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Autore: hirondelle_    22/10/2013    1 recensioni
[GouenGaze] [AU! Fantasy]
Si avvicinavano acquisendo velocità, un rito propiziatorio. Le mani sferzavano l’aria gelida e bruciante, gli occhi socchiusi alla ricerca dell’eterna perfezione. Si fermavano solo quando si trovavano a pochi centimetri l’uno dall’altro, nudi. Si fissavano, il silenzio assordante che non permetteva loro di parlarsi. C’era una barriera, tra di loro, un confine tracciato da un piccolo corso d’acqua. Un corso d’acqua che si era più volte macchiato del loro sangue.
Genere: Angst, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Axel/Shuuya, Bryce Whitingale/Suzuno Fuusuke
Note: AU, Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Paranormal'
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Come Sole e Luna


Non era semplice.
Era tutto fuorché semplice, e questo lo sapevano bene: eppure non poteva che essere così, in un certo senso, era sempre stato così. Le loro cose erano iniziate nel modo più semplice possibile, e sarebbero finite allo stesso modo.
Erano baci veri, tuttavia, quelli che si scambiavano di sovente. Baci che sapevano di umido e di proibito, baci che andavano a concludersi in carezze fugaci e sospiri smorzati. Baci che facevano scaturire il fuoco, ma al contempo il gelo, negli animi di entrambi. Baci che nascevano nel petto e si diramavano fino alla testa per poi spegnere i pensieri, così come tanti piccoli soffi fugaci possono spegnere candele di cera.
Era cera bollente quella che si scambiavano. Cera che si freddava agli angoli dei loro cuori impavidi, prendeva il volo e spiccava via. Gouenji non avrebbe saputo descrivere meglio la sensazione di pudore che sopraggiungeva infine, quando ancora non avevano il coraggio di guardarsi negli occhi e si lasciavano andare al semplice respirare, come un fatto dovuto.
Più che altro, percepiva quasi febbrile il freddo della sua pelle. Cadaverico, glaciale, immobile. Lui era la luna, quella che di più splendente si può trovare nei cieli d’estate. Eppure era inverno, neve, solitudine, distruzione.
Gouenji invece era il fuoco: il calmo ma guizzante movimento della fiamma che si estingue fra le ceneri, ma poi permane, come un marchio. Era l’essenza della vita, il fulcro portante dell’energia. La stessa che scaturiva dalle cose e le faceva muovere. Era lui, si diceva, il fulcro della loro danza tribale: ma quasi non sentiva i piedi per il gelo della notte che ricostringeva ad unirsi in un'unica anima.
Movimenti veloci, a tratti scattanti, spesso lenti e dolci, morbidi come le loro pelli. Le vesti si alzavano al roteare delle loro caviglie, quasi volavano sospinti dal desiderio irrefrenabile di loro, Sole e Luna che cercano di incontrarsi in un cielo incandescente e glaciale.
Iniziavano lontani, ognuno per conto proprio. Seguivano le tradizioni della propria tribù, come se non dipendessero totalmente dall’altro, come se il mondo potesse accoglierli comunque nell’abbraccio della vita.  Esitavano, conoscendo alla perfezione i propri passi.
Vita non lo erano più, comunque: lo dimostrava il tintinnio delle loro collane e il rumore ritmico delle cavigliere. Diverse, in un certo senso, e inutili. Capitava spesso che si spogliassero lentamente, mentre vorticavano su se stessi come foglie prive di peso, ma non c’era nulla di sporco nei loro gesti. C’era solo il bisogno irrefrenabile del silenzio eterno, lo stesso che apparteneva ai cadaveri senza vita dei loro compagni morti per una guerra insensata.
Si avvicinavano acquisendo velocità, un rito propiziatorio. Le mani sferzavano l’aria gelida e bruciante, gli occhi socchiusi alla ricerca dell’eterna perfezione. Si fermavano solo quando si trovavano a pochi centimetri l’uno dall’altro, nudi. Si fissavano, il silenzio assordante che non permetteva loro di parlarsi. C’era una barriera, tra di loro, un confine tracciato da un piccolo corso d’acqua. Un corso d’acqua che si era più volte macchiato del loro sangue.
Si scrutavano, cercando l’elemento amico. Tuttavia nonostante il tempo, non c’era traccia di loro, di un noi, nelle iridi dell’altro: non si erano mai detti il loro nome. Non si erano mai, mai detti una parola. Non sentivano la necessità di parlare all’altro, non ne sentivano il desiderio. Quello fisico, tuttavia, permaneva. E sempre li costringeva a guardarsi negli occhi, almeno una volta.
C’era una barriera da superare, tuttavia. Quella che avevano stabilito i loro nonni prima dei loro padri, un corso antico e cristallizzato. Era un po’ come il tempo, era lì da sempre. C’era la barriera, prima.
 Bastava un passo. Un passo che tuttavia non avevano mai coraggio di compiere, e potevano passare minuti prima che uno dei due porgesse la mano all’altro, per tirarlo dall’altra parte. Entrare nel territorio della tribù nemica significava, allora, dimostrarsi totalmente sottoposto al volere dell’altro: erano entrambi troppo orgogliosi per decidere.
Tuttavia capitava che Gouenji allungasse una mano verso di lui. Che gli sfiorasse la guancia con la sua pelle incandescente, un gesto che la faceva sfrigolare come un tizzone ardente contro le sue dita. E che semplicemente, con dolcezza, lo attirasse verso la parte più pericolosa del mondo, in quel luogo caldo e caotico che era il suo territorio.
Capitava che scivolassero entrambi a terra, le labbra bramose che premevano su quelle del nemico per farsi aprire. Che si stendessero poi, rimanendo in quella posizione. Un semplice accarezzarsi, una violazione, un terribile segreto che doveva rimanere tale. Lasciavano che le loro mani lasciassero marchi sulla pelle dell’altro, la Luna tracciava solchi nel nero e il sole bruciava la neve. Segni apparentemente indelebili che scomparivano nel giro di qualche giorno, e che venivano puntualmente rinnovati da una bramosia egoista dell’altro.
Erano incapaci di separarsi, a quel punto. Il ghiaccio diventava a quel punto una trappola mortale per il calore, soffocato da una prigione di silenzio e di terra. Sapevano entrambi di muschio, alla fine, perché dai loro corpi incompatibili scaturiva il bianco vapore dell’umidità che si andava condensando.
Si annientavano, ogni volta. Era come uccidere l’altro, senza sangue. Si consumavano a forza di baci, si facevano male continuando a unirsi in quella danza dolce e sfrenata. Un gioco mortale, il loro. Finivano solo quando erano sicuri di non poter proseguire oltre, ma con una specie di masochista soddisfazione: riuscivano ogni volta a toccarsi qualche secondo in più della volta precedente.
Si trascinavano, stremati, a riprendere le forze. Gouenji si accasciava stremato al suolo, singhiozzando per il dolore atroce che gli feriva gambe, ventre, petto, labbra. Era il dolore sanguinoso del gelo, il nocivo attacco secco delle sere d’inverno, pungente come il più affilato dei rasoi.
Il Principe della Luna invece si trascinava rapidamente nel suo regno, al sicuro dagli attacchi del calore esterno. Al sicuro da lui, dalle sue dolci e pericolose braccia che rischiavano di soffocarlo come sensuali spire di serpe. Poi si alzava, imperioso come un re, raccoglieva le sue vesti e semplicemente se ne andava, senza voltarsi. Ovunque lasciasse le sue impronte, nascevano fiori.
Fiori che però iniziavano a sbocciare solo quando Gouenji si alzava in piedi, e camminava a ritroso, senza staccare gli occhi dalla schiena pallida dell’altro. Era un addio implicito, che tuttavia si trattava solo di un arrivederci, un saluto da amici di vecchia data.
Non c’era un noi, tuttavia, nelle loro iridi.
Eppure dai passi della Notte, nascevano fiori: fiori che sbocciavano come macchie purpuree, in mezzo al biancore della neve. Era lì, forse, che consisteva il ricordo di loro.
A Gouenji piaceva vederli arrampicarsi sul tronco degli alberi, varcare i confini delle loro terre ed unirle in un ponte immaginario, prima di appassire velocemente come erano nati.
Gli piaceva provare l’ebbrezza di simulare i passi della sua danza, prima di scomparire anche lui nel buio di pietra e sangue.
 
Angolino di Macareux
Questa one-shot senza senso è dedicata agli amanti della GouenGaze, ma soprattutto a Ve, che è in astinenza… anche se la cosa non mi stupisce, considerando l’orrore che ho appena scritto :”)
Questa cosa nasce da una mia idea nata qualche mese fa. È da un po’ che mi assillava, così ho deciso di scrivere per togliermi questo tarlo (?). Di certo non posso dire che mi sia venuta benissimo, ma devo dire che l’idea di Gouenji e Suzuno come completi opposti mi piace: caldo e freddo, sole e luna, giorno e notte. Così ho provato un po’ a “personificarli” in questi elementi, ed è uscito questo. Ho pensato agli effetti del freddo sul caldo, e del caldo sul freddo. Non sono un’esperta in materia, quindi deve esserci qualche erroretto di fisica/chimica/qualunquecosasia. Soprattutto, ho pensato alle stagioni, e ai relativi cambiamenti dall’estate all’inverno… e dall’inverno all’estate. I fiori simboleggiano un po’ la primavera, ovvero il passaggio che porta all’estate, una specie di unione .u.
Riguardo a questa one-shot: mi sono ispirata, per la danza, a Kanashimi: http://www.youtube.com/watch?v=Uq-hdgkkRrc, di Tsuneyoshi Saito (ost di Dennō Coil). Infatti questa melodia è composta da due ritmi: all’inizio si può sentire uno dolce e tranquillo, poi si aggiunge un altro totalmente opposto: forte, deciso e veloce. Ho pensato che fosse azzeccata per descrivere la danza dei due, anche pensando alle loro abitudini, caratteri, e alle metafore che ho attribuito loro .u.
… Mi sembra di aver detto tutto. Vi ringrazio per aver letto, e grazie a chi avrà voglia di recensire ^^
 
Fay
 
   
 
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