-Come scusa?- Quelle parole mi lasciarono più indignato di lei, non potevo credere che venissero dalla Peggy che conoscevo. –Uno ti tocca le tette e tu dici “Che vuoi che sia”? Non posso credere che questa sia la reazione di…-

Poi, scostando il suo vestito, Peggy scoprì, appena sotto il reggiseno, una zampetta appartenente proprio al ragno che stavo cercando. –La vedi?- mormorò lei, con un sorriso che nulla aveva a che fare con l’indignazione di prima.

-Se…- sbuffai.

-Che problema hai, Steve? Ti credo, vedi, non hai fatto niente.-

Le sventolai un dito davanti al naso per chiarire il mio punto di vista. -No, ma tu credevi che l’avessi fatto- Poi, con uno tono più ferito e deluso che mai: –Non hai pensato neanche per un attimo che io stessi dicendo la verità. Ma come puoi credere che sia normale che un uomo si comporti così con le ragazze? Tu… Con che cazzo di uomini esci, tu? Che ti ha fatto questo posto, prima non eri così…-

-Così come, Steve?- domandò lei, il sorriso svanito, negli occhi un’espressione pericolosa.

-Lascia perdere, va a casa e dormici sopra. Al resto penserò io- sbuffai, mimando le parole di Tony e alzandomi per andare in bagno.

Sentendo la porta che si chiudeva mi convinsi finalmente di essere solo, ma cambiai opinione dando un’occhiata al box doccia del bagno. Un cadavere femminile, quello della ragazza del lago, livido e floscio come una marionetta gettata in un angolo, sembrava accusarmi con la sua spettrale presenza.

-Oh, cazzo!- mormorai. Non dicevo spesso parolacce, ma quando ci vuole…

Non stetti a pensare molto, in certi casi si agisce d’istinto, e il mio istinto fu quello di chiamare immediatamente Tony al telefono: lui avrebbe saputo cosa fare.

 

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-Come? Te l’hanno riportata?- gridò Tony, per superare i rumori del traffico in cui era immerso.

-Sì, è qui davanti ai miei occhi, Cristo santo!-

Raggomitolato sotto il lavandino del bagno mormoravo come se qualcun altro potesse sentirmi, e tenevo d’occhio il corpo, neanche potesse andare da qualche parte. A quanto pareva, a Los Angeles i cadaveri spuntavano come funghi, e io non volevo rischiare di ritrovarmene un altro in camera.

-Ma com’è possibile, non sanno nemmeno chi sei- ribatté Tony, con molta logica.

-E invece in qualche modo l’hanno saputo. Cosa devo fare, adesso?-

-Stai calmo. Ascolta, per prima cosa devi avvolgere il corpo in una coperta, o un telo… così lo possiamo trasportare fuori. Se cercano di incastrarti qualche stronzo ti sta già mandando la polizia. Usa un paio di guanti per farlo.-

-Va bene un tipo di guanti in particolare?-

-Sì, color malva. Ma ti vuoi dare una mossa, cazzo?!- ringhiò il detective.

-E come lo portiamo un corpo fuori da un albergo?-

-A quello ci pensiamo dopo. Intanto datti da fare, e trova la pistola. Ripeti con me: trova la pistola.-

-Trova la pistola, trova la pistola… No, l’ho buttata nel lago…-

-Non la mia pistola, idiota! Ti stanno incastrando, perciò di sicuro hanno sistemato anche una pistola nella stanza. Tu trovala, avvolgi il cadavere in qualcosa e aspettami lì. Arrivo tra quattro minuti esatti.-

 

Corsi a fare quello che mi aveva chiesto. Avvolsi il corpo della ragazza nel telo da doccia e trovai, effettivamente, una pistola nascosta sotto il letto, non quella di Tony, una diversa. Come l’avessero piazzata lì, proprio non lo capisco.

Bussarono alla porta, e una voce concitata mi disse: -Sono io, Tony. Steve, ci sei?-

Quando gli andai ad aprire feci in modo di non apparire troppo sconvolto, ma il mio modo di parlare, rapido e incerto, mi tradì.

-Meno male che sei arrivato. E’ successo un casino, qui- dissi, indicandogli il corpo che avevo avvolto nel telo da doccia e sistemato sul letto.

-Adesso dobbiamo solo portarlo fuori, dopodiché ce ne liberiamo, eh?-

-Ma come diavolo facciamo a portarlo fuori?- protestai. L’idea di abbandonare una ragazza morta lungo il ciglio di una strada non mi entusiasmava, ma ancor meno lo faceva l’idea di essere accusato di omicidio, perciò avrei dovuto fare come mi diceva lui.

-Salendo ho visto una scala che portava al tetto…- Il suo tono allusivo non lasciava presagire niente di buono, ma in fondo il detective era lui, doveva sapere di che cosa stava parlando, giusto?

Due minuti dopo, il cadavere avvolto nella plastica volava giù dal palazzo, dritto nel vicolo sul retro.

Lo raggiungemmo per caricarlo in auto e portarlo via. Io, già abbastanza sconvolto da ciò che avevamo appena fatto, non riuscivo a smettere di blaterare per l’agitazione.

-Come diavolo hanno fatto a sapere dove sto? E perché mi hanno portato il corpo in camera? Voglio dire, nessuno potrebbe credere che l’abbia uccisa e mi sia tenuto il corpo e l’arma del delitto, non è credibile, e tu hai detto che queste cose non succedono mai.-

-Invece succedono, è così che fanno i criminali: vanno nel panico e fanno qualcosa di stupido.-

Tony aprì il bagagliaio, e stavo per protestare, quando lui spalancò gli occhi al sentire il rumore di un’auto che si avvicinava. –Baciami- sussurrò. Non fui sicuro di avere capito bene.

-Come?-

Lui si avvicinò e mi avvolse le spalle con un braccio, tirandomi giù alla sua altezza. –Baciami- ripeté, schiacciandomi la faccia contro la sua.

-No, aspett…-

-Non resistere.-

Proprio mentre spingeva le sue labbra contro le mie vidi, con la coda dell’occhio, un’auto della polizia e due agenti in divisa che sghignazzavano al suo interno, indicandoci. Allora mi rilassai un po’, e chiusi gli occhi quando Tony spinse la sua lingua nella mia bocca.

Cominciai a darci dentro per rendere più credibile la scena, senza capire perché Tony mi stesse baciando davvero, dato che dovevamo solo fingere. Tuttavia non potei fare a meno di sentire che la cosa fosse insieme giusta e sbagliata, ero molto confuso. Ma quando la sua mano prese ad accarezzarmi i capelli non potei fare a meno di inclinare la testa con abbandono.

I fari si allontanarono, e il vicolo tornò buio. Solo allora Tony si staccò da me, ed io rimasi impietrito a guardarlo.

-Beh, non osavo sperare che ci lasciassero in pace- ammise Tony, con le mani in tasca.

-Tu… Tu non puoi baciare la gente così- mi lamentai, passandomi una mano sulla bocca.

-Mi è sembrato che ti piacesse- notò lui, con un sorrisetto compiaciuto.

-Non sono gay. E poi questo non è neanche il momento di fare… di fare una cosa del genere…-

-Non ti imbarazzare. Non ci ha visto nessuno.-

-Ehi, Steve!- gridò una voce femminile da un angolo.

Oddio, Peggy…

-Ciao, Peggy- mormorai imbarazzato, salutandola con la mano senza sapere cosa dire.

-Che succede? Perché tu e Tony stavate pomiciando?-

-Noi… Ecco, non stavamo facendo niente, siamo solo… Nel mezzo di un operazione, roba da detective, capisci… Vero Tony?-

Lui agitava le braccia senza parlare, mentre nascondeva il cadavere nel bagagliaio.

-Comunque, Steve, ti volevo dire che c’erano dei poliziotti arrivati in albergo con una segnalazione per perquisire la tua camera. Io li ho mandati in quella sbagliata. Steve, potrebbe darsi che abbiano a che fare con l’omicidio di mia sorella, se lavori con Tony dovete assolutamente indagare.-

-Certo, Peggy, lo faremo senz’altro. Adesso scusa, ma devo proprio scappare.-

Mi allontanai da lei prima che Tony mettesse in moto e mi lasciasse nel vicolo, fiondandomi in macchina con lui.

 

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-Non dirmi che hai fatto credere a Peggy di essere un detective? Come ti vengono in mente certe stronzate?- mi rimproverò Tony mentre guidava.

-Ma io…-

-Stronzata più grossa, le hai fatto credere che l’avremmo aiutata a risolvere che cosa? L’omicidio di sua sorella? Da quel che so, Sharon si è suicidata, punto. Non ci sono spiegazioni alternative.-

-E tu come lo sai? Non puoi esserne sicuro, Peggy è stata convincente quando mi ha parlato di sua sorella e del fatto che questo fosse impossibile.-

Ero arrabbiato adesso. Poteva andare bene che prendesse in giro me, ma non che liquidasse in quel modo una faccenda tanto seria.

-E invece ne sono sicuro. Ho abbastanza esperienza per riconoscere un suicidio, e ti dico che quello lo è stato: la pistola è stata trovata nelle sue mani, la camera era chiusa dall’interno e a parte Sharon nessuno è entrato o uscito. E’ stato un suicidio, Steve.-

Sapevo che cercava di convincermi a lasciare perdere, ma io non volevo davvero arrendermi, non dopo tutto quello che era successo. In quella città avevo visto abbastanza cose strane per convincermi che non tutto era quello che poteva sembrare, e la morte di Sharon sicuramente non lo era… Io mi fidavo dell’istinto di Peggy.

-Ecco, qui potrebbe andare bene- disse Tony, fermando la macchina in un angolo buio e deserto, pieno di cassonetti e insegne spente, abbandonato.

-Aiutami.-

Scaricammo il corpo e lo appoggiammo contro una parete. Guardandolo mi sentii talmente in colpa che non potei fare a meno di sfiorare con una mano la testa della giovane avvolta nella plastica e dire: -Mi dispiace, tesoro, meritavi di meglio.- Non era giusto che una ragazza così giovane finisse la sua vita in quel modo, e che dopo la sua morte venisse sballottata qua e là come un pacco postale.

Tony sembrò accorgersene. Per la prima volta vidi sul suo volto un’espressione addolorata, ma quando mi parlò capii che, più che per la ragazza, fosse dispiaciuto per me.

-Senti, Steve…- incominciò, -Tornatene a New York, o in Indiana, o dovunque ti vada di andare, ma non restare qui, non ne vale la pena, tu non sei come il resto della gente di LA.-

Venni preso alla sprovvista. –Devo ancora fare il mio provino, non posso andarmene prima.-

-Steve, è inutile, non avrai quella parte.-

Sorrisi nervoso, sapendo che mi stava prendendo in giro. –Ma che dici? Mi hanno fatto venire qui apposta.-

-Non capisci! Colin Farrell vuole troppi soldi, e così Fury si è procurato qualcuno che recitasse per poco, gli ha fatto prendere lezioni da detective, ha fatto credere a tutti, a te per primo, che sarebbe diventato famoso, ma sei stato soltanto usato. Ti hanno usato per spuntare un paio di milioni a Colin Farrell.-

Lo guardai ferito. Non era possibile che qualcuno mettesse in piedi una simile messinscena solo per convincere un attore viziato ad abbassare le sue pretese sullo stipendio. Eppure Tony era troppo serio per mentire.

-Tu lo sapevi?- domandai, con un tono che faceva capire quanto fosse retorica quella domanda.

-Sì- ammise lui. –Cosa credevi, che da niente ti avrebbero fatto diventare un attore di successo? Io ho solo obbedito agli ordini di Fury, ti ho fatto da balia per un po’, ma non avrei mai voluto che ti infilassi in questo casino.-

-Perché non mi hai detto la verità? Pensavo fossimo amici.-

-Steve- mi bloccò lui, con una mano sulle labbra. Adesso sembrava arrabbiato. –Noi non siamo amici. Ma ti confesserò che stavo cominciando davvero ad affezionarmi a te, per questo ti dico di lasciare questa città prima di metterti in guai seri.-

Non dissi niente, e lui non seppe esattamente come continuare. –Guarda, se sei arrabbiato lo capisco…-

Prima di ascoltare un’altra parola gli diedi un pugno con tutta la mia forza. Lui si piegò da un lato, ma poi reagì. Con un calcio dietro le ginocchia mi fece cadere e si mise alle mie spalle. Mi ero dimenticato che come detective ed ex-poliziotto doveva aver ricevuto un qualche tipo di addestramento. Mi circondò il collo con un braccio e cominciò a stringere.

-Smettila di fare il bambino, Steve- sibilò al mio orecchio. –E soprattutto non continuare a mentire a Peggy con questa balla del detective. Cosa credi che succederà quando scoprirà che non sei chi dici di essere, eh? Pensi che si fiderà ancora di te o che accetterà la realtà?-

Mi liberai da lui con uno strattone. –Non glielo dirai, vero?- domandai preoccupato.

-Lo farò, se servirà a farti andare via da qui. Che tu ci creda o no, tengo davvero a te, e quello che faccio lo faccio per impedire che tu ti faccia davvero male.-

Aprì la portiera e mi fece cenno di entrare. –Sali in macchina, ce ne andiamo.-

Ero troppo arrabbiato per dire altro, troppo deluso per disobbedire; soprattutto, ero troppo sconvolto da come quella città cambiasse le persone, da come le trasformasse in esseri che sembravano cercare con tutte le loro forze di conservare, senza riuscirci, un briciolo di umanità.

 

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Il giorno dopo mi presentai spontaneamente a casa di Peggy. Magari sarei riuscito a confessare prima che Tony la informasse di tutte le bugie che avevo raccontato, e così facendo pensavo di avere più probabilità che mi perdonasse.

Bussai alla sua porta di Venice Beach pensando a come cominciare la conversazione.

Mi aprì la fotocopia di Peggy, ma con una rabbia che non le avevo mai visto, neanche quando Billy Jackson l’aveva mollata per l’ultimo acquisto delle cheerleader.

-Che cosa ci fai qui? Non ti voglio vedere- ruggì.

Fece per chiudere la porta, ma io ci infilai dentro un piede per tenerla aperta.

-Tony ti ha già chiamato?- chiesi, anche se conoscevo già la risposta a quella domanda.

-Non solo. Mi ha anche detto che non sei un vero detective. Che diavolo pensavi di fare con il caso di mia sorella? Mi avresti tenuto in ballo per un po’ e poi avresti dato ragione a quelli che dicevano che si era suicidata?- mi gridò contro.

-Peggy, ascolta…-

-Ma tu chi diavolo sei veramente?-

Vedendo lo stato in cui era capii che aveva tutte le ragioni di essere arrabbiata, ma più di tutto era delusa, delusa da me, che credeva l’unico ragazzo a posto di tutta Los Angeles, e che invece si era rivelato un bugiardo esattamente come gli altri.

-Sono un ladro- confessai. Lei piegò la testa da un lato, come se non credesse del tutto alle mie parole. –Cioè… Rubo qua e là robaccia elettronica e la rivendo. Niente di serio, infatti… Non mi si può definire neanche un vero delinquente. Sono un poveraccio, uno che per darsi un tono si è traferito a New York, ma che in fondo è sempre lo stesso ragazzo che ha lasciato Embrey. Non ho mai concluso niente nella mia vita, ma stavolta io… Dopo averti rivista volevo davvero aiutarti.-

La sua espressione si addolcì, e scostò la porta un pochino. Soffiò un non molto convinto: –Entra, dai.-

 

In casa sua mi offrì un tè, e mentre sedevamo al tavolo della sua cucina, con il telegiornale che in sottofondo comunicava a noi due le ultime disgrazie del mondo, lei mi disse tutto, tutto quello che sperava di fare una volta lasciato l’Indiana e tutto quello che invece aveva effettivamente fatto dopo essere arrivata a Los Angeles.

-Non sono diventata famosa, Steve- mi confidò, con una nota amara nella voce. Io le misi una mano sulla sua, per confortarla.

-Non è andata esattamente come avevamo sperato- le dissi.

-Non importa. Forse era così che doveva andare…-

Fui distratto da una notizia appena comunicata dalla tv, qualcosa che mi riguardava direttamente.

 

-Dopo il ritrovamento del corpo della giovane ereditiera Veronica Schmidt, le autorità hanno predisposto un enorme dispiegamento di forze per trovare gli assassini. Pare che la ragazza sia stata uccisa ieri notte, e il fidanzato, arrivato in mattinata dalla Francia, ne ha identificato il cadavere. La salma sarà trasportata alla clinica privata del patrigno di lei, Johann Schmidt, per essere cremata.-

 

-La figlia di Schmidt…- pensai ad alta voce.

-Non te la prendere, Steve. Los Angeles è una città pericolosa- disse Peggy.

-No, voglio dire. Non so se Tony te l’ha detto, ma quella ragazza l’abbiamo trovata noi, due tizi l’hanno buttata in un lago, chiusa nel bagagliaio di una macchina.-

-Oddio- disse, con una mano davanti alla bocca.

-Ma quello che non capisco è: la ragazza non portava le mutandine, come è possibile che una donna viaggi in quelle condizioni?-

-Steve, non dirmi che hai guardato sotto la gonna di una ragazza morta- Mi disse, come se mi stesse rimproverando.

-Non l’ho fatto apposta- mi difesi io. –E’ capitato…-

-Però questo è strano davvero- continuò Peggy. –Specie se pensi che suo padre, Johann Schmidt gestisce tra le varie attività, un istituto di cura per malattie mentali. Ci sono centri in cui i pazienti non portano altro, a parte la divisa dell’ospedale…-

La bloccai: forse capii dove stava andando a parare. –Non penserai che l’abbia uccisa lui?-

-E perché no? Era noto a tutti che non si sopportassero, che litigassero furiosamente per l’eredità lasciata dalla madre di lei. Quell’uomo non mi piace, e neppure i suoi gorilla. Se vuoi la mia opinione, l’ha fatta uccidere.-

Ci pensai su. Se effettivamente era così, allora i due che avevano gettato la macchina nel lago erano scagnozzi di Schmidt, e sapevano dove trovarmi per un solo motivo: mi avevano visto alla festa il giorno prima, e sapevano perfettamente chi fossi.

Mi prese il panico, anche perché forse avevo scoperto il collegamento tra la ragazza nel lago e il suo possibile assassino, e dovevo assolutamente dirlo a qualcuno. A Tony. Anche se era uno stronzo era comunque amico di Peggy, a differenza della polizia lui mi avrebbe creduto.

Mi guardai intorno in cerca di un telefono per chiamarlo, avendo lasciato il cellulare in albergo, quando l’occhio mi cadde su una foto di Peggy appesa al frigorifero. Sembrava lei in quella famosa pubblicità della birra di cui mi aveva parlato, solo che, sotto la sua figura, c’era una scritta: Carol Danvers.

-Chi è Carol Danvers?- domandai a Peggy.

-E’ il mio nome d’arte. Ad ogni provino mi firmo Carol Danvers.-

Battei un pugno sul palmo della mano. –Ci siamo! Una ragazza con quel nome ha ingaggiato Tony per sorvegliare un uomo, e da casa di quello stesso uomo abbiamo visto uscire l’auto in cui si trovava il cadavere della figlia di Schmidt. Peggy, credo che sia stato lui a uccidere tua sorella. Forse sapeva qualcosa che non volevano rivelasse.-

Lei spalancò gli occhi e smise di respirare. –Oh, no… Dopo quello che le aveva fatto nostro padre, per consolarla, avevo detto a Sharon che il suo vero padre era un produttore di Hollywood. Può avere pensato che fosse Schmidt e avesse deciso di incontrarlo. Ha scoperto qualcosa sull’omicidio e l’hanno uccisa.-

Afferrò il suo cellulare.

-Dobbiamo chiamare Tony, e chiedergli di andare con te a controllare l’istituto psichiatrico di Schmidt. Se sua figlia Veronica è stata lì ne sarà rimasta qualche traccia.-

Compose il numero, e aspettò di parlare con l’unica persona che poteva aiutarci.

 

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-Voi due ragazzini di campagna guardate troppa televisione- disse Tony, mentre guidava con me accanto e Peggy dietro.

-E allora perché ci aiuti?- domandò Peggy saccente.

Tony si voltò e mi lanciò uno sguardo colpevole. –Non sono così stronzo. Il vostro ragionamento mi sembra incredibile ma fila, verificare non mi costerà poi tanto. E Steve, dopo quello che hai passato direi che ti dovevo qualcosa.-

Non avrei mai pensato che proprio lui arrivasse a chiedere scusa. Sì, tecnicamente non l’aveva fatto, ma dal tono più che dalle parole capii che fosse quella la sua reale intenzione.

-E’ come nei romanzi di Johnny Gossamer- dissi, per allentare la tensione.

-Di chi?- mi fece eco Tony.

-Uno di cui io e Peggy leggevamo da piccoli. Lui era un detective che seguiva sempre due casi, e che alla fine si coprivano essere collegati. Un po’ come il caso di Veronica Schmidt e della sorella di Peggy.-

Tony sbuffò, ignorando platealmente il mio intervento per spiegare in modo fantasioso l’ordine delle cose.

-Se è stata paziente di quell’istituto e, supponiamo, il suo patrigno l’abbia costretta a restare lì, nel suo cadavere ci saranno tracce di farmaci. Forse era per quello che non volevano che il corpo venisse ritrovato, e sempre per questo motivo vogliono che sia cremato- continuò il detective.

Parcheggiò sul retro dell’ospedale, e scese con me, dicendo a Peggy: -Tu resta qui, noi scendiamo a controllare. Se vedi arrivare qualcuno suona il clacson per avvertirci e scappa.-

-E noi?- feci, un po’ preoccupato.

-Ce la caveremo, vedrai.- Mi diede una pacca sulla spalla e mi spinse verso un ingresso di servizio.

 

L’ospedale psichiatrico era esattamente come uno se lo sarebbe aspettato: bianco, asettico, con qualche striminzita decorazione di Natale lungo le pareti. La fortuna ci sorrise quando trovammo una paziente che, a quanto pareva, andava in giro da sola per una passeggiata notturna.

-Mi scusi signora- disse Tony, molto formale.

La donna, un tipo piuttosto robusto, con corti capelli ricci, si voltò e gli sorrise un sorriso stupido. –Hanno preso i miei grilli- disse.

-E’ molto triste, signora, ma io e il mio amico volevamo farle una domanda un po’ imbarazzante, a dire la verità: Ci chiedevamo se lei, per caso… portasse qualcosa sotto la divisa ospedaliera.-

La donna gli riservò un sorrisetto furbo, e sollevò l’orlo del vestito verde da ospedale. Niente, come volevasi dimostrare. Distolsi lo sguardo appena appurato quello che volevamo sapere.

-Direi che ci avevi visto giusto, Rogers- disse Tony, mentre ce ne tornavamo da dove eravamo venuti, cercando di rimuovere quell’immagine dalla mente.

All’improvviso, un rumore di passi, molto più pesanti, mi fece saltare il cuore in gola. Mi sentii tirare da un lato da Tony, che mi aveva afferrato il braccio. –Nascondiamoci- sibilò, tirandomi in uno stanzino per le scope.

Al di là della finestrella sulla porta vedemmo un paio di uomini percorrere circospetti il corridoio.

-Avevi davvero ragione, Rogers- ribadì il mio accompagnatore. –Non si mettono dei gorilla a guardia di un cadavere, a meno che tu non voglia essere sicuro che nessuno ficchi il naso in affari che non lo riguardano.-

-E adesso che facciamo?- domandai.

Lui fece una cosa molto strana: si mise un dito sul naso e, contemporaneamente, ne posò uno sul mio, un gesto complice. –Tu starai in assoluto silenzio. Io ho un amico al dipartimento di polizia: una volta fuori di qui lo chiamiamo e gli diciamo di controllare il corpo. Di lui mi fido, vedrai che ci aiuterà.-

Arrossi per un momento dopo quel gesto. Mi trovavo in una stanza buia, talmente stretta che eravamo praticamente petto contro petto, solo noi due, e lui era dannatamente bello, soprattutto adesso che aveva deciso di credermi. Non lo avevo mai notato prima, e con l’adrenalina in corpo, tutto ciò mi saltava agli occhi più chiaro che mai.

-Sai, questa- ripetei il suo gesto, -E’ la cosa più gay che tu abbia mai fatto.-

Sorrisi, e lui sbuffò. –La faccio solo con i bei ragazzi. Dài, usciamo di qui.-

Aprimmo la porta, e Tony aveva già il cellulare in mano per chiamare il suo amico della polizia, quando davanti a noi si pararono due uomini, e, dietro di loro, comparve Schmidt in persona.

-Bene, bene. Signor Stark, signor Rogers.-

-Saaalve- li canzonò Tony. –Sembrerebbe che ci siamo persi. Incredibile, vero? In un posto così ben organizzato…-

-Davvero, signor Stark- disse Schmidt mellifluo. –Permette che i miei ragazzi le mostrino la strada?-

-A dire il vero l’avremmo già trovata da soli- tentai, ma un braccio muscoloso mi trattenne dall’andarmene.

-Non così in fretta, signori. Non sarebbe carino lasciarvi andare via senza neanche avervi mostrato tutte le attrezzature di cui disponiamo in questo centro di cure.-

-Alla tua figliastra le hai mostrate?- domandò Tony, con la voce di chi aveva già capito tutto. –L’hai tenuta qui prigioniera quando hai capito che non avrebbe ceduto a te i soldi di sua madre, e hai pagato una sosia perché si fingesse lei in tribunale, in modo che rinunciasse alla sua eredità. Ma quando il suo fidanzato è tornato indietro dalla Francia non potevi rischiare che scoprisse il trucco: avrebbe riconosciuto la vera Veronica, e allora ti avrebbe smascherato.-

-Lei merita davvero tutta la mia ammirazione, signor Stark- disse Schmidt, la lingua che scattava come quella di un serpente.

-Non è tutto merito mio, senza questo zelante newyorkese non avrei mai neanche sospettato un simile piano.-

L’uomo si voltò verso di me. –Ah, il ragazzo d’oro di Fury. Credo che dovremmo insegnarti come ci si deve comportare qui a Los Angeles, vuoi?-

Non che avessi paura, ma eravamo stati catturati da un individuo che non si era fatto scrupoli a rapire e uccidere una ragazza innocente per soldi, e Peggy non sapeva quello che ci stava succedendo, o avrebbe attirato la nostra attenzione.

Inoltre quel tipo sembrava avercela in particolar modo con me, quindi scusatemi se provavo un po’ di preoccupazione.

 

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Cinque minuti dopo ero legato a una sedia, con i pantaloni calati e due elettrodi attaccati dove un uomo non dovrebbe averli attaccati, con uno dei gorilla di Schmidt che teneva tra le mani la batteria a cui erano collegati, e il suo capo dietro di lui, che guardava me e Tony, anch’egli legato ma, fortunatamente, non nelle mie stesse condizioni.

-Aurelio, spiega un po’ al signor Rogers come ci divertiamo qui a Los Angeles. E quando hai finito di spiegarglielo uccidi lui e il suo amichetto, e vedi di fare un lavoro come si deve, stavolta, non come Veronica.-

Il ghigno sul volto del suo scagnozzo non faceva presagire nulla di buono, mentre diceva: -Certo, capo.-

-E lei andrà a liberarsi del corpo di sua figlia, immagino- ipotizzò Tony, sfidandolo con lo sguardo.

-La cremazione era già programmata, nessuno si insospettirà se verrà anticipata di qualche ora. In quanto a voi, spero che vi godiate gli ultimi momenti insieme. Arrivederci, signori.-

Detto questo se ne andò lasciandoci nelle mani di quello psicopatico ghignante.

-Vediamo di divertirci un po’, ragazzino. L’hai sentito il capo, vero?-

Ingoiai un po’ di saliva, mentre lui si preparava a caricare i fili che avevo legati addosso.

-Certo, scommetto che per te sarà divertentissimo, Aurelio. Non pensavo fossi gay anche tu- disse Tony, con fare fintamente innocente.

-Tu sta zitto, maricon.-

-Avanti, a me puoi confessarlo. Se non ti piacessero i maschi, gli elettrodi glieli avresti legati da un’altra parte, tipo sul petto, e invece li hai messi proprio lì- scosse la testa come rassegnato. –Gay fatto e finito.-

L’uomo pigiò sui tasti che azionavano gli elettrodi con una tale rabbia che la scossa che mi colpì sembrò dieci volte più intensa del normale, e credetemi: non vorreste provare quello che provai io. Cacciai un urlo.

-Non serve a niente nascondersi, tanto ormai è chiaro, quello che sei. Non dirmi che non ti piace avere qui due uomini legati a cui puoi fare tutto quello che vuoi- continuò Tony.

-Vaffanculo, maricon!- gridò, e un’altra scarica mi attraversò la pelle, facendomi urlare di nuovo. Tony, come se non stesse succedendo nulla, spinse una mano nei suoi pantaloni, per quanto le corde che lo legavano glielo permettessero.

-Ti dirò che comincio a sentirmi eccitato, non vorresti concludere qualcosa?-

Sembrava che avesse cominciato ad accarezzarsi, e l’uomo, con rabbia, premette un’altra volta l’interruttore.

-Smettila di aiutarmi, cazzo!- gridai, sperando almeno che quella scena Tony la stesse facendo per aiutarmi, e che non fosse impazzito anche lui.

L’uomo, Aurelio, vedendo che Tony non smetteva, preso da una furia cieca, mollò elettrodi e batteria e prese ad avanzare verso di lui.

Quando Tony se lo trovò davanti, dai suoi pantaloni, esattamente dove aveva la mano, partirono due colpi di pistola, dritti nel petto del nostro carceriere.

Quando questi cadde a terra, io fissai Tony sconvolto, che a sua volta fissò me, e mi sorrise, estraendo dai pantaloni la sua gay pistol, quella minuscola cosa simile a un giocattolo che avevo visto nella sua macchina.

-Gli omofobi non controllano mai lì- mi disse. Io respiravo a fatica, dove avevo preso la scossa mi faceva un male tremendo, ed ero abbastanza scioccato da ciò a cui avevo appena assistito da impedire che dalla mia bocca uscisse qualcosa di intelligente.

-Per un attimo ho pensato che fosse una cosa tra voi gay.-

-Stai bene?- Si preoccupò Tony, mentre lottava contro i nodi che lo trattenevano, riuscendo finalmente a scioglierli.

-No, veramente no…- ammisi, chinando il capo. Tutta quella storia mi avrebbe fatto impazzire, ne ero certo. Intanto, davanti a me, Tony si stava dando da fare per liberarmi, sciogliendo i nodi che mi tenevano legato alla sedia e tirandomi su i calzoni. –Dovremmo smetterla di incontrarci così- sorrise lui, e io ricambiai, pensando che volesse farmi stare meglio.

-Se decidessi di restare a Los Angeles potrei anche offrirti un lavoro. Sembri portato per fare il detective.-

-Vedremo. Adesso aiutami a rialzarmi, dobbiamo inseguire Schmidt.-

-Coraggio. Sei un newyorkese o no? Dimostrami che siete dei duri.-

Mi tirò su di peso, sbuffando per la fatica, e mi portò fuori mentre io incespicavo per il dolore tra le gambe.

 

_______________________________

 

Uscimmo che Schmidt e i suoi stavano caricando la bara di Karen su un furgone, poco distanti da dove si trovava Peggy. Quando ci vide sbucare dall’edificio pregai che non facesse niente di stupido, tipo andare allo sbaraglio contro quei tizi. Ma lei, come se mi avesse letto nel pensiero e volesse dimostrare che poteva farcela, scese dall’auto e, senza farsi notare, salì sul furgone dove avevano appena caricato la bara, mettendo in moto e sgommando con il portellone ancora aperto.

Alle sue spalle, gli uomini si misero a urlare, e Schmidt gridò loro di inseguirla. Partirono a razzo sulle loro auto, intenzionati a fermarla.

-Svelto, Steve, dobbiamo raggiungerla- gridò Tony, salendo in macchina insieme a me e accelerando per stare dietro a quella colonna di auto.

Davanti a noi, Schmidt e i suoi sparavano a raffica contro il furgone, dal quale cominciarono a schizzare scintille dove le pallottole sfregiavano la carrozzeria.

-Tony, le stanno sparando! Dammi la tua pistola.-

-E’ nel cruscotto, prendila!-

All’improvviso, il furgone bianco sbandò, e sfregò contro un guardrail, sfondandolo e facendo scivolare fuori la bara. Vidi da lontano Peggy che usciva, con una ferita alla testa, ma i suoi inseguitori non avevano ancora smesso di spararle. Lei cercò di proteggersi nascondendosi dietro al guardrail sfondato, e dopo l’ultimo sparo non la vidi più. Sperai che fosse semplicemente scivolata giù dalla collina, e le corsi incontro dopo che Tony fermò la macchina, lui mi venne dietro.

-Peggy!- gridai, senza curarmi di essere completamente scoperto.

-Steve, no!- gridò Tony, dietro di me, e mi afferrò un braccio, passandomi avanti, proprio mentre due colpi di pistola venivano esplosi nella nostra direzione. Colpirono Tony in pieno petto, e lui cadde a terra. Solo a quel punto mi accorsi degli uomini che stavano di fronte a noi, e solo a quel punto sparai loro contro.

Si dileguarono per correre a cercare Peggy, ed io caddi a terrà, stremato. Sembrava che qualcosa mi avesse colpito il petto, ma non mi importava. Tutto quello che sapevo era che Tony era lì, sanguinante di fronte a me, con gli occhi chiusi e la testa rovesciata all’indietro. Arrancai verso di lui e mi accorsi che il suo torace era immobile.

-Andiamo Tony, respira- lo incitai. Sperando che facendogli una respirazione bocca a bocca si riprendesse posai le mie labbra sulle sue, e cominciai a soffiare. Scattai indietro quando sentii un sapore metallico in bocca, e un fiotto di sangue uscire dalle sue labbra. –No…-

Si era preso un proiettile per me, cazzo, e adesso se ne stava in fin di vita sulla strada, proprio di fronte ai miei occhi, senza che io potessi fare nulla. E in più Peggy aveva ancora bisogno di me. In quel momento mi sentii talmente inutile che avrei avuto voglia di piangere, ma guardai Tony, lo guardai e vidi che lui era stato disposto a dare la vita per me, non potevo buttarla via facendo la vittima.

Mi alzai a fatica, boccheggiando per il colpo ricevuto dal proiettile al petto, e corsi oltre il guardrail.

Da lì vidi Peggy, riversa sull’erba, semisvenuta, e la macchina di Schmidt e dei suoi che si avvicinava a tutta velocità. Mi misi in mezzo alla strada, in modo da bloccare loro la vista di Peggy, e puntai la pistola.

-Sparate!- gridò Schmidt.

Io rimasi dov’ero e presi bene la mira senza vacillare: puntai a Schmidt e feci fuoco.

Il parabrezza andò in mille pezzi, ed io sparai ancora, contro il guidatore. L’auto sbandò e si infranse contro lo spartitraffico, un secondo prima di colpire me. Mi gettai da un lato, in tempo per vedere lo sguardo d’odio che Schmidt aveva dipinto sul volto persino dopo che gli avevo sparato.

Osservai dalle lamiere fumanti dell’auto in cerca di qualche segno di vita. Non trovandone nessuno, mi diressi verso Peggy, ancora sdraiata sull’erba.

-Peggy, stai bene? Dimmi che stai bene!- chiesi preoccupato, tenendole le spalle.

Lei aprì gli occhi, quei bellissimi occhi che appartenevano alla mia migliore amica. L’aiutai a sedersi.

-Steve. Sei salvo…- sospirò contenta.

-Già- feci io. –Più o meno.-

Scostai il bavero della mia giacca, e rivelai una lunga scia di sangue. Il proiettile che aveva colpito Tony lo aveva trapassato, colpendo anche me.

Negli occhi di Peggy nacque la paura. –Steve? Steve!-

Nei miei si diffuse la confusione, le immagini si sfocarono, e poi non vidi più nulla.

 

___________________________________    

 

L’ospedale Queen of Angels è molto spazioso, luminoso, con vista sulle strade contornate di palme; un bell’ambiente se siete dei degenti che si riprendono da un colpo di pistola al petto e da ustioni elettriche nelle parti basse.

Ecco dove mi ritrovai io. In una bella stanza privata, cortesia di Peggy, con lei che mi guardava seduta su una sedia e la flebo nel braccio che mi distribuiva antidolorifici direttamente nelle vene.

-Come sta il mio campione?- domandò Peggy, passando le dita affusolate tra la mia frangia bionda.

-Mai stato meglio- bisbigliai, perché parlare riusciva ancora difficile, dopo essersi visti perforare un polmone da un proiettile.

-E… I gioielli di famiglia?-

-Peggy, ti prego.-

Lei rise.

-Ehi piccioncini, vi disturbo?- Tony entrò senza bussare, trascinandosi con le ruote di una sedia a rotelle.

Sì, lo so cosa state pensando: ecco una di quelle storie in cui all’eroe sparano, ma non muore e ritorna per un lieto fine. E’ terribilmente contato, lo ammetto, ma siamo nella terra del cinema, è normale che ogni tanto qualche scena si ripeta, e comunque stavolta è vero: Tony è sopravvissuto, e non ricordo di essere mai stato così felice come ora, con accanto a me le persone più importanti della mia vita.

-Volevo aggiornarvi sulle indagini di Sharon.-

Tony ci allungò un fascicolo.

-L’ha stilato il mio amico della polizia. A quanto pare, Schmidt aveva una relazione con la ragazza che impersonava sua figlia; niente di serio, solo una scappatella. Sharon però deve averlo scoperto, e mi ha assunto per trovare le prove di un incesto.-

-Ma allora chi ha ucciso mia sorella?- domandò Peggy, sfogliando il fascicolo. –Se non aveva idea della truffa e degli omicidi di Schmidt…-

-Tu le hai fatto credere che il suo vero padre fosse un produttore. Lei dvve avere pensato che fosse Schmidt, ed è venuta qui ha cercarlo; ho scoperto che anni fa, lui e la sua troupe sono venuti nella vostra città dell’Indiana a girare un film. La mia ipotesi è che, dopo averlo visto con quella che tutti credevano essere sua figlia, non avesse sopportato l’idea che anche il nuovo padre fosse un maniaco sessuale e si è suicidata. Mi dispiace davvero Peggy.-

Lei abbassò la testa, i boccoli scuri le ricaddero sugli occhi. –Grazie per avere approfondito questa faccenda. Grazie davvero a tutti e due.-

Riuscivo a capire che non fosse felice. Probabilmente si sentiva in colpa per aver fatto credere alla sorella una menzogna che ne aveva causato la morte.

-Peggy, non è stata colpa tua, non potevi sapere che sarebbe finita così- la rassicurai, mettendole una mano sulla spalla.

-Ormai non posso più tornare indietro, vero?- sospirò lei. Vidi Tony, per la prima volta, non aggiungere niente, neppure una battuta di spirito, per rispetto, credo…

-Vi lascio soli, allora. Devo organizzare il funerale di Sharon. Penso che la riporterò a Embrey.-

Si alzò dalla poltroncina dove stava seduta e uscì dalla stanza, trattenendo stoicamente le lacrime.

Rimasti soli, Tony mi guardò, e mi disse: -Puoi alzarti?-

-Credo di sì.-

-Ottimo. Allora accompagnami a fare una passeggiata, le infermiere dicono che devo sforzarmi di camminare almeno venti minuti al giorno, per recuperare funzionalità muscolare; ho bisogno di un ragazzone forte come te che mi aiuti a reggermi in piedi- ammiccò.

Io scesi dal letto portandomi appresso la flebo.

 

Mentre camminavamo nei corridoi dell’ospedale, a braccetto come due fidanzati, ci scambiammo informazioni preziose che, durante il nostro primissimo incontro, non ci eravamo dati la pena di conoscere.

-Davvero ti hanno arrestato tre volte?- domandò incredulo Tony.

Annuii. –Sì, ma tutte le volte per reati minori.-

-Non dovevi essere molto bravo come ladro- ridacchiò.

-Ah, perché tu saresti un esperto…-

-Io sono un detective e sono gay: sono il migliore in entrambe le cose.-

Meditai un attimo sulla mia prossima frase: era una cosa che mi frullava per la testa dal momento esatto in cui era avvenuta.

-Perché mi hai fatto da scudo quando ci hanno sparato addosso?-

Lui guardò per terra, evitando accuratamente il contatto con i miei occhi.

-Non volevo che ti uccidessero. Sei un autentico tonto, troppo buono per una città come questa, e non meritavi di finire male. Cazzo, quando ti ho visto per la prima volta ho pensato che fossi solo molto stupido, ma poi mi hai fatto sentire… Non so, hai cominciato a piacermi. Non tutti sono in grado di tirare fuori il meglio di me, e tu ci sei riuscito. Mi è anche piaciuto baciarti, ci crederesti? Anche se, se ti avessi conosciuto in circostanze diverse non ti avrei baciato certo così.-

Arrossii, pensando al nostro primo bacio, a quanto era stato irruento, confuso, tutta una scena per allontanare due poliziotti. Neppure io avrei baciato così, ma le sue labbra erano state caldissime, la sua lingua soffice, le sue mani pesanti e sicure mentre mi accarezzavano i capelli…

-E come mi avresti baciato?- domandai piano, sperando che la mia allusione gli arrivasse chiara e forte.

-Vorresti che ti mostrassi il mio bacio delle grandi occasioni? Quello che riservo agli uomini speciali?- ammiccò, vicino al mio viso, così vicino che sentivo l’odore di disinfettante delle sue bende.

-Se non ti disturba.-

Si sporse verso di me, tenendo saldamente il mio braccio per fare leva, si alzò sulle punte dei piedi e posò le sue labbra sulle mie, come se le accarezzasse. Poi la sua lingua sfiorò la mia bocca, e penetrò le mie più intime difese, con calma, senza fretta, prendendomi con calore. Andai incontro alla sua lingua con la mia e la avvolsi in un abbraccio umido e bollente, che mi fece dimenticare che ci trovavamo in un ospedale pieno di gente, ma poi mi rammentai che quella era Los Angeles, la città dei pazzi, la città del peccato, la città di Tony.

Quando ci separammo lui mi chiese: -Vuoi ancora lavorare con me?-

-Credi che potrei, con i miei precedenti? Fare il detective privato?-

-Non rubare più, Steve, tu non sei un delinquente.-

Lo presi come il primo vero complimento che ricevevo da anni.

-Grazie, sei il primo che me lo dice.-

-I ragazzi vanno incoraggiati. Mio padre non lo ha mai fatto, perciò sono cresciuto sbandato. E tu, tuo padre ti ha amato?-

-Qualche volta, quando mi travestivo da whiskey. E il tuo?-

-Mi picchiava al ritmo di bossa nova, quindi è possibile, ma non me l’ha mai detto a parole.-

Ci guardammo per un istante, e poi scoppiammo entrambi a ridere.

-Lavora per me- insistette dolcemente Tony, posandomi una mano sulla schiena.

-Mi sa che accetterò. Questo posto comincia a piacermi.-

La mano di Tony si spostò un po’ più a sud. -Visto che non hai una casa potresti stare con me, ma ti avverto: ho un solo letto, temo che dovremmo dividerlo.-

Incontrai il suo sorrisetto malizioso, e lo tirai vicino a me.

-A me piace dividere le cose con i miei amici.-

-Sarò anche il tuo datore di lavoro, ricordalo. E poi, spero, qualcosa di più…-

Lo baciai ancora, di mia iniziativa, proprio lì, in mezzo a quel corridoio affollato, mentre tutti ci passavano accanto e nessuno aveva niente da ridire.

 

 

E così, sono rimasto a LA, e adesso lavoro con Tony, mi sta insegnando il mestiere di detective privato. Vi dirò che gli appostamenti non sono interessanti quanto il momento in cui torno a casa e trovo lui ad aspettarmi. O viceversa.

Le lenzuola del letto di Tony sono di seta, non potete capire cosa significhi fare l’amore sopra un tessuto del genere…

Ma questi sono dettagli.

Ora, non voglio annoiarvi oltre, ma questa è la storia, dettaglio più dettaglio meno, di quello che è successo lo scorso Natale, quando il mio mondo è completamente cambiato.

Avrei potuto continuare a rubare x-box nel Greenwich Village, e invece mi ritrovo con un lavoro vero e un fidanzato vero dall’altra parte degli Stati Uniti. Se al liceo me lo avessero detto non ci avrei mai creduto. Soprattutto alla parte sul fidanzato; avevo sempre dato per scontato che dall’amicizia con Peggy potesse nascere qualcosa.

Però sono felice che sia successo tutto questo, mi ha fatto capire che sono contento, anche se sono stato ribattezzato losangelino, di essere sempre il ragazzino che ha lasciato Embrey nell’Indiana, e non credo che dispiaccia neppure a Tony.

Ma adesso devo lasciarvi, perché vi ho tediati veramente troppo, e perché passerò la serata a fotografare mariti e mogli infedeli pensando di imitare i loro exploits notturni a letto con il mio ragazzo, quindi… auguratemi che la notte non sia troppo lunga.

 

 

 

Fine.

 

 

Ragazzi, che fatica!

E’ stata dura, veramente dura, perché mentre scrivevo avevo la testa da tutt’altra parte, e non sono sicura del risultato.

Un film intero in un solo capitolo, e ne è risultato un manoscritto chilometrico, ma alla fine ha visto la luce.

Per la Parody Week indetta da Sclero Stony, ecco a voi la parodia di Kiss Kiss Bang Bang.

Steve interpreta Harry, Tony Perry, Peggy Harmony Lane, la vecchia fiamma di Harry, Johann Schmidt (il cattivo di Captain America) Harlan Dexter, e Sharon Carter Jenna, la sorellina di Harmony.

Vi dirò che all’inizio volevo che fosse Tony ad interpretare Harry Lockhart, ma poi ho scelto Steve. I motivi?

Beh, Tony ed Harry hanno caratteri agli antipodi, uno è sicuro di sé e intelligente, l’altro è un tontolone troppo buono per essere vero. Alla luce di questi fatti ho preferito che fossero le somiglianze caratteriali a definirli, perciò, ecco che Steve interpreta Harry, e Tony Perry.

Ho tagliato alcune parti e appiccicato insieme quello che restava(avrei davvero davvero voluto inserire la scena in cui Harmony taglia per sbaglio un dito a Harry, ma non sapevo più dove piazzarla senza allungare la descrizione), perché altrimenti sarebbe venuta enormemente lunga, e direi che lo era già abbastanza, per cui…

La storia doveva seguire il corso del film, perciò non ho potuto inserire molta interazione romantica tra Steve e Tony, ma si tratta pur sempre di una Stony, e l’elemento Stony doveva esserci, perciò l’ho aggiunto soprattutto alla fine.

Come dice Steve: spero di non avervi annoiato troppo; se siete arrivati fin qui avete tutta la mia ammirazione ;)

  
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