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Autore: TheDoctor1002    22/10/2013    4 recensioni
E se un giorno ti svegliassi in un mondo nuovo? Niente della tua vita è rimasto e l'unica cosa che puoi fare è fidarti. Perchè alla fine è così che andiamo avanti: fiducia nei nostri cari, nei nostri amici, nel futuro.
Da un giorno all'altro non è rimasto più nulla.
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Marshall Lee, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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L'impatto fu a dir poco devastante, come se mi avessero strappato l'anima dal petto. Ricordo perfettamente l'istante in cui capii che la cloche non rispondeva ai comandi e non avrei mai immaginato che il panico potesse avere un suo sapore, simile a quello amaro e acidulo delle giornate di convalescenza. Prima che riuscissi a pensare a una sola di quelle manovre di emergenza su cui avevo passato intere nottate, mi ritrovai faccia a faccia con il terreno e sentii l'aereo accartocciarmisi addosso come un abito troppo stretto. Quando ripresi fiato vidi delle macchie purpuree sulla carrozzeria di metallo lucido e, pochi istanti dopo, sentii un dolore lancinante al petto, freddo, come se delle rose avessero avvolto i loro gambi attorno al mio cuore, lasciando che le spine lacerassero i muscoli. Abbassando lo sguardo, notai che un fiore rosso era sbocciato sulla giacca mimetica, macchiando i distintivi e le stellette di sangue. 
La vista iniziava ad annebbiarsi, avevo solo un'ultima possibilità, dopodiché sarei stata definitivamente spacciata. Ricordo che stavo sorvolando il quadrante O, quello devastato dalle bombe, quello su cui girano strane leggende, quello dove decine di velivoli sono scomparsi nel nulla. 
Premetti un pulsante rosso e lampeggiante sul cruscotto sfondato, forse potevo ancora farcela. "May day, May day. Sono il pilota A13 del US-F35-574, torre di controllo, mi ricevete? Passo." 
Nessuna risposta, nemmeno un sibilo mentre l'ansia iniziava ad attanagliarmi, a tenermi stretta tra le sue spire.
"May day, May day. Sono il pilota A13 del US-F35-574. Il motore ha avuto un guasto, sono nel quadrante O e sono ferita, c'è qualcuno che riesca a ricevermi?!"
Ancora silenzio, più assordante di qualsiasi rumore avessi mai sentito. Le fitte tornarono e ora anche le cose più nitide diventavano nubi indistinte di colori, poi si ridussero a pozze di luce nell'ombra, infine fu solo buio. L'ultima cosa che ricordo sono dei capelli scuri. Si, senza dubbio la persona che mi aveva estratta dalle lamiere contorte del caccia aveva i capelli scuri. Con un tocco delicatissimo sfiorò le piastrine metalliche sul collo e lesse ad alta voce il nome inciso in stampatello: "A-LI-SON". 

Mi svegliai come da un brutto sogno, mentre i sensi si riattivarono all'istante, con una rapidità quasi spaventosa. Avvertii una sensazione strana alla bocca dello stomaco, come se non avessi mai davvero smesso di precipitare, come se il mio cuore stesse scivolando sull'aria più lentamente di me. Non ero più imprigionata nelle lamiere dell'aereo, ma avvolta da una coperta spessa e morbida. Nemmeno i miei abiti erano più gli stessi: la giacca lacera era stata sostituita da una camicia rossa a scacchi, ovviamente di qualcun altro, che mi ricadeva addosso come se fosse stata appoggiata su un manichino. Dire che era enorme era poco: le maniche, seppur rigirate, arrivavano a pochi centimetri dai polsi e il lembo inferiore mi copriva quasi fino al ginocchio. Scivolai giù dal letto, sorprendendomi di non avvertire alcuna sensazione dall'ambiente: nè caldo, nè freddo, come se fossi immersa in acqua. Avanzai nella penombra, riuscendo distintamente a vedere le mie placchette e gli occhialini appoggiati su un tavolino rotondo vicino alla porta. Feci scattare la maniglia e la luce mi accecò per qualche istante, poi riuscii a distinguere le pareti dalle tinte chiare, i mobili in stile grunge anni 70' e, appena sopra il divano, un ragazzo. Stava letteralmente fluttuando, cosa che mi fece subito pensare ad un sogno, mi diedi così un pizzocotto sul dorso della mano, ma quando riaprii gli occhi era ancora lì. Indossava la mia stessa camicia rossa tagliata da linee verdi, anche se su di lui faceva un effetto migliore. Teneva lo sguardo basso, esaminando uno strumento a forma di ascia e facendo risuonare qualche nota bassa ogni tanto. All'improvviso sollevò lo sguardo, scostando i capelli corvini dalla fronte e trasalì nel vedermi in piedi nel vano della porta del soggiorno. Si avvicinò a me continuando a fluttuare a pochi centimetri dal suolo fino a quando i nostri visi non furono talmente vicini che le punte dei nostri nasi si sfioravano. Istintivamente feci un passo indietro, i canini e il corpo innaturalmente freddo non lasciavano troppo spazio ai dubbi: una delle creature del quadrante O, una delle meno bizzarre, a giudicare dalle storie che raccontavano i ricognitori. All'improvviso inclinò la testa di lato, rivolgendomi un sorriso affabile. "Buongiorno, bella addormentata..." 
Non sembrava pericoloso, anzi, facendo due più due mi aveva appena salvato la vita. Sorrisi imbarazzata, seguendolo con lo sguardo mentre svolazzava per la stanza 
"Buongiorno...vampiro..." Abbozzai. 
Era senza dubbio la situazione più strana in cui mi fossi mai trovata. 
"Ho un nome, cara Alison" ribattè offeso
"Avresti dovuto presentarti, a questo punto. Con chi ho l'onore di parlare?"
"Niente meno che con Marshall Lee, principe vampiro e figlio della sovrana della Nottesfera." Rispose lui avvicinandosi e baciando il dorso della mia mano "al vostro servizio"
Soffocai una risata "Immagino che questi nomi dovrebbero dirmi qualcosa, esatto?" 
"Sei davvero maleducata!" 
"Può essere, principe orgoglioso, ma sono anche un primo aviere scelto e devo tornare a Brooklyn il prima possibile. Mi servirebbe una mappa..." La testa girò un po', come se non avessi dormito affatto e fui costretta ad appoggiarmi al muro "...e un bicchiere d'acqua, se non è un disturbo...questi sintomi post-incidente mi stanno uccidendo"
"Già...letteralmente" commentò lui sarcastico
"Che intendi dire? È stato solo un capogiro, sto bene!" 
"Non c'è nulla di strano? Non ti sembra che in questa stanza non sia nè caldo nè freddo?"
"Aspetta non..." Era vero, quel che diceva: quella strana sensazione di vuoto nel petto, l'insensibilità della pelle "...non ti seguo..."
"Se potessi vederti allo specchio noteresti che qui" disse sfiorandomi un lato del collo "ci sono due piccoli segni rossi. Se non ti avessi trasformata saresti morta, credo di meritare quantomeno un ringraziamento. Inoltre, qualunque sia la tua squadra, non credo che la troverai, dopo cinquant'anni..."
"Cinquant'anni?!" Ripetei sbalordita
"Ora che ci penso sono cinquantuno, in effetti..."
Mi passai una mano sul viso, crollando sul divano esasperata
"D'accordo. Dove sono le telecamere? Aspettate...non serve che lo diciate: «QUESTA È CANDID CAMERA!»"
Quando riaprii gli occhi vidi solo Marshall che mi guardava stupito con il bicchiere d'acqua in mano. Niente cameraman nè cineprese. 
"Andiamo, se non è uno scherzo cos'è?!" Gridai "non possono davvero essere passati cinquant'anni, i vampiri non esistono..."
Lui inclinò leggermente la testa di lato "Sei davvero una strana ragazza, sai? Prima ti salvo la vita e poi non ti fidi di me..." disse, dirigendosi verso uno dei muri e iniziando a disegnare con del gesso un viso sorridente "ti porterò alle rovine, se vuoi una prova..."
Sparì in cucina e rientrò con una busta di latte in mano, versandola sul disegno. 
"Ma che diavolo...?" Imprecai, mentre pronunciava una formula in latino. 
Il resto della frase venne inghiottito dal rumore dei muri che si aprivano in due, lasciando trasparire una distesa di rottami e la luce fioca del sole appena tramontato, una debole aura oltre l'orizzonte. 
Mi tese la mano, afferrando un ombrello parasole. 
"Cos'è quello?" Dissi indicando con un cenno del mento la frattura sui muri. 
"Un portale" rispose con la disinvoltura di chi spiega un concetto ovvio "davvero non ne hai mai usati?" 
Scossi la testa e feci un passo indietro, mentre lui afferrava delicatamente le mie dita. Era una presa fredda, sicura, ma se mi fossi tirata indietro mi avrebbe lasciata andare. Mi avvicinai fino ad arrivare a una spanna da lui, che a quel punto sussurrò "Chiudi gli occhi. È semplice come camminare. Ti dirò io quando riaprirli...ti fidi?"
Annuii brevemente e chiusi gli occhi.  Mi feci forza e mi tuffai nel portale, uscendone dall'altro capo come se avessi appena ricevuto un pugno nello stomaco.
"Ora puoi guardare, se vuoi"
Lo scenario era diverso. Non pura fantasia, come sembrava dal salotto, ma in parte reale. Sentii dei ricordi che riaffioravano, delicati come bolle che salgono a pelo dell'acqua per poi esplodere. Le rovine a sinistra erano quelle dello stadio di football, quello dei Giants, dove mi portava papà alla domenica. E più indietro Park Avenue, le rovine del Bronx e di Brooklyn, il ponte semi-distrutto, una torre di controllo, forse del J.F.K. 
Ricordai la via in cui abitavo, la scuola per avieri che frequentavo e il mio diciannovesimo compleanno, l'ultimo da quel che mi risulta. Ricordai l'avviso che fecero al telegiornale, quando dissero che la guerra era iniziata. Trasmisero dei servizi che mostravano ordigni bellici russi schiantasi in centri abitati, distruggendo case e bruciando la terra dei giardini, trasformando città intere in cenere. Poi arrivò una lettera, informava i miei genitori che ero stata scelta tra gli Avieri di prima classe ed entrai a far parte delle squadre di ricognizione. 
Non era una fotografia o un set di Hollywood, quella era la mia città. E ora era tutto distrutto. Non c'era più una New York in cui tornare, una Statua della Libertà da guardare controluce all'alba, ormai era tutto sepolto sotto piastre di metallo arrugginito, blocchi di cemento e calcinacci. Sentii il mio cuore gelido contrarsi, farsi ancora più piccolo di quanto non fosse, ridursi alle dimensioni di un atomo e sparire, lasciando solo vuoto. Il silenzio della Città che non dorme mai fu in grado di farmi sentire l'essere più miserabile e solo sulla faccia della Terra.
"Ora mi credi?" chiese con delicatezza. Tesi la mano verso l'orizzonte, quasi a toccare quel cielo di fiamma, e come se toccassi del fuoco sentii il dorso della mano bruciare. Con un gemito la strinsi al petto, volgendo lo sguardo verso Marshall "È tutto vero...non sto impazzendo, giusto?" 
Mi scostò dal viso una ciocca di capelli rossi "Benvenuta nel mio mondo" disse con dolcezza, prima di sollevare un angolo della bocca. 
Avvicinò lentamente le sue labbra alle mie, giusto un istante, solo il tempo di un brivido di pura elettricità. Non era il primo bacio che mi aspettavo, anzi, non era nemmeno un bacio. Era solo contatto, pelle contro pelle, eppure, anche se solo per una frazione di secondo, perfino quell'inferno sembrò di nuovo casa. 
   
 
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